33 - Capitolo 17.3
Sentì subito la presenza di Raziel nella propria testa, molto più forte e netta rispetto a quando l'incantesimo lo usò Astoria. Inoltre, a differenza dell'esperienza a Castelnovo, ormai Sofia sapeva raggiungere il sigillo senza alcun problema ed era sicura di riuscire a condurvi il demone. Fu proprio quello che cercò di fare, ma Raziel prendeva la direzione che voleva, sfuggendo e a volte forzando lei stessa a seguirlo.
Rividero insieme tutto quanto accaduto a partire da quando erano sulla collina a osservare il cielo notturno, andando a ritroso. Si fermarono al momento in cui aveva perso i sensi sull'altare e aveva sentito quella voce. Avvertì il cuore accelerare i battiti quando si accorse che Raziel non solo riusciva a vedere gli avvenimenti attraverso i suoi occhi, ma percepiva anche gli stati d'animo e i pensieri che, in quei momenti, aveva avuto lei stessa. Cercò di impedirgli di arrivare troppo in fondo, ma sentì un rumore molto forte, come se un ramo si fosse spezzato nella propria testa, e aprì gli occhi.
«Scusa, io...»
«Cosa non ti è chiaro?» chiese il demone, restando nella stessa posizione. «Non devi tentare di bloccarmi. Ti ho dato la possibilità di uscirne senza danni, ma non farlo di nuovo.»
«Eh, no» disse Sofia facendo un passo indietro e liberando il viso dalle mani di Raziel. «Tu non stavi cercando il sigillo. Stavi frugando tra i miei ricordi. Non erano questi i patti.»
Il demone sollevò l'angolo della bocca e affilò lo sguardo. «Non abbiamo stretto alcun patto e ne dovresti essere molto felice» disse facendo un passo verso di lei, ma senza toccarla. «Inoltre, credo tu abbia frainteso il mio atteggiamento. È vero che possiamo considerarci amici, ma prima di tutto devo eseguire degli ordini che prevedono, tra le altre cose, la rimozione del tuo sigillo. Sarei immensamente felice, credimi, di farlo senza provocarti più turbamento e dolore del necessario, ma se continui su questa china ti assicuro che posso farti molto male senza provare neanche l'ombra di un rimorso.»
Rimase fermo, in silenzio, a osservarla. Sofia avrebbe voluto reagire, si trattava della sua mente, ma quello sguardo nero e obliquo era quasi più inquietante delle parole che aveva udito. Che tipo di legame c'era tra lei e quel demone? Amici sì, ma non abbastanza da evitare di farle del male.
Non fidarti. Ancora la voce di sua madre. L'unica lealtà che conoscono è verso il proprio signore. Certo, lo aveva capito, ma come uscire da quella situazione? E poi lo stridere dei gabbiani, in lontananza, arrivò nello stesso istante in cui un altro filamento si staccò dalla massa oscura che si agitava dietro il sigillo. È proprio ciò che sei, amore mio, che gli permetterà di proteggerti. Era seduta su una terrazza, insieme a sua madre, illuminata dalla luce rossa del tramonto. In quella situazione, l'unico fatto di cui era certa era l'amore profondo che la legava alla donna che le aveva dato la vita.
«Allora?» La voce di Raziel fece sparire quel ricordo.
Sofia inspirò e annuì, portandosi le mani al petto; strinse la camicia e chiuse gli occhi.
Non ebbe neanche il tempo di concentrarsi, Raziel entrò con forza nella sua mente, scorrendo in modo veloce gli avvenimenti che già aveva visto e riprendendo a osservare tutto ciò che lei aveva vissuto, arrivando al momento in cui si era risvegliata a Castelnovo e poi osservando l'incubo.
Si fermarono solo in presenza del sigillo. Era esausta e sentiva la testa pulsarle. Del tutto immersa nella propria mente, non provò neanche la tentazione di tornare alla realtà.
«Ciao.» La bambina dagli occhi rossi si era avvicinata.
«Ciao» ricambiò Raziel. «Puoi dirmi qualcosa?»
«Cosa vuoi sapere? Sbrigati, però, perché non c'è più tempo ed è tanto arrabbiato. Non gli è piaciuto restare chiuso lì.»
«Oh, posso immaginarlo. Sai come è successo?»
La bambina annuì e strinse forte il coniglio di pezza, portandoselo al viso. «Gli ha chiesto aiuto» disse e guardò verso Sofia. «Da sola non ci sarebbe mai riuscita.»
Sofia si sentì mancare. Cosa poteva aver mai fatto?
«Grazie, sei stata davvero brava» le disse il demone, ricevendo un bel sorriso dalla bambina. «Ora sarà meglio cominciare.»
