23 - Capitolo 13.2
Sentiva ancora il ruscello. Il ruscello scorre ancora, mamma. Quindi erano ancora lì? Perché era tutto buio? Forse si era addormentata ed era notte. Non vedeva nulla e il suono dell'acqua che scorreva era l'unico che sentisse.
Sentiva anche il terreno sotto i palmi delle mani, fresco e umido. Aprì gli occhi e vide il cielo. Era giorno e il ruscello si stava allontanando, perché il suono era sempre più debole. Si alzò a sedere ed ebbe ancora la sensazione di girare su se stessa, o, forse, era il mondo che stava girando.
Strinse gli occhi e poi li spalancò. Raziel era seduto vicino a lei. E sentì le guance avvamparle. Era svenuta, aveva avuto un incubo e chissà cos'altro.
«Ben tornata» le disse il demone sorridendole.
«Scusa, io credo di essermi comportata in modo strano.» Balbettò e distolse lo sguardo. Erano vicino alla strada e del ruscello non c'era traccia.
«Non direi. Come ti senti?»
«Non lo so. Bene. Almeno credo.» In effetti era tutta intera. Non si era fatta male cadendo. Ne immaginò il motivo. E, chissà perché, avvertì ancora il calore inondarle il viso. Aveva di certo urlato. Lo faceva sempre in situazioni del genere.
«Bene? Davvero?»
«Forse non benissimo.» E le venne in mente un'altra domanda. Una a cui non aveva mai pensato fino a quel momento. «Cosa hai visto?»
Raziel sollevò un angolo della bocca. «Perché me lo chiedi?»
«Perché è proprio ciò che voglio sapere» insisté.
«Sei svenuta e ho aspettato che ti riprendessi.» Non smise di guardarla. Sembrava un gatto che osservava incuriosito da un richiamo, gli mancava solo la coda, aveva persino la testa appena inclinata. Era in attesa. Lo sapeva lei e lo sapeva lui.
«E cosa è successo mentre ero svenuta?» La gola era secca e cercò di ingoiare, mentre avvertiva ancora il fresco proveniente dal terreno e dai fili d'erba umidi che stava stringendo..
Lui sorrise. «Ti ho osservata.»
«E poi?» Era estenuante parlarci. Si sentiva già stanca dopo un paio di battute. Come avrebbe fatto ad aspettare l'arrivo di tutti gli altri in sua compagnia?
Raziel sospirò. «Dimmi chiaramente cosa vuoi sapere. Faremo prima.» Le strizzò l'occhio.
«Tanto non me lo dirai, ne sono certa.» Si lasciò cadere distesa. Era esausta. E curiosa. Ma chiederlo in modo tanto diretto la metteva in imbarazzo. Ormai non c'erano più solo lei e il demone sigillato. Tutto si era complicato. C'erano in gioco cose che lei non comprendeva e di sicuro cose che lei ignorava, per non parlare di chi stava combattendo una battaglia, potenzialmente mortale, a causa sua.
«Non puoi saperlo» disse lui. E lo immaginò sorridente, come sempre. Lo intuì dal tono della voce. E la cosa la spazientiva ancora di più.
«Ho avuto un incubo.» Ecco. Aveva ceduto lei per prima. Chissà se un giorno sarebbe riuscita a raggirarlo o a fargli dire ciò che voleva sentire. «Prima, quando sono svenuta, ho avuto un incubo. Il solito. Quello degli occhi rossi.» E, da quel momento, non sarebbero stati gli unici a occupare i suoi pensieri, perché ne aveva visti altri due molto simili, sebbene differenti nel colore.
Attese. Gli unici rumori erano quelli delle fronde degli alberi agitati dalla brezza e il verso dei gabbiani; anche quella città era vicina al mare, quindi stavano muovendosi lungo la costa, ma non aveva idea della meta verso la quale erano diretti. Avrebbe dovuto prestare più attenzione alle mappe che aveva intravisto a Nime; non doveva più commettere lo stesso errore, doveva cominciare a comprendere gli avvenimenti che accadevano intorno a lei e seguire le decisioni che venivano prese da chi le stava accanto.
