12 - Capitolo 8.1
Ed ecco che ogni essere
è illuminato dalla Luce.
(dal Libro Radioso)
«Come posso ringraziarvi, padre?» Il contadino si gettò in ginocchio. «Senza il vostro intervento mia moglie e mio figlio sarebbero morti.»
Lorcan gli prese le mani callose e lo aiutò a rialzarsi. «Non devi ringraziare me ma la Dea.» Gli mise una mano sulla spalla e inspirò. Sentiva la propria voce trasudare ipocrisia eppure la Dea non aveva nulla contro quel pover'uomo e la sua famiglia. Non c'era motivo di appesantirne l'animo, in particolar modo in quel momento, visto che li aveva aiutati. «La sua Luce ha guidato le mie preghiere e veglierà su di voi.» Tossì nel vano tentativo di trattenere le ultime parole, ma non ci riuscì e gli rotolarono fuori dalla bocca. «Almeno per un po'.»
Lo sguardo smarrito dell'uomo che aveva davanti gli implorava di dire parole di conforto ma, in realtà, Lorcan sapeva che il bambino che con tanta fatica aveva fatto nascere sarebbe potuto morire di stenti o malattia quell'inverno stesso. Oppure tutta la famiglia sarebbe stata trucidata da una banda di mostri o chissà cos'altro. Il destino aveva molta fantasia, non aveva dubbi a riguardo.
«Be', insomma, non è proprio così. Perdonami, sono molto stanco.» Si passò le mani sul viso. «Che la Dea illumini il vostro cammino. Cercate, tu e tua moglie, di crescere il figlio che vi è stato donato nella Luce, il resto verrà da sé.» Gli diede una pacca sulla spalla e si incamminò verso la strada ma, fatti pochi passi, tornò indietro scuotendo la testa. Il contadino era ancora lì, a bocca spalancata. «Quanto dista Serina?» Indicò la strada alle proprie spalle con il pollice e il pugno chiuso. «Vedi, ero diretto lì quando ci siamo incontrati.»
«Non molto. Posso portarvi io con il carro.» L'uomo spostava lo sguardo tra lui, la casa e il cielo che diventava sempre meno luminoso.
«Oh, no. Non preoccuparti» si affrettò a precisare il chierico agitando le mani, «se non è di troppo disturbo darmi riparo per la notte, accetterei volentieri il tuo aiuto domani. Tua moglie ha partorito da poco. Stai vicino a lei e a tuo figlio. Questa notte pregherò per voi.»
Mentre conduceva l'ospite nella stalla, scusandosi per la sistemazione poco adeguata, il contadino si profuse in altre scuse e ringraziamenti che si accavallavano tra loro. Lorcan riuscì a mandarlo via solo chiedendo uno spazio per pregare ma, rimasto solo, lasciò cadere a terra la stella del mattino e si gettò sul giaciglio, dormendo un sonno senza sogni.
L'indomani fece visita a madre e figlio prima di partire. Durante il viaggio ebbe modo di apprendere che le voci sul ritrovamento di cui gli aveva parlato Eric erano ben diverse; nella Grotta del Pescatore, poco fuori Città Nuova, era stato realmente trovato qualcosa; Astoria non aveva atteso il suo arrivo.
Serina era una piccola città, distante dalla costa e a un giorno di cammino dalla sua meta. Doveva solo incontrare una persona. Ringraziò, benedì il contadino e cominciò a incamminarsi verso l'unica piazza.
Non sapeva ancora cosa aspettarsi a Città Nuova. Astoria era troppo curiosa, specialmente quando si trattava di misteri legati alla magia. Se poi c'era anche da aiutare qualcuno, allora si lasciava coinvolgere senza pensarci troppo. Ma il fatto che avesse chiesto la sua presenza denotava un certo grado di giudizio che le mancava quando l'aveva conosciuta, ormai diversi anni prima.
«Sei in ritardo.» La voce che conosceva molto bene, squillante e allegra, lo riportò alla realtà.
Si voltò e incontrò lo sguardo penetrante, scuri come il cielo all'imbrunire, di Clivia.
«Sì, hai ragione» disse lui. «Sei qui da molto?»
«Abbastanza da prendermi l'umidità di due notti all'addiaccio» replicò incrociando le braccia e aggrottando le sopracciglia, sottili e blu come gli occhi.
«Perdonami, ho avuto un contrattempo. So che per te è difficile trovare riparo in alcune città. Era questo il motivo per cui volevo ci incontrassimo a Nime e non qui.»
