32 - Capitolo 17.2

Sofia era immobile nel suo letto. La luce rossastra dell'illuminazione proveniente dalla strada rendeva i contorni degli oggetti più grandi di quello che erano in realtà, falsandone anche i colori. Ed era così che si sentiva: una specie di simulacro grottesco, pallida imitazione di ciò che era stata.

Non riuscì a capire quanto tempo mancasse all'alba, ma dalla strada non provenivano rumori e le sue amiche dormivano.

Chiuse gli occhi. Il sigillo era ancora lì, ma la luce che lo aveva sempre illuminato era confinata al centro di ognuna delle due parti in cui si stava spezzando. Viola e debole, pulsava con lentezza, come fosse una creatura morente, intenta a esalare gli ultimi respiri di un'esistenza a cui non voleva rinunciare.

Strinse le palpebre prima di riaprirle. Aveva bisogno di aria, di libertà e le pareti di quella stanza sembravano stringersi intorno a lei, rinchiudendo in uno spazio angusto tutto quello che stava provando.

Con un senso di nausea che le rendeva la bocca amara, si alzò e raccolse gli stivali. Raggiunse la porta e si fermò con una mano sulla maniglia. Clivia e Astoria non si mossero, né accennarono nulla, sia che dormissero oppure no. Se si fosse girata, se avesse incontrato i loro occhi pieni di compassione per lei, forse si sarebbe gettata tra le loro braccia a singhiozzare e avrebbe trascorso in quel modo il poco tempo che le restava.

Inspirò e abbassò la maniglia, uscendo e richiudendo la porta cercando di non fare rumore. Raggiunse le scale scalza perché temeva scricchiolii e cigolii che avrebbero potuto tradirla. Scese le scale e si sedette sull'ultimo gradino per infilare gli stivali. Avvertiva la presenza di Raziel da qualche parte lì intorno; non stava cercando di nascondersi, non del tutto almeno.

Si alzò e, a passo più svelto di quanto avrebbe voluto, guadagnò l'uscita.

Allargò le braccia e inspirò con voracità l'aria fresca della notte. Mosse qualche passo fuori della locanda e poi cominciò a girare su se stessa, guardando il cielo arrossato dalle luci cittadine. Alcune stelle erano visibili, ma era sicura che sarebbe riuscita a vederne di più, se solo fosse riuscita a spegnere l'illuminazione.

«Non riesci a dormire.» L'affermazione portava la voce di Raziel.

«Vero» disse Sofia fermandosi e voltandosi verso di lui. «Avevo bisogno di stare all'aperto. In camera non riuscivo a respirare.»

«Vorresti fare una passeggiata?»

Sì, sarebbe stata una buona soluzione. Non si sentiva più intimorita o imbarazzata dalle attenzioni del demone, forse perché ricordava di conoscerlo. Annuì. «I draghi li ho già visti. Dove vuoi portarmi?»

Lui sorrise e le tese la mano.

Lei la guardò; era tanto diversa da quelle di Lorcan ed Eric, grosse e dalle dita callose, segnate dalle cicatrici e macchiate dal sole e dalle intemperie. E diversa anche da quella di Astoria, troppo sottile e delicata a confronto. Poi tese la propria e la strinse.

Avvertì la sensazione di movimento attraverso il Piano Astrale, le narici le pizzicarono e non riuscì a tenere gli occhi aperti.

«Siamo arrivati» le disse Raziel.

Era più vicina a lui di quanto non lo fosse in partenza. Riaprì gli occhi e vide che si erano spostati davvero di poco. Si trovavano su una piccola altura alle spalle di Feria. La città, con le sue luci, giaceva nell'incavo creato dal declivio verso il mare, nel quale aveva trovato posto il porto.

Sentì le mani del demone sulle spalle che la costrinsero a voltarsi dal lato opposto. Era più buio, ma c'erano moltissime stelle da vedere: bianche, azzurre, arancio e rosse. Riusciva persino a indovinarne dei disegni, che di certo rappresentavano qualcosa che non riusciva a ricordare.

Sentì le labbra dischiudersi, mentre osservava quello spettacolo.

Un fruscio la fece voltare. Raziel si era disteso sull'erba, con le braccia incrociate dietro la testa e Sofia batté le palpebre più volte. La notte era senza Luna, eppure riusciva a distinguere i contorni del demone.

Si sedette al suo fianco, portando le ginocchia al petto e abbracciandole. Il cuore prese a batterle più forte, lo avvertiva in gola. Quello era un buon momento per parlare, per chiedere, per tentare di sapere cosa sarebbe accaduto al sorgere del Sole.

«Perché mi hai portata qui?» Lo chiese a voce bassa e se ne stupì, perché non c'era nessuno che stesse dormendo o origliando.

