15 - Capitolo 9.2

Nei giorni che seguirono, Sofia fece più volte visita alla bambina. Ormai si era convinta che fosse una sorta di coscienza. Si abituò anche alla presenza della massa oscura che si agitava senza sosta dietro al sigillo. Riusciva a percepirla, ormai, senza dover scendere nelle profondità di se stessa; era semplicemente parte di lei ma comunque ben distinta dal suo essere. Si accorse che quella cosa oscura reagiva alla presenza di Areina, ne avvertiva la presenza dietro alla porta, in giro in quella sorta di biblioteca che aveva visto e imparò a sfruttare la situazione a suo vantaggio, facendo finta di dormire ogni volta che la sentiva avvicinarsi: Areina apriva la porta, le lasciava acqua e cibo e usciva senza parlare. Ogni ingresso della maga, però, le faceva balzare il cuore in gola perché Sofia si aspettava che torture ed esperimenti cominciassero da un momento all'altro. Così non fu e accadde che un giorno Areina non venne a ritirare il vassoio, non le portò neanche il successivo e Sofia non ne avvertiva più la presenza. Percepiva solo il globulo luminoso che era sempre presente nella sua prigione.

Senza la presenza di Areina, non riusciva a capire quanto tempo fosse trascorso. Poteva vedere la luce in alto provenire dalla grata, ma in realtà non sapeva neanche se desse sull'esterno del castello. Riusciva a dormire, in modo troppo leggero per poterne trarre il giusto beneficio, ma ormai le ore si somigliavano tutte e solo i morsi della fame riuscivano a scandire il trascorrere del tempo.

Furono il brontolio del proprio stomaco e la sete a svegliarla. Si alzò e prese la caraffa; conteneva ancora dell'acqua, calda e poco piacevole da bere. Sofia si avvicinò il bordo alle labbra e ne bevve un sorso, sforzandosi di non terminarla. Non aveva idea di quando la maga sarebbe tornata, né se tutto questo faceva parte di una specie di tortura nei suoi confronti. Probabilmente sarebbe morta di stenti, dimenticata in quel fetido anfratto del castello.

Quando posò la caraffa sentì un rumore provenire dalla stanza dove di solito si trovava Areina, ma non si trattava della maga. Dalla grata in alto non proveniva nessuna luce e poteva essere notte.

Ci fu un altro rumore e la serratura della porta scattò. Sofia indietreggiò, poggiando la schiena contro il muro in fondo alla prigione. Non era la maga che stava armeggiando vicino la porta, lei entrava e basta e, soprattutto, Sofia riusciva a percepirla. Qualcosa stava agendo per aprire quella prigione e non si trattava di un semplice attrezzo da scasso. Perché so una cosa del genere?

Si appiattì ancora di più contro il muro. Non sarebbe servito a nulla, se ne rendeva conto, ma non riuscì a evitarlo.

Ci fu uno scatto più forte. «Ah, finalmente!» La porta si aprì ed entrò Astoria, seguita dall'inconfondibile mole di Eric.

Sofia non provò neanche a trattenersi e corse verso la principessa, abbracciandola e piangendo, finalmente libera dal peso che la opprimeva.

Astoria le accarezzò la testa e poi la scostò, guardandola in volto. «So che sei felice di vedermi» le disse sorridendo «ma dobbiamo affrettarci. Non so quanto Areina starà via. Ce la fai a camminare?»

Annuì, senza riuscire a parlare. La luce bianca e fredda della sfera illuminava i suoi amici venuti a salvarla. Eric mostrava le spalle, intento a controllare l'interno della biblioteca che li separava dal corridoio.

Astoria le prese la mano e, insieme, si incamminarono nella stanza. C'era molta meno luce rispetto all'ultima volta che ci era stata, solo una seconda sfera luminosa volteggiava placida nell'aria. Seguendo i movimenti della principessa, fu attirata nella sua mano dove si poggiò, rimpicciolì e sparì.