Lei gli sorrise e scosse la testa, lasciando ondeggiare i lunghi capelli lisci e blu anch'essi. «In realtà sono arrivata ieri al tramonto ma mi diverte troppo sentire le tue scuse.» Gli si avvicinò e si abbracciarono. «Allora? In quale bettola sei cascato stavolta? Non mi sembri sbronzo, però.» Fece due passi indietro e strinse gli occhi prendendosi il mento con una mano.
«Ti stupirà sapere che mi sono attardato per far nascere un bambino.» Si colpì il petto con un pugno e poi scoppiò in una risata. In realtà era più imbarazzato che fiero di ciò che aveva fatto. Anzi, di ciò che aveva detto e pensato.
Sul volto della mezz'elfa si allargò un sorriso mentre scosse di nuovo la testa. «Invece non mi stupisce. Ti ho sempre detto che hai un cuore grande e buono, solo un pò malandato.» Infilò il proprio braccio sotto quello del chierico e lo guidò verso la strada in uscita dalla piccola città. «Perdonami se ti costringo subito alla marcia ma vorrei evitare grane.»
Lorcan lanciò un'occhiata in giro. Li guardavano con sospetto, era vero. Non era mai stato con Clivia a Serina. Con ogni probabilità nessuno si era ancora avvicinato perché erano entrambi armati e quella era una piccola città abitata per lo più da contadini. «Mi dispiace non essere arrivato prima. Mi sono attardato ieri sera, non avrei dovuto.»
«Ancora a preoccuparti per me? Mi avresti delusa molto se avessi saputo che avevi lasciato morire di parto una donna per raggiungermi. Lo sai, vero?»
Non l'avrebbe spuntata. Questo Lorcan lo sapeva, perché in realtà era lei a prendersi cura di lui, lo aveva fatto tante volte. E sapeva che molte persone odiavano e temevano la pelle azzurra della sua amica, i suoi occhi più allungati e le orecchie a punta. Di quei tempi le persone diffidavano di tutti, a maggior ragione di chi era così diverso, come un mezzosangue.
Camminarono fino a quando il sole non cominciò il suo arco discendente e si fermarono per mangiare qualcosa. Le notizie che Clivia gli portò non erano diverse da quelle che lui stesso aveva raccolto. Gli avvistamenti di non-morti stavano aumentando, in particolar modo nei pressi dei piccoli agglomerati di case. E voci preoccupanti arrivavano dai confini nord di Dragalia.
*****
«Ero stato chiaro con Eric» mugugnò Lorcan sputando un piccolo osso. «Astoria doveva attendere il nostro arrivo. Chissà cosa avrà trovato, in quella grotta.» Addentò un altro pezzo di coniglio. Il sapore di rosmarino misto all'erba cipollina rendeva quella carne ancora più buona. «Ottimo, davvero. Non ricordavo girassi con le spezie nella scarsella.»
«Infatti non è così ma queste crescono sulla costa e le ho raccolte lungo il cammino. Piuttosto» spense il piccolo fuoco coprendolo con la terra «non vedo il motivo per cui Astoria avrebbe dovuto aspettarci, non è una sprovveduta.»
«Questo è vero, però a volte è troppo curiosa e la voglia di conoscere potrebbe offuscarne il giudizio.»
«E hai ragione. Ma come ci regoliamo? Eric cos'ha detto?»
Lorcan sotterrò le ossa e strofinò un po' d'erba tra le mani. «Dobbiamo incontrarci al Gabbiano Verde; le manderò un messaggio appena arriveremo a Città Nuova. Invece non so cosa vorrebbe facessimo, perché Eric non aveva idea di cosa sarebbe uscito da quella dannatissima grotta.» Scaraventò i fili a terra e bevve con avidità dalla borraccia. Avrebbe preferito della birra, ma tutto sommato andava bene anche così.
Clivia strinse le labbra. «Ho sentito ipotesi inquietanti, a riguardo. Qui nei dintorni se ne parla, anche se sottovoce. Non credevo si riferissero al motivo per il quale siamo stati chiamati.»
«Ma non mi dire. Non hai neanche sentito la parte più bella di questa storia. Altro che voci.»
La mezz'elfa incrociò le gambe e poggiò le due lame, appena ricurve e una più lunga dell'altra, proprio davanti a lei. «Sentiamole queste voci. Non ho nulla di concreto per fare ipotesi ma vorrei saperne quanto te.» Con le mani sulle ginocchia, attendeva una risposta.
