22 - Capitolo 13.1

Oh, sì.

La verità può essere davvero spaventosa

e arrecare più danno di una bugia.

(Sorelai Fenir)


Sofia annuì e ubbidì ad Astoria. Cercando un riparo tra gli alberi, trovò un tronco abbastanza largo con cui farsi scudo, anche se dubitava che avrebbe potuto proteggerla in modo efficace; la discussione tra Lorcan e Raziel era degenerata senza che se ne rendesse conto e non aveva idea di come avrebbe potuto concludersi.

Intanto i toni stavano diventando sempre più aspri. Lorcan urlava e si dimenava sotto il peso di Eric, ma le parole dette da Raziel erano state molto chiare: l'Ordine Radioso, di cui il loro amico faceva parte, aveva avuto una parte importante nella scomparsa dei Custodi, ai quali aveva appena appreso di appartenere.

Avvertì un senso di vuoto allo stomaco; la cosa che aveva dentro, il demone, stava cominciando ad agitarsi. Forse non gradiva ricordare qualcosa che invece a lei sfuggiva. Oppure avrebbe voluto agire insieme a Raziel; magari lo conosceva. E chissà se era stato d'accordo a essere rinchiuso nel corpo di una donna qualunque. Di certo la sua agitazione la stava influenzando. O forse era il contrario. Ma avvertire in modo molto chiaro, nel petto, il battito del proprio cuore non contribuiva a renderla più tranquilla, perché non presagiva nulla di buono.

Sentì l'oscurità che aveva dentro premere contro il sigillo e indurla a guardare in una direzione ben precisa. C'era qualcosa, lì tra la vegetazione. Sì, era sempre più vicina al gruppo e il dolore al petto cominciò a montare e ad aggrapparsi su per la gola, infiltrandosi tra i muscoli delle spalle. Doveva avvisare tutti, ma l'avrebbero ascoltata? O avrebbe solo attirato l'ira di Lorcan su di sé?

Mentre lottava per respirare e contrastare l'ondata di panico che stava per investirla, Raziel alzò lo sguardo verso di lei e poi si mise in piedi. Fu lui ad avvisare tutti. Il senso di costrizione al petto si attenuò, ma trattenne il respiro. Dunque era vero, non si era sbagliata.

Il dolore ricominciò a stringerle la gola. Sola, tra quegli alberi, se avesse urlato, nessuno l'avrebbe soccorsa: i suoi amici dovevano occuparsi del pericolo in arrivo.

La gola le si chiuse del tutto, quando vide aprirsi nell'aria uno strappo, come un coltello contro una tenda. La investì un vento caldo che indugiò attorno a lei, avvolgendola e portandole un odore che le pizzicava le narici.

Il senso di nausea che le fece portare una mano alla bocca, però, fu provocato da ciò che vide affacciarsi dallo squarcio, ormai più simile a una ferita nera aperta sul mondo che credeva ormai di conoscere. Affondò le unghie nella corteccia, e strinse le labbra tra i denti. Non credeva che un orrore del genere potesse esistere, non dopo l'incontro con il demone bianco che voleva divorarla.

La testa di un ragno, ricoperto di peli verde scuro e alto quanto un uomo, si affacciò. Non aveva occhi. Solo la bocca era presente, ma verticale, piena di denti appuntiti e filamenti di bava color fiele; si strinse, fino a diventare un orrendo orifizio dal quale sputò un getto di liquido verde. Sofia sentì la corteccia ferirle un dito, infilandosi sotto l'unghia.

La testa del mostro era sparita e riuscì a respirare solo quando si rese conto che erano tutti illesi, ma non sarebbero stati al sicuro ancora per molto.

La cosa, il suo demone, percepiva ancora la presenza di quell'incubo. E infatti il mostro non tardò a farsi rivedere. Uscì del tutto allo scoperto, lanciandosi contro Astoria.

Sofia aprì la bocca, senza riuscire a urlare. Riuscì a vedere la principessa tentare di proteggersi e Clivia tagliare i due aculei protesi. L'aveva salvata.

Udì l'amica urlare il suo nome e la vide cercarla con gli occhi spalancati. Sono qui. La vide voltarsi verso di lei, indugiare con lo sguardo. Andiamo via. Portami via da qui. Per un attimo, anche se distanti, le sembrò di osservare l'azzurro calmo dei suoi occhi, come una mattina di un tempo che sembrava lontano, seduta sulla pietra calda del balconcino a Castelnovo. Poi la principessa tornò a occuparsi della battaglia.

E Sofia non vide più nulla.

