1 - Capitolo 1

Verrà il tempo in cui oscuri tentacoli si insinueranno nella Luce, 

finanche offuscandola. 

Non temete! 

Non sarete lasciati soli.

(dal Libro Radioso)

La pioggia stava cadendo su Florenzia. La città era grande, anche se non quanto Città del Guado, né altrettanto caotica.

Bogumil inspirò l'odore della terra umida, riempiendo le narici di quell'essenza pungente e fresca e lasciandosi rasserenare dal suono delle gocce che cadevano sui tetti.

La Dea manifestava la sua presenza anche attraverso le piccole cose e un pomeriggio come quello era una benedizione, per l'arsura patita in quei giorni e per i campi, gli animali e tutte le creature che vivevano.

«Padre Durante è convinto che la situazione sia più grave di quanto sembri.» Fratello Girolamo, attendente del priore, lo costrinse a interrompere la contemplazione nella quale si crogiolava.

Bogumil, le mani ancora poggiate sul marmo bianco della finestra, si voltò verso di lui. «Lo penso anch'io, ma il Gran Maestro confida nell'operato dell'ordine ed è sicuro che presto le voci verranno messe a tacere. In fondo si tratta solo di pochi popolani; gente dedita a vecchi riti di cui non ricorda neanche più il significato.» Si asciugò le mani umide sulla tonaca bianca, atteggiando le labbra a una smorfia di disgusto. Il Venerabile Timoteus era tranquillo, dunque lo era anche lui.

«Popolani?» intervenne Girolamo sgranando gli occhi. A Bogumil ricordò una sciocca gallina dal collo troppo lungo. «Abbiamo notizie di nobili che hanno comportamenti a dir poco sospetti. Sebbene non ci siano prove acclarate, è indubbio che i riti dell'Ordine Scarlatto stiano tornando a insinuarsi tra la brava gente. Nelle campagne sono spariti molti animali e anche alcune persone, tra i vagabondi che chiedono rifugio presso di noi.»

«È di questo che il Venerabile Timoteus sta parlando con il priore?» Quell'agitazione lo infastidiva, ma doveva anche riconoscere che il fratello che aveva davanti era più giovane di lui, inesperto e non aveva la possibilità di placare le proprie paure attingendo direttamente a una delle due fonti della Luce, il Gran Maestro in persona.

Girolamo sospirò, guardando verso la porta dietro la quale i due superiori erano in riunione. «Sì, ma anche di altro. In una piccola cittadina, più a nord, sono state aperte delle tombe.»

Un brivido scosse Bogumil. «Che la Luce della Dea illumini il nostro cammino.» Si toccò fronte e cuore, baciando le proprie dita e ripetendo il gesto altre due volte. «Ti prego, fratello, perdonami. Continua pure.»

«Che la Luce della Dea ci protegga.» Girolamo aggrottò le sopracciglia e ripeté il gesto, una sola volta. «Dicevo, le tombe sono state forzate dall'esterno e i cadaveri trafugati.»

«Non potrebbero essere stati rianimati da qualche creatura oscura?» Il solo pensiero di corpi in decomposizione che vagavano liberi lo fece rabbrividire.

«Sono state forzate dall'esterno.» Nel dirlo, Girolamo strabuzzò ancora gli occhi e Bogumil temette che potesse cominciare a schiamazzare nell'anticamera saltando e raspando sulle sedie. «C'erano orme di stivali e segni di scavi. Sono state persone in carne e ossa. Viventi. Non erano non-morti, almeno ne mancavano i segni.»

«So per certo che i riti della magia proibita necessitano di sangue e corpi vivi.» Bogumil scosse la testa. Si era documentato in modo approfondito a riguardo, come un buon attendente doveva fare. «Gli unici che hanno interessi con i cadaveri sono coloro che praticano la negromanzia. È più probabile che sia stato un mago dalle idee deviate. L'Ordine Scarlatto non usava rianimare i morti, anche se ne producevano in gran quantità.» Scosse ancora la testa al pensiero di tutte le povere anime innocenti che quegli eretici avevano spento.

«Eppure padre Durante è preoccupato. Molto.» Fratello Girolamo si agitò sulla sedia, voltandosi verso la finestra. «È indubbio ciò che dici, ma nelle cronache dell'epoca esistono riferimenti a cadaveri trafugati. Principalmente legati alla creazione di un esercito. Gli Scarlatti non erano combattenti, erano studiosi. E i Custodi erano i più potenti tra di loro.»