Il sigillo era quasi spento, ma un puntino viola e luminoso apparve nella zona periferica in basso, nella metà di destra. Comincò a muoversi, seguendo gli intricati disegni e si fermò davanti alla crepa. Prese a pulsare e a scivolare nell'oscurità del taglio, per poi riaffiorare e ridiscendere. E ogni volta che faceva quei movimenti, Sofia si sentiva un po' più stanca. Ogni pulsazione che avveniva all'interno della zona spezzata si ripercuoteva nella testa, provocandole una fitta dolorosa. Poi il punto luminoso riprendeva il cammino, costituito da volteggi, linee, curve e piccoli anelli, fino a incontrare di nuovo la crepa. Lasciava dietro di sé dei filamenti grigi intrecciati, che via via sparivano. Ogni volta che il punto incontrava la crepa, una parte delle sue forze spariva, lasciandola sempre più debole e Sofia capì il motivo per il quale Raziel aveva atteso; nelle condizioni in cui si trovava sulla spiaggia di Trinacris, non sarebbe riuscita a sopportare la rimozione.
Il mal di testa era sempre più intenso e profondo e le forze erano quasi esaurite, ma alla fine rimase solo il punto viola a tenere a freno l'oscurità che fino a poco tempo prima era rinchiusa nel sigillo. Era tranquilla, l'oscutirà, non c'era nulla che tentasse di sfuggire, era solo in attesa di essere liberata.
«Ecco» disse Raziel. «Ci siamo. Saprai contenerlo, ne sono certo. Sappi, però, che sarò con te fino a quando sarà necessario. Proprio come l'ultima volta.»
Poteva farcela. Sì. La bambina le strinse la mano e il puntino si spense.
Un oceano di sensazioni la colpì in pieno, avvolgendola e togliendole il respiro. Non udiva nulla. Non vedeva nulla. Non percepiva nulla. C'era solo un susseguirsi infinito di stati d'animo.
Respira, non fermarti.
Il silenzio fu rotto da una voce familiare
Respira, puoi farcela.
No. Non riusciva a vedere un appiglio per uscire da quel vortice di sensazioni. Stava annegando in una marea nera e non riusciva a riprender fiato.
Prendi la mia mano e apri gli occhi.
Tentò di stendere le braccia in avanti e riuscì ad afferrare qualcosa. Fu colpita da un'ondata di suoni: risate, urla, canzoni, voci, sussurri, pianti.
Tirati su. Respira.
Strinse una piccola mano tra le proprie.
Guardami. Respira.
Il frastuono era insopportabile e la marea nera ancora l'avvolgeva, tirandola verso il fondo, dove l'attendevano due occhi rossi.
Guardami. Respira. Apri gli occhi.
Riuscì ad aprire gli occhi e la bambina era davanti a lei. La marea le vorticava intorno, ma non la soffocava più. E al posto del sigillo si trovava qualcosa che la stava osservando. Non aveva occhi, non aveva voce, non aveva corpo. Ma era lì per lei. Era lì con lei.
Sofia ormai sapeva e tese la mano. L'oscurità avvolse le dita, risalendo lungo il braccio, intorno al corpo. Dentro e fuori. Era parte di sé, lo era sempre stata.
Tutti i suoi ricordi tornarono. Li vide uno a uno. Li visse uno a uno. Tutti nel medesimo istante.
E i sensi stavano tornando, perché avvertì i capelli sotto i palmi. Staccò una mano dalla testa e la appoggiò a terra; l'erba era morbida e fresca.
Aprì gli occhi, ma dovette sbattere le palpebre per riuscire a vedere e capire dove si trovasse.
Era ancora sulla collina fuori Feria. Era giorno. E Raziel era in piedi davanti a lei, al di là di un solco profondo nel terreno.
Ricordava tutto. Chi era stata fino a duecento anni prima e chi era stata nell'arco di quei giorni. Stava vivendo due vite distinte e a due velocità diverse. La testa pulsava a un ritmo irregolare e l'erba che stava toccando si era tramutata in sottili aghi di ghiaccio.
Strinse di nuovo gli occhi.
Faticava a restare cosciente del tempo che stava vivendo e a tenere sotto controllo i propri poteri. Cercava di mettere in ordine i tasselli del mosaico che era stata la sua vita, ma ogni volta che si formava una catena di ricordi coerente, subito veniva infranta da un altro ricordo. Inoltre il suo oscuro compagno era lì, acquattato in un angolo dentro di lei, in attesa di un passo falso.
«Non ci riesco» disse. E la voce le giunse da lontano, come fosse rallentata e invischiata nella resina. «Sono troppi. Io non...»
Avvertì una sensazione di calore dietro la nuca, accompagnata da un formicolio che discese lungo la schiena e si diramò verso gli arti.
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