17 - Capitolo 11.1

Eppure paura dovrai averne.

Senza di essa sarai facile preda

della sicurezza e dell'errore.

(Sorelai Fenir)


Sofia si svegliò prima delle sue compagne. La camera era immersa nel buio, eccetto per le lame di luce che filtravano dalle pesanti imposte di legno.

Si alzò a sedere; era accanto ad Astoria mentre Clivia aveva dormito su un materasso che il locandiere aveva sistemato a terra la sera precedente. Avevano deciso di dormire tutte insieme come precauzione. Il fatto che Areina fosse in circolazione e forse interessata a lei aveva convinto tutto il gruppo della necessità di restare sempre uniti e di non perderla di vista.

Dal canto suo, Sofia si sentiva a disagio con tutta l'attenzione che si era creata su di lei e la giornata precedente era stata piena di rivelazioni.

Tornò stesa e si girò sul fianco, dando le spalle al muro e scrutando la penombra. In fin dei conti apprendere che Raziel era un demone non era stata una notizia tanto inaspettata, visto che in sua presenza avvertiva sensazioni simili a quelle provate con Areina. Però lui la spaventava più della maga di corte, pur non avendola minacciata in alcun modo. Forse perché sembrava troppo interessato a lei, mentre Areina le aveva semplicemente portato il cibo limitandosi a ignorarla.

Tirò le ginocchia al petto e la coperta fin sotto al naso. La sera precedente, prima di addormentarsi, aveva fatto visita alla bambina con il coniglio di pezza e aveva trovato il sigillo ancora al suo posto. Osservandolo meglio, era riuscita a distinguere diverse parti, come fossero motivi indipendenti ma tra loro collegati da disegni più piccoli.

Gli altri, non lei, avevano anche preso la decisione di dirigersi a sud; consultare l'Oracolo di Trinacris era sembrata la decisione che avrebbe comportato meno rischi per tutti. Andare verso nord sembrava più pericoloso, perché nessuno aveva idea di come l'Ordine Radioso avrebbe reagito se si fosse diffusa la notizia del suo ritrovamento. Anche Lorcan aveva cominciato a nutrire delle riserve a riguardo; lui ed Eric avevano sentito voci inquietanti su morti usciti dalle tombe lontano dai confini settentrionali e più vicini a Città del Guado. Tutti luoghi di cui Sofia ignorava l'esistenza.

«Buongiorno, dormito bene?» chiese Clivia, riportandola alla realtà.

Stava per mentirle; di certo era una bugia innocua, ma una vocina interiore la convinse del contrario. Non dire la verità su ciò che portava dentro era già abbastanza. Scosse la testa. «Il letto al castello era più comodo.» Allungò le gambe sotto la coperta e portò una mano sotto al cuscino. «E poi ci sono troppe cose che dovrei sapere.» Strinse gli occhi guardando la sagoma di Clivia muoversi oscurando le lame di luce delle imposte. «Chi sono e perché sono stata rinchiusa in quel modo, per esempio. Perché mi hanno fatto una cosa del genere? Che razza di persona sono stata?» Ci aveva pensato tutta la notte, alternando fasi di veglia a sonno leggero.

«Hai ragione» rispose Clivia dirigendosi verso la finestra. Sofia ne osservò i movimenti nella penombra, fino a quando la stanza non fu inondata dalla luce. Con una mano a ripararsi gli occhi, cercò di seguire la figura che si avvicinava al letto.

«Non posso darti torto ma di certo non ti abbandoneremo.» Si fermò al fianco di Astoria, che stava dormendo con la faccia affondata nel cuscino e le mani di sotto.

Clivia le strizzò l'occhio e si abbassò vicino all'orecchio dell'amica. «Sveglia!» urlò.

La principessa ebbe un sussulto e si mise carponi, guardandosi intorno con gli occhi e la bocca spalancati. Quando lo sguardo si posò sulla mezz'elfa, inarcò le sopracciglia. «Stupida! Stupida! Stupida! Mi hai fatto prendere un colpo! Ma che ti è saltato in mente?» Raccolse i cuscini, prendendo anche quello di Sofia, e li lanciò contro l'amica, che li bloccò entrambi.

«Sta' attenta, Clivia» disse la principessa stringendo gli occhi, «Prima o poi ti coglierò di sorpresa. E allora...»

