Professor Solo

Avrebbe dovuto lasciare i locali della biblioteca tutto tronfio della stilettata che era riuscito a infliggere a Miss finta perfettina – eh sì, perché finta lo era parecchio, la legnosa bacchettona, tutta ligia alle regole che aveva sempre impersonato al lavoro, si era sgretolata, quasi all'istante, al cospetto della scatenata ballerina della sera prima, in compagnia di non uno, bensì due bellimbusti.

Se ne andava, invece, di un umore che faceva pendant con il tempo uggioso. Nemmeno l'ennesimo complimento per l'imminente presentazione del suo ultimo libro, da parte di un giovane collega, scalfì minimamente la sua poker face.

I pneumatici della Chevrolet Corvet C3 nera stridettero sul selciato del vialetto di Villa Organa-Solo. Il venerdì era la sera prestabilita in cui la famiglia si riuniva.

Al rampollo di nobile casata non sfuggì l'altra berlina parcheggiata appena sulla strada, fuori del vialetto dei suoi, una Porche Warna 911 rossa – gran bella macchina – ma quale proprietario avrebbe potuto scegliere un colore talmente kitsch?!

Varcata la soglia, superate le fini colonne di marmo in stile corinzio, l'anziana governante gli si fece incontro per prendergli il cappotto.

"Oh, Nance" la salutò con un bacio affettuoso sulla guancia, mentre le posava una mano su una spalla, "sei sempre tanto cara, non sono più un bambino, faccio da me... non voglio che ti stanchi."

L'attempata donna lo guardò sorridente, allungandogli una stanca mano tra i capelli dietro la nuca. "Ragazzo mio adorato, tu sarai sempre il mio piccolo Ben."

Le posò un altro bacio delicato sulle ciocche d'argento, mentre la cingeva a sé, con tenerezza, per le spalle.
Quel momento di intimo benvenuto fu interrotto dalla tuonante voce del generale Han Solo.

"Ben, ragazzo mio, lascia che ti presenti il tenente colonnello Dameron, pluridecorato pilota della nostra Aviazione Nazionale, avete quasi la stessa età."

Per poco non venne una sincope a entrambi. Rimasero muti per diversi momenti.

"Beh, allora? Non dite niente?" incalzò Han.

"Prima tu o prima io?" ridacchiò Dameron.

"Piacere di rivederti," proseguì l'altro, telegrafico.

"Vi conoscete? Ma è fantastico! Bene, allora proseguiremo la conversazione dinnanzi allo stufato preparato a quattro mani da Nance e tua madre, uno spettacolo!"

Poteva andare peggio di così? Per tutta la serata, il generale non aveva decantato che il pregio del pilota loro ospite, le missioni cui avevano partecipato insieme, gloriosamente, in Afganistan – Han tirava fuori quell'aneddoto a ogni occasione in cui poteva.

Il curriculum di Dameron vantava addirittura un anno al servizio del Presidente, alla guida dell'Air Force One... mancava solo un Nobel per la pace a completare il bel quadretto di famiglia, dove, questo arrivato dal nulla, sedeva tra i suoi genitori mentre, in disparte e taciturno, il legittimo erede se ne restava ai margini.

La situazione precipitò quando il pilota imbecille – loro ospite, impiccione e ficcanaso – chiese a Ben come mai non avesse seguito le orme di suo padre nella carriera militare.

Leia, che fino a quel momento aveva cercato di mediare la conversazione includendovi suo figlio, si sentì oggettivamente in difficoltà.
Salvò la situazione dirottando la risposta su quanto il suo ragazzo fosse sempre stato estremamente riflessivo e dotato di grande talento e sensibilità per gli studi e che la carriera da letterato era senz'altro stato il suo destino, scritto da tempo.

"Signori, si è fatto tardi ed è stato un vero piacere, ma è ora che torni a casa.
Sindaco Organa, un vero onore essere vostro ospite," li congedava, mentre baciava galantemente la mano di Leia.

Ben giurò, a quel punto, di stare quasi per dare di stomaco. Ma le sorprese non erano finite.