«Cosa hai visto o sentito mentre ero svenuta?»
«Vediamo» rispose interrompendosi per picchiettare le labbra con un dito guardando nel vuoto, e Sofia si chiese se davvero ci fossero così tante cose da dire a riguardo. «Ho visto te a terra, hai urlato un po' e poi niente» concluse con un sorriso.
«Ma mi prendi in giro?» Si era di nuovo messa seduta, con i pugni stretti e il tono di voce troppo alto per i suoi gusti. «Voglio sapere se c'è stato qualcosa di strano in quel maledetto Piano Astrale. È tanto difficile rispondere?» Era davvero così facile farle perdere la pazienza, o il problema era la persona che aveva davanti?
Raziel alzò un sopracciglio. «Se ponessi le domande corrette, otterresti le risposte giuste. Non è difficile» rispose. «Comunque quello era solo un incubo. Non è accaduto nulla di strano e nulla di più di ciò che ho detto. Sei stanca, non ti sei ancora ripresa del tutto dal tuo 'risveglio' ed è normale venir meno, se non ti dai il tempo di ristabilirti.»
Non sapeva se essere sollevata o no. Un sogno non aveva ripercussioni sulla realtà. Era un fatto certo, anche se non sapeva da dove le proveniva quella sua sicurezza. Ma se non fosse stato solo un sogno? Magari lui non mentiva, ma era molto bravo a evitare le risposte che non voleva dare.
Lo vide alzarsi e scuotersi i vestiti. «Ce la fai a riprendere a camminare?»
Lei annuì e lui le tese la mano, ma preferì alzarsi da sola. Anche quella soddisfazione non gliel'avrebbe data. Raziel non batté ciglio e le si avviò lungo la strada; insieme si diressero verso il ponte, ormai ben visibile.
«Stavolta te lo chiedo direttamente» cominciò Sofia prendendo coraggio e inspirando aria nello stesso momento. «È possibile che i sogni agiscano sulla realtà?» Perché il dubbio le era rimasto, in fondo non ricordava nulla del suo passato e poteva sbagliare a interpretare gli avvenimenti che la stavano riguardando.
«Ah, finalmente. Questa è una delle domande che mi aspettavo.»
La voglia che Sofia aveva di ricevere una risposta, la trattenne dal malmenarlo e forse anche quanto le avevano raccontato del demone che la accompagnava, ma il vero freno fu il blocco che le strinse la gola, all'improvviso, all'unisono con quell'affermazione.
«Sì, ma non sempre e non nel caso che hai appena vissuto» continuò il demone. «A volte capita che i due Piani siano in contatto tra loro e ciò che avviene su uno si ripercuote sull'altro. Sono casi molto particolari e che avvengono in determinate condizioni. Ma sì, può accadere.»
«Quindi potrebbe uscire?» Intanto erano arrivati alle prime case. Erano di legno, basse e cominciava a vedersi qualche persona. Fino a quel momento il mondo le era sembrato popolato solo da pochissime persone. Nime non era molto popolata e al castello aveva visto pochi uomini.
«Non nelle condizioni in cui si trova.»
Si sentiva più leggera, sì. Per qualche tempo lo sarebbe stata, anche se la risposta avuta le aveva lasciato un senso d'inquietudine e quello non sarebbe andato via tanto facilmente, ne era certa, perché non aveva escluso del tutto che il demone dentro di lei potesse liberarsi.
«Parlando di fatti più immediati» riprese Raziel, «Feria è una città più grande di Nime. Qui è facile smarrire la via e spero tu non abbia intenzione di fare altri scherzi.»
«No, tranquillo.» Scosse la testa. «La volta scorsa mi è bastata. E dubito tu possa perdermi, anche in una città colma di gente.» Le tornò in mente l'incubo con cui tutto aveva avuto inizio. La piazza affollata e sua madre, il senso di attesa per qualcosa che stava per avvenire e la tranquillità con la quale si muoveva tra la folla.
