42 - Capitolo 23
Dragalia, catena montuosa nord, duecento anni prima
Selene serrò le mascelle e sentì scricchiolare i granelli di sabbia tra i denti, mentre la lingua era avvolta da una sostanza vischiosa e dal sapore di ferro. Sputò un grumo misto a sangue e si asciugò con il dorso della mano. La lotta era appena terminata e già sentiva le forze abbandonarla; aveva dato fondo a ogni singolo frammento di energia pur di terminare ciò che aveva iniziato e ne stava pagando le conseguenze. Chi invece non trovava un attimo di pace era la bestia nera che portava dentro: si contorceva, premeva contro le pareti che la imprigionavano per invadere la sua coscienza e ci aveva tentato durante tutto il combattimento; a stento Selene era riuscita a tenerla a bada, soprattutto quando aveva attinto ai suoi poteri, senza quell'energia non avrebbe mai vinto.
Alzò un ginocchio e ci poggiò sopra la mano, per aiutarsi nello slancio e alzarsi. Ci riuscì, ma avvertì un senso di vertigine quando provò a sollevare il capo. Strinse i pugni e osservò la parete di ghiaccio che si trovava davanti. Era bellissima: uniforme e cangiante sotto il sole che raggiungeva appena il fondo della gola nella quale si trovava.
Un sibilo, di tanto in tanto più intenso, rompeva il silenzio dove fino a pochi attimi prima si erano udite urla, preghiere e accuse. Era il segno che non sarebbe riuscita a restare in piedi ancora per molto tempo e di certo non sarebbe riuscita a lasciare quel luogo da sola. Lo scontro appena concluso non doveva essere passato inosservato; l'eco magica sarebbe stata presente ancora per moltissimo tempo e avrebbe raggiunto luoghi lontani da quelle montagne. Restava da scoprire chi sarebbe arrivato prima, per soccorrerla o per condannarla. Chiunque sarebbe arrivato, però, l'avrebbe portata via e lei non poteva permettersi di lasciare quel luogo senza prima salutarlo.
Affondò le unghie nei palmi e mosse un passo ma dovette aprire braccia e mani, per non perdere l'equilibrio, e si morse il labbro per non lasciarsi sopraffare dalla nausea, mentre l'oscuro compagno continuava a contorcersi nei recessi della propria coscienza. Dannazione! Sta' buono adesso!
Erano pochi i passi che la separavano dal ghiaccio. Era talmente vicina da avvertirne il freddo. Lo scricchiolio della ghiaia sotto gli stivali era l'unica certezza che stesse davvero camminando; un passo incerto alla volta, due passi, tre, fino a quando tese le braccia e si appoggiò alla parete.
Il gelo si diffuse dalle mani alle braccia e poi al resto del corpo quando vi si adagiò contro, come distesa, con la fronte premuta sul ghiaccio.
«Bugiardo» sussurrò. Strinse i pugni e li batté sul ghiaccio. «Bugiardo. Bugiardo» ripeté alzando il tono. Inspirò. «Bugiardo!» urlò, lasciando che l'eco risuonasse portandosi via altre briciole di se stessa.
Le lacrime cominciarono a riempirle gli occhi e scivolare lungo le guance; erano calde, come gli abbracci di cui sentiva il bisogno e che non sarebbero più arrivati.
«Bugiardo.» Non riusciva a dire altro. Desiderava solo che lui non avesse intrapreso quella strada.
Osservò le nuvolette d'aria condensata che le uscivano dalle labbra a ogni respiro mentre la guancia a contatto con il ghiaccio perdeva sensibilità, senza che ciò la infastidisse. Quando avvertì una sensazione di calore al viso, però, si scostò e vide una macchia scura allargarsi sulla parete prendere la forma di una mano.
«Balder.» Un altro sbuffo di vapore le uscì dalle labbra quando sussurrò il suo nome. Alzò la mano e la fece aderire, palmo contro palmo, all'ombra apparsa, portando l'altra alla bocca per soffocare un singhiozzo. Quel tocco era caldo, ma non accogliente, era intriso di rabbia e frustrazione.
Un guizzo dell'oscuro compagno la mise in allerta; qualcuno stava giungendo attraverso il piano astrale, agitando e increspando gli strati di cui era composto. Ci mise poco a identificare la traccia magica in avvicinamento, Elkhiffa non stava facendo nulla per nasconderlo.
Selene non si voltò. Rimase a fissare l'ombra dentro la parete; pieghò le dita come a intrecciarle con quelle di Balder, se solo non ci fosse stato ghiaccio a separarli.
