45 - Capitolo 25.1
Ricordo ogni suo gesto,
ogni sua parola.
(Sorelai Fenir)
Sofia strinse le redini, mentre alberi e cespugli incorniciavano la strada che stava percorrendo con i suoi amici. Oltre lo scalpiccìo dei cavalli non si udiva altro; ognuno di loro aveva lasciato qualcosa a Reca, un pezzetto del proprio animo, forse. E l'odore del sottobosco era lo stesso di quando affrontò la medesima discussione con lei.
«Vieni via, lascia perdere!» Sorelai le strinse il polso e cominciò a strattonarla. «Davvero vuoi fermarti in ogni casa e curare tutti?»
Selene tirò forte per liberarsi dalla presa dell'amica. «Se dovesse essere necessario...»
«Non te lo permetterò!» La afferrò per le spalle, allontanandola. «Ti sarai resa conto che questa non è una normale malattia.»
Selene strinse i pugni e distolse lo sguardo, liberandosi dalla presa dell'amica con un gesto delle braccia. Ingoiò e la gola le fece male, le palpebre chiuse per ricacciare indietro le lacrime.
«Guardami!» Sorelai le strinse il viso con entrambe le mani. «Guardami e dimmi che vuoi sfidarli un'altra volta.»
Non rispose, Selene, ma udiva i lamenti dei moribondi ammassati sul pavimento della locanda. Sorelai aveva ragione; il morbo che stava decimando quel villaggio non era una normale malattia e di certo era opera di qualche demone. Curando quelle persone avrebbe potuto interferire con i piani di qualcuno, ma di chi? Poteva azzardare un'intromissione nei piani di un demone, ma ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze e forse non era pronta, non dopo quanto accaduto solo un anno prima.
«Sorelai, ascolta» disse Selene, gli occhi chiusi in cerca di concentrazione. Inspirò e l'amica le lasciò il volto. Quando riaprì gli occhi, la stava osservando e il drago che aveva tatuato sul braccio stava avvolgendosi in spire verdi fino ad apparire sul collo. «Voglio almeno trovare la fonte di questa malattia. Credo si siano infettati attraverso un mezzo, non tra di loro.»
«Tu lo sai che ti stai per cacciare in un brutto guaio?»
Selene sentì un sorriso amaro affiorarle sulle labbra e annuì. «Non mi fermerò a curare tutti, hai ragione. Ne muoiono più di quelli che riesco ad aiutare, ma se riuscissi a fermare l'incantesimo che ha generato il morbo, forse potrei salvarne molti.»
Il tocco morbido di Gimmi sulla propria coscienza riportò Sofia al presente. Il demone li seguiva dal piano astrale, controllando l'area che li circondava, guardandogli le spalle ma anche il cammino. Alzando lo sguardo vide l'edificio che stavano per raggiungere. Alto due piani, pietra e legno, con molte finestre, si ergeva solitario lungo la via.
«È piuttosto affollato, signori.» Un garzone era arrivato per guidarli alle stalle. Sofia contò quattro destrieri, bardati con una gualdrappa bianca sotto la cotta di maglia che due giovani stavano togliendo, diversi palafreni, di cui tre con gli stessi colori ma senza cotta, e qualche ronzino piuttosto malandato.
«Affollato è un eufemismo» borbottò Lorcan raccogliendo i propri bagagli e lanciando occhiate ripetute ai destrieri da guerra. «Quelli sono dell'ordine e nelle altre due stalle potrebbero essercene ancora.» Si avvicinò ad Astoria, proprio di fianco a Sofia. «Che si fa?»
La principessa sollevò le spalle. «Questa è l'unica locanda prima di raggiungere Città del Guado, non possiamo cambiare itinerario.» Tirò la tracolla per posizionarla sul davanti ed estrasse un sacchetto di cuoio. «E poi abbiamo bisogno di riposare e organizzarci.»
«Sì, ma quelli» Eric accennò con la testa in direzione dei cavalli da guerra «potrebbero aspettarci.»
Si erano radunati nel centro della stalla; i toni bassi e il fare circospetto avrebbero potuto incuriosire gli stallieri o qualcuno che li osservasse dall'ingresso, ma forse era il dolore al petto, che stava isinuandosi lungo il collo, a rendere il tutto più cupo. E il suo oscuro compagno era tranquillo.
«Al castello non è accaduto nulla» disse Astoria. «La cena non è stata piacevole, d'accordo, ma nessuno ha parlato di strane parentele.»
Un brivido percorse la schiena di Sofia. «Però erano interessati a me.»
«Sta' certa che se quell'esaltata del Gran Maestro avesse fiutato chi sei, in questo momento non saremmo qui a parlarne.» Astoria spostò la treccia dietro la schiena e picchiò col dorso della mano sul petto di Eric. «Andiamo. Ho fame e voglio dormire in un letto morbido.»
