24 - Capitolo 13.3
Ciò che Sofia stava osservando era un'enorme area costituita da terreno sabbioso e delimitata da un muro solo dal lato in cui si erano fermati, ma per la maggior parte era circondata da rocce e boschi. Proprio fuori una caverna, in lontananza, si trovavano due draghi neri: erano fermi al sole, avrebbero potuto essere due statue luccicanti, se di tanto in tanto non avessero mosso la testa, le ali o la coda.
Vedeva anche tre draghi blù, avevano un aspetto meno massiccio rispetto ai neri. Uno stava acciambellato al sole, più vicino alla grata, gli altri due sembrava stessero comunicando tra loro, posandosi il muso sul collo o strofinandoselo a vicenda.
C'erano anche delle persone che si muovevano tra i draghi, senza mostrare alcun timore.
«Avevi ragione, grazie» sussurrò, stringendo le fredde e ruvide grate che aveva di fronte. Voleva attraversarle e accarezzare quelle creature. A dispetto dei ruggiti che aveva sentito, del loro aspetto e di ciò che potevano rappresentare artigli e fuoco, non era spaventata.
«Te l'avevo detto. È difficile restare indifferenti davanti a creature del genere.»
«Ma sono addomesticati?» Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle creature.
«Oh, no» rispose il demone. Sofia avvertì dal tono che stava sorridendo, ne era certa, ma non aveva voglia di distrarsi dalla meraviglia alla quale stava assistendo.
«I draghi non sono animali domestici, né sono addestrabili come un qualunque cavallo. Come ti ho detto, hanno scelto di vivere a contatto con gli uomini, si lasciano cavalcare e condurre in guerra dall'esercito, ma solo se lo vogliono.»
«Perché?» Si voltò a guardarlo e lo vide alzare le spalle, ma anche lui era intento a osservare i draghi.
«Ci sono diverse leggende, a riguardo» rispose voltandosi e sorridendole. «La verità è che nessun essere umano ne ha la più pallida idea. Accettano ciò che hanno. Ed è il motivo per il quale Dragalia ha pochi nemici. Non esiste altro luogo, oltre la Culla, in cui i draghi si comportino in un modo tanto singolare.»
Sofia udì un ruggito, breve e sommesso, e tornò a fissarli. «Quindi non sono pericolosi?»
«Direi che dipende dai punti di vista. In generale questi no, ma quelli selvaggi lo sono, eccome. Anche se preferiscono comunque restare lontani dai centri abitati. Reagiscono solo se provocati.»
Sofia non avrebbe mai voluto staccarsi da lì. Erano creature magnifiche e sapere che era loro volontà convivere con gli uomini li rendeva ancora più maestosi. Eppure voleva anche far ritorno alla locanda. Udire il nome 'Dragalia' le fece ricordare di Astoria e tutti gli altri, lasciati a combattere una battaglia contro un mostro spaventoso. Distolse lo sguardo dai draghi, senza sforzo. «Torniamo indietro, per favore.» Forse erano arrivati e la stavano cercando ed era impaziente di controllare. Il vuoto che avvertì dentro fu la giusta punizione per essersene dimenticata, non lo meritavano, non dopo quanto avevano fatto per lei.
Il cammino del ritorno la riempì di speranza. Voleva essere ottimista e per riuscirci evitò di parlare con Raziel e pensare solo a se stessa. Entrò nella sala comune con il sorriso sulle labbra, sicura che avrebbe visto Eric e Lorcan contendersi la cena, Clivia scuotere la testa e Astoria inveire contro i due uomini.
C'erano diversi tavoli liberi, ma lei si soffermò su quelli occupati. Il cuore ebbe un sussulto quando vide una chioma corta, rossa e riccioluta, ma non apparteneva a Lorcan, così come non apparteneva a Clivia la cappa verde scuro sulle spalle di un uomo mingherlino seduto in disparte.
«Non è capitato nulla di male, vero?» chiese mentre, dopo una cena veloce e silenziosa, salivano le scale di legno che scricchiolavano sotto i loro passi.
«Non posso saperlo» rispose Raziel. «Dovesse essere così, allora troverò una soluzione, ma ora non si può far nulla.» Aprì la porta della camera che gli era stata assegnata ed entrò, richiudendola non appena Sofia fu entrata.
Era spoglia. Aveva due letti separati da una sedia e un solo baule. Un paravento e la finestra completavano l'arredo.
«Mettiti pure comoda» disse il demone mostrando l'interno della camera con un gesto del braccio. «Dietro il paravento dovresti trovare dell'acqua.»
«C'era solo questa?» Lo sussurrò, non avrebbe voluto dirlo a voce alta e non avrebbe voluto farsi sentire.
«Se preferisci ci sono un paio di stanzoni in cui si dorme tutti insieme, ma hanno un pessimo odore, te l'assicuro.» Raziel si diresse verso la finestra e la spalancò.