«Quel giorno non arriverà mai» canticchiò lei di rimando.

Si sistemarono, uscirono dalla camera e bussarono a quella occupata dai componenti maschili del gruppo. Fu Eric ad aprire e Sofia ebbe la stessa impressione di quando lo vide la prima volta; il guerriero occupava tutta l'apertura della porta e dovette abbassare la testa per poter uscire.

Quando entrò nella sala comune della locanda, Sofia sentì una morsa allo stomaco. Sapeva che lo avrebbe trovato lì, lo sentiva più che altro, eppure rivederlo dopo quanto appreso il giorno prima le provocò un'ondata di panico e disagio. Raziel era seduto allo stesso tavolo che avevano occupato la sera precedente, quando avevano deciso la direzione da prendere e le erano stati raccontati alcuni episodi che riguardavano proprio il demone. Aveva la spiacevole sensazione che avessero raccontato solo i più divertenti e utili alla situazione, per aiutarla ad accettare un compagno di viaggio come lui.

Fu trascinata da Eric, che le cinse le spalle con una delle sue enormi braccia e la costrinse a seguirlo verso il tavolo. In un'altra situazione, quell'abbraccio fraterno sarebbe stato l'ideale per rinfrancarle il cuore, ma era certa che non sarebbe stato un valido aiuto contro un demone. Non che Raziel avesse dato segno di volerle fare del male, anzi. Durante la breve chiacchierata avuta appena arrivati si era dimostrato piuttosto amichevole, dicendole in modo chiaro ed esplicito di non cacciarsi nei guai.

Arrivati al tavolo, il guerriero la fece sedere e prese posto proprio al suo fianco, come fece anche Astoria. Quelle due persone, che conosceva da pochissimo tempo, stavano facendo di tutto per alleggerire il peso che sentiva gravare sulle proprie spalle.

Alla fine furono proprio Lorcan ed Eric a trovarsi vicino al demone.

«Visto che sei qui» esordì la principessa rivolta a Raziel, «suppongo tu abbia svolto tutti i tuoi affari.»

«Affari personali» borbottò Lorcan. «Di sicuro misteriosi, se non loschi. Comunque avresti anche potuto raggiungerci più avanti, oppure mai. Nessuno si sarebbe sentito offeso.»

«Lo so che vi sono mancato, ma sono una persona molto impegnata, questo lo sapete. Nonostante ciò, mi sento di rassicurarvi che è mia intenzione seguirvi ovunque andiate. A tal proposito, dov'è che andrete? Suppongo avrete preso una decisione, vero? Come si dice? 'La notte porta consiglio'. Per voi è stato così?»

Sofia aveva la nausea. Lanciò un'occhiata ai suoi compagni al tavolo e azzardò anche a guardarsi intorno; si sentiva osservata ma nessuno la stava guardando.

«Cammineremo fino a Feria» rispose la principessa a braccia conserte. «Lì conosco chi può procurarci un paio di draghi. Poi ci dirigeremo a Trinacris.»

«Però!» esclamò il demone. «Volete consultare l'Oracolo, quindi.»

«Perché?» La principessa si avvicinò di più al tavolo poggiandoci le braccia. «Credi sia una cattiva idea?»

«Oh, no. Assolutamente» rispose Raziel agitando le mani e scuotendo la testa. «La mia è solo una constatazione. Seguirò i vostri passi senza interferire.»

«E, di grazia, sarebbe possibile sapere perché ci segui 'senza interferire', questa volta?» chiese Lorcan accigliato.

«Ovviamente no» rispose voltandosi verso di lui. Forse Sofia si stava facendo influenzare da ciò che sapeva, ma le sembrava che Raziel la stesse osservando, nonostante fosse intento a parlare con il chierico.

Si avvicinò un ragazzo molto giovane a cui fu chiesto di portare qualcosa da mangiare.

«Posso farti una domanda?» chiese Astoria, sempre rivolta al demone. «E vorrei che mi rispondessi.»

«Non ti prometto nulla» rispose lui alzando le spalle «ma cercherò di fare il possibile.»

La principessa scosse la testa. «Lo sai che il Gran Maestro dell'Ordine Radioso è cambiato da poco?»

«Oh, sì. Ne ho sentito parlare, davvero una tragedia per l'ordine. E ho sentito parlare anche del nuovo Gran Maestro. Isabella Gonzalo di Narvaga, che donna affascinante.» Raziel rispose appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle dita intrecciate. «Ma, se ti conosco bene, la tua domanda è un'altra. Quindi non girarci intorno.» I suoi occhi, già sottili, si ridussero a due fessure scure che fecero rabbrividire Sofia.

«Tu sai chi ha ucciso il Venerabile Timoteus e perché, vero?»

Tutta l'attenzione era rivolta al demone, aveva in pugno il respiro dei presenti. Anche se Sofia ignorava di cosa stessero parlando, la tensione era tale da farle capire che doveva essere un argomento molto importante. Lorcan aveva le mani serrate; Clivia scrutava da sotto le ciglia blu ma le sue mani erano più distese, ferme nell'atto di accarezzare le assi del tavolo; Astoria si era quasi stesa sul tavolo, pur di avvicinarsi il più possibile alla fonte del suo interesse; Eric, invece, era abbandonato contro lo schienale della sedia e osservava il soffitto.

«E con queste fanno tre domande.» Sorrise e mostrò tre dita ma Sofia non vide nessuna allegria su quel volto liscio e chiaro. «Tuttavia risponderò. Conosco molto bene chi lo ha divorato e so perché lo ha fatto.»

«Divorato?» balbettò Astoria.

Divorato. Sofia portò la mano al petto, afferrando con le dita la stoffa della camicia. Sentiva rifarsi vivo il dolore profondo e lancinante, fin dietro la schiena, tanto da mozzarle il respiro. Deglutì e avvertì un sapore amaro. Divorato.

Eric era tornato a rivolgere la sua attenzione ai compagni e Clivia poggiò la mano sul braccio di Lorcan, stringendolo, mentre le nocche del chierico sbiancarono.

«Oh, non lo sapevate?» aggiunse Raziel poggiando la schiena alla sedia e portandosi una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio.

Lorcan batté il pugno sul tavolo e si sarebbe alzato anche in piedi, se Clivia non lo avesse fermato.

«Perdonatemi, signori» disse una voce tremante.

Sofia alzò lo sguardo sul giovane che stava portando due vassoi con del pane, della frutta e due caraffe con i boccali. Astoria gli fece cenno di lasciare tutto sul tavolo. Obbedì e andò via; l'impressione era che avrebbe corso, se non avesse temuto di essere sbattuto fuori dal padrone.

«Tu, lurido...» Lorcan stava indicando Raziel che, per tutta risposta, passò in rassegna l'intero gruppo e continuò, agitando una mano come per esortarli. «Suvvia, mangiate pure. Posso capire che l'argomento per voi non sia dei più piacevoli, ma non vorrete farmi credere che vi ho fatto perdere l'appetito?»

Sofia voleva sparire, tornare a dormire o qualunque cosa avesse fatto negli ultimi tempi. Quello era un mondo orribile, abitato da creature spaventose e una di quelle era probabilmente sulle sue tracce, mentre un'altra sedeva proprio di fronte a lei.

«Devo andare.» Sofia lo sussurrò più a se stessa che agli altri.

«Cosa?» chiese Astoria.

«Devo andare» ripeté a voce più alta e alzandosi. Purtroppo aveva attirato l'attenzione di tutti. Di Eric, al suo fianco, che aveva lasciato a metà la pagnotta che stava addentando. Di Clivia e Lorcan che di sicuro stavano chiedendosi cosa stesse accadendo. E di Raziel, che l'aveva trafitta con uno sguardo che di interrogativo non aveva nulla. «In camera. Sì, devo andare in camera. Ho bisogno di sistemare meglio questi vestiti. Scusatemi, potete anche mangiare, tanto non ho fame.»

Non attese neanche una risposta. Si allontanò e si voltò solo quando arrivò all'arcata che dava sulle scale, sperava di riuscire a rassicurare tutti. Astoria e Clivia la stavano ancora osservando; le salutò con la mano e un sorriso e cominciò a salire i gradini, senza fretta, anche se le dita che sfioravano la balaustra stavano tremando.

Arrivò in camera, al primo piano. Sentiva ancora gli occhi di quel demone seguirla, come se fosse con lei lungo le scale e nel corridoio. No, non sarebbe diventata il suo pranzo, la sua cena o chissà che cosa. Forse a malapena uno spuntino, visto che non riusciva neanche a riempire quei vestiti.

Osservò le sacche di Astoria e Clivia. Avrebbero capito il suo gesto? Forse no, ma di sicuro non l'avrebbero condannata. Non riusciva a comprendere come potessero tollerare la presenza di un individuo simile. E solo il pensiero delle cose orribili che Areina avrebbe potuto farle, e che forse le avrebbe fatto, la convinse che fuggire era la decisione giusta. In fondo una sola persona avrebbe di certo dato meno nell'occhio dell'intero gruppo, armato e appariscente com'era.

Si sporse dalla finestra. Non sembrava più alto di quanto non fosse stato il salto che era stata costretta a compiere per fuggire da Castelnovo. Però non c'era Eric a prenderla. Invece sentiva ancora lo sguardo di Raziel che la seguiva. Non riusciva a togliersi quella sgradevole sensazione di dosso, ma era sicura che sarebbe sparita appena lontana da quel posto.

Si augurò che nessuno la vedesse o passasse di lì e poi scavalcò, sedendosi con le gambe di fuori e voltandosi verso l'interno della stanza. Si aspettava di vedere Raziel da un momento all'altro tanto ne avvertiva la presenza, ma forse era solo la sua immaginazione.

Tornò a guardare fuori dalla finestra.

Avanti, puoi farcela.

Ruotò, dando le spalle al vuoto e si lasciò penzolare appesa solo per le mani. Non sarebbe riuscita a mantenersi a lungo e si lasciò cadere.

Il salto fu breve e piegando le ginocchia riuscì ad attutire l'atterraggio senza farsi male e cominciò a correre verso l'uscita della città. Riconobbe la strada che avevano seguito il giorno prima e la percorse in senso inverso. Non voleva tornare al castello. Sarebbe andata ovunque ma non sarebbe tornata in dietro. Sarebbe riuscita a sopravvivere da sola, lontana da demoni mangiatori di uomini, da grandi maestri e ordini di qualsiasi genere. Sì, non sarebbe stato difficile sparire, in fondo, visto che chissà quanto tempo prima era stata chiusa in quella grotta senza che nessuno si occupasse di lei.

Rallentò solo quando cominciò a scorgere gli alberi al di là delle case. Aveva già l'affanno e probabilmente non aveva corso per molto tempo. Eppure si sentiva meglio, più leggera e ottimista. La luce del sole aveva schiarito quel velo di oscurità che sembrava avvolgerla nella locanda ed era passata la brutta sensazione che Raziel la stesse spiando. Eric e Astoria capiranno, sì. Potranno tornare alle loro occupazioni di tutti i giorni senza dover pensare a me.

Certo, forse un po' avventata lo era stata. Non conosceva il luogo in cui si trovava e non aveva monete per procurarsi del cibo ma avrebbe trovato un modo per guadagnarne, magari come serva in una taverna. Non serviva di certo molta preparazione per servire ai tavoli.

Inspirò a fondo. L'aria aveva un sapore nuovo, più dolce, come se stesse respirando per la prima volta dopo tanto tempo. Allargò le braccia, fece una piccola corsa e la terminò con un saltello.

Quando ebbe riunito i piedi, però, avvertì il cuore che le batteva in gola. La cosa che aveva dentro si era agitata.

Sofia si guardò intorno ma non vedeva pericoli, solo la strada polverosa e gli alberi mentre le case ormai erano alle sue spalle. Riprese a camminare, scrutando ogni ombra che vedeva tra gli alberi, sobbalzando a ogni fruscio e deglutendo a ogni passo.

La sensazione di essere osservata e seguita era tornata ma non sapeva chi fosse a metterla in allarme. Di certo non erano Areina o Raziel perché li avrebbe riconosciuti e forse si trattava solo della sua immaginazione. Il dolore al petto si era ripresentato ed era risalito ai lati della gola, soffocandola e stringendola dall'interno, fino alla base della lingua.

«La donna ha bisogno di aiuto» disse una voce stridula.

Si congelò nell'atto di camminare. Non osava voltarsi verso la voce, perché sapeva che era stato un demone; la sensazione provata era troppo simile a quella che aveva sentito in presenza di Raziel.

Indietreggiò di due passi. Voleva scappare, ma nulla al mondo l'avrebbe convinta a dare le spalle a qualunque cosa si trovasse davanti a lei. Ci provò. Doveva provarci. Alzò lo sguardo e non vide altro che la strada polverosa e alberata.

«Paura.»

Eccola, di nuovo. Dalla sua destra, però.

«La sento, sì. La donna ha paura.»

Indietreggiò ancora, voltandosi verso il suono della voce ma vide ancora alberi e ombre. Questa volta, però, la cosa che aveva dentro si stava agitando e premeva contro ciò che la tratteneva.

«La donna deve correre. Deve fuggire. La donna ha paura.»

Ancora dalla strada ma questa volta l'aria davanti a lei tremò, si offuscò e apparve una figura umana, bassa e del tutto bianca. Gli occhi, però, erano due fessure rosse poste sopra una bocca enorme.

Sofia non attese oltre. Voltò le spalle al demone e corse verso la città. Forse Astoria e gli altri erano sulle sue tracce. Forse la Dea, che tanto pregavano, li avrebbe indirizzati nella giusta direzione, per salvare una stupida che credeva di poter risolvere i suoi problemi fuggendo dalle sole persone che le avevano mostrato amicizia. E avrebbe anche sopportato la presenza di Raziel. Purché fosse sopravvissuta.

Inciampò e cadde. Provò a rialzarsi, ci provò con tutta se stessa ma aveva un piede bloccato.

«Dove va la donna? Deve scappare. Ma non può. No, perché è stata presa.»

Una mano, dalle dita lunghe e completamente bianche, spuntava dal terreno e le avvolgeva la caviglia.

Sofia agitò la gamba per liberarsi, prese a calci la mano con il piede libero, ma tutto ciò che ottenne fu una risata agghiacciante.

La vista le si appannò e sentì le lacrime scenderle lungo il viso, mentre il terreno le entrava sotto le unghie facendole male. Ma il dolore, quello vero e lancinante, arrivò dalla caviglia. Sentì il rumore delle ossa spezzarsi nella morsa. E urlò. Per il dolore e il terrore. Sarebbe morta. Sarebbe stata divorata come quel Timoteus di cui aveva sentito parlare e tutto a causa della sua stupidità.

Tra le lacrime, vide il demone affiorare vicino ai suoi piedi, accucciato come un enorme gatto con la testa inclinata e le fauci spalancate.

«La donna deve fuggire.» Raddrizzò la testa e sibilò. «Altrimenti non è buona. Deve essere afferrata e fatta a pezzi. Deve fuggire.»

Il terreno continuò a infiltrarsi sotto le unghie e le riempì bocca e narici, sentì la polvere impastarle la lingua. Riusciva a strisciare, ma il dolore era troppo forte, la testa pulsava e il respiro non riusciva a uscirle dalla gola, troppo stretta per lasciar passare l'aria.

«E sia.» La voce del demone sembrò quasi rattristata.

Intanto continuava a strisciava e il dolore la seguiva. La cosa era così agitata che avrebbe sfondato qualunque cosa la tenesse rinchiusa dentro di lei, ma tanto non avrebbe avuto importanza, perché stava per morire.

«La donna deve guardare. Deve guardare mentre viene mangiata.»

Ubbidì, come se fosse stata sotto l'effetto di un incantesimo. Il demone era ancora accucciato a pochi passi da lei.

«Sofia!»

Astoria! Quella era la sua voce. Si voltò verso la città e vide la mole di Eric avvicinarsi, insieme agli altri di cui non distingueva le sembianze.

«Qui!» gracchiò Sofia con tutte le forze rimaste. Ma la speranza fu spezzata dalla stessa risata agghiacciante di prima e da un muro di fiamme che si sollevò tra lei e i suoi amici, sul cui sfondo apparve il demone bianco.

«La fortuna è tornata.» Un ghigno osceno e rosso si aprì come una ferita su quella testa bianca. «Ci sarà più cibo, oggi.» Si acquattò e scattò verso di lei, con la bocca e gli occhi spalancati, le lunghe dita bianche tese verso di lei; erano artigli che l'avrebbero dilaniata senza alcuno sforzo. Era davvero finita. Eppure il demone sparì in un vortice di scintille bianche. La polvere argentata le passò oltre, continuando la traiettoria che aveva quando costituiva ancora il corpo del mostro.

«E dire che ti avevo avvisata, Sofia.» Raziel, sorridente e con le mani dietro la schiena, apparve dove si trovava il muro di fuoco, ormai ridotto a poche e basse lingue che andavano estinguendosi.

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