L'imbucato
La macchina sfrecciava per le vie della città. Bel sabato mattina di merda, a quell'ora di solito era ancora a letto, il mondo non ancora formato davanti i suoi occhi.
Aveva ancora sonno, non riusciva a capire bene dove stessero andando e perché. L'unica cosa che sapeva era che il giorno prima l'aveva combinata davvero grossa. Probabilmente questa era qualche stupida conseguenza per quello che era successo.
La sua testa stava per scoppiare, appoggiata al vetro del finestrino del passeggero. Le buche su quella via non aiutavano.
"Dove mi stai portando, Bill?" Disse cercando di sistemarsi in una posizione abbastanza comoda per dormire.
"In un posto in cui aspetterai finché le acque non si calmano." Rispose il guidatore con la sua voce greve in tono neutro. "Stavolta sei nella merda, ragazzo."
Non riuscì a decifrare l'espressione del suo autista, sempre così serio e coperto dai suoi spessi occhiali neri. La sua testa era così lucida che avrebbe potuto riflettere i raggi del sole, peccato fosse una giornata nuvolosa.
"Ascoltami! Quel tizio se lo meritava, dovrei essere un eroe a quest'ora, non un cazzo di fuggitivo!" Il ragazzo cerco di far valere le sue ragioni.
"Hai mandato all'ospedale un'agente di polizia! Dovresti essere un eroe, Hill?"
Quando Bill lo chiamava per cognome era sempre un brutto segno, voleva dire che la situazione era davvero finita male. Fece un sospiro, aprendo leggermente il finestrino.
"Quello era un abuso di potere. Con la scusa di perquisire Ashley, le aveva messo le mani addosso. Viscido schifoso. È lui lo stronzo della situazione. Dovreste capirlo."
L'autista resto in silenzio. Il ragazzo sbuffò, volgendo lo sguardo oltre il vetro. Una donna stendeva i panni nel suo giardino, sbracciandosi per salutare quello che sembrava un postino.
"Ringrazia tuo padre." Bill ruppe il silenzio. "Se non fossi il figlio del grande industriale che si candida a sindaco per migliorare la città, saresti già dietro le sbarre."
"Che culo!" Rispose svogliatamente. Suo padre lo pressava continuamente, voleva farlo diventare il degno erede per il suo impero, renderlo un freddo calcolatore. Odiava quella merda. Si era esposto per aiutare un'amica in pericolo e ora doveva nascondersi e aspettare che suo padre distribuisse qualche mazzetta. Fantastico.
"Non essere così duro con il tuo vecchio. Vuole solo aiutarti e non vederti in una prigione. Ascoltami." Bill sembrava più amichevole, rallentò per fermarsi a un semaforo rosso.
"Fosse per me, avrei rotto il culo a quello sbirro come hai fatto tu, per poi aprirgli la testa e gettarlo in qualche fosso, ma capisci che questo sarebbe sconveniente. È un fottuto poliziotto, la legge lo protegge e si sente autorizzato a fare il cazzo che vuole, questo lo so anche io. Ma tuo padre ora è in corsa per le elezioni, i suoi avversari ti userebbero contro di lui e capisci che non possiamo permetterlo."
Lo ascoltava attentamente, senza capire dove volesse andare a parare.
"Quello che voglio dirti è che il mestiere del poliziotto è pericoloso. Metti che questo stronzo si rimette e torna al lavoro. Sicuramente i colleghi gli organizzeranno una bella festa di benvenuto, tutti si divertono, ma poi si torna in strada. Lo stronzo a cui hai rotto il culo riceve una chiamata, due messicani del cazzo stanno facendo a botte sulla quindicesima. Il nostro eroe interviene, sentendosi la spada divina della giustizia. Scende dalla sua volante, i due messicani del cazzo estraggono due Glock19 e lo crivellano di colpi."
Bill sorrise, mentre accelerava. "Capisci cosa intendo, Hill?"
Bene, suo padre avrebbe colpito ancora. Almeno stavolta la vittima se lo meritava.
L'autista cominciò a rallentare, accostandosi al marciapiede. Era qui che dovevano andare?
Guardò il cancello vicino al quale si erano fermati, rimanendo perplesso.
ORFANOTROFIO GIARDINO DEGLI ANGELI
"Bill? Che cazzo ci facciamo in un orfanotrofio?"
"Sarà la tua nuova casa per qualche settimana." Rispose il bestione scendendo dall'auto e dirigendosi verso il portabagagli.
Al ragazzo per poco non venne un colpo. Non poteva essere vero.