Camminarono senza fermarsi, a passo svelto ma evitando di correre. Astoria avanti, Sofia nel centro ed Eric a controllare che nessuno li seguisse. Ma Sofia non riusciva più a provare la stessa sensazione di sollievo provata poco prima. Ogni ombra che oltrepassavano prendeva la forma slanciata della maga. Ogni piccolo barlume di fiaccola le ricordava il luccichio sinistro che le aveva visto negli occhi. Sentiva un dolore pungente irradiarsi dal petto alle spalle, mozzarle il fiato, ma la mano di Astoria era sempre lì, pronta a sostenerla ed esortarla ogni volta che i suoi passi esitavano.

Sofia non riusciva a orientarsi; di certo avevano percorso meno scale di quante ne aveva discese con il generale e, quasi di sicuro, non la stavano riportando nella sua camera, non avrebbe avuto un senso logico. Era riuscita, però, a capire che davvero era notte; dalle piccole feritorie che si aprivano, di tanto in tanto, in quei corridoi vuoti e poco illuminati riusciva a scorgere il cielo buio.

Si fermarono davanti a una porta di ferro. La principessa le lasciò la mano, facendole provare un'ondata gelida, estrasse un mazzo di chiavi dalla tracolla e scelse quella che fece scattare la serratura. Facendo cenno di attendere, entrò per prima. Riapparve poco dopo, invitandoli a seguirla.

Era un magazzino che conteneva stoffa grezza, almeno era ciò che si poteva vedere nella fredda luce del nuovo globo che brillava tra le mani della principessa. Quella piccola sfera bianca le ricordò la stanza in cui era stata prigioniera. Se la fuga fosse fallita, era di certo lì che sarebbe dovuta tornare, ma preferì non immaginare in quali condizioni ciò sarebbe avvenuto.

«Non preoccuparti» sussurrò Astoria guardandola in viso «ti tireremo fuori di qua.» Lasciò la sfera galleggiare a un palmo dal naso di Sofia e si diresse verso un cumulo di stracci, uno dei tanti, vicino all'unica finestra chiusa da una spessa grata.

Un ronzio nella testa la costrinse a osservare meglio ciò che la principessa stava facendo: muoveva le mani al di sopra del mucchio di stracci e mormorava parole senza senso. Però qualcosa stava accadendo. Lo percepiva, come era accaduto per la presenza di Areina e anche poco prima che apparissero i suoi amici. L'aria intorno agli stracci tremolò, si offuscò e apparvero due sacche piene.

Astoria prese di nuovo le chiavi e ne scelse un'altra che aprì la grata. Eric raccolse entrambe le sacche e si affacciò, guardò la principessa, che annuì, e le gettò al di là del davanzale. Si udirono i tonfi e poi lui stesso oltrepassò la finestra.

Sofia osservò il corpo dell'uomo sparire del tutto alla vista, eccetto le mani. Erano afferrate alla pietra, poi lasciarono la presa e udì il tonfo dell'arrivo al suolo.

Non dovevano essere molto in alto, visto che le sacche non avevano impiegato molto a cadere ed Eric si era calato senza problemi dalla finestra.

Astoria le fece cenno di avvicinarsi e le poggiò entrambe le mani sulle spalle, gli occhi grandi nella penombra creata dal globo luminoso. «Salta di sotto e non gridare, Eric ti prenderà.»

Sofia sgranò gli occhi e fece un passo indietro ma la principessa l'afferrò per un braccio e la costrinse ad avvicinarsi e poi a salire sulla balaustra. «Non è molto alto ed Eric è abbastanza forte da prenderti. Ma non gridare.» Lo ripetè con tranquillità.

Sofia guardò verso il basso. Ora che ci faceva più attenzione non sembrava tanto semplice come aveva pensato. Riusciva a distinguere Eric e anche le due sacche ma l'idea di lanciarsi nel vuoto le provocò la nausea. La mano di Astoria sulla spalla, però, le ricordò che quella era l'unica possibilità per allontanarsi da prigione e carceriere, quindi annuì e chiuse gli occhi, pronta per saltare dopo aver contato fino a tre. Ma una spinta dietro la schiena la fece cadere di sotto.

Istintivamente aprì gli occhi e tese le mani in avanti. Fu un attimo che durò un'eternità. Sentì l'aria fresca della notte sul viso, l'odore del mare, i capelli liberi dietro di lei e incontrò le braccia di Eric.

