34 - Capitolo 18.1
[..] e allora vedrete
che la Luce illuminerà la Via
e sarà più sicuro percorrerla.
(dal Primo Libro Radioso)
Lorcan aprì gli occhi. La notte era trascorsa agitata, piena di incubi oscuri e presagi nefasti. Nonostante nutrisse dubbi sull'operato di alcuni confratelli, restava devoto alla Luce, anche se era certo che fin troppo spesso la Dea si voltasse a guardare dall'altro lato, disinteressandosi delle vicissitudini dei piccoli e infimi mortali. E il suo umore sarebbe stato migliore, se Clivia non gli avesse controllato il boccale per tutta la serata. Un po' di sana birra in compagnia di Eric gli avrebbe conciliato un sonno più tranquillo. O forse no. Magari sarebbe crollato sul tavolo o di fuori mentre era intento a pisciare sull'erba. In ogni caso sarebbe stato un pessimo spettacolo.
Si mise seduto sul letto, con le gambe di fuori e roteò la testa, lasciando schioccare le ossa del collo. Tempo bastardo e inverecondo, che ostentava il suo trascorrere mostrando a ognuno le proprie debolezze, senza alcun pudore. Anche il ginocchio produsse lo stesso rumore, quando si alzò e faticò a distendere i muscoli delle gambe.
Si diresse a tentoni verso dove ricordava dovesse essere la finestra, con i palmi toccò il legno piatto degli scuri e trovò la maniglia per aprirli, lasciando che il primo sole mattutino inondasse la camera e respirando l'aria fresca che cominciò a sostituire quella pesante della notte appena trascorsa.
Che a Feria i viandanti non dormissero mai era più che evidente, in modo particolare quella mattina. C'erano già diverse persone in cammino verso il porto; chi poteva permettersi un passaggio a sud non se lo lasciava sfuggire. Da quanto aveva udito nella sala comune, la sera precedente, si era diffusa l'idea che i cimiteri e le sepolture nel nord non erano più luoghi tranquilli e silenziosi.
Udì Eric, che si trovava ancora a letto, sbadigliare senza alcun ritegno, ma non si voltò e restò a guardare le persone affrettarsi in strada.
«Olà. Dovevi proprio aprirla tutta la finestra?» chiese il guerriero.
«Puzzi, amico mio» rispose e poggiò le mani sul bordo della finestra. «Puzziamo entrambi e l'aria della stanza è fetida.»
«Nessuno avrebbe un buon odore, dopo quello che abbiamo passato» disse Eric tirando su col naso. «Già, bagnarsi nel mare non ha fatto molto effetto.»
Lorcan scosse la testa. Si voltò e le assi di legno scricchiolarono sotto i piedi nudi. «Tra qualche giorno saremo a Castelnovo. Magari Astoria ci offrirà un bagno caldo. Fino ad allora stammi abbastanza lontano.» Vide troppo tardi l'amico piombargli addosso, abbracciandolo e ridendo. Gli diede una gomitata, per cercare di allontanarlo, ma ci riuscì solo quando Eric decise di mollarlo.
«Stai perdendo colpi, vecchio mio. Un tempo ti saresti liberato prima.»
«Vai a farti fottere.» Agitò una mano e tornò a sedersi sul letto. Era vero, però. Non era più agile come una volta e gli anni cominciavano a farsi sentire. Infilò uno stivale e restò a fissarlo. «Tu cosa ne pensi?»
Eric ci mise un po' a rispondere. «Sono vecchie calzature. Dovresti cambiarle.»
«A volte mi chiedo se sei davvero tanto idiota.» Si infilò anche l'altro e pestò il piede per calzarlo meglio. «Tutta questa faccenda di sigilli e demoni. Non mi piace. Non mi piace per niente.» Scosse la testa e tornò a guardare fuori.
«Credo che Sofia sia una brava ragazza, perché ti preoccupi?»
Lorcan si voltò verso l'amico; con lui il tempo era ancora clemente. «Sarà anche una brava persona, ma il fatto che Raziel le gironzoli intorno e che si conoscessero non depone a suo favore.»
L'amico si grattò la barba incolta e poi la testa. «Perché ce l'hai con lui? Non ti ha fatto niente. Anzi, qualche volta ci ha pure salvato le chiappe. Non dico di ringraziarlo, ma incolpare lui di tutti i mali dell'umanità mi sembra esagerato.»
Era un ragionamento troppo semplicistico. Raziel non era un demone qualunque, era un fatto troppo evidente, ma era anche vero che non lo aveva mai visto fare del male solo per il piacere di farlo, anche se a volte li difendeva in modo troppo violento. «Ci ha aiutati solo perché gli conveniva. E lo sai.»
«Ma lo ha fatto e non puoi...»
«Adesso stai simpatizzando per lui?» Gli puntò un dito contro, ormai in piedi l'uno di fronte all'altro e con una vampata di calore che gli era montata da dentro. Aprì la bocca per continuare, ma bussarono alla porta. «Che c'è?» Gli fremettero le narici e strinse i pugni.
La portà si aprì. Era stata Clivia, aveva ancora la mano poggiata sulla maniglia. «Scendiamo a mangiare qualcosa. Venite con noi?»
Astoria era dietro di lei, con lo sguardo basso e non attese la risposta, ma si diresse subito verso le scale. Mancava Sofia. Non mi piace. Per la Dea, questa cosa non mi piace.
Eric non attese e uscì seguendo la principessa. Rimase Clivia a osservarlo, con la testa inclinata di lato e la mano libera a invitarlo a seguirla.
Sospirò. Discutere con Eric era un conto. Con lei non ci riusciva.