«Ti è sempre piaciuto osservare le stelle, in particolar modo prima dell'alba. Non è la prima volta che lo facciamo insieme e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere.»

Lui sapeva. E lei percepiva lo svantaggio, ma la cosa non la disturbava, non più. Fino a poco tempo prima si sentiva solo trascinata dagli eventi in ogni direzione; aveva vissuto in un mondo dove tutti sapevano o potevano fare ipotesi sul suo passato. Entro poco tempo tutto quello sarebbe finito. Non ne era felice, ma la presenza di Raziel la rassicurava.

«Non lo ricordo,» disse senza distogliere lo sguardo dalle stelle, «ma ti ringrazio. È la seconda volta che mi fai un regalo del genere.»

Quindi era vero. Non doveva essere cambiata molto, in fondo. Le piacevano i draghi e le stelle, come piacevano alla Sofia che conosceva Raziel.

«Resterò sempre io?» chiese. Si accorse di aver corrugato la fronte. Nonostante tutti quei cambiamenti in arrivo, le stelle che stava osservando sarebbero rimaste le stesse. Si voltò a guardarlo, ma i dettagli del viso e l'espressione, erano nascosti dal buio della notte. «Ciò che vorrei sapere è se io sono diversa da lei. Da me.»

Pur non vedendolo, era sicura che il demone stesse sorridendo. «Ma sei sempre tu. Solo senza ricordi e poteri.»

Tornò a osservare il cielo. «Qualcosa la ricordo, certo, anche se molto poco. Non è abbastanza, però, per capire che tipo di persona sono, o ero. Non so neanche in che modo parlare di me.»

Appoggiò il mento sulle ginocchia, portando lo sguardo verso la vallata buia e senza punti di riferimento. «Quanto tempo sono rimasta in quella grotta? Perché non mi hai cercata?» Perché lui avrebbe dovuto farlo, lo sentiva.

«Oh, ti ho cercata. Non ho mai smesso di farlo e mai avevo perso la tua traccia, fino a quel momento.» Fece una pausa, durante la quale Sofia si chiese cosa stesse pensando e ricordando Raziel, forse ricordi in comune. «Certo,» riprese il demone, «non eravamo insieme tutti i giorni e proprio in quel periodo ci incontravamo di rado, quindi non so dirti con precisione quando è avvenuto. Direi che abbiamo cominciato a cercarti circa duecento anni fa.»

«Abbiamo?» si voltò di nuovo. Era ancora disteso, in apparente tranquillità, ma lei non riusciva a immaginare chi altri avesse avuto la necessità di cercarla, visto che sua madre non poteva.

«È buffo, sai?»

«Cosa?» Non c'era nulla di divertente in quella situazione.

«Tu non ricordi, è vero, ma la tua scomparsa ha messo in subbuglio l'intera Esterna.»

Esterna? Era la dimensione in cui erano confinati i demoni, cosa poteva importare loro di una Custode umana? «Tutti preoccupati per me?»

Raziel si mise seduto, riducendo la distanza che li separava. «Direi proprio di no» disse rivolto verso di lei. «E ti assicuro che troverai questa conversazione alquanto surreale, quando ricorderai.»

Stava cominciando a distinguerne i lineamenti, segno che l'alba era prossima, ma non riuscì a voltarsi per osservare la nascita di un nuovo giorno. Un altro ricordo era appena sfuggito alle trame del sigillo. Uno che non avrebbe mai sospettato e che le fece avvertire una sensazione di calore alle guance tanto violenta da farla allontanare. Si ritrovò in una posizione scomoda da mantenere e voltò tutto il corpo in direzione del demone, incrociando le gambe.

«Non voglio ricordare.» Altri ricordi, confusi, stavano accavallandosi in prossimità della fenditura; riusciva persino a sentirli stridere, nella fretta di trovarsi per primi quando tutte le barriere sarebbero cadute. Poggiò le mani a terra e sollevò le ginocchia, cercando di allontanarsi strisciando. «Non voglio ricordare.»

Raziel sorrise, mentre il Sole cominciava a varcare l'orizzonte. «Mi dispiace, non puoi rifiutare.»

Un altro filamento nero sfuggì; c'erano delle persone morte e mutilate ai piedi suoi e di sua madre.

«No. No.» Scosse la testa, strisciando ancora all'indietro.

«Questo accade perché stanno liberandosi senza controllo.» Raziel le prese la mano, interrompendo il tentativo di fuga e tirandola più vicina. «Non puoi sfuggire a quello che sei. Devi affrontarlo.»

Una donna con il volto tatuato e dalla pelle dorata stava piangendo e aveva le mani sporche di sangue. «È troppo. Non voglio.»

«Sono d'accordo» disse il demone, ormai del tutto illuminato dal Sole, «da sola potresti non farcela.» Le strinse il polso, impedendole di allontanarsi. «Ma posso aiutarti io. Rimuovendo in modo corretto il sigillo, sarà possibile per entrambi controllare ciò che verrà liberato.»