La poggiò subito a terra, al suo fianco, e raccolse Astoria. Le sacche se le divisero loro e la principessa prese di nuovo la mano di Sofia. Fu Eric, però, a mettersi in testa al gruppo, conducendole nella vegetazione che costeggiava il mare. Poteva sentire le leggere onde infrangersi, forse su degli scogli, ma la falce di luna non illuminava abbastanza e i tronchi coprivano la visuale.

Non era affatto agevole camminare in quelle condizioni. Le scarpe che calzava non erano adatte a camminare lungo sentieri come quelli, la gonna era troppo lunga e più volte dovette aggrapparsi alla principessa per non cadere, ma stavano seguendo un piccolo sentiero, perché, eccetto qualche radice e diversi sassi, non incontrarono grossi impedimenti.

Man mano che procedevano, gli alberi diventavano più numerosi e fitti. Ormai camminavano a tentoni, anche se Astoria ed Eric sembravano conoscere molto bene il percorso che stavano seguendo e continuarono ad avanzare fino a quando la vegetazione non si aprì su una radura; si rivelò essere un'apertura che dava direttamente sulla scogliera, fino a quel momento presente solo nella sua immaginazione.

Sofia si sentì morire quando vide che ad attenderli c'erano due figure incappucciate con dei cavalli. Erano stati scoperti e il vuoto che si era formato nel suo petto fu colmato dal gelo che le salì lungo la gola. Strinse la mano di Astoria e tentò di tornare sui propri passi ma la principessa la tirò a sé.

«Come è andata?» La voce che li aveva accolti era maschile, un po' arrochita.

«Liscio come l'olio, vecchio mio» rispose Eric, avvicinandosi a chi aveva parlato e dandogli una pacca sulle spalle.

«Allora affrettiamoci, qui siamo ancora troppo vicini.» La seconda voce, più squillante e femminile, salutò Eric e gli passò le briglie di un cavallo. Ce n'erano quattro.

Astoria le lasciò la mano, di nuovo. «Aspettate. Devo prima fare una cosa.»

La vide tornare indietro, verso il boschetto appena attraversato e la sentì mormorare. Provò ancora la sensazione che qualcosa, attorno a loro, si stesse muovendo, come se arrivasse da lontano. Una leggera brezza si agitò intorno a loro, poi vicino alla principessa e seguì, a ritroso, il loro percorso. Sofia riusciva a percepire una presenza, diversa da Areina ma era qualcosa di vivo che si muoveva tra le piante, in direzione del castello.

Si voltò verso gli altri tre. Si erano divisi i cavalli ed Eric aveva sistemato le sacche su due di essi.

Fu in quel momento che Sofia si rese conto che quattro perfetti sconosciuti si stavano dando tanta pena per aiutarla. Poteva anche non ricordare il suo passato, ma era chiaro che quella era una fuga e che stavano contravvenendo agli ordini del re.

Astoria tornò al gruppo e la brezza la seguì, giocando con i loro vestiti e capelli.

«Non dovresti legarli così, gli elementali. Non dopo quanto ti ho raccontato.» Era stata di nuovo la donna con la voce squillante a parlare.

«Non hai torto» rispose la principessa prendendo le redini, «ma lo lascerò libero appena avremo raggiunto la strada. Meglio tenerlo con noi che doverne evocare un altro.»

A piedi e ognuno con un cavallo, s'incamminarono nella vegetazione. La parola 'elementale' provocò un senso di panico in Sofia. Non poteva vederlo ma lo percepiva. Non era la brezza, anche se si muoveva in modo innaturale, a preoccuparla. Era qualcos'altro. Ciò che avvertiva era un'entità viva. E indugiava troppo intorno a lei. Gli altri non sembravano rendersene conto e nessuno si lamentava della presenza, ma Sofia sperava di arrivare presto alla strada di cui aveva parlato Astoria, qualunque cosa significasse, solo per liberarsene.

Ci arrivarono quando il cielo stava schiarendo. Accadde così lentamente che Sofia se ne accorse quando ormai già distingueva i colori di ciò che la circondava. Eric e l'uomo che si trovava con lui erano davanti. Il nuovo arrivato aveva i capelli corti e rossi, anche se non di un colore tanto intenso quanto il suo, ed era avvolto da una cappa bianca e sporca.

