Mani profane, labbra pellegrine, Bacio dei Santi

Romeo: Se io profano con la mia mano indegna questo santuario, è un peccato gentile. Le mie labbra, come due pellegrini, chiedono la grazia di riparare a rude offesa con un dolce bacio.

Giulietta: Buon Pellegrino, non disprezzare la tua mano che ha dimostrato solo devozione. Perché i Santi hanno mani che i Pellegrini toccano con le mani, ma palma contro palma...
Questo è il bacio dei Santi.

Romeo: I Santi non hanno labbra come le hanno i Pellegrini?

Giulietta: Si, Pellegrino. Ma servono solo per pregare.

Romeo: Allora, mia Santa, concedi che le labbra preghino come le mani. O la fede diventa disperazione!

Giulietta: I Santi non si muovono. Ascoltano chi prega... nient'altro.

Romeo: E tu non muoverti, mentre mi esaudisco da solo.
Dalle mie labbra, le tue labbra hanno tolto il peccato...

Giulietta: E le mie l'hanno avuto dalle tue!

Romeo: Che incoraggiamento soave, allora rendimi il mio peccato.

Giulietta: Baci come un dio...

– Romeo e Giulietta – Shakespeare

Se lo imprime addosso, Rey: le sue mani calde, scabre ma gentili.
Mani pellegrine che percorrono, fedeli, il loro cammino per arrivare a venerare la sacralità della creatura che sfiorano.

Il suo corpo. Il suo odore.
Lo sguardo, a tratti smarrito, rapito nel suo.
La scruta, le cerca l'anima.
E lei lo vuole, lo pretende!
Da troppo tempo.
E adesso non c'è più tempo.
Per i sensi di colpa, per il non detto.

C'è solo lui e il miele dei suoi occhi che le cola fino al cuore.
Astri di una notte senza luna supplicano,
come una preghiera.
Ed è come casa.
E il buio, che si trascina dentro, tramonta nell'alba radiosa della luce di lei, che lo scalda.

La chiama per nome, Ben.
Come una preghiera.
Una, due, tre volte.
Preme maggiormente la propria pelle contro la sua.
È delicata ma il suo bisogno urge, non può attendere oltre.
Intreccia le sue dita, troppo robuste, tra quelle esili e affusolate di lei.
Non sono solo mani che si cercano, palmo contro palmo.
Non è mero desiderio.
È appartenenza, completezza, a livelli insondati prima, da entrambi.
Anime legate anzitempo l'incontrarsi.
Fusione di carne, di sangue.

Le respira le labbra,
le guance di pesca,
le lentiggini sul naso perfetto, e ancora, le ciglia di seta socchiuse da dietro le quali lo guarda appena. Umide del suo fiato caldo e delle lacrime che vi si incastrano caparbie – ché se mai scivolassero via sarebbero più sfrontate di una dichiarazione a voce alta.

Anche lei lo chiama per nome.
Vorrebbe urlarlo quel nome, Rey.
Ma lui le serra l'aria nei polmoni a ogni movimento, sempre più intenso.
E così lo sospira piano, tra l'ossidiana dei suoi capelli che si mischiano ai suoi e le solleticano il viso, il collo.

Piano.
Come una preghiera.
Ed è come casa.
Ma il suo corpo, spera glielo urli.
Che lo vuole di più, senza ritegno.
Solamente lui e nessun altro mai, in un modo simile, prima.
Che non ha ottenuto quello che voleva.
Che sa di non essere un premio da contendere ed esibire.
Sa che sente il bisogno di lei, senza nessun intento di rivalsa.
Glielo racconta ogni più piccolo gesto che trasuda tenerezza; quell'ambra liquida che i suoi occhi persi stillano solo per lei.

Così, lo chiama.
Come una preghiera.
Le sue braccia si fanno casa per lui, come quando hanno dormito abbracciati, la notte della Tomba.
Non c'è più nessun impedimento a poterlo toccare, come avrebbe voluto da quella volta.
Così gli percorre il rilievo della cicatrice, al centro del petto, con una scia di baci mentre con le dita gli carezza quella laterale, lungo la coscia, fin sotto il ginocchio: anche quella, amara rivelazione del perché non sia potuto rimanere un ufficiale dell'aviazione.

