36 - Capitolo 19.1

Aggrappati a ogni tuo ricordo,

perché sarà solo grazie a loro

se ritroverai la strada.

(Sorelai Fenir)


Rosso.

Cos'è rosso?

Rosso era il colore dei suoi occhi. Rosso era il colore del sangue; presente in ogni momento della sua vita, versato con consapevolezza o rubato a ignare vittime colpevoli solo di essersi trovate sul suo cammino.

Cos'è nero?

Nero era il colore di cui era fatto il suo oscuro compagno. Nera era la notte nella quale si muoveva. Nera era stata quella notte di tanto tempo fa e neri tutti i giorni che le erano seguiti.

Nero.

Aprì gli occhi su un mondo colorato. Non erano colori brillanti o vividi, no. Ma rappresentavano tutto ciò che lei non era. Marrone: il legno del soffitto, sporco e ammuffito in alcuni punti. Grigio: le pareti che la circondavano, macchiate di polvere, muffa e forse qualcos'altro. Colori innocenti, che non avevano commesso alcun crimine.

Strinse le palpebre e inspirò. Chi l'aveva adagiata in quel letto aveva lasciato la finestra aperta, permettendo ai suoni della strada e alle voci di chi ci camminava di raggiungerla. E le aveva anche lasciato il proprio sapore sulle labbra. Se le sfiorò con le dita. Ormai aveva perso quel poco vantaggio che aveva su di lui; rimuovere il sigillo e aiutarla a metter ordine nei propri ricordi, quelle azioni gli avevano permesso di osservare ogni cosa lei aveva vissuto fino a quel momento. Non che lo tenesse all'oscuro di chissà quali segreti, ma la risposta alla domanda che le aveva fatto prima di fuggire via, duecento anni prima, avrebbe voluto tenerla per sé, almeno fino a quando lei stessa non avesse scoperto il reale motivo che l'aveva spinta a compiere quel gesto.

Sorrise. Esisteva una persona che sarebbe riuscita a leggere e interpretare ciò che aveva fatto. Ma quella persona non c'era: non c'era stata prima, non c'era in quel momento e chissà se ci sarebbe stata più. Sorelai era stata la sua amica, confidente e scoglio al quale aggrapparsi durante le tempeste che si abbattevano sulla sua vita. E non le aveva neanche detto "Addio".

«Te ne vai?» le aveva chiesto Sorelai. Gli angoli di quegli occhi dorati erano più stretti del solito e le ciglia, d'oro anch'esse, erano arcuate. «Dimmelo che te ne vuoi andare, perché non ci credo. Non dopo tutto quello che ci siamo dette.» I tatuaggi scuri che aveva sulle guance fremettero. «Mi avevi giurato che non saresti più scappata, che non ti saresti più nascosta. E invece?» Fece un passo avanti, stringendo i pugni, e i due draghi tatuati lungo le braccia dell'amica avvolsero le spire sulla pelle d'oro, fino alle spalle, e il muso di uno di loro arrivò a sfiorare il collo.

«Io...» Cosa poteva dire a Sorelai per scusarsi, per convincerla che il motivo non era lei, non era ciò che c'era stato. Eppure avrebbe dovuto saperlo, Sorelai, che quella era l'unica via per poter avere salva la vita. «Tu non capisci e...»

«Io, cosa?» urlò l'amica facendo un passo avanti. «Io? Non capisco? Io?» continuò a urlare prendendosi a pugni il petto. «Ti ho accolta. Ti ho aiutata. Ti ho resa parte della mia vita. E ora vuoi mollare tutto?» Uno dei draghi raggiunse il collo e la pelle cominciò a sollevarsi, prendendo la forma delle narici verdi; presto si sarebbe sollevato tutto il corpo.

«Sorelai, forse dovresti fermarti un momento. Possiamo parlarne, ma non cambierò idea.»