Si voltò per osservare la donna che le camminava a fianco. Lei indossava una cappa verde scuro, ma appena riuscì a distinguerne la fisionomia sperò di essere riuscita a controllare l'espressione del viso. Aveva la pelle azzurra e i capelli, lunghi e blu, lasciavano scoperte le orecchie a punta. Incrociò gli occhi, blu anche loro, e si sentì avvampare distogliendo lo sguardo.

«Scusa, io...» balbettò, ma non riuscì a imbastire nulla che potesse davvero suonare come una scusa e riuscì solo a fissare le morbide scarpe che spuntavano, una alla volta e impolverate, dall'orlo della gonna.

«Non preoccuparti, lo so che il mio aspetto non è proprio consueto.» Le mise una mano sulla spalla. Fu un tocco delicato, ma avvenne nello stesso momento in cui l'entità che produceva il vento la toccò con più intensità.

Rabbrividì stringendosi nelle spalle e la donna si fermò.

«Cos'è stato?» chiese aggrottando le sottili sopracciglia.

«Non lo so» si affrettò a rispondere Sofia. Nessuno sembrava avvertire lo stesso disagio e non aveva alcuna voglia di capire cosa fosse in realtà quella brezza.

«Che stupida che sono.» Astoria si era battuta una mano sulla fronte. «Hai freddo, vero? Potevi dirmelo, però.» Si fermò e cominciò a rovistare in una grossa borsa di cuoio che si trovava vicino la sella del cavallo che conduceva.

Un sospirò sfuggì alle labbra di Sofia lasciandole in bocca il sapore amaro della menzogna, ma non era il momento adatto per discutere di elementali e altre cose che non avrebbe capito, per non parlare delle cose che forse non avrebbe mai voluto capire. Come la bambina con il coniglio di pezza, quello strano e intricato disegno viola e ciò che si trovava dietro. Non avrebbe mai dovuto toccare quella pietra rossa. Ma cosa le era saltato in mente? Se non lo avesse fatto, forse, sarebbe ancora in quella bellissima camera, a osservare lo splendido panorama sul quale si affacciava e a mangiare gustosi biscotti al burro.

«Tieni.» Una cappa, per lei. La prese dalle mani di Astoria, senza sapere che cosa farci.

La principessa le sorrise. «Le ultime ore della notte sono le più fredde, lo so» disse riprendendosi la cappa e sistemandogliela sulle spalle. «Devi scusarmi, ma ero troppo presa dalla fuga e non dovevo perdere il contatto con l'elementale dell'aria, anche se non mi era mai capitato fosse così semplice tenermelo vicino. Di solito cercano sempre di scappare, almeno all'inizio.»

«Già, che strano» disse la donna dall'aspetto strano. «Comunque, visto che ci siamo fermati, è meglio che ci presentiamo. Io sono Clivia.» Tese la mano.

Era un tentativo di saluto, ma a Sofia sembrava solo un pretesto per toccarla di nuovo, magari per vedere se sortiva lo stesso effetto di prima. Fino a quel momento, l'unico effetto strano, anzi disastroso, si era verificato prendendo in mano la pietra rossa. Era quasi certa, invece, che a provocarle il brivido fosse stato l'elementale di cui aveva parlato Astoria, ma in quel momento stava facendo giravolte tra le fronde degli alberi. D'altro canto toccare la principessa o Eric non aveva causato nessuna catastrofe. Con Areina era stato diverso, ma di lei percepiva la presenza, mentre degli altri non avvertiva nulla.

Strinse la mano di Clivia. «Io sono Sofia.»

Non accadde niente e Sofia dovette soffocare il sorriso di sollievo che sentì affiorarle sulle labbra.