Un ruggito la assordò. Doveva appartenere a una creatura gigantesca, perché sembrava provenire da ogni direzione. Sofia si aggrappò al braccio di Raziel. Per quanto potesse essere insopportabile, al momento stare al suo fianco era il posto più sicuro. Udì altri due ruggiti e un'ombra enorme oscurò la strada che stavano percorrendo. Scivolò via, veloce, ricordandole troppo da vicino l'incubo con il quale era piombata in quel mondo.
Ne seguì un'altra più piccola.
Alzò lo sguardo e li vide. Due draghi le erano appena volati sopra. Uno nero e grande, come quello che aveva visto a Castelnovo, e uno più piccolo blù.
«Sì, può fare un certo effetto vederli. Almeno a voi umani.»
«Di' pure "un certo effetto", ma incutono timore. È tanto normale vederne qui? Astoria mi ha detto qualcosa del genere, ma non abbiamo approfondito l'argomento.» Nominare la principessa le fece ricordare quanto stesse in pena, per lei e per Clivia, Eric e Lorcan.
Ormai erano in città. Il volo dei due draghi non era passato inosservato, ma non aveva creato scompiglio e nessuno ne era stato spaventato.
«Non se ne conosce il reale motivo» continuò Raziel, «ma i draghi che vivono nella Culla accettano di aiutare gli uomini. È una reciproca convivenza e il regno di Dragalia li usa nell'esercito. Almeno lo fa con quelli che si lasciano cavalcare.»
L'odore familiare del mare si mescolò a quello della città. E Sofia si accorse di essere ancora aggrappata, con una mano, al braccio del demone. Allentò la presa, ma non lo lasciò. La strada era piena di persone: mendicanti, venditori, viandanti. Le sembrò di scorgere il pericolo negli occhi di molti di loro, ma forse era solo la paura di trovarsi in un luogo sconosciuto. Ancora non riusciva a credere di aver solo immaginato di potersela cavare da sola.
La zona della città dove si trovavano era composta da case dalle mura più chiare, sempre basse, ed era più affollata di quanto avesse osservato dopo il ruscello.
Raziel aveva ragione. Diversamente da Nime, Feria brulicava di vita. La mano le scivolò via dal braccio del demone, quando vide un uomo che somigliava molto a Clivia. Aveva gli stessi lineamenti, lo stesso colore di pelle e capelli e si muoveva proprio come lei. Per quanto ne sapeva, potevano anche essere imparentati.
Il demone le afferrò la mano e la tirò nella propria direzione. «Te l'avevo detto che qui c'è molta più gente. Non lasciarmi e non distrarti così. Siamo quasi arrivati.»
«Ma l'hai visto?» Camminava al fianco di Raziel, ma aveva ancora la testa girata.
«Certo. Qui è più facile vedere i mezz'elfi. Nelle città come questa, gli umani sono abituati a vedere razze differenti. Potrei quasi dire che non ci fanno caso. Eccoci arrivati.»
L'edificio davanti al quale si erano fermati era più grande delle case viste fino a quel momento e pieno di finestre. L'insegna di legno, spaccata in diversi punti, portava disegnata una barca nera e dall'albero spezzato: "la barcaccia".
«È qui che ci raggiungeranno gli altri?» Strinse la mano libera intorno alla chiusura della cappa, mentre osservava le finestre del piano superiore, e deglutì.
«Sì. È il punto d'incontro che usano quando sono da queste parti. Anche se ci sono altre due locande, questa è quella che preferiscono.»
La tirò ed entrarono. La sala era affollata, l'aria pesante e piena di odori, non tutti gradevoli: cibo, sudore, muffa e altri che non riusciva a identificare. Le voci dei presenti si accavallavano, lasciando comprendere solo qualche parola, e diverse persone giravano tra i tavoli portando vassoi e brocche.