«Sì, hai ragione.» L'amica raddrizzò le spalle e si passò le mani sulle braccia. I due draghi smisero di agitarsi riprendendo la solita posizione: avvolti intorno agli avambracci della padrona.

Due tocchi leggeri riportarono Sofia alla realtà. Qualcuno aveva bussato alla porta e lei si mise a sedere, senza dire nulla.

Ancora, due tocchi.

Non era pronta. Non subito. Era ancora confusa, sospesa tra presente e passato.

Trattenne il respiro, puntando gli occhi sulla porta e stringendo la coperta con entrambe le mani.

Per un tempo indefinito non accadde nulla. Il visitatore non poteva essere che Astoria, forse Clivia, in fondo la camera era quella che avevano condiviso fino a poco prima. Con una rapida occhiata poté scorgere le loro cose ancora in ordine nei posti in cui ricordava di averle viste la sera prima della rimozione del sigillo. Dunque non ci aveva messo molto a riprendersi, al massimo una giornata.

Incrociò le gambe, restando seduta sul letto, e poggiò le mani sulle ginocchia. Chiuse gli occhi e respirò tre volte, con lentezza. Riportò alla mente quanto vissuto con quel gruppo di nuovi amici. Si erano fatti carico di una perfetta sconosciuta, piombata tra loro in modo non certo rassicurante. Eppure non avevano avuto dubbi sulla strada da seguire. Persino Lorcan, membro dell'Ordine Radioso, aveva messo da parte il suo odio per ciò che lei rappresentava. Ma avrebbero fatto lo stesso se avessero saputo la verità?

Riportò i piedi a terra e vide la propria cappa rossa poggiata sull'altro letto. Dinanzi all'ironia della scelta del colore Sofia sentì gli angoli delle labbra incurvarsi verso l'alto, ma quel sorriso aveva un sapore troppo amaro da mandare giù. E lo stomaco le brontolò; aveva bisogno di mangiare per recuperare del tutto le forze.

Si alzò e sistemò il mantello rosso sulle spalle, allacciandolo sotto al mento, sospirando. Per quanto avrebbe voluto rimandare il momento delle spiegazioni e del confronto, non poteva farlo all'infinito: loro meritavano risposte e meritavano rispetto. Di certo le domande sarebbero state tante e la maggior parte delle risposte le avrebbe date a occhi bassi, probabilmente.

Mosse i propri passi verso la porta e stese la mano per stringere la maniglia, ma le si gelò il sangue nell'udire altri due colpi contro il legno.

Rimase ferma.

«So che sei lì.» Era la voce di Astoria, le arrivò attutita dallo spessore del legno che le separava. «E vuoi sapere come lo so?»

A Sofia si bloccò il respiro. Sapeva che avrebbe dovuto parlarci, si era convinta che non sarebbe stata una tragedia, ma così...

«Perché il tuo caro amichetto» continuò la principessa con tono sarcastico, «mi ha assicurato di averti lasciata in questa stanza. Lo conosci meglio di me e sai che non parla giusto per dare aria alla bocca. Dico bene?»

Era lì fuori, Astoria, distante da lei due, forse tre passi con solo una sottile porta di legno a separarle. Sofia vide la propria mano ancora tesa verso la maniglia: tremava.

«Ascolta» riprese la principessa. «Raziel ci ha raccontato molte cose. Non tutto, ne sono certa, ma l'essenziale credo lo abbia detto. Quindi, per il momento, non ci saranno domande imbarazzanti o dalla risposta complicata.»

Silenzio. Avvertiva solo il battito del cuore. La mano tremava ancora, ma riuscì ad appoggiarla sulla porta, come se avesse Astoria davanti, come se potesse sfiorarla e rendere dette tutte le parole che avrebbe voluto dirle. Ascoltami.

«Sofia.» La voce della principessa, implorante, le arrivò meno attutita di prima; doveva essersi avvicinata di più alla porta e forse la stava toccando.