«Modera i termini» borbottò Lorcan. «Non mi è simpatica, ma è il capo del mio ordine e, sebbene non ne condivida i modi, sta cercando di rinsaldare nel popolo la fede nella Dea.»
«Sì, certo, con...» Astoria guardò verso Clivia e poi scosse la testa. «Scusami.»
La mezz'elfa si mise a braccetto con Lorcan e s'incamminarono verso l'uscita posteriore, seguiti da Eric, mentre la principessa si affiancò a Sofia. «Ascolta» disse a bassa voce mentre camminavano in un corridoio poco illuminato, senza finestre e con odore di muffa. Dal sacchetto che teneva sospeso per il legaccio provenivano leggeri tintinnii. «Questa è la strada principale, la Via della Luce. È normale trovare membri dell'ordine in viaggio. L'importante è non dare nell'occhio e qui è possibile avere stanze separate dalla sala comune per i pasti.» Accelerò il passo e superò tutti, raggiungendo per prima l'uscita del corridoio. Quando aprì la porta, furono investiti da luce, confusione e un'ondata di aria calda dall'odore misto di cibo e sudore, non del tutto piacevole, ma meglio della puzza dei cavalli che avevano appena lasciato.
Sofia si tenne dietro di Eric e colse a malapena qualche parola scambiata tra Astoria e un uomo che doveva essere il locandiere e probabilmente conosceva almeno la principessa, perché si profuse in diversi inchini e fece strada verso una porta, evitando di passare davanti alle tende semiaperte che conducevano alla sala comune, dalle quali giungeva tutta la confusione che sentivano.
«Ecco, qui sarete tranquilli, signori. Vi servirò subito la cena. C'è qualche richiesta particolare?»
«Quello che c'è a disposizione andrà bene, grazie» rispose Astoria. Allentò il laccio del sacchetto tintinnante ed estrasse delle monete che posò nella mano del locanderie. «Mi raccomando le quantità» aggiunse lanciando un'occhiata a Eric «e birra e acqua fresca. Ho visto che c'è tanta gente. Per le camere come possiamo organizzarci?»
«Posso darvene due?»
«Andrà benissimo. Grazie.»
«A voi, Altezza.» Il locandiere fece tre inchini in rapida successione prima di essere inghiottito dalla confusione che regnava all'esterno.
Sofia si diresse verso il tavolo, tondo e annerito, afferrò una delle sedie e ci si sedette. Tutto sommato era un bene restare lontani dal resto degli avventori. La cena non l'Abate e il Gran Maestro l'avevano lasciata interdetta, perché sebbene fosse stato palese che tra i due capi c'erano rivalità e divergenza di vedute, insieme potevano crearle molti problemi.
Inaté. Gimmi ha incrociato Zahario poco fa.
Sofia trattenne il respiro. Poteva essere un problema, forse peggiore dell'Ordine Radioso.
Gimmi e Zahario non si sono parlati, Inaté, ma di certo Gimmi è stato visto.
Il cuore prese a battere più forte. Cosa ci faceva un demone come Zahario da quelle parti? Forse...
«...e allora faremo così, sono d'accordo. Tu che ne dici?»
«Cosa?» Sofia si guardò intorno. Erano tutti lì, al tavolo, che la fissavano.
«Dicevo» riprese Astoria «che sarebbe meglio entrare a Città del Guado in piccoli gruppi.»
«Io...» Non aveva sentito nulla del ragionamento che aveva portato a quella conclusione. «Non saprei, scusatemi. Mi ero distratta e non so di cosa stavate parlando.»
«C'è qualcosa che non va, vero?» chiese Clivia, gli occhi erano due fessure scure, sotto le ciglia blù. «Eri più estraniata che distratta.»
Sofia cercò il contatto con Gimmi, nel piano astrale, e lo trovò acquattato più vicino di quanto pensasse.
«Sì, è vero» rispose. Poggiò le braccia incrociate sul tavolo, sporgendosi su di esso. «Poco fa Gimmi ha incrociato un demone proprio qui fuori.» Stese la mano destra alzando l'indice in direzione di Lorcan e con la sinistra strinse il polso di Astoria, che già stava per scattare in piedi. «Non è successo niente, state tranquilli.» Sentì la tensione muscolare dell'amica allentarsi. «È un demone che non dovrebbe avere interesse a fermarsi qui e interagire con noi.»
«È un tuo amico?» chiese Lorcan.
Sofia scosse la testa. «Nessun demone è mio amico.»
«Permettimi di dissentire» la interruppe il chierico, le sopracciglia cespugliose e rosse aggrottate e accusatrici.
«Sì, d'accordo» gli rispose. «Ti concedo che Raziel può essere considerato un mio amico, ma non...»