«No, scusami.» Sofia scosse la testa. «Volevo sapere se gli altri avrebbero trovato posto. Mi sento in colpa a dormire su un letto e sapere che loro, forse...»
«Ma no, non pensarci.» Agitò la mano e si guardò intorno. «Fa' pure come se fossi sola. Io ti osserverò dal Piano Astrale. Ti prometto che non mi vedrai e non mi sentirai.» Le fece anche l'occhiolino, oltre il solito sorriso.
Sofia osservò ciò che la circondava. Quella notte avrebbe avuto un incubo, ne era certa. Sarebbe stato orribile e restare da sola in camera era l'ultima cosa che desiderava. Si avvicinò alla finestra; era troppo bassa, anche lei avrebbe potuto arrampicarsi ed entrare. Si voltò verso la porta; era sottile e sarebbe caduta come un fuscello anche se a prenderla a spallate fosse stata Astoria. Ma era anche vero che le cose che la spaventavano di più non avevano bisogno di porte e finestre per trovarla e farle visita.
Il legno che stava stringendo, quello della finestra, era ruvido. «Resta qui, ti prego» disse guardandolo.
«Ma ci sarò» replicò sorridendo.
«Lo so, ma vorrei riuscire a vederti. Credo che mi sentirei meno sola.» Abbassò lo sguardo sugli stivali impolverati; li aveva comprati insieme ad Astoria e Clivia.
«Come preferisci, per me è uguale.» Strinse le spalle e si avvicinò a uno dei letti sdraiandocisi, con le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.
Restarono così, in silenzio. Sofia non poteva crederci. Era questo il suo modo di fare la guardia? Con gli occhi chiusi?
«Ma dormi?»
Senza aprire gli occhi, Raziel sorrise, di nuovo. «No. Penso solo che potresti sentirti più a tuo agio. Tutto qui.»
«Grazie.» Ancora le guance accaldate. Non se lo sarebbe aspettato quando lo aveva conosciuto. Neanche quando era fuggita da Nime, spaventata dalla sua presenza. E neanche quando lo aveva visto tormentare Lorcan. Ma in quel momento, dopo aver passato una giornata con lui mangiando e passeggiando, forse poteva aspettarselo.
Dietro al paravento c'era davvero un catino con dell'acqua, insieme a un quadrato di stoffa vecchia, ma che profumava di pulito. Lasciò la cappa sulla sedia che si trovava vicino al catino e che prima non aveva visto. Sfilò la camicia e bagnò le parti scoperte. Fu piacevole lavare via la polvere del viaggio e rinfrescare la pelle, anche se, di tanto in tanto, sbirciava verso il compagno di stanza, trovandolo sempre nella stessa posizione e a occhi chiusi.
Rimise la camicia e si diresse verso il letto vuoto, si tolse gli stivali e si sedette a gambe incrociate.
Il guardiano silenzioso era sempre lì, a occhi chiusi, fermo nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato. Se era consapevole che lo stesse fissando, non lo dava a vedere. Quella presenza, all'inizio inquietante, era diventata fonte di tranquillità, perché aveva la sensazione che c'era qualcuno che stava cercando di farla stare bene. Di certo restava la questione sul fatto che era una Custode, con tutte le implicazioni del caso. E restava da chiarire perché lui si prendeva cura di una persona appena conosciuta. Le aveva assicurato che non era per amicizia nei confronti di Astoria, ma allora perché?
«Tu mi conosci.» Si fermò nell'atto di attorcigliare i capelli intorno al dito; voleva cogliere ogni minima mutazione nell'espressione tranquilla che aveva quel volto. Era la domanda più banale che gli avesse fatto, anzi, non era una domanda, ma poteva essere il modo più semplice per ottenere le risposte che cercava. trattenne il respiro.
Ed ecco affiorare il solito sorriso, ma nulla di più. «Non pensarci troppo, Sofia.» Gli occhi erano sempre chiusi.
«Ma è così, vero? Sai chi sono e cosa mi è successo?» La risposta era ovvia, visto il comportamento che aveva, ma voleva sentirselo dire.
«È inutile insistere, al momento non dirò di più.»
Strinse il lenzuolo e il cuore cominciò ad accelerare i battiti. «Se non rispondi, allora ho ragione.»
«Non è vero.» Spostò una mano da sotto la testa, giusto per agitare un dito e poi risistemarsi come prima. «Potrei conoscerti o no, ma non cambierebbe la situazione. Invece è vero che dovresti dormire. In un viaggio non è sempre possibile dormire in un letto e sotto un tetto. Dovresti approfittarne.»
Avevano parlato sempre nella stessa posizione: lei appollaiata sul letto a fissarlo, lui disteso e a occhi chiusi.
Agitando le coperte più del necessario e provocando sinistri scricchiolii nel legno del letto, Sofia si stese e si coprì fin sopra le orecchie, dando le spalle al compagno di stanza. Era vero che stava prendendosi cura di lei, ma era anche faticoso, anzi inutile, tentare di cavargli qualsiasi notizia non volesse rendere nota. Ed era anche vero che era stanca. Stanca e preoccupata per i suoi amici. Lei poteva dormire in un letto, al riparo, ma loro?