«Adesso, però, devo presentarmi anche io» intervenne l'uomo in bianco. Aveva una folta e riccia barba rossa e dimostrava di essere il più grande del gruppo, ma definirlo anziano sarebbe stato eccessivo. Quando spostò la cappa per salutarla, lasciò scoperta l'arma che portava appesa al fianco. Una sorta di mazza chiodata che Sofia non seppe identificare. «Il mio nome è Lorcan e lei» continuò prendendo in mano l'arma, «è la Luce della Dea, la mia stella del mattino. Squarcia le tenebre come fosse la Dea in persona.» Batté più volte l'asta sull'altra mano, come a saggiarne la forza. «Be', almeno ci prova. Comunque funziona alla grande.»

«Sì, certo. È stato un piacere per tutti, ma ora andiamo.» Astoria era montata in sella. «Siamo ancora troppo vicini a Città Nuova e vorrei arrivare a Nime prima di sera. Spero di dovermi fermare solo una volta. Eric, aiuta Sofia a salire dietro di me.»

Quando Sofia lo vide, si accorse che la prima impressione che aveva avuto era anche giusta: era un guerriero. Mentre parlavano, aveva indossato una cotta di maglia corta e rinforzata sul petto. Portava una spada al fianco e da dietro alle spalle spuntava un'impugnatura abbastanza lunga da appartenere a uno spadone. Le si avvicinò, unendo le mani verso il basso per formare un gradino su cui avrebbe dovuto poggiare un piede.

Tutte quelle cose – armi, armature, cavalli – non erano affatto nuove per lei, ma ignorava il motivo per il quale doveva conoscerle. Ormai i suoi ricordi più nitidi partivano dal primo incubo, tutto il resto era una nebbia indistinta dalla quale emergevano solo sua madre e Gimmi, il coniglio di pezza.

Annuì e si lasciò aiutare a montare in sella.

Strinse i fianchi di Astoria e avvertì anche lì l'elsa di una spada. Affondò il viso nella cappa marrone che avvolgeva la principessa. Odorava di casa; non era una vecchia cappa malandata, qualcuno l'aveva confezionata e lavata proprio per la principessa.

Portarono i cavalli sulla strada e a un gesto di Astoria la brezza spirò di nuovo intorno a loro per poi seguire a ritroso i loro passi.

«È andato via?» Lo chiese pur conoscendone la risposta. Aveva sentito l'elementale allontanarsi. Ne avvertiva ancora la presenza, ma era sempre più distante e "felice".

«Sì, è libero. Gli ho fatto cancellare le ultime tracce» rispose la principessa dando un colpetto ai fianchi del cavallo.

Galopparono fino a quando il sole non cominciò il suo arco discendente e lo stomaco di Sofia protestava già da diverso tempo. Si fermarono a un ordine di Astoria, legarono i cavalli a un tronco sul lato della strada ed Eric cominciò a distribuire pezzi di pane, carne secca e frutta.

Erano seduti in circolo e chiacchieravano di vecchie avventure, persone morte e nuovi incontri, tutti discorsi nei quali Sofia non era contemplata.

«Perdonaci» si scusò Lorcan. «Ci conosciamo da talmente tanto tempo che è stato normale cominciare a parlare dei fatti nostri. In questi giorni siamo stati abbastanza occupati, sai? La tua è stata un'evasione in piena regola e bisognava avere pronti un piano, la sua alternativa e l'alternativa dell'alternativa. Dopotutto era da Castelnovo che dovevamo farti fuggire ed eri anche sorvegliata da una strega abbastanza pericolosa.»

«Già» intervenne Clivia guardando verso Astoria. «È stata una fortuna che Areina si sia allontanata proprio in questi giorni. Come mai è andata via?»

La principessa si strinse nelle spalle continuando a osservare la mela che stringeva tra le mani. La stava rigirando, senza addentarla. «Non ne ho la più pallida idea. Non è che mi avvisa di tutto ciò che fa. E ti dirò che la cosa non mi dispiace.»

«A me non è mai piaciuta.» Eric stava masticando il suo pezzo di carne essiccata. «Mette i brividi solo a guardarla e il suo antro puzza.»

«Sono reagenti, ma sono d'accordo che non profumino.» Astoria stava ancora guardando la mela ma aveva arricciato il naso. «Tuttavia sono preoccupata. Di solito avverte mio fratello ma lui non ne sapeva nulla. È sparita e ha mandato un messaggio dopo un paio di giorni. Tutto qui.»