"A proposito ragazzo, dov'è la graziosa creatura che era con te a Lacey l'ultima volta che ci siamo visti, a casa del senatore Palpatine? Sua nipote, se non erro."

Ben Solo deglutì a fatica, troppe associazioni in un'unica frase!

"Sono giusto venuto a trovarla," rispose Poe, un po' in imbarazzo, accarezzandosi la nuca.

"Ah! Ecco a cosa si deve la tua presenza sull'altra costa, sei qui per la tua ragazza. Da quando si è trasferita? Ricordo che suo nonno era molto fiero di lei. Stava per finire il suo tirocinio, due anni fa, presso una clinica privata per l'abilitazione alla professione," Osservò Han.

"Insegna Psicologia qui, al Boston College," esclamò Poe rivolgendo uno sguardo inequivocabile al collega della ragazza!

"Lavora con te, Ben? Perché non ce lo hai detto subito?"

A quel punto le sue orecchie avevano sanguinato abbastanza.

"Scusate, io... devo proprio scappare. Domattina ho una colazione di lavoro, con dei colleghi, per discutere dell'uscita del libro. Grazie della squisita cena. Mamma, papà, Nance, Dameron." Si accomiatò frettolosamente.

Schizzò in macchina come una scheggia, quasi senza infilare il cappotto.
Accelerò, mentre selezionava la musica per distrarsi, e guidò. Senza una direzione precisa.
Quando la rabbia e la frustrazione scemarono un poco, iniziando a fargli sentire freddo, si rintanò in un vecchio bar, a bere.

Giù, un bicchiere dietro l'altro. L'alcool doveva avergli annebbiato la ragione oltre il limite perché, davanti agli occhi, gli si riproponeva la mano di Dameron, nella luce soffusa di quel locale, che scendeva sulla schiena sinuosa di una Miss Palpatine diversa da come l'aveva sempre vista.

Disinibita, la testa abbandonata, i capelli fluenti, dello stesso colore caldo delle labbra e dello smalto, ondeggiavano al ritmo sensuale della musica.

Pensieri tossici e completamente fuori luogo, perché fantasticava su Miss Palpatine? Perché la immaginava, ora, tra le possenti braccia di quel pilota?

La sua ragazza, così aveva detto suo padre – e Dameron era in città per lei.
Li immaginava scaldare, focosamente, insieme, le fredde notti bostoniane.

Picchiò il bicchiere sul bancone, posandovi di fianco i soldi.

"Ernest ho bevuto troppo, non posso guidare in queste condizioni. Ce l'hai una camera?"

"Certo, professore! Era da un po' che non ti si vedeva."

"Ti ho detto di non chiamarmi così," gli intimò tra i denti.

"Tranquillo Mister Solo... ti porto il solito."

"Ingenua e giovane: carne tenera, stanotte!" biascicò con tono arrochito.

una volta in camera, si lasciò cadere sul letto occhi fissi al soffitto; le sue movenze erano quelle di un automa.

Poco dopo, il cigolio della porta gli suggerì che Ernest gli aveva mandato quanto richiesto.
Una ragazza dagli occhi spauriti, color nocciola, illuminati appena dalla luce fioca dell'abat jour; il corpo minuto, ma tornito, avvolto da un candido intimo di pizzo bianco: se ne stava immobile, serrata alla porta.

No, non era il solito. Questa doveva essere alle prime armi.
La prese per mano facendola sedere accanto a sé, le sollevò il viso e con l'altra mano le spostò i capelli castani dalla fronte.

"Sei nuova? Non ti ho mai vista... quanti anni hai?"

"Venticinque," pronunciò con un filo di voce, mentre tremava.

"Non avere paura, se faccio qualcosa che non vuoi, devi solo dirmelo e smetto, promesso... Come ti chiami?"

"Nina," pronunciò la ragazza, guardandolo con i suoi grandi occhi.
"E tu?"

"Professor Solo, tu chiamami professor Solo!"


«Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto.»

– Seneca –

Note dell'Autrice:

Professor Solo ha sdoppiamenti di personalità secondo voi? Aspetto numerosi pareri. 🤔

Nives.

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