Elkhiffa squarciò il velo che separava le dimensioni usando un incantesimo che investì Selene con un lampo azzurro, schiacciandola contro la parete e forzando tutta l'aria che aveva a uscire dai polmoni, impedendole di urlare per il dolore alla schiena.
Quando la pressione dell'incantesimo terminò, Selene scivolò in ginocchio e poi cadde su un fianco. Aveva la bocca impastata di sangue e la mente annebbiata. Rotolò sulla pancia e riuscì a piantare un gomito a terra sollevando il viso e le spalle.
Era proprio lei: Elkhiffa, luogotenente delle Armate della Luce, in tutto il suo candido splendore. Dopo tanti scontri, tanti inseguimenti, ce l'aveva fatta: aveva nelle sue mani la figlia dell'Oscuro. Senza neanche dire una parola, ma con un mezzo sorriso sulle labbra, Elkhiffa unì le mani davanti a sé e richiamò altra energia per colpire Selene, che affondò le dita nel terreno e strinse i denti, pronta a subire un nuovo colpo. Fa' che sia l'ultimo, mi raccomando. Se avesse fatto bene il proprio lavoro, Selene non sarebbe stata costretta a subire le ire di Daran per aver rinchiuso Balder nel ghiaccio, lontano dalle sue grinfie e dai suoi piani, perdendo in un colpo solo anche la figlia del suo signore. A Selene scappò una risata che le provocò altre fitte alla schiena e un fiotto di sangue le uscì dalle labbra bagnando il terreno davanti a lei. Avrebbe davvero voluto vedere il volto di Daran quando avrebbe scoperto l'inutilità dei suoi sforzi. E la bestia nera continuava a contorcersi, avrebbe ringhiato e digrignato i denti, se solo avesse avuto un corpo per farlo.
Una luce bianca si formò davanti a Elkhiffa, aveva l'aspetto di un richiamo più che una condanna e Selene chiuse gli occhi: qualunque dolore sarebbe stato solo di passaggio verso la quiete alla quale anelava da tempo. Mamma. Chissà se ci sarebbe stato un modo per entrare in contatto con lei, nel luogo in cui stava andando.
Attese, Selene. Attese il dolore e la pace. Ciò che giunse, invece, fu una traccia magica dalle tonalità rosse che si mescolò a quella bianca generata da Elkhiffa e allora aprì gli occhi.
Vide un muro di luce cremisi divenire sempre più scuro fino a volgersi al nero e poi un urlo si mescolò al fragore dell'energia che sferzava l'aria, mettendo fine a tutto.
Selene chiuse e riaprì le palpebre. La vista era offuscata e stava per perdere i sensi.
«Tu! Lurido figlio delle tenebre!»
Era la voce di Elkhiffa. Quindi, chi aveva contrastato il suo attacco...
«Andiamo, ti è andata bene. Non lamentarti e vattene. Non ho tempo da perdere.»
Raziel. Era stato lui. Quindi per Selene non c'era via di scampo. Chiuse gli occhi e lasciò che l'oscurità la avvolgesse.
Quando li riaprì, il dolore alla schiena era diventato un lieve fastidio, ma la stanchezza e l'intorpidimento erano rimasti, così come la sensazione di pensare con lentezza. L'incantesimo di Elkhiffa aveva fatto molti danni.
Richiuse gli occhi, sperava che in qualche modo sarebbe tornata incosciente.
«Lo so che sei sveglia e sarai viva ancora per un po', nonostante le tue assurde decisioni» disse Raziel. Era seduto di fianco a lei, sul letto, a giudicare da ciò che percepiva.
Selene riaprì gli occhi. Sì, quello era il soffitto della sua camera alla Fortezza. Spostò lo sguardo sul demone. Aveva la stessa espressione indecifrabile di sempre, ma doveva essere contrariato per quanto accaduto visto che per poco lei non era morta.
«Non avresti dovuto salvarmi.» La voce di Selene era roca e la gola le faceva male.
«Sarei dovuto arrivare prima di Elkhiffa, ma lei era più vicina.» Rimase in silenzio a osservarla, come faceva i primi tempi in cui sua madre era uscita di scena. Evidentemente il comportamento che aveva avuto al Corno Rosso era stato imprevedibile anche per lui.
Rosso. Questo dannato colore mi perseguita.
Raziel si alzò, fece un passo per avvicinarsi e le porse la mano. «Andiamo, alzati.»
Selene cercò di muoversi da sola, ma dovette aggrapparsi alla mano del demone. «Non ce la faccio.»