Raziel fermò un uomo dai capelli bianchi e con un sorriso sdentato. Dalle parole scambiate tra i due, capì che si trattava dell'oste e che se pure si era accorto di parlare con un demone, lo riuscì a nascondere molto bene: quando prese le monete dalla mano di Raziel, gli diede una pacca sulla spalla e gli indicò un punto nella sala.
Si diressero lì; era un tavolo piccolo, con tre sedie e a ridosso della parete. Solo quando ci si fermarono davanti, Sofia lasciò la mano del suo accompagnatore e si sedette.
Infilò le mani tra le ginocchia e fissò il legno scuro. C'erano ancora diverse cose che voleva sapere e Raziel sembrava ben disposto; anche se non aveva risposto a tutte le domande, le stava dando molte più spiegazioni di quante ne aveva avute fino a quel momento. Prese aria. Come prima cosa voleva sapere qualcosa di più sui Custodi, di cui aveva sentito parlare i suoi amici. Alzò lo sguardo e incontrò quello nero e obliquo del demone. L'aria che aveva dentro premeva per uscire. Aprì la bocca per parlare, ma una mano piccola e veloce posò sul tavolo due boccali.
Alzò di più lo sguardo. La ragazza a cui appartenevano, con due ciocche di capelli sfuggite alla crocchia che le incorniciavano il volto, le sorrise e andò via.
Riportò l'attenzione sul demone; era in attesa, con il gomito poggiato sul tavolo e il mento sulla mano. Il momento era buono. «Vorrei saperne di più su...»
«Prego, signori.» Fecero la loro comparsa una ciotola sbeccata colma di un liquido denso, fumante e scuro, e un pezzo di legno con sopra pane e formaggio. La donna che li aveva portati, con i capelli raccolti in una fascia di stoffa, non la guardò neanche e andò via.
Sospirò guardando il cibo che le era stato portato. Era poco per due persone, ma poteva andare bene.
«Non mangi?» le chiese Raziel.
«Non ne ho molta voglia.» In realtà era solo l'aspetto poco gradevole, ma il profumo che proveniva dalla ciotola non era male.
«Dovresti mangiare ogni volta che te ne si offre l'occasione. Non puoi sapere cosa ti riserva il futuro e devi tenerti in forze. Non ho nessuna intenzione di portarti in braccio o in spalla o raccoglierti a ogni svenimento.»
Sofia sentì di arrossire al solo pensiero e scosse la testa. Portò le mani attorno alla ciotola. «Tu non mangi?» Che domanda stupida; l'aveva chiesto per educazione, ma in realtà non voleva saperlo. Perché se lui avesse risposto cosa lei stava immaginando, probabilmente non sarebbe più riuscita a stargli vicino.
«Non quello che mangi tu. E neanche quello immagini che io possa mangiare. Anche se, di tanto in tanto, non mi dispiace assaggiare cibo da umani.» Stava sorridendo. Si divertiva a prenderla in giro, lo sapeva. Appoggiò entrambe le braccia sul tavolo e si sporse verso di lei. «Non mangio le persone, ma è vero che molti demoni lo fanno. Questo però non significa che io non sia pericoloso» sussurrò e strinse di più gli occhi. «Adesso mangia» aggiunse a voce più alta e tornando a poggiarsi allo schienale.
Sofia mescolò il liquido che aveva nella ciotola. Era denso, intravide qualche tipo di verdura che non riconobbe, riempì il cucchiaio di legno e lo portò alla bocca. Era buono. Così come erano buoni pane e formaggio. Ingoiò un pezzo di pane troppo grande e bevve un sorso d'acqua. Stava mangiando con troppa foga, ma la fame le era tornata.
«Cosa faremo nel frattempo?» chiese prima di riprendere a mangiare la zuppa.
«Potresti andare a riposare in camera.»
«E tu? Riposerai o non fai neanche quello?»
Non andava bene. Fino a quel momento aveva sempre riflettuto sulle parole da dire, non si era mai rilassata abbastanza da lasciarsi andare in una conversazione serena. Invece, in quel momento, stava anche facendo dell'ironia con una persona, un demone, con cui non sapeva se poteva permetterselo.