Ne è sorpreso.
Rey glielo legge negli occhi, che esitano, e nel sussulto che il suo corpo possente non controlla. Scoperto di fronte a tanta dedizione.
Non ci è abituato, Ben.
Nessuno è mai arrivato così in profondità da quando... da quando il fato ha congelato la sua vita, sei anni prima.

A occhi chiusi, si lascia trasportare con fiducia, dalle mille attenzioni che la giovane gli riserva.
A ogni bacio, gli soffia via uno strato di dolore dietro l'altro, ne cura la sofferenza con il suo – amore?
È di questo che si tratta?
È amore quello che prova, per lui, quella creatura così preziosa?

Non lo sa ancora.
Il tempo darà le risposte.
In questo momento non contano – anche se la speranza che sia così si fa strada, come una piccola scintilla che brilla dal cuore al sorriso che splende sulle labbra austere del professore, e di cui le fa dono, mentre s'inebria del suo tocco delicato.

Per certo, sa che non è minimamente paragonabile al surrogato della felicità che ha cercato nei visi estranei di donne sconosciute, nel triste scorrere dei suoi anni bui.
Neanche quando ha voluto provare l'ebrezza della giovinezza ha sentito, nemmeno lontanamente, quello che ora prova per l'angelo candido che stringe a sé.

Due ladri che rubano attimi al tiranno crudele.
Devono guardarsi le spalle.
Tutto sta andando secondo i piani.
Hanno guadagnato vantaggio, non sono degli sprovveduti.
E mentre il senatore ha sciolto, al loro inseguimento, tutti i cani a disposizione, Poe, Rey e Ben possono contare su un piano ben costruito a tavolino: il generale Solo e il sindaco Organa stanno già preparando la contromossa finale.

In questo marasma, un uomo che da troppo tempo nega a sé stesso di vivere e una giovane donna che si scopre, per la prima volta, a volere qualcosa di diverso, di più forte di quello che ha sempre creduto fosse giusto, qualcosa che non deve per forza essere quello che ci si aspetta da lei... bene, questi due giovani amanti si concedono l'incoscienza di pensare sotanto a loro stessi, nel mezzo della tempesta che li investe in pieno.

Rey gli nasconde il viso su una spalla.
"Quando quest'incubo sarà finito, io, io... non voglio mai più portare questo cognome," singhiozza, in una confessione tanto intima, quanto dolorosa.
Una confidenza che sa di fiducia.
Che è come essere a casa... tra le sue braccia.

Ben sente quel fiele scottare sulla pelle, le prende il viso tra le mani e glielo asciuga, piano.
"Quando tutta questa storia sarà finita sarai libera, Rey. Il sangue che hai ereditato non dice chi sei veramente."

Per quanto abbia cercato di lenire il suo dolore, le lacrime la fanno tremare come una foglia sbatacchiata da un vento impetuoso.
"La mia vita è tutta una menzogna, Ben. Non capisci? Non sono niente."

"Non per me, Rey" le dice, guardandola negli occhi, per accertarsi che abbia capito bene.

Lei esita, deve metabolizzare quelle parole.

Sono niente.

Non per me.

Lo ha detto davvero?

L'uomo che la fissa... freme.
Non è bravo con le parole, lo sa Rey, ma se c'è un libro nel quale può leggere apertamente ogni sua emozione sono i suoi occhi.
Favo di miele.
Notte di stelle senza luna.
Sono le corde che la sua anima incatenata lascia vibrare di mille espressioni.
E in quella che ha, mentre le sta parlando con voce calma e ferma, lei lo legge.

Gli legge conforto e tanto di più, cui però ha paura di dare un nome.
Per ora, il modo nel quale la rassicura le basta e se lo stringe al cuore, forte.
Gli bacia la fronte, i capelli. Lo accarezza come non dovesse mai smettere.
Il tempo si dilata e si restringe, all'infinito, tra le lenzuola sgualcite.
Il tiranno crudele li reclama impietoso.

Attimi eterni. Abbracciati e nudi, si sono già dati tutto e anche oltre.
Gustano l'essenza l'uno dall'altra, il loro profumo si fonde.
Felci e cannella.
Rose, mela e muschio.
E il cuore rallenta, trova pace nel battito caldo di quello dell'altro.
Ed è come casa.

Non hanno tempo, devono nascondersi, essere prudenti, ma loro... si concedono il lusso di appartenersi, una volta ancora.
Hanno aspettato troppo. Non c'è più tempo per il solo desiderio.