«Non è vero» la rimbeccò Raziel. «So benissimo che ce la fai perché ti ho curata io. Il senso di spossatezza e annebbiamento mentale dovrà passare da sé, ma non compromette la tua capacità di muoverti e camminare.»
Selene abbassò lo sguardo sui propri piedi. Indossava ancora i vestiti dello scontro. Strinse di più la mano di Raziel. «Non ce la faccio.» Le tremò la voce nel tentativo di soffocare le lacrime. Non era solo la paura di affrontare Daran, perché da lui l'avrebbe portata e lo sapeva, ma era anche la responsabilità di ciò che aveva fatto. Per molto tempo non aveva rivolto la parola a Raziel per aver costretto sua madre in una condizione sospesa, di non vita. Gli aveva fatto promettere che non avrebbe più inflitto una punizione del genere a persone a lei care, sempre che ciò non fosse entrato in conflitto con un ordine diretto dei Superiori. Eppure lei, proprio lei, aveva costretto Balder, il suo più caro amico, il fratello che aveva sempre desiderato e mai avuto, alla stessa sorte. Solo in quel momento Selene sentì le sue sicurezze vacillare e avvertì il peso sul cuore che doveva aver provato sua madre nel prendere le decisioni che l'avevano portata alla conclusione del suo cammino.
Annuì e si alzò, aiutata da Raziel. Il demone la tenne per mano durante il percorso che la stava conducendo dal suo aguzzino. Selene non era mai riuscita a orientarsi in quei corridoi, sapeva solo che c'era sempre bisogno di una guida perché il percorso non era mai lo stesso. La meta, invece, non cambiava quasi mai. Quella porta nera, tremenda e bellissima allo stesso tempo, era sempre la stessa: traslucida e in alcuni punti luminosa, nonostante le raffigurazioni presenti sulla sua superficie e sotto di essa a volte cambiassero, anche solo per piccoli particolari. Una volta Raziel le aveva spiegato che era costituita da un materiale 'semivivo', non senziente, ma che riusciva a modificarsi a seconda di alcuni parametri ancora poco chiari.
Il demone non ebbe la necessità di spingerla; bastò fermarsi davanti al battente e si aprì, senza neanche un cigolio, ma per Selene quel silenzio era il più orribile dei suoni, presagio di quanto stava per accadere. Degluitì e seguì Raziel, stringendogli ancora la mano.
La stanza, invece, non cambiava mai. Non se ne intravedevano i confini. Era un pavimento sospeso nel vuoto e il cammino veniva seguito da una luce opalescente, oppure era la luce a seguire i passi di chi vi entrava e questo Selene non era mai riuscita a comprenderlo.
E poi lo vide. Lui. Daran.
Il suo aspetto le metteva i brividi ogni volta che lo incontrava perché cambiava con il mutare del tono che avrebbe preso la conversazione. In quel momento era intento a parlare con un demone dall'aspetto di una grossa lucertola rossa e arancione che si ergeva sulle zampe posteriori ed era persino più alta di lui di tutta la testa e il petto; Selene immaginò che gli staccasse la testa con un morso.
Daran, invece, aveva l'aspetto che usava più spesso, quello di un ragazzino esile, vestito con una tunica lunga e bianca, sulle cui spalle poggiavano dei bellissimi riccioli argentati. Da dove si trovava non li vedeva, ma sapeva che gli occhi erano color del ghiaccio e, con quell'aspetto, il viso aveva un atteggiamento benevolo e sorridente.
Un brivido le percorse la schiena e non riuscì a deglutire, mentre il senso di nausea stava aumentando.
Il demone lucertola chinò il capo, con la lingua biforcuta e nera penzoloni, e indietreggiò di due passi prima di sparire.
Il momento era arrivato e Selene fece un passo indietro, incontrando Raziel che si era spostato alle sue spalle e che le mise entrambe le mani sulle spalle, spingendola ad avanzare.
Daran si voltò verso di lei. Sorridevano anche gli occhi, tanto era perfetta la sua maschera. Allargò le braccia e Selene si fermò, sentendo le mani di Raziel stringerle le spalle. Ma questo non bastava e lei si appoggiò del tutto contro di lui, spostando entrambe le mani a stringergli i lembi del mantello. Non andartene, ti prego. Avrebbe voluto nascondersi non dietro ma dentro di lui, al sicuro e lontano da quell'essere.
«Selene.» La voce era leggera e toccava le note più delicate che orecchio umano potesse percepire. «Sono lieto che ti sia rimessa. Gli echi del terribile scontro sono giunti fino a me.» Fece un passo verso di loro e lei si strinse ancora di più contro Raziel, senza riuscire a respirare. «Usare i poteri di Padre Oscuro...» Strinse tra loro le mani esili e fece un altro passo in avanti. «Ma suvvia, racconta cosa è accaduto. Devono essere stati momenti terrificanti.»