Oscurità. Ecco cosa sarebbe stato liberato. In superficie c'erano di certo i suoi ricordi, i poteri che Raziel sembrava sicuro esistessero, ma poi c'era lui. Stava solo aspettando di essere di nuovo libero.

«No.» Con uno strattone tentò di ritirare la mano, senza riuscirvi. «Lasciami.» Lo implorò. «Non voglio che si liberi. Non riuscirò a trattenerlo.» Una morsa le strinse la gola, facendole male fin nel petto e dietro le spalle. «L'ho visto. Ora. Tenta di uscire ogni volta che abbasso la guardia.»

Il demone si alzò e la tirò su. «Lo so» disse fissando gli occhi neri e obliqui nei suoi. «È ciò che accadrà se il sigillo non verrà rimosso nel modo corretto.»

Sofia spalancò gli occhi. Dietro di Raziel vedeva i due occhi rossi. L'avevano rincorsa per duecento anni, durante il lungo sonno, e ormai l'avevano trovata.

«Lo so che sono lì» continuò Raziel. «Sono sempre stati con te. Sai come fare.»

«E se ti sbagliassi? Se commettessi un errore?» Erano sempre più grandi e fissavano proprio lei.

«Evidentemente di me ricordi solo frammenti, altrimenti non me lo avresti chiesto» disse assottigliando lo sguardo. «Se dipende solo dalle mie abilità, io non sbaglio mai.»

Sofia deglutì e rilassò i muscoli. Il dolore al petto era ancora intenso, ma riusciva a controllarlo. «Astoria, Clivia.» Riuscì a parlare, pur avendo la bocca e la gola secche. Ormai aveva due amiche su cui contare. Loro erano reali, non appartenevano a un passato confuso. «Devo dirglielo. Devono sapere che...»

Raziel scosse la testa. «Le metteresti solo in pericolo e, oltre tutto, non posso attendere oltre. Il sigillo va rimosso subito.»

Sofia aprì la bocca, ma non riuscì a far uscire alcuna parola, neanche un lamento.

Il demone annuì. «Se seguirai le mie indicazioni, non accadrà nulla di spiacevole. Sarò sempre presente.»

«Ma io non so cosa fare. Non sono pronta, ti prego.» La voce era stridula e quello era l'ultimo tentativo di allontanare nel tempo l'inevitabile conclusione. Suonò ridicolo anche alle proprie orecchie e si sentì di nuovo avvampare quando, in risposta alla supplica, le labbra di Raziel si incurvarono verso l'alto; si alzò, tirandola in piedi e tenendole il polso stretto. «Potrebbe rivelarsi più semplice del previsto» disse, ormai in piena luce mattutina. «Però dovrai collaborare.»

Sofia non riuscì a dire o fare nulla.

«Astoria mi ha detto che ha eseguito un incantesimo di ricerca su di te.»

«Sì» disse lei, ricordando a cosa portò quell'incantesimo. «Sarà così semplice?» chiese. Non poteva essere tanto facile.

«Sarà simile» rispose inclinando appena la testa di lato. «Dovrò trovare il sigillo, ripararlo e poi disfarlo. Però è fondamentale che tu assecondi le mie azioni e non tenti di bloccarmi.»

Le sfuggì una risatina, perché sarebbe stato davvero divertente se lei, che non ricordava neanche cosa fosse la magia, fosse riuscita a intralciare un demone come lui. Ricordò, invece, le parole di Astoria. «Disse di non oppormi, altrimenti ci saremmo fatte del male entrambe.»

Fu Raziel, invece, a lasciarsi sfuggire una risatina. «Non riusciresti in nessun caso a cacciarmi dalla tua mente. Non sono Astoria e non somiglio a nessuna delle persone che hai incontrato fin'ora.»

Sofia riportò alla mente i volti di chi aveva visto in quell'ultimo periodo. Umani, mezz'elfi e demoni. Raziel aveva avuto un comportamento differente anche rispetto ad Areina e Murtang.

«Ascoltami bene» riprese il demone, «perché sono poche le volte in cui concedo una simile opportunità a un mio avversario.»

«Sono un tuo avversario?» Sofia sgranò gli occhi e si rese conto di aver indietreggiato solo perché Raziel le strinse più forte il polso, facendole male e impedendole di allontanarsi.

«Chiunque si opponga o intralci l'esecuzione degli ordini che devo eseguire è un mio avversario.» Lo disse con un tono di voce tranquillo, senza assumere espressioni minacciose, ma le fece accapponare la pelle.

Sofia rilassò i muscoli e smise di cercare di allontanarsi.

«Bene» disse il demone avvicinandosi e prendendole il viso tra le mani. «Possiamo cominciare.» 

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