Lo scorrere dell'acqua è quasi doloroso: le lava via di dosso l'odore di uomo, quello della pelle di Ben, dei capelli, dell'essenza di cui l'ha riempita totalmente, fino a farle perdere la cognizione di chi fosse.
L'acqua lava via lui e lei sente di perderlo, ancora.
Di non riuscire mai a trattenerlo davvero.
Il momento nel quale lo sente più vicino, nel quale avverte che lui sta lasciando dietro di sé i suoi demoni, è quello che precede l'attimo che li separa nuovamente.
Se la sente scivolare di dosso, quell'ultima traccia che ancora conserva dentro sé, fugge via insieme alle lacrime che non ritiene più – perché lui, ora, non può vederla.
Non così vulnerabile, di nuovo.
Non si tratta di egoismo, non vuole tenerlo per sé ciò che prova.

Non potrebbe neanche volendo: il suo corpo glielo canta ogni volta che gli si concede, senza remore.

Soltanto non vuole condizionarlo.
Teme di sembrargli una bimbetta bisognosa, alle prime armi.
Non vuole smuovere, in lui senso di protezione, tanto meno pietà.
Ha già fatto questo errore con Poe, in passato.
Ma era una bambina. Ora è una donna capace di essere la compagna di un uomo maturo, giocando ad armi pari.

Conforto, appoggio, appagamento: questo desidera essere per Ben che lentamente torna a pulsare sangue nelle vene, al posto di un glaciale flusso criogenico che, negli anni, lo ha reso più simile a una macchina che a un essere fatto di muscoli, carne e tendini.

Uscendo dalla doccia, la vista di lui è una nuova stilettata che, affilata, le si contorce tra le costole: non è in camera.
Lo cerca finendo per trovarlo in salotto.
Le dà le spalle non accorgendosi del suo arrivo silenzioso.

Incede di qualche passo felpato, sul parquet, Rey; lui è accanto al tomo de Il Rosso e Il Nero, tiene qualcosa tra le mani.

Si sporge ancora per tentare di aggirare l'imponente stazza del suo corpo, avvolto dalla sola vestaglia di vigogna dai toni granata che contrasta, di netto, con il suo incarnato latteo, costellato di quei piccoli deliziosi nei i quali, lei, come in una mappa, delinea con perizia lasciandovi un tracciato di baci e carezze, quando sono in intimità.

È una foto quella che stringe.

Non si può lottare contro un nemico invisibile: i fantasmi di un passato, che lui non lascia morire, lo risucchiano in un vortice di disperazione senza fine.
Amara constatazione, che le serpeggia sotto pelle.

Solo ne ha avvertito la presenza alle spalle.
Un presentimento distinto e spiacevole gli fa tremare forte le labbra mentre deglutisce.
Depone in fretta, accanto al tomo, ciò che reggeva; un'immagine lontana di un cadetto in uniforme, niente di più: il passato.

Le sue mani robuste chiudono il libro, in un pesante tonfo che echeggia nel silenzio ovattato della grande stanza, sollevando una nuvoletta di polvere dalle pagine ingiallite di foggia spessa, restate aperte nello stesso punto da tempo immemore.

Cerca di tenere i nervi saldi. Si volta verso di lei lentamente, e muore dentro.
Annega in quegli occhi di giada, tersi come un mare cristallino, che la tradiscono.

Il demone, che per tanto tempo ha tormentato lui, ora aleggia nelle iridi pietrificate di lei.
Vi sta seminando il medesimo tarlo che consumava, nell'animo del professore, ogni briciola di ottimismo. Incapace di una qualsiasi forma di razionalità. Le labbra rosee semi dischiuse in un'espressione cerea.

Fragile ed esposta oltremodo, non può nascondersi, non da lui.

Le braccia inerti che hanno lasciato cadere il telo da bagno che la avvolgeva, più volte tentano di recuperarlo, per riacquistare una parvenza di miserabile pudore. Ci riescono e scappa via.

Lui è più svelto, però, le blocca i polsi sollevandoli a mezz'aria. Il telo cade nuovamente.

La guarda trafitto dalla sua bellezza, dalle sue forme femminili, a tratti virginali, tanto etereo è il loro sembiante.
In piccoli baci, simili a battiti d'ali, le asciuga i rigagnoli umidi che le solcano le efelidi, lungo le guance lievemente imporporate.