Selene stava per vomitare. Qualcosa era passato sotto la pelle del viso di Daran, senza modificarne l'espressione e lasciando i grandi occhi grigi aperti su di lei, le sopracciglia di poco sollevate e le labbra rosa e sottili distese in un sorriso.
Un battito. Solo uno. Selene lo avvertì in gola e poi più nulla. Sentì le unghie affondare nei palmi nonostante stringesse il mantello di Raziel e spinse con la schiena contro di lui; ci sarebbe sprofondata dentro, se fosse stato possibile.
Daran non sganciò lo sguardo dal suo e disse: «Va' pure, Raziel. Kairn desidera parlarti. Ci penserà la nostra Piccola Principessa a ragguagliarmi sull'accaduto.»
Raziel strinse di più le sue spalle, le fece quasi male, e Selene spostò il peso del corpo sui propri piedi, perché quello era il segnale, e vacillò quando rimase sola.
Non attese che Daran ripetesse la richiesta, perché quello era un ordine, e raccontò tutto quanto accaduto durante lo scontro con Balder, con la voce vergognosamente querula, interrompendosi di tanto in tanto quando il nodo alla gola diveniva troppo doloroso.
«Sei stata molto coraggiosa» disse Daran alla fine del racconto. «Coraggiosa e insensatamente ingenua, ai limiti dell'incoscienza.» Scosse la testa e le si avvicinò. Con quell'aspetto era alto quanto lei; avrebbe potuto schiaffeggiarlo, aggredirlo. Intanto l'oscuro compagno dentro di lei era docile come un gattino; non era mai agitato in presenza dei Tre. Mai. Tranne quella volta, quando lei davvero lo aggredì.
Una forza invisibile la costrinse a sollevare lo sguardo. Era stato lui, senza toccarla, a farlo.
«C'è dell'estetica in ciò che hai fatto» sussurrò il superiore chiudendo gli occhi sorridente e muovendo le dita intorno al viso di Selene, che indietreggiò di un passo, rabbrividendo al pensiero dell'unica volta che Daran l'aveva sfiorata. «Ciò che accade a chi ti circonda, per mano tua, è di una bellezza sublime.» Inspirò a occhi chiusi e Selene indietreggiò e rabbrividì; di nuovo il viso di Daran era stato percorso da qualcosa sotto la pelle, ma questa volta aveva deformato la sua delicata perfezione e la linea morbida delle labbra si era arricciata in modo innaturale.
Un altro passo indietro di Selene e un passo avanti di Daran, che riaprì le palpebre. «Padre Oscuro» sussurrò e gli occhi divennero completamente rossi e più rotondi, troppo grandi per quel viso. «Padre Oscuro.» La voce era più roca e profonda e Selene indietreggiò ancora, inciampando e cadendo sul sedere. Il pavimento era caldo e liscio sotto le mani, ma riusciva a far presa e a strisciare per allontanarsi, senza dare le spalle al superiore che le stava davanti.
«Oh, Padre Oscuro! Quanto amo la mia Piccola Principessa.» Era tornato come prima e aveva portato le mani congiunte al petto. Inclinò di poco la testa e Selene sentì una morsa gelida stringerle gola e cuore, sempre più forte, fino a impedirle di respirare. Il dolore dal petto si estese alle spalle, braccia, pancia, gambe. Perse la presa delle mani e sentì la nuca battere al suolo, ma quel dolore era nulla in confronto a quanto provava in quel momento.
Non riusciva a urlare per la mancanza d'aria e si ranicchiò nella speranza vana di mitigare quel dolore insopportabile. Ogni pezzo del suo corpo sembrava sul punto di staccarsi e più tentava di raggomitolarsi, più il dolore aumentava. Poi riuscì di nuovo a respirare e cominciò a urlare, fino a quando fu scaraventata lontano e urtò contro un ostacolo duro che le fece uscire quel poco d'aria che aveva. Forse perse conoscenza, o forse no. Era tutto buio in quel luogo. Non sentiva freddo, né caldo, né dolore. Fu rimessa in piedi dalle stesse forze che l'avevano torturata e che la costrinsero a guardare verso Daran, a pochi passi da lei. Il viso non era deformato, era il ragazzino candido e sorridente di prima.
«Sei così saggio, Padre Oscuro» sussurrò Daran avvicinandosi. Selene tentò di divincolarsi, ma non poteva muovere nulla, neanche le dita, neanche voltare la testa o spostare lo sguardo. Era una statua nelle mani di Daran.