«Be', ecco» Lorcan si passò il dorso della mano sulla bocca, «pare che Astoria abbia avuto il suo bel da fare a sciogliere i sigilli sulla parete, prima di riuscire a sgretolarla. E dietro hanno trovato una camera molto piccola con un altare al centro.»
Clivia aggrottò le sopracciglia. «Eric? Lui ha detto che quello trovato è un altare?»
A Lorcan sfuggì una risata. «No. Per lui era solo un masso molto grande ma per Astoria era un altare. Anche se ha detto che gli ulteriori sigilli apposti erano di tipo differente dai primi. Queste sono le notizie che mi ha portato Eric. Dovremmo incontrarci tutti per capire cosa fare di ciò che è stato trovato, suppongo. E, se Astoria ha richiesto il nostro intervento, significa che ufficialmente non deve trapelare nulla.»
«Pensi che i due eventi siano collegati?»
Lorcan sospirò e si grattò la barba rossa e ispida; stava diventando davvero troppo lunga. «Intendi la morte di Timoteus?»
Clivia annuì. Era ancora ferma nella stessa posizione e non accennava a spostare lo sguardo.
Certo, un assassinio del genere doveva essere l'inizio o il termine di qualcosa di grosso e lui propendeva più per la prima ipotesi. L'idea, però, non gli piaceva. «Sono sicuro siano stati i demoni.» Sputò e bevve ancora. «La versione ufficiale fa acqua da tutte le parti, non capisco come possano sperare che ci crediamo. Timoteus non era l'ultimo arrivato. Di certo un demone molto potente avrebbe comunque avuto la meglio su di lui ma sembra non abbia avuto neanche il tempo di reagire. Per non parlare delle condizioni in cui è stata ritrovata la stanza, la mancanza del corpo e lo stato in cui versa l'accolito che lo seguiva.»
«Non ero a conoscenza di tutti questi particolari.» Clivia chiuse gli occhi per poi riaprirli verso l'amico.
«Il mio maestro me ne ha parlato. L'ho incontrato a Città del Guado, quando mi ci sono recato per la nomina del nuovo Gran Maestro.»
Ripresero il cammino; senza ulteriori soste raggiunsero Città Nuova appena dopo il tramonto. Il Gabbiano Verde era dentro le mura e le guardie li lasciarono entrare solo grazie al salvacondotto che Astoria gli aveva fornito.
Il locandiere gli aprì mugugnando e mostrando un grugno piuttosto contrariato ma gli fornì le due camere richieste. Quella di Lorcan era quanto di meglio avesse visitato fino a quel momento, almeno non puzzava - di sterco, nella migliore delle ipotesi, di cose non meglio definite in altri casi. Gli dispiaceva quasi dover insozzare quelle lenzuola ma non c'era una tinozza con acqua calda disponibile ed era stanco per la lunga marcia.
Al mattino presto si recarono al ponte che collegava Castelnovo alla città. Il mare alle spalle del castello era sferzato da un forte vento anche se il cielo era terso e portava con sé il tipico odore salmastro. Anche l'acqua che lo circondava era mossa e provocava piccole onde dalla spuma bianca che si frangevano sui bastioni.
«Girate al largo. Non potete passare» esordì un giovane soldato al posto di guardia. Si fece avanti brandendo l'alabarda più alta di lui e attirando l'attenzione degli altri due soldati che erano poco distanti.
«Ho un messaggio per la principessa» disse Lorcan, mostrando un rotolo di pergamena con il sigillo reale.
Il soldato alzò un sopracciglio e gli strappò di mano il salvacondotto. Lo portò a una guardia più anziana che lo lesse, annuì e disse qualcosa indicando proprio loro.
«Avete il messaggio?» chiese tornando da loro.
Lorcan mugugnò e gli porse un altro rotolo di pergamena. Non era sigillato, non possedeva né ceralacca, né simboli, ma era atteso da Astoria e confidava nella lealtà dei sudditi del re suo padre.
*****
«E adesso?» chiese Clivia mentre si allontanavano da Castelnovo.
«Adesso aspettiamo al Gabbiano Verde» bofonchiò.
«E dai.» L'amica infilò il braccio sotto il suo. «Di certo non lo riceverà adesso. Andiamo a fare un giro. Scogliera o spiaggia? A me basta stare di fronte al mare; con quest'aria che tira e il sole potrei viverci per giorni.»
Raggiunsero la spiaggia lasciandosi le ultime case alle spalle.
Clivia si tolse gli stivali e lasciò che le onde le lambissero le caviglie nude. Aprì le braccia, chiuse gli occhi e restò immobile.