Azzardò uno sguardo. Sorrideva.
«Farò la guardia» rispose.
Un brivido le scese lungo la schiena, quando immaginò se stessa sola in una stanza con la sensazione di essere osservata dal Piano Astrale. Strinse gli occhi e scosse la testa. «Non c'è altro da fare?»
«Mangiare e riposare sono le uniche cose sensate da fare durante un viaggio, ma se ti annoi potrei portarti a vedere qualcosa che sono sicuro ti piacerà.»
Sofia restò con il cucchiaio a metà strada tra ciotola e bocca. «Non mi sto annoiando.» E non era sicura che lui sapesse cosa sarebbe potuto piacerle. Poteva non ricordare il proprio passato, poteva non conoscere a fondo il mondo nel quale si trovava, ma era abbastanza sicura che i gusti di umani e demoni non erano gli stessi.
«Ti vedo perplessa. Hai qualche dubbio, su cosa?»
No, quello non poteva dirglielo. L'aveva protetta, l'aveva aiutata e le aveva offerto riparo e cibo. Era di certo un tipo inquietante, ma stava facendo molto per lei. Forse voleva davvero farla distrarre.
Posò il cucchiaio e osservò le briciole sul tagliere. «Perché lo fai?» chiese spostando lo sguardo su di lui.
«Faccio cosa?» Raziel aveva aggrottato le sopracciglia. Era la seconda volta che lo vedeva dubbioso.
«Questo» rispose indicando il tavolo e i resti del pasto. «Ti stai prendendo cura di me, perché? Per Astoria? Te lo ha chiesto lei?»
Il demone appianò le sopracciglia. «Non me lo ha chiesto, ma sono sicuro che non avrebbe nulla in contrario e ne sarà felice quando lo saprà.»
«Quindi siete amici? Perché è questo che fanno gli umani quando qualcuno è importante per loro.»
Sorrise, ma non era affatto rassicurante e neanche divertito. «Conosco molto bene il significato che gli umani danno alla parola 'amicizia' e ti dico: no. Non siamo amici. Diciamo che, per il momento, i miei interessi coincidono con quelli di Astoria. Non è la prima volta che aiuto lei e le persone che l'accompagnano, questo lo sai.»
Sofia strinse i pugni. «Tu non li stai aiutando.» Non riuscì a frenare il tremito della voce. «Stanno combattendo. Da soli. Forse sono feriti.» Non riuscì neanche a sfidare lo sguardo obliquo del demone. Portò le mani sotto il tavolo e se le strinse.
Raziel sospirò. «È vero, avrei potuto fare di più.» Fece una pausa che la convinse a guardarlo. «Ma al momento il mio interesse è tenerti lontana dai guai. Andiamo, ti porto a vedere una cosa che ti lascerà di sicuro a bocca aperta.» Si alzò e le tese la mano.
Davvero voleva andarsene in giro per Feria mano nella mano con un demone? Con quel demone? In realtà non aveva molta scelta, in quel momento, e l'idea di dimenticare per un po' ciò che stava accadendo la allettava.
Annuì e accettò l'invito. Gli prese la mano e si lasciò guidare fuori della locanda e attraverso le strade affollate.
Rivide l'uomo che somigliava a Clivia, ma poi si accorse che era una donna. Vide un gruppo di nani parlare vicino a un molo. C'erano diverse navi alla fonda e di più ne erano ormeggiate lungo i numerosi moli. Nessuno badava a loro e presto si lasciarono alle spalle il brusio incessante che aveva fatto da sottofondo alle loro conversazioni e si ritrovarono in una zona frequentata da poche persone.
A differenza degli edifici che aveva visto fino a quel momento, quello che si trovarono davanti era più alto, di pietra grezza e con poche finestre. Ai suoi lati si ergevano alte mura, intervallate, di tanto in tanto, da archi chiusi da spesse grate di ferro scuro.
Fu proprio vicino a uno di questi passaggi che si fermarono. E Sofia restò davvero a bocca aperta.
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