«Hai donato ai Figli una creatura tanto amabile quanto...» Era ormai davanti a lei. Il superiore alzò una mano e si fermò vicino alla guancia di Selene, senza toccarla.
Avrebbe tremato fino alla punta dei capelli, se le fosse stato possibile. Avrebbe vomitato se solo avesse potuto. Era tanto vicino che le punte dei loro nasi stavano quasi per toccarsi e ne avvertiva il respiro sulla pelle.
«Mio Signore, Daran.» A quel richiamo, il superiore si spostò e guardò oltre, alle spalle di Selene. La voce era di Raziel. «Kairn crede che potrei esserti utile in qualche modo.»
Il superiore sorrise ancora. «Sì, certo. Kairn ha ragione. Occupati di lei.» Agitò una mano e si voltò.
Selene avvertì di nuovo il dolore di prima e perse i sensi.
Riaprì gli occhi in camera sua. Per il momento, dunque, era finita ma Daran non avrebbe lasciato cadere l'affronto subìto.
Era stanca. Stanca di quella vita e di tutto quello che comportava. Comiciò a prendere in considerazione quanto una volta Modh le aveva proposto e lei non aveva accettato, non alle condizioni poste dal superiore.
Indagò con lo sguardo l'interno della camera e trovò Raziel in piedi davanti alla finestra. Guardava all'esterno e aveva le mani intrecciate dietro la schiena, illuminato dalla perenne luce opalescente di quella dimensione.
Selene sentì un lieve fremito del suo oscuro compagno. Tutta la rabbia e l'agressività che erano state soffocate dal terrore stavano tornando a galla.
Non era colpa di Raziel se lei aveva deciso di contrariare Daran rinchiudendo Balder dove nessuno, neanche uno dei Superiori, avrebbe potuto tirarlo fuori. Nessuno, tranne lei.
Ancora una volta, non era colpa di Raziel se Daran l'aveva eletta come suo giocattolo preferito. Nessuno, se non un altro Superiore, poteva contrastarne il volere.
Ma Raziel, lui era l'unico che si trovava con lei in quel momento e in tutti gli altri momenti simili. Questa era la sua colpa.
«Vattene» disse Selene mettendosi seduta e abbracciando le ginocchia, dove poggió la fronte.
Rimase in ascolto, ma non udì passi o altri rumori.
«Vattene. È un ordine.»
Silenzio.
«Ne sei sicura?»
Selene alzò la fronte. Raziel si era voltato, ma restava nella stessa posizione.
Strinse le ginocchia. La bestia nera che portava dentro comincò ad agitarsi nelle tenebre. «Non discutere gli ordini proprio con me.» Sentì la voce tremare, ciò rese meno incisiva e più infantile l'accusa che voleva muovere. «Tu esegui sempre gli ordini, no? Sei bravissimo a farlo, vero? Vattene.» Ancora, la voce tremò e salì di tono, mentre la gola le si stringeva.
Raziel restò fermo a osservarla per uno, due, tre battiti di cuore. «Come desideri» disse e s'incamminò verso la porta.
Selene lo seguì con lo sguardo, ma non riuscì a portare a termine il suo proposito e si lanciò verso di lui, bloccandolo proprio davanti alla porta e abbracciandolo. Affondò il viso dietro la sua schiena e lo strinse, trattenendo il respiro e mordendosi le labbra.
Restarono in quella posizione, finché Selene non lo costrinse a voltarsi, spingendolo contro la porta. «Perché mi fai questo?» urlò colpendolo con entrambi i pugni. «Perché?»
«Perché sei tu» rispose Raziel. «E non posso fare altrimenti» sussurrò.
Selene spalancò la bocca. Voleva urlargli in faccia qualcosa, qualunque cosa, per zittirlo, offenderlo, farlo sentire in colpa. Doveva trovare il modo di farlo sentire anche solo lontanamente arrabbiato e confuso quanto lei.
Si aggrappò alla sua casacca nera e si alzò sulle punte dandogli un bacio. Le labbra di Raziel erano salate. No. Non era lui. Era lei.
Muro del pianto
Lo so che questo capitolo vi è piaciuto, perché è piaciuto anche alla me lettrice che fangirla come una matta.
In realtà il capitolo dovrebbe risultare tragico tra le montagne, disturbante alla presenza di Daran e delirante alla fine. Spero di non essermi lasciata trascinare troppo dalla fangirl che è in me XD.
Dal prossimo capitolo si torna al presente e Selene torna a essere Sofia.
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