Per Lorcan, che pure la conosceva da tanto, era sempre magnifico osservarla mentre entrava in contatto con gli elementi. Nonostante per metà fosse umana, la sua amica aveva mantenuto intatti molti aspetti della metà elfica. E riusciva a trasmettergli pace e serenità.
La vide rilassare le braccia e restare ancora in silenzio, a contemplare il mare. Poi tornò al suo fianco e si lasciò cadere sulla sabbia, stendendo i piedi nudi in avanti. «Ci sono troppi elementali.»
«Che cosa?» urlò Lorcan. Tutta la calma era svanita di colpo e la mano era corsa alla Luce della Dea, la stella del mattino che portava con sé da moltissimi anni e non distava mai troppo dal suo corpo.
«Ehi, sta' calmo. Non è un problema. Per il momento, almeno.» La mezz'elfa si puntellò con le mani ma scrutava ancora il mare, il vento, e qualcos'altro che lui non poteva vedere.
«Un elementale non è un problema» disse Lorcan. «Due forse lo sono. Tre sono troppi. Cosa intendi dire?» Ormai aveva un ginocchio a terra e uno su, pronto ad alzarsi e con la Luce della Dea in mano. Poche volte aveva incontrato un elementale arrabbiato e non poteva certo dire che fossero ricordi piacevoli.
«Andiamo, Lorcan, sei diventato troppo apprensivo.» Clivia lo scrutò con la coda dell'occhio e poi tornò a fissare il mare. «Rilassati che li stai innervosendo. E comunque sono solo preoccupati, nessuno li ha fatti infuriare.»
Posò la stella del mattino cerando di non guardarsi troppo intorno, ma ormai si sentiva osservato. Si mise seduto a gambe incorciate. «Ci mancava solo una riunione di elementali preoccupati, adesso. Che diamine sta succedendo?»
«Succede che se non stai zitto e fermo non posso capire molto di quello che si stanno trasmettendo.» Aveva chiuso gli occhi e raddrizzato la schiena. Era in ascolto, glielo aveva visto fare altre volte.
Cercò di rilassarsi, ma anche il suono delle onde sembrava nascondere voci che non poteva sentire. Discutevano con il vento e con le fronde degli alberi. Sussurravano in un modo che a Lorcan sembrava diventare sempre più rabbioso. Eppure Clivia era lì, seduta, ad ascoltare senza mostrare segni di preoccupazione.
Si voltò verso di lui con gli occhi ridotti a due fessure. «Sembra che i piani elementali siano stati messi in contatto tra loro da un'energia che li ha oltrepassati.»
«Cioé?» Si irrigidì di nuovo.
«Quando viene richiamata energia da un punto all'altro del nostro piano dimensionale, o da un piano differente, i piani elementali che ci circondano vibrano. Sembra che in una zona qui vicino l'energia richiamata sia stata talmente intensa da metterli in contatto tra loro.» Chiuse ancora gli occhi.
«E questo cosa significa? Ha tutta l'aria di non essere una cosa buona.» Un pensiero stava facendosi strada nella sua mente. Se avesse avuto ragione, allora la situazione avrebbe potuto complicarsi.
«Significa semplicemente quello che ho detto.» Clivia alzò le spalle e riprese a osservare le onde.
A Lorcan sembrava che il vento stesse sferzando con più forza. Si era lasciato suggestionare dalle parole dell'amica; per un normale essere umano era impossibile poter sentire la presenza degli elementali. Anche i maghi, che pure ne studiavano la magia, avevano difficoltà a interagire con simili creature. Invece gli efli, i mezz'elfi e altre poche razze erano in grado di sentirli e ascoltarli, alcune anche di vederli.
«Pensi possa essere un evento collegato al ritrovamento in queste terre?» Diede voce ai propri pensieri, sperando che l'amica potesse fornirgli una risposta.
«Non saprei» rispose lei alzandosi in piedi. Si scrollò la sabbia dai pantaloni. «Per loro il tempo e lo spazio sono concetti differenti dai nostri.» Recuperò e infilò gli stivali che aveva lasciato poco distante. «Certo è strano che proprio qui ci sia una concentrazione di elementali differenti. Proprio in questo momento, poi. Direi che è una notizia da dare ad Astoria. Potrebbe essere utile per valutare come comportarsi. Andiamo?» Si era voltata verso di lui e gli aveva teso la mano.
Li aspettava una lunga giornata di attesa al Gabbiano Verde, ma passarla in sua compagnia rendeva l'attesa meno pesante.
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