Aveva le vertigini. La nausea le attanagliava lo stomaco. Avrebbe voluto portarsi le mani alla bocca e accasciarsi a terra per vomitare, ma le dita erano strette ancora all'albero. Una miriade di puntini luminosi si stavano accendendo nel buio dei suoi occhi chiusi. Le facevano male, li stava stringendo troppo. E le narici le pizzicavano, piene com'erano di quell'odore acre e pungente che aveva avvertito poco prima.

«Siamo arrivati. Puoi anche lasciarmi.»

Non è vero.

Le dita si allentarono, senza lasciare ciò che stava stringendo. Non era affatto aggrappata all'albero.

«Non ti faccio cadere, ma cerca di non vomitarmi addosso.» La voce non era estranea e sembrava anche deriderla.

Aprì gli occhi e il campo di puntini luminosi lasciò il posto al volto di Raziel.

Allargò le dita e spinse i palmi contro il petto del demone, ma lui la stava trattenendo per le braccia.

«Piano. Rischi di cadere.» Le sorrise. «Se vuoi sederti, posso aiutarti io.»

Provò ad abbassarsi, ma le gambe erano troppo rigide e tremavano e aveva la sensazione che il mondo stesse girando su se stesso, a una velocità folle. Avrebbe voluto dirgli di aiutarla, ma non riusciva a muovere le labbra, fu capace solo di annuire.

Si trovavano vicino a un piccolo ruscello. Prima non se ne era accorta, ma, una volta seduta, sentì il gorgoglio dell'acqua.

«Dove sono tutti gli...» Qualcosa grande quanto un pugno le stava salendo dallo stomaco. Si voltò di lato premendo forte le mani sulla bocca, ma riuscì a non vomitare. «Scusami.» Il sapore che era rimasto, però, era orribile.

«Non preoccuparti.» Il demone si era seduto a gambe incrociate poco distante da lei. «È abbastanza normale, se non ci sei abituata. So che il passaggio da un Piano all'altro è poco piacevole per gli esseri umani. In più noi ci siamo anche spostati e quindi è stato peggio.»

Sofia sentiva l'acido bruciarle la gola e lo stomaco che le faceva male. «Allora suppongo di doverti ringraziare, ma sono svenuta? Hanno ucciso quel mostro?»

«Di nulla. E no, non sei svenuta. Lo spostamento è durato pochi istanti. Inoltre dubito che siano riusciti, in così breve tempo, a liberarsi di quell'essere. È un aracnoide non molto grande, ma piuttosto agguerrito.» Storse il naso. «Spero per loro che non ci mettano troppo, le cose potrebbero volgere al peggio.»

«Cosa?» urlò Sofia di rimando, mettendosi in ginocchio e sporgendosi verso di lui. «Vai ad aiutarli. Che aspetti?» Ritirò la mano appena si accorse di aver indicato una direzione qualunque. Non aveva nessuna idea di dove si trovasse rispetto ai suoi amici, ma il cuore non la smetteva di accelerare.

«Scherzi, vero? Noi da qui non ci muoviamo» rispose strizzandole l'occhio.

«Avevo capito che eri più forte di così.» Sussurrò quelle parole senza neanche rendersene conto. Si lasciò cadere seduta sui talloni e sentì il cuore perdere un battito. Se Lorcan non aveva scampo contro di lui, se Eric stesso avrebbe rifiutato di affrontarlo, lei che possibilità aveva? Non avrebbe dovuto provocarlo a quel modo.

«Ah, Sofia» sospirò e alzò un dito agitandolo. «Questi giochetti con me non funzionano, sai? Puoi offendermi, minacciarmi, ma non mi farai cambiare idea. Dovranno cavarsela da soli.»

Un soffio le sfuggì dalle labbra. Aveva davvero temuto di averlo fatto arrabbiare.

«E, visto che siamo soli» continuò il demone posando le mani sulle ginocchia, «potresti sentirti libera di raccontare o chiedere qualcosa.»

Ma che gentile. Le stava, però, offrendo delle risposte. Stava dimostrandosi una persona diversa da quella che era sembrata in un primo momento. Più lo conosceva, più le riusciva naturale essere in sua compagnia. E il demone dentro di lei era tranquillo.

«Dici sul serio? Davvero posso chiederti qualunque cosa?»

«Non ho detto "qualunque", ma sì, puoi chiedermi ciò che vuoi. Se poi potrò o saprò risponderti è un'altra questione.» Stava sorridendo.

E lei sentiva la necessità di avvicinarsi. Si era appena ricordata che avrebbe voluto osservare quegli occhi scuri più da vicino, e si era lasciata sfuggire l'occasione proprio pochi istanti prima.