Bogumil dovette ricorrere a tutta la sua rigida educazione per non scoppiare in una risata. I Custodi non erano potenti, né studiosi. Erano folli esaltati, dediti al culto di un dio ancora più folle e crudele. Avrebbe voluto avere più tempo a disposizione per aiutare fratello Girolamo a uscire dal suo pozzo d'ignoranza e paura, ma il suo dovere era seguire il Venerabile ovunque andasse e soddisfare i suoi bisogni, per permettergli di dedicarsi dalla preghiera e alla cura di tutti i fedeli del mondo.

La porta si aprì.

«Figliolo.» Il Gran Maestro, una profonda ruga a segnargli la fronte, si rivolse a Girolamo. «Padre Durante necessita della tua assistenza.» Si voltò verso l'interno e salutò con un cenno del capo il priore, in quel momento nascosto alla vista. Padre Durante era anziano e sdentato e doveva asciugare spesso la bocca. Bogumil scosse la testa per scacciare quell'immagine dai propri pensieri; quella sera avrebbe dovuto recitare diverse preghiere per chiedere perdono alla Dea per i pensieri avuti durante la giornata.

Il Venerabile Timoteus uscì dall'anticamera e lui trotterellò alle sue spalle, sentendo dentro un vago senso d'inquietudine per l'espressione vista sul volto del Gran Maestro.

Gli tornò alla mente un episodio accaduto solo due anni prima, quando un folle aveva tentato di evocare un demone proprio davanti al Venerabile. Non ci era riuscito proprio grazie all'intervento del suo superiore, ma Bogumil ricordava ancora la sensazione di sentire tutti i peli del corpo rizzarsi, il gelo e il terrore nell'udire quelle parole blasfeme fendere l'aria. Il Gran Maestro aveva proprio la medesima espressione di quel giorno.

Raggiunsero gli alloggi che la Curia aveva dedicato a loro, nello stesso edificio, non prima di aver attraversato più di un corridoio in cui i chierici dell'Ordine Radioso salutarono l'arrivo del Gran Maestro, inchinandosi al suo passaggio.

Bogumil gonfiò il petto nel ricevere quelle attenzioni indirette; avrebbe dovuto recitare una preghiera in più per espiare la superbia provata quel giorno, ma lui era in grado di sopportare quel fardello. Aveva studiato molti anni, pregato, fatto penitenze e ancora studiato per meritare l'onore di servire il Gran Maestro.

Entrati nella stanza in cui il Venerabile Timoteus avrebbe mangiato, pregato e dormito, Bogumil rimase in attesa degli ordini.

«Sono stanco, figliolo. Dunque rimanderemo a domani ogni udienza.» Il suo superiore si sedette al tavolo, prese una piccola pergamena e cominciò a scrivere. «Devo inviare un messaggio a Sua Santità, l'Abate.» Rilesse quanto scritto e aggiunse la firma. «Vedi» disse arrotolando la pergamena, «tempi bui sono in agguato. Presto le Ombre si insinueranno nella Luce e potrebbe essere il caos.»

Bogumil osservava rapito i movimenti del Venerabile; riusciva persino ad anticiparli, tante erano state le volte che l'aveva osservato.

Il Gran Maestro accese la candela dorata, appose il sigillo sacro sulla pergamena e mormorò la preghiera del trasporto mentre bruciava il messaggio sul fuoco. La fiamma diventava sempre più luminosa, mano a mano che consumava la pergamena, fino a divenire bianca nel momento in cui le dita del Venerabile lasciarono l'ultimo angolo intatto prender fuoco.

«Venerabile Padre.» Bogumil avvertì appena il dolore alle ginocchia quando colpirono il pavimento. «Che la Dea illumini il nostro cammino.» Si segnò fronte e petto, Luce e Anima, testa e cuore.

«Che la sua Grazia non ci abbandoni mai» concluse il Gran Maestro.

In silenzio, entrambi osservarono la luce della candela affievolirsi.

Il primo ad alzarsi fu Timoteus. Capelli e barba, biondi e lisci, sembravano bianchi alla luce dei globuli che illuminavano la stanza. Con un ringraziamento alla Dea, spense la fiamma trasportatrice e ripose nella propria borsa tutto ciò che aveva usato per scrivere.