Si ritrovò a volare sul dorso di un drago, le scaglie cambiavano colore dal blù al nero e lei si trovava alla base del lungo collo. Il volo la portò su una collina, dove trovò i suoi amici, mutilati e ustionati dall'acido, mentre un ragno gigante li stava divorando. Eric ancora si muoveva, era vivo, poteva salvarlo. Lo chiamò, urlando il suo nome, ma la voce le usciva strozzata. Corse verso di lui, lo tirò per un braccio per farlo uscire dalla pozza verde e fumante in cui si trovava. Non aveva paura. Sapeva che ci sarebbe riuscita, perché poteva usare il potere del demone che aveva dentro. Sapeva come fare. Si concentrò su di lui e sparirono tutti: i suoi amici, il mostro, il drago e la collina. Era buio. C'era solo una donna, illuminata da una luce malsana, lattiginosa. Le si avvicinò e si accorse che era imprigionata in una pianta: rami e viticci la circondavano e le penetravano nella carne. Aveva gli occhi chiusi, ma Sofia non capiva se stesse dormendo o se fosse morta. Le si avvicinò. Ancora una volta non aveva paura. Dagli occhi della donna uscivano rivoli rossi. Le sfiorò quelle lacrime e si guardò le mani: erano rosse. Era sangue. Il viso era coperto di sangue, il corpo e tutto quanto la circondava era rosso come il sangue. Urlò, ma non udì alcun suono. Aveva la gola chiusa, stretta in una morsa dolorosa che le si propagava al petto e alla schiena. Fu presa per mano. Era piccola. Apparteneva alla bambina con il pupazzo. La portò davanti al sigillo e le fece poggiare la mano. Era tiepido e pulsava, come se fosse vivo. E il demone al suo interno premeva per uscire. Sofia si voltò verso la bambina, ma lei era sparita, lasciando il posto a una gola scavata nella roccia. Alzò lo sguardo e vide, in lontananza, uno sprazzo di cielo azzurro. Il gelo avvertito dalla mano richiamò la sua attenzione. Non era più poggiata sul sigillo, ma su una parete di ghiaccio. Un'ombra, dal suo interno, affiorò, prendendo la forma di una mano e poggiandosi contro la sua. Delusione. Tristezza. Rassegnazione. Dolore. Era un vortice di emozioni che si mescolavano. Una sferzata di vento la investì. Diede le spalle alla parete di ghiaccio, avvertendo un vuoto dentro sé quando lasciò l'ombra della mano. Erano arrivati due draghi con due uomini in armatura, senza volto, che li cavalcavano. E stavano cercando lei. Ma poco importava cosa avessero voluto farle. Le emozioni che provava per chi si trovava dall'altra parte del muro di ghiaccio erano troppo forti per permetterle di avere paura. Una fitta alla spalla le mozzò il respiro. Ci poggiò la mano e la ritrovò coperta di sangue. Ritornò a guardare il ghiaccio, cercando la mano. Era sempre lì. Un nome le stava affiorando alla mente, ma prima che potesse anche solo ricordare, un lampo le provocò dolore in tutto il corpo. Cadde, senza più neanche la forza di muoversi se non per voltare la testa. In piedi, al suo fianco si trovava Raziel. Aveva una sfera rossa tra le mani e la stava puntando contro i draghi. Il bagliore scarlatto aumentò, fino a ricoprire e far sparire tutto ciò che la circondava.
Sofia si svegliò.
Era abbracciata alle lenzuola, anzi, ci si era aggrovigliata e aveva un lato del tutto scoperto.
Riuscì a districarsi. La stanza era appena illuminata dalla luce traballante proveniente dalle fiaccole che aveva visto camminando per strada. Le permetteva di distinguere i contorni del letto e del suo guardiano.
Chiuse gli occhi e rivide le ultime scene che aveva sognato: Raziel la conosceva. Quella non era la prima volta che faceva un incubo del genere e lui era sempre presente nello stesso luogo. Una parte dei ricordi stava tornando, forse. Ma perché lui non avrebbe dovuto parlarle del fatto che si conoscevano? Erano forse nemici, oppure l'evento del sogno doveva essere legato a qualcosa di cui non voleva parlare. Le ipotesi potevano essere molte e non aveva nulla in mano per poter dire con sicurezza che una era migliore dell'altra.
Udì un ruggito in lontananza, seguito da un altro più debole.
Il demone al suo fianco era sempre nella stessa identica posizione e non mostrava di essersi accorto di nulla. Eppure Sofia aveva avuto un incubo ed era certa di aver urlato. Raziel la stava proteggendo, nel sogno. Che tipo di rapporto li legava? Magari era vero che conosceva il demone che aveva sigillato dentro. Era la spiegazione più realistica.
Portò le ginocchia al petto e si coprì del tutto. Torna presto, Astoria.
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