«Perché alla locanda ho sentito la tua presenza e adesso non la sento? Sei qui, ti vedo, ma non è la stessa cosa.»

Raziel fece una smorfia prima di rispondere. «La spiegazione è semplice. Gli esseri umani sono dotati di Corpo Fisico e Corpo Astrale, entrambi ancorati e inseparabili fino alla morte di uno dei due.» Aveva mostrato i palmi delle mani, poi li aveva uniti e poi di nuovo separati. Il concetto le era chiaro, non aveva dubbi. «Anche noi demoni abbiamo due corpi, ma possiamo muoverli in modo indipendente l'uno dall'altro. Quello che tu avverti è il movimento dei flussi di energia nel Piano Astrale, o anche di un Corpo Astrale in quel piano dimensionale, che, essendo fatto della stessa essenza di tutto il Piano a cui appartiene, ha una propria traccia che è possibile distinguere e identificare.»

Il concetto era chiaro, certo, ma tutte quelle nozioni stavano facendole perdere il senso della domanda fatta. «Quindi, ricapitolando, tu mi hai seguita fino alla camera e nello stesso tempo parlavi con gli altri a tavola?»

«Sì, è andata proprio così.» Annuì sorridendo.

«E perché adesso non ti sento? È perché sei "fermo"?»

«No» rispose ridacchiando. «Mi avvertiresti comunque, anche se in modo meno chiaro. Esistono artifici in grado di mascherare i movimenti nel Piano Astrale. È questo il motivo per cui non hai più avvertito la mia presenza.»

«L'altra sera,» continuò Sofia, «dopo che hai lasciato il campo, hai visto un altro demone?»

«Questa è una questione che non ti riguarda.» Le mosse l'indice davanti agli occhi. Non era arrabbiato, almeno non lo mostrava.

Sofia si morse il labbro. È il momento. Glielo chiedo. Spero solo che la risposta non sia troppo brutta. Sempre se avrò una risposta. «La cosa, il demone sigillato dentro di me, ti conosce?» Lo chiese in un unico respiro. Non avrebbe mai creduto di avere tanto coraggio.

Raziel non cambiò espressione. La domanda non sembrava averlo turbato, anzi, cominciò a ridere. «Devo ammettere che non mi sarei aspettato una domanda del genere.»

Sofia era in attesa. Da seduta era passata carponi senza neanche accorgersene, se non quando il demone prese a ridere più forte.

«No, basta. Scusami» disse Raziel smettendo di ridere e agitando una mano, ma restando comunque sorridente. Sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ci sono molte cose che dovresti sapere, è vero, ma questi non sono né il momento , né il luogo adatti.»

«Quindi è così, ho ragione.» Si era raddrizzata, sedendosi sui talloni e battendo le mani. «Se tu non conoscessi il demone che ho dentro, mi avresti risposto di no, allora...»

Raziel si sporse verso di lei. Erano molto, troppo vicini. Non si lasciò sfuggire l'occasione: gli occhi di Raziel erano neri, certo, ma vedere la linea verticale, ancora più nera, che si trovava al centro le provocò un'ondata di gelo.

Lui le poggiò un dito sulle labbra. «È un segreto, per adesso» sussurrò.

Sofia sgranò gli occhi e indietreggiò, per quanto la posizione glielo permise, per liberarsi del contatto. «Ma non è giusto. Hai detto che avrei potuto farti delle domande e poi non rispondi?» Ne aveva, tante, e lui ci stava girando intorno, rispondendo solo a ciò che voleva. E forse aveva sprecato la possibilità di porre le domande giuste solo per una curiosità, che ormai non le sembrava più tanto importante.

«È vero, ma ho anche detto che non avrei potuto o saputo rispondere a tutte.» Era tornato anche lui alla posizione che aveva prima, puntellandosi con le mani sul terreno e rilassando la schiena.

«Va bene, allora posso riprovarci? Con un'altra domanda, intendo.» Doveva riuscirci. Si sentiva come se stesse per spiccare un salto dal ciglio di un burrone, per aggrapparsi a qualcosa che la sostenesse.

Raziel annuì.

E da quale avrebbe potuto cominciare? Partendo dal suo risveglio a Castelnovo, non riuscì neanche a contare quante cose aveva da chiedere; le domande le travolsero la mente.

Gli occhi rossi che la perseguitavano appartenevano al demone sigillato dentro di lei, ne era quasi certa, ma perché si trovava lì? Perché non ricordava il suo passato? Quanto tempo era stata rinchiusa in quella grotta e perché? Chi ce l'aveva messa? Chi era lei davvero?