«Ora posso cenare. Va' a prendermi qualcosa dalle cucine. Anche freddo, non importa.»

Bogumil annuì e si diresse alla porta, ma qualcosa guizzò tra le ombre della stanza. Di scatto si girò verso il superiore. Lo trovò ancora intento a raccogliere pergamene, mappe e rapporti.

«Cosa c'è, figliolo?» chiese lui alzando lo sguardo.

«Nulla, Venerabile.» Deglutì. «Sono solo inquieto per le voci che circolano. Le ombre della sera mi spaventano.»

«È comprensibile.» Timoteus sorrise, anzi ci fu un accenno di risata che ferì Bogumil nell'orgoglio. Osservò soddisfatto il proprio lavoro e appoggiò la borsa sulla sedia vicino alla finestra. «Suppongo tu abbia parlato con fratello Girolamo. Ti avrà riferito i timori del priore.»

«Sì, Venerabile. Ho appreso le spaventose notizie.»

«Sospetti e notizie. Non sono certezze» puntualizzò il Gran Maestro sollevando l'indice. «Tuttavia non sottovaluteremo nulla. Oramai Sua Santità avrà appreso ogni cosa. Ci confronteremo al mio ritorno a Città del Guado.» Si sedette accarezzando il tavolo che aveva davanti e alzò di nuovo lo sguardo su di lui.

Bogumil trasalì. Aveva dimenticato i propri doveri. Con un cenno del capo salutò e uscì di corsa.

La zona delle cucine, al piano terra, era quasi vuota. I confratelli dovevano aver già cenato, ma restava nell'aria un vago odore di spezie.

Bogumil ringraziò la Dea per avergli fatto trovare un addetto alle cucine, intento nelle pulizie, che gli diede diversi avanzi di carne fredda, pane e una caraffa di vino.

Quando tornò nella stanza, trovò il Gran Maestro in preghiera, con il breviario consunto che tanto conosceva. Apparecchiò al meglio il tavolo e si ritirò vicino alla porta.

«Grazie, figliolo.»

Il suo superiore si era avvicinato al tavolo, quando un'ombra, di nuovo, tremò tra le altre ombre della stanza.

Il cuore di Bogumil mancò un battito. La camera era in ordine: il Venerabile stava mangiando, dalla finestra giungeva una leggera brezza e un globulo candido illuminava il tavolo. Stanchezza e suggestione gli giocavano spesso brutti scherzi. E tutto quel parlare di cadaveri trafugati, nobili ambigui e le letture sull'Ordine Scarlatto non aiutavano.

Rivolse una preghiera alla Dea, perché illuminasse i suoi pensieri e dissipasse le preoccupazioni.

Il rumore delle posate gli ricordò che doveva versare il vino al Gran Maestro.

Fece due passi, ma si fermò. Era sicuro, molto sicuro, che le ombre alla sua sinistra stavano tremando.

Deglutì e rimase immobile. Non riusciva a muoversi, né parlare, né respirare. Pregava la Dea che si fosse sbagliato.

«Figliolo, cosa ti prende?»

Bogumil lo vide spostare lo sguardo, indagare nella stanza, ma non osò muoversi. L'ombra alla sua sinistra stava ondeggiando e quel movimento si propagò a tutte le altre ombre. Persino le pareti sembravano prendere vita. E sentì tutti i peli del corpo rizzarsi.

«Fuggi!» Il Gran Maestro si alzò facendo rovesciare la sedia e si lanciò verso il suo martello.

Bogumil trovò forza nelle proprie preghiere e nella consapevolezza che il Venerabile avrebbe sconfitto qualunque cosa stesse per materializzarsi in quella stanza. Si voltò verso la porta e stese le mani per afferrare la maniglia, ma le dita l'attraversarono come se fosse stata fatta d'acqua.

Tutto stava ondeggiando: pareti, pavimento, porta.

«Venerabile.» Invocò l'aiuto del suo superiore e si girò verso di lui. Aveva lo sguardo fisso verso un punto a destra, lo seguì e capì che erano spacciati.

Una massa nera si staccò dall'ombra, la prima che aveva cominciato a tremare. Prese forma. Un'orrenda forma umanoide. Nera. Eccezion fatta per la lingua, lunga e verde, penzolante tra i denti affilati. E per l'unico e grande occhio. Verde.