"Sei così bella... e dolce," le sussurra, schiudendole le labbra con le sue, serrandole il respiro.
E ancora, adagiandola piano sul letto sfatto, la guarda..."Sono tuo! Mi hai sentito? Non è come pensi..." le mormora sulle palpebre, mentre la culla.

I baci, dal viso, si spostano a lambire con lenta dovizia il pendio incantato fino al paradiso dei suoi seni.
Non vuole cedere a un uomo che la dividerà per sempre con qualcuno che non c'è più e invece, in un'eterna contraddizione, gli si offre di più, inarcandosi: un gesto che implicito gli reclama anima e corpo.

Non mente, Ben. Non potrebbe, nel profondo sa che è sincero. Lo sente!
La cura totale e reverenziale che dedica ad ogni lembo della sua pelle è estenuante.

Ed è come casa.

È il canto che dall'anima si propaga al tocco sensuale dei loro corpi.

Lei è cura, per lui. Solo per lui.

Non c'è Lara.
Non c'è Poe.
Solo loro due, il loro assaporarsi è nuovo.
Sa di loro solamente.

E poi, la sente vibrare, stringerglisi più forte, spasmodicamente, al limite dell'apice cui sta per giungere.

Dalla base della nuca, Rey sente un formicolio propagarsi al viso, alle labbra, attraverso la schiena si irradia alle braccia.
Quella linfa vitale irradia dai candidi gigli sul suo petto, simultaneamente, al basso ventre fino a scendere nel punto più profondo della sua essenza, giù sino alle dita dei piedi.
In un ansito indecente, pronunciano, entrambi, i propri nomi.

Come una preghiera.

E si perde Ben! È in paradiso e brucia all'inferno nello stagno di fuoco di quel corpo sudato, avvinghiato al suo.
Sulle sponde di un lago salato, d'amore, di passioni inconfessabili.
Un residuo ardore, guizza dalle sue labbra che ancora succhiano il nettare di quelle della sua Rey.

"Sei bellissima!"

"Non so quante volte me l'hai detto," ripete lei, in estasi, occhi al soffitto, i capelli dai toni caldi come quelli della pelle e delle labbra, sparsi sul cuscino.

Sì, è bellissima. Lo è la sua anima pura. Non la merita, si ritrova a pensare, è un regalo immeritato una donna che creda in lui più di quanto egli stesso abbia mai fatto.

È come casa
Il tuo cuore, per il mio.


Legata, mani dietro la schiena, una benda sugli occhi, e sulla bocca nastro adesivo.
Un'emicrania lancinante, le stava letteralmente dividendo il cranio in due.
Aveva preso una botta in testa, quasi certamente il cane a cresta di un revolver, forse: quello di uno degli uomini in passamontagna.
A giudicare dal dolore, che le aveva fatto perdere i sensi, e dal bruciore avvertito, a contatto con la pelle, doveva trattarsi proprio di quello.
Era stato tutto così repentino: dall'irruzione in camera da letto, al momento nel quale era stata colpita, non erano intercorsi che pochi minuti, i quali a lei erano parsi frazioni di secondo.

Riusciva a pensare soltanto a Ben
Com'era possibile?
Fino poco prima, aveva vissuto con lui alcuni tra i momenti più intensi degli ultimi mesi.
Che l'avesse solo immaginato?!
Perché le appariva tutto estremamente confuso, adesso.

Una cosa sapeva, di essere in un auto.
Dov'era, Ben?
Autentico terrore, le attanagliò le viscere in una morsa.
Avrebbe voluto chiamarlo, cercare un segno della sua presenza lì, insieme a lei.

Non sentiva niente se non il rumore del traffico allontanarsi e l'intensificarsi dei suoni della natura.
Con gli occhi e la bocca bendati l'udito si era affinato dunque percepiva, dal crepitio delle ruote sul selciato, che l'auto si stava fermando al ciglio di una strada fuori città.

Ben... non pensava ad altro.
L'ultima immagine che aveva davanti agli occhi era la lotta furiosa che aveva ingaggiato con i due aggressori introdottisi in casa sua, nonostante i sistemi di sicurezza bypassati non si capacitava come.