Nella sala comune c'erano più avventori di quanti se ne aspettasse, ma riuscirono a trovare un tavolo non troppo grande. Se fossero stati presenti Sofia e Raziel sarebbero stati stretti, troppo gomito a gomito.
«Dorme ancora?» chiese Eric afferrando un pezzo di pane che uno dei ragazzi della locanda aveva appena portato.
Clivia scosse la testa e Astoria non rispose.
Brutto segno, per la Dea. Se la sono filata insieme, altro che "brava ragazza".
«Non traiamo conclusioni affrettate» disse la mezz'elfa. «È rimasta con noi fino a poco prima dell'alba. Era agitata e nessuno di noi può darle torto.» Lo disse a tutti, ma lo sguardo tagliente e blù dell'amica era piantato su di lui. Eppure aveva fatto di tutto per dissimulare l'espressione contrariata che doveva esserglisi dipinta sul volto.
«Quindi non sappiamo nulla?» chiese il chierico guardando le due amiche e alzando le sopracciglia. «Insomma, sono spariti. E tutto quel parlare di farla restare con noi? Sembrava ci stesse pure chiedendo un favore.»
Eric borbottò qualcosa, attirando l'attenzione. «Sono tornati» disse in modo appena più chiaro, facendo cadere briciole dalla bocca piena e indicando l'arcata dietro la quale c'erano le scale.
Lorcan si voltò e vide Raziel che si dirigeva verso di loro, ma dovette riportare l'attenzione al tavolo, perché Astoria si era alzata in piedi rovesciando la sedia.
La principessa si diresse a passo svelto verso il demone, evitando di cadere sugli altri occupanti della sala, e fermandosi proprio di fronte a lui.
Lorcan deglutì. Non se lo aspettava. Era convinto che non lo avrebbero più rivisto.
«Dov'è?» chiese Astoria. «Dove l'hai nascosta?» Si mosse di lato, cercando di aggirare l'ostacolo costituito dal demone, ma lui fece un passo di lato e la bloccò, prendendola per un braccio e tirandola con sé verso il tavolo.
Non ci credo. Allora è di sopra?
«Buongiorno» disse Raziel sorridente. Fece sedere Astoria, alzandole anche la sedia, e le poggiò entrambe le mani sulle spalle tenendola seduta.
Lo sguardo della principessa avrebbe fatto inacidire anche il latte appena munto, ma non accennò a rialzarsi. «O mi dici che cosa è successo o, giuro sulla Dea, mi rialzo e corro di sopra.»
«Tu provaci» rispose il demone, spostandosi di lato e recuperando una sedia per sé. Si fece spazio proprio tra Astoria, che aveva i pugni serrati poggiati sul tavolo, e Clivia. Si sedette e disse: «Sofia è di sopra e dorme.»
Rimasero tutti in silenzio.
«E?» La principessa aveva il busto del tutto girato verso Raziel, ma ormai ognuno di loro pendeva dalle labbra del demone.
«E niente. Dorme.» Allungò una mano sul braccio di Astoria, che aveva già accennato ad alzarsi. «E vi chiedo di non andare da lei, perché non riuscireste comunque a svegliarla, visto che sto controllando il suo sonno.»
Lorcan avvertì un formicolio alle guance e ringraziò la Dea per la barba che gliele copriva. Quel fottutissimo demone l'aveva riportata da loro.
«Quindi l'hai tolto?» chiese Astoria.
Raziel annuì. «È andato tutto bene, come del resto avevo previsto. Però ha bisogno di un po' di tempo per mettere ordine nei suoi ricordi e riuscire di nuovo a controllarsi.»
«E perché non posso andare a vedere come sta?» La principessa tentò di liberare il polso dalla presa di Raziel, senza ottenere risultati.
«Perché deve riposare e noi, tutti, dobbiamo parlare.»
Al chierico sfuggì una risata. «Questa è davvero bella. Tu che ti offri di raccontarci qualcosa?» Era inverosimile e a memoria sua non era mai accaduto un fatto del genere.
«Sì, Lorcan» disse Raziel rivolgendosi proprio a lui. Conosceva bene quello sguardo nero e obliquo e si sentiva sempre a disagio quando lo incontrava. «Perché vorrei che, in mia assenza, non la sottoponeste a un interrogatorio.»
«Stai per andare via? La lasci con noi?» chiese Astoria e Lorcan si stupì della nota di panico avvertita nella sua voce. «E se Areina e Murtang dovessero tornare?»
Il ricordo dello scontro fuori del tempio gli fece venire la nausea. Avevano rischiato di essere tutti uccisi e non aveva voglia di riprovare le stesse sensazioni.
«No, non torneranno.» Raziel lasciò il polso della principessa e agitò la mano. «Quei due hanno ottenuto ciò che volevano, non vi daranno più fastidio.»
«E come fai a esserne sicuro?» Clivia, che pure aveva rischiato molto durante lo scontro, lo osservava a braccia conserte.
«Perché lo so, ovvio. E anche se dovessi aver valutato male la questione, cosa che accade di rado, Sofia saprà badare a tutti voi.»
Ci sta prendendo per il culo. Di nuovo. Lorcan strinse i pugni e lasciò uscire un soffio d'aria dalle labbra. Non era né il momento, né il luogo di cominciare una rissa con quel tipo.
«La camera di Eric e Lorcan è ancora vostra?» chiese il demone sporgendosi sul tavolo e abbassando il tono della voce.
Tutti si avvicinarono e annuirono.
«Bene, perché le cose che ho da dirvi sarebbe meglio non fossero ascoltate da altre persone.»
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