«Non come lo intendiamo noi, certo.» Lorcan annuì.
Sofia strinse più forte il polso di Astoria, senza guardarla, ma allentò la presa quando sentì la mano dell'amica sulla propria.
«È complicato, Lorcan.» Vide il chierico annuire e socchiudere gli occhi. «Capisco che la cosa possa risultare fastidiosa, visto che spesso Raziel vi ha usati per i suoi scopi, ma ti assicuro che ha lo stesso atteggiamento con me e che è davvero l'unica persona di cui mi possa fidare tra i demoni.»
«Ed è tutto dire» concluse Lorcan.
Sofia sospirò; stava per parlare, ma due ragazzi aprirono la porta, portando taglieri e boccali e lasciando entrare un po' della confusione che regnava nella sala comune.
Quando la tavola fu imbandita tornò a regnare la relativa quiete data dalle mura.
«Non so voi» esordì Eric afferrando un pezzo di pane «ma io sto morendo di fame, quindi comincio.» Diede un morso alla pagnotta e bevve rumorosamente dal proprio boccale, per poi lanciarsi su un pezzo di maiale salato.
«Quindi questo demone, come si chiama?» chiese Lorcan «dici che non sarà un problema?»
Sofia scosse la testa. «In realtà non posso dirlo con certezza, ma al momento non mi vengono in mente motivi per i quali potrebbe infastidirci.» Tranne, forse, controllarmi. Non era un'idea tanto sbagliata, perché Zahario era sempre stato al servizio di Daran, ma la sua presenza cozzava con quella di Raziel, di solito era lui a occuparsi di tutte le faccende che la riguardavano.
«Sei troppo pensierosa, però» disse Clivia. «Non ci stai nascondendo qualcosa?»
«C'è qualcosa che non mi convince» Sofia prese una ciocca di capelli tra le dita. Rossa. Il colore della sua vita. «È solo una sensazione.» Il respiro le si bloccò quando percepì un movimento sul piano astrale provenire da Gimmi. Nello stesso istante la porta si aprì.
«Ah, giusto in tempo» disse Eric a bocca piena, appenza comprensibile. «Serve altra birra.»
Sofia si voltò verso il nuovo arrivato. Un raggio di Luce aveva squarciato le tenebre che l'avvolgevano, proprio nell'istante in cui l'ospite aveva varcato la soglia. Riuscì a malapena a sentire il rumore della sedia caduta sul pavimento e di una spada sguainata. La vista annebiata dalle lacrime non le impedì di raggiungerlo e stringerlo, subito ricambiata.
«Era tanto che desideravo vederti, piccola principessa.» Quella voce, calda e tranquilla, aveva sempre avuto un effetto benefico su di lei.
Si staccò, controvoglia, e asciugò il volto. Sentì ancora il rumore di sedie spostate, legno contro legno, ferro nel fodero e borbottii.
«Scusami, devo presentarti ai miei amici» disse prendendolo per mano e facendolo avvicinare. Fu allora che li osservò, la guardavano con occhi sbarrati e Lorcan teneva stretta in pugno la Luce della Dea, arcigno come sempre.
«Lui si chiama Ohriel.» E sperava bastasse, ma in cuor suo sapeva che avrebbe dovuto dare molte spiegazioni.
«Ed è un tuo amico?» chiese Lorcan. La Luce della Dea era rivolta verso il basso.
«Sì, ma non è un demone.» Si voltò verso Ohriel. «Sanno abbastanza di me da potergli dire chi sei.»
Lui annuì. «Di' ciò che ritieni giusto.»
«Fatico a immaginare chi possa essere» disse Astoria, seduta con i gomiti puntellati sul tavolo e il mento poggiato sulle dita incrociate, un sorriso sbieco sul volto. «I suoi amici sono sempre strani; a volte affascinanti, altre disgustosi, ma sempre pericolosi. Tu di che genere sei?»
Sofia stava per rispondere, il moto di stizza provato la costrinse a compiere i passi che le separavano più velocemente del necessario, ma la voce dell'amico la fermò.
«Sono Ohriel, Figlio della Luce, signori.» Si portò il braccio al petto e accennò un inchino. «Non è mia intenzione provocare scompiglio nella vostra compagnia. È mio desiderio salutare una vecchia amica che non vedo da molto tempo e sincerarmi della sua salute. Tutto qui.»
Sentire Ohriel pronunciare quelle parole riportò Sofia indietro nel tempo, provocandole una sensazione di vuoto nello stomaco.
«Be'» disse Astoria con un cenno della mano. «Credo abbiate molte cose da dirvi. Metterò da parte qualcosa per te, Sofia, così potrai mangiarlo quando avrete finito.»
«Sì, grazie.»
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