"Mi stai prendendo in giro, vero?" Scese di corsa dalla macchina, confuso.
"No. Se qualcuno volesse cercarti, non penserebbe mai a un posto del genere." Bill stringeva tra le mani, con molta cura, una valigetta.
il ragazzo scoppiò in una risata isterica.
"Okay, okay Bill. Se questo è uno scherzo, devo ammettere che ha funzionato. Quindi ora torniamo in macchina e andiamo dove dobbiamo andare."
"Non sto scherzando, Hill." L'autista si diresse verso quel cancello laccato di verde. In lontananza si sentivano le urla gioiose dei bambini.
Il ragazzo sbiancò, portandosi le mani nelle tasche del suo giacchetto di jeans.
"Grazie, papà." Estrasse una sigaretta dal pacchetto e l'accese, sbuffando fuori fumo. "Grazie per la magnifica esperienza."
Bill gli si fece vicino, sembrava infastidito.
"Non è il momento Hill. Le suore ci aspettano."
Prese la sigaretta dalla bocca del figlio del suo capo, per gettarla sul marciapiede.
"Suore? Sempre meglio cazzo." Protestò quest'ultimo.
Il suo accompagnatore suonò al cancello. Qualche istante dopo gli fu aperto.
Si incamminò svogliato sul viale che tagliava in due il grande giardino di quel posto, affiancato dal bestione. Una cosa positiva l'aveva trovata; lì fuori avrebbe potuto fumare indisturbato.
"Pensa positivo, Hill, qui potrai prendere il sole."
"Grazie Bill, se fossimo in un film, inizierebbe a piovere a dirotto dopo questa tua frase."
L'autista sembrava ridersela del suo disagio.
Mentre si dirigevano verso l'imponente edificio, giallo con le tegole verdi, sentì uno strano rumore, come uno scricchiolio.
Poco distante dal sentiero, una ragazza dai capelli rossi era seduta su una vecchia altalena trasandata. Sembrava triste, dondolandosi senza troppo entusiasmo. Non si accorse del rumore dei loro passi, assorta come era nei suoi pensieri.
La trovava veramente molto bella, aveva lo sguardo rivolto verso il basso, come se guardasse qualcosa invisibile agli occhi degli altri. Avrebbe voluto parlare con lei, provare a farla ridere, ma l'autista sembrava determinato a portarlo dalle suore.
"Chissà cosa le è successo." Pensò. "Chissà cosa si prova a passare l'infanzia qui dentro."
Nei suoi venti anni non si era mai potuto lamentare. Suo padre era ricco e a lui non era mai mancato nulla, anzi, forse aveva avuto anche troppo. Scacciò quei pensieri, non era il momento.
Davanti il portone dell'orfanotrofio li attendeva una suora. Al loro arrivo, i bambini avevano smesso di giocare, curiosi di sapere chi fossero quei due.
"Buongiorno! Vi stavamo aspettando." Esordì la monaca.
"Grazie sorella. Possiamo parlare con la direttrice?" Chiese Bill cortese.
"Certo, seguitemi. Madame Brigitte vi attende."
Si incamminarono dietro alla donna, passando attraverso una sorta di sala comune. Qualche ragazzo della sua età leggeva sopra quei divani rossi, alcuni smisero di fare le loro faccende per seguirlo con lo sguardo, interrogandosi su chi fosse.
Finalmente arrivarono di fronte una porta di legno scuro. La suora bussò.
"Avanti!" Rispose una voce all'interno della stanza.
"Madame, sono arrivati." Disse la suora introducendoli nello studio.
Mobili d'epoca, quadri che sembravano costosi, quel piccolo studio sembrava una reggia. Sogghignò, quel posto cadeva a pezzi ma la direttrice faceva la bella vita.
"Buongiorno, spero abbiate fatto buon viaggio." Madame Brigitte gli sorrise, il suo abito sembrava molto costoso.
"Tutto bene. Ho qui la donazione che intende fare il signor Hill." Bill posò la valigetta sulla scrivania di mogano. "Quarantamila, come avevamo pattuito."
Suo padre aveva davvero sborsato quella cifra? Pensò che fosse davvero caro quel posto, come hotel di lusso.
Gli occhi della direttrice brillarono alla vista delle banconote.
"Perfetto, ritieniti pure nostro ospite, diremo che hai diciassette anni."
Il ragazzo sogghignò, di nuovo teenager, magnifico.
"Suor Claire ti mostrerà tutto l'edificio, caro ragazzo. Come ti chiami?"
"Alex. Mi chiamo Alex."
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