«Ah, shimaghilei. Lieto di fare la tua conoscenza.» La lingua colava bava vischiosa sul pavimento e la voce era acuta, strisciante e biascicava.

Bogumil non aveva mai visto un demone, ma era sicuro che si trovava in presenza di un esemplare di quella razza. E l'orrore andava oltre ogni sua più fervida immaginazione. Indietreggiò pregando la Dea di perdonarlo per tutti i suoi peccati e renderlo invisibile a quella creatura.

Con un urlo, il Gran Maestro sollevò il martello contro il mostro.

Vide l'arma lasciare una scia dorata durante la calata sul bersaglio e vide le tenebre aprirsi e ricomporsi un passo più a destra.

Sibilando, il demone fu alle spalle del Gran Maestro e lo avvolse nelle sue spire, che divennero due lunghe braccia muscolose, nere e con le mani dotate di artigli.

Il martello cadde a terra con un tonfo, mentre Timoteus si agitava cercando di liberarsi.

Anche Bogumil cadde a terra. Strisciò seduto, aiutandosi con i piedi, per allontanarsi da ciò che stava accadendo. Sentiva la propria voce recitare tutte le preghiere che conosceva.

«Zeghitotali!» sibilò il demone.

La gola gli si incollò. Respirava, ma non riusciva a parlare. E cominciò a non vedere più in modo chiaro quando le lacrime gli riempirono gli occhi. Anche se non emetteva più suoni, continuò a pregare e sentì un liquido caldo bagnargli le gambe e la tonaca quando udì le ossa del Gran Maestro cedere sotto quella morsa. Lo vide spalancare la bocca, in un urlo silenzioso.

Il mostro allargò il ghigno, sempre di più, mostrando una chiostra di denti e leccando il viso della vittima.

Bogumil sapeva cosa stava per accadere. Lo aveva letto. Glielo avevano raccontato. Ma nulla poteva prepararlo.

Il muso nero si aprì in modo innaturale, troppo grande anche per quella faccia, e cominciò a ingoiare Timoteus, dalla testa. Quando arrivò all'altezza delle spalle il Gran Maestro era ancora vivo, si muoveva, ma smise di farlo, con uno spasmo, quando il demone serrò i denti.

Le ossa produssero un rumore che Bogumil non credeva possibile. Neanche tutto quel sangue doveva esserci. No. Non era possibile. Non era vero. La Dea non poteva averli abbandonati così. Era il Gran Maestro quello che veniva divorato. La Voce della Dea. Il Volere della Dea. Non era possibile.

Tutto cominciò a vorticargli intorno. Stanza, sangue, demone. Altre ossa spezzate. Un urlo. Il suo.

Pregò di perdere conoscenza. Pregò che non sentisse dolore. Pregò che durasse poco.

«Ah, wetati» sibilò il demone passandosi la lingua sui denti grondanti sangue.

Bogumil se lo trovò accovacciato al suo fianco. Non riuscì a svenire. Tremava mentre fissava quell'occhio verde brillante, senza pupilla. E l'alito nauseante del mostro gli procurò un conato.

«Siamo delicatini, wetati. Non hai mai visto uno spettacolo del genere, vero?»

Sentì gli artigli graffiargli la testa, quando il demone gli tirò i capelli per costringerlo a guardare.

«Puoi anche smetterla di frignare e pisciarti sotto, sai? Non ti mangerò e non ti ucciderò.»

Quelle parole trasudavano menzogna, ma ormai non poteva fare più nulla. Aprì gli occhi.

«Molto bene.» Ogni sibilo aveva il tanfo della morte. «Devo chiederti un favore. Mi aiuterai, vero?»

Gli artigli affondarono di più nella pelle. Bogumil annuì, per quanto poteva permetterselo.

«Certo che lo farai, wetati. Altrimenti verrò ogni notte, a mangiarti un pezzettino alla volta. Inizierò dalle orecchie, poi passerò alle dita.»

Scosse la testa.

«Perfetto. Da bravo cagnolino quale sei, racconterai tutto quello che hai visto. Lo farai?»

Annuì.

«Io lo saprò se non ubbidirai. E saprò sempre dove trovarti. Sai perché?»

Bogumil sgranò gli occhi e vide le fauci del demone spalancarsi e avvicinarsi. Il dolore all'orecchio fu lancinante quando glielo strappò. E tutto divenne scuro. Finalmente perse i sensi.

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