Sofia fece l'ultimo passo e poggiò anche l'altra mano, poi il viso e tutto il corpo sulla porta. Astoria. Strinse i pugni contro il legno, strinse gli occhi e una lacrima le scese lungo la guancia. Non riusciva a parlare.

«Noi ci siamo, tutti» disse la principessa. «Tutti» ripeté.

Erano lì fuori. Per lei.

«Be', sì, insomma. Manca Raziel, ma lui aveva da fare. Lo sai com'è fatto.» Era vicinissima, perché a Sofia sembrava che le stesse parlando all'orecchio. Se non ci fosse stata la porta, avrebbe potuto abbracciarla.

«Noi scendiamo giù, a mangiare qualcosa.» La voce si era allontanata, ma era ancora lì fuori. «E, se non farai in fretta, non troverai niente. Eric è affamato e...» Fece una pausa. «E Lorcan non ti dirà nulla. Fidati.»

Poteva quasi vederli: Lorcan accigliato e a braccia conserte, che scuoteva la testa, e Clivia che lo teneva sotto controllo con lo sguardo blu e affilato.

Astoria non disse altro e Sofia sentì delle parole confuse, seguite dai passi che segnavano il definitivo allontanamento degli amici che la stavano aspettando.

Si lasciò scivolare a terra, non badando al dolore provocato dall'impatto delle ginocchia con il pavimento.

Era stata più dura di quanto si fosse aspettata. O forse il problema era stato trovare l'amica, all'improvviso, fuori alla stanza. Di certo doveva riuscire a tranquillizzarsi, perché in quello stato non sarebbe riuscita a dire molto.

"Raziel ci ha raccontato molte cose" aveva detto Astoria. Lui era sempre stato restio a diffondere certe notizie, e non aveva torto. In quel caso, però, forse le aveva risparmiato un interrogatorio a vista e non poteva non ringraziarlo, per quella e per un mucchio di altre cose, quando lo avrebbe visto. Perché sarebbe tornato. I Tre, ridotti solo a due ormai, attendevano la notizia del suo ritrovamento da duecento anni; non difettavano di pazienza, era vero, ma sapeva che la stavano aspettando, uno di loro in particolare, quello che lei non avrebbe mai voluto incontrare.

Un brivido la scosse e sentì accapponarsi la pelle. Poggiò la fronte alla porta. Daran era quanto di più orribile e crudele avesse mai incontrato e sperava con tutto il cuore che la Dea davvero potesse ascoltare le sue preghiere, anche se recitate da una persona come lei, ma probabilmente Raziel sarebbe tornato con l'ordine di riportarla da lui e nessuna Luce avrebbe potuto aiutarla.

Si sedette, poggiando la schiena contro la porta e portandosi le ginocchia al petto, stringendosi in un abbraccio che avrebbe voluto provenisse da sua madre.

«Mamma» sussurrò e un dolore acuto le attanagliò il petto. Dovette sforzarsi di inghiottire saliva e dolore.

Era vero. Era tutto dannatamente vero. Non avrebbe voluto in dietro la sua memoria. Astoria avrebbe dovuto lasciarla nell'ignoranza e forse, Sofia, avrebbe potuto realizzare il suo sogno di una vita normale e anonima.

Con quel tipo tra i piedi? Non riuscirai mai a lasciarti il passato alle spalle. Quelle parole appartenevano a Sorelai e si riferivano a Raziel. Lui era il legame più forte che aveva con i demoni e anche il più difficile da spezzare.

Di' pure impossibile. Con Sorelai ebbe proprio una discussione a riguardo. Ma non è davvero impossibile da spezzare, sempre che tu lo voglia.

Aveva ragione. Sempre. Quasi sempre, visto che non credeva possibile che un giorno lei, proprio lei, sarebbe riuscita a sparire.

Rialzò lo sguardo e si asciugò gli occhi con le mani. I suoi amici meritavano che lei scendesse e si riunisse a loro. Tirò su col naso e si mise in piedi, fronteggiando la porta. Sì, ci sarebbe riuscita.

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