Aveva assestato, ai due, parecchi colpi, mantenendo un iniziale vantaggio.
La formazione marziale acquisita prima e durante la sua carriera militare, gli era tornata certamente utile.
Tuttavia i due malviventi si erano riorganizzati: uno di loro lo aveva preso alla sprovvista, da dietro, e lo teneva fermo per le braccia, mentre Solo si difendeva, calciando con le lunghe gambe contro il socio, il quale però, lo mise fuori gioco colpendolo in faccia con il calcio della pistola, per fare lo stesso con lei, poco dopo.

Ci aveva provato, si era buttata nella mischia, impavida. Nessuno poteva toccare il suo Ben e farla franca.
Aveva tentato di difenderlo, non ci aveva pensato due volte.

Avvertiva la spiacevole sensazione di un copioso rivolo, freddo-umido, colare sotto la benda annodata sugli occhi; era sangue.
L'odore ferrigno e acre le dava l'urto del vomito. La sostanza viscosa aveva finito per imbrattarle l'angolo della bocca, sotto l'adesivo, e continuava la sua inarrestabile colata lungo il collo, fino oltre lo scollo della camicetta.
Persino tra i capelli, dietro l'orecchio, facendola rabbrividire ulteriormente.

Avrebbe giurato di stare quasi per svenire, quando fu strattonata nuovamente dai suoi aggressori, i quali l'avevano sospinta fuori dalla macchina.
Dalla strada, la trascinarono verso un terreno sconnesso sul quale faceva fatica ad avanzare.
Le gambe tremanti e le ginocchia come gelatina non ressero che qualche passo sconnesso, prima che precipitasse in una rovinosa caduta.
Non serviva essere un medico per capire che stava perdendo molto sangue. Questo spiegava i capogiri fino a che, crollando, non aveva visto tutto bianco.

Quello che la attendeva al risveglio fu anche peggio!
Legata nuovamente per i polsi, braccia in alto,
il resto del corpo penzoloni, fu il dolore dei tendini tesi all'inverosimile che la ridestò, mentre avrebbe giurato di sentire le cervella uscirle dal naso e dagli occhi, tanto forte pulsava il cranio.

Sollevò, a fatica, le palpebre impastate.
La costrinse una litania sommessa e crescente, che prendeva sempre più forma nei suoi timpani.
Davanti a lei, nella semi penombra, spiccava un imponente rilievo rettangolare in marmo nero – lo riconobbe dalle venature grigie.
Era sopraelevato su tre gradini del medesimo materiale ma chiari.
Intorno ai piedi degli scalini, lungo tutto il perimetro, una moltitudine di candele, tra le quali, al centro, torreggiava una Menorah: un massiccio candelabro dorato a sette bracci e un'esagramma, posto al di sopra.
Nel momento in cui la vista aveva iniziato a focalizzare i particolari, nell'oscurità che la avvolgeva, notò che intorno al massiccio di marmo le candele presero la forma meglio definita di un pentacolo.

Venne slegata.
Esausta, crollò a peso morto sul pavimento pensando che i polsi le si fossero spezzati tanto lancinanti erano le fitte che provava a livello delle ossa carpali, mentre la vista le si annebbiava ancora.
Il capo le fu risollevato tirando forte per i capelli.
Urlò Rey, la sua bocca non era più tappata.
Un braccio robusto la sollevò, di peso, per la gola, quasi strozzandola.
E lei scalciava, mordeva, graffiava, si dimenava, approfittando che i suoi arti avessero libertà di movimento.
Aveva imparato a difendersi, non avrebbe subito la sorte; se fosse morta, lo avrebbe fatto combattendo!

Ben... dove sei, Ben?
Invocò nella mente il suo nome, come una preghiera.

Aveva paura, non lo sentiva, non lo vedeva. Non era stato portato via insieme a lei, ne era certa.
La stavano spingendo su per i gradini, aveva inciampato più volte, scalza, le piante dei piedi coperte solo dalle calze smagliate ormai, ferite dai rami che era certa di aver calpestato prima di giungere in quel posto.

Il suo corpo urtò violentemente contro il marmo freddo, sul quale fu legata nuovamente.
Da quella prospettiva poteva guardare meglio cosa la circondasse.
Intorno a lei lugubri sagome incappucciate recitavano un mantra macabro.
Dietro di loro, sulle pareti scarne, un fascio di luce azzurrina, probabilmente della luna, filtrava da quello che sembrava essere un rosone, posandosi su drappi neri apposti sui muri con sovrimpresso il teschio della confraternita degli Skull