«Un giorno saprò chi sono e cosa mi è successo?» Non era proprio la domanda che aveva in mente, ma le uscì spontanea e non provò neanche a fermarla.

«Ma certo.» Sorrideva. E non la inquietava, né la infastidiva.

Il ruscello scorre ancora, madre. La frase, pronunciata con la sua voce, le rimbombò nella mente. E fu come se se ne rendesse conto solo in quel momento. A dispetto di tutto quanto era accaduto, il ruscello scorreva. Vide due uccellini rincorrersi; un piccolo roditore stava aggirandosi ai margini della vegetazione oltre l'altra sponda; degli insetti ronzavano intorno a un gruppetto di piccoli fiori gialli.

Esisteva un mondo. Un mondo profumato e colorato. C'era vita oltre il sigillo che aveva dentro. C'erano persone che stavano svolgendo le proprie occupazioni, lì da qualche parte. Riuscì a sciogliere il nodo che le stringeva la gola fin dal suo risveglio. Fu la prima volta. E durò un battito di ciglia. I suoi amici erano ancora dispersi chissà dove, a combattere una battaglia che avrebbe potuto far loro del male.

«Quando torneremo dagli altri?» Lo chiese senza voltarsi a guardarlo. Non aveva voglia di fronteggiare un altro rifiuto, anche se, immaginava, sarebbe arrivato lo stesso.

«Mai.»

Si girò a guardarlo. Era tranquillo, nonostante avesse appena detto che non li avrebbe più rivisti. Ecco rivelate le sue intenzioni. Forse stava aspettando il demone con cui aveva parlato l'altra notte. Forse non le era poi andata davvero bene.

Lo vide aggrottare le sopracciglia e si accorse, per la prima volta, che erano sottili e nere ed erano sempre state appianate.

«Cos'hai?» chiese Raziel.

Sofia si sentì mancare e appoggiò le mani a terra per sostenersi. Non aveva neanche la forza di protestare. Per fare cosa, poi? Per obbligarlo a riportarla indietro? Avrebbe urlato e picchiato i pugni a terra, se ne avesse avuto la forza. Invece riuscì appena a stringere qualche filo d'erba. Era fresca e umida.

Il demone spalancò gli occhi e poi rise. Ancora. Divertito.

«Scusami, davvero.» Agitò la mano davanti al viso e scosse la testa. «Ciò che intendevo era che, di certo, non ti riporterò indietro. Li aspetteremo qui, siamo a pochi passi dal sentiero che porta a Feria.» Indicò un punto alle spalle di Sofia. «Vedi? Proprio in quella direzione, dietro l'ansa, si trova il ponte che porta in città. Devono passare di qua e, anche se siamo un po' nascosti, me ne accorgerò se dovessero arrivare.»

Lei aveva paura di quel demone. Sapeva che le parole di Eric erano vere. Aveva visto Raziel evitare i colpi di Lorcan con troppa facilità. Lo aveva visto bloccare l'attacco del ragno senza neanche muovere un dito. L'aveva salvata allo stesso modo. Eppure avrebbe voluto picchiarlo, strozzarlo, fargli male.

«Però ti vedo troppo pallida.» Si era avvicinato di nuovo, serio e le aveva alzato il viso con un dito sotto il mento. «Sì. Forse sarebbe meglio aspettarli in città. Ce la fai a camminare?»

Sofia annuì. Non riusciva a parlare. Dentro aveva un groviglio di sentimenti: sollievo, rabbia, paura.

La aiutò ad alzarsi e la tenne per mano, tirandola e spostando i piccoli rami bassi che bloccavano il cammino.

«Visto? Ecco la strada e lì giù il ponte.» Era soddisfatto, sorridente e in attesa di un ringraziamento o un complimento, ne era certa. Invece avrebbe solo voluto tirargli un pugno sul naso. Proprio lì al centro di quegli occhi neri e obliqui.

«È vero, allora» riuscì a parlare, stupendosi di avere ancora tanta forza.

«Certo che lo è. Io non mento mai» disse scuotendo la testa. Le strinse di più la mano, costringendola a seguirlo lungo la strada sterrata e polverosa.

Riusciva a camminare, in fondo. Un passo dopo l'altro. L'odore di terra misto a erba era anche piacevole e le ricordava qualcosa. Una strada simile a quella, forse con più alberi. E alla fine, invece di un ponte, una chiesa. Ricordò le proprie mani che sbattevano e grattavano il legno. E ricordò anche il motivo per cui lo faceva. E urlò. Forte. Perché erano lì davanti a lei. Era lei a urlare, e gli occhi rossi la stavano fissando.

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