«Cosa pensi farà una volta tornata?» Lorcan bevve da una piccola sacca e si asciugò con il dorso della mano. «Non sarà contenta della sua fuga» accennò con la testa nella direzione di Sofia «e a questa parte del piano hai detto che ci avresti pensato tu.»

La principessa scosse la testa. «Spero che non se la prenda con mio padre o con Alessandro. Era un rischio che dovevo correre.»

«Mi dispiace, davvero.» Quelle parole sorpresero Sofia stessa, perché le aveva pensate ma le erano uscite in un sospiro.

«Oh, no» si affrettò Astoria toccandole il braccio. «Non preoccuparti. Non ti avrei lasciata nelle sue mani per nessuna ragione al mondo. Abbiamo tutti deciso di aiutarti e ognuno di noi è consapevole dei rischi che corre. Solo un po' di preoccupazione per la mia famiglia non posso evitarla ma deve essere un mio peso, non tuo.»

Chissà se prima di subire quel destino qualcuno si era preoccupato così tanto per lei. Sua madre di certo, lo dava per scontato, ma qualcuno oltre lei doveva esserci. Era impossibile che nessuno l'avesse cercata per tutto il tempo che era rimasta chiusa in quella grotta.

«Io ho i miei sospetti.» Lorcan stese le gambe all'interno del cerchio di amici e si puntellò con le mani a terra. «Sulla maga, intendo. Ha troppi segreti e si comporta in modo strano. Non ditemi che non ci ha pensato nessuno di voi.»

«Ammetto di aver fatto qualche ricerca, in biblioteca» disse Astoria sotterrando il torsolo della mela «e vi assicuro che non si trovano notizie su di lei. So soltanto che è sempre stata una donna, dalla Grande Eruzione, a occupare la posizione di maga di corte.»

«E ti sembra strano?» chiese Clivia.

Sofia riusciva a malapena a seguire il discorso. Si sentiva divisa a metà. Voleva approfittare di quel momento di calma per raccontare ciò che le era successo in quella stanza, cosa avvertiva e cosa aveva trovato dentro di sé. Voleva, però, anche evitare domande a cui non avrebbe saputo rispondere, anzi, magari non voleva proprio sapere cosa le stava accadendo. Sì, avrebbe potuto chiedere loro di lasciarla nella prima città che avrebbero incontrato; sarebbe riuscita a farsi una vita e a ricostruire tutti quei ricordi che le mancavano. Perché di una cosa era certa, se non c'erano più un motivo doveva esserci. E non era sicura di volerlo conoscere.

«Come ti ha trattata?» chiese Astoria.

Eccolo. Il momento era quello. Si sentì mancare dentro. Quel dolore al petto, lungo il collo, le spalle, fin dietro alla schiena era una coltellata. Dovevano sentirsi così le persone che la subivano. Era quasi insopportabile.

«Non lo so» rispose guardandosi le punte consumate delle scarpe, in una c'era già un piccolo buco vicino all'alluce. «Bene, tutto sommato. Mi portava da mangiare e non mi ha fatto del male.»

«Ma ti ha minacciata? Ti ha detto qualcosa?» la incalzò la principessa.

«Voleva farmi bere una tisana, ma è caduta a terra e mi ha rinchiusa in quella stanza.» Non poteva fare di più. Non in quel momento. Quel disegno viola, la bambina con il coniglio, era tutto troppo strano anche per lei che lo viveva.

«Accidenti.» Astoria si prese la testa tra le mani e poggiò i gomiti sulle ginocchia alzate. «Ho una brutta sensazione, ragazzi, e ho paura di aver lasciato Castelnovo negli artigli di un mostro.»

«Fossi in te non mi preoccuperei più del necessario.»

Non riconobbe la voce. Si voltò e vide a chi apparteneva. Un uomo vestito di nero era sbucato dalla boscaglia che costeggiava la strada. Aveva i capelli lisci fin sulle spalle, di un nero talmente intenso che sembrava inghiottisse la luce del giorno.

«È passato davvero tanto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti. Che mi raccontate di bello?» chiese il nuovo arrivato passando in rassegna i presenti, sorridente, e fermando i suoi occhi stretti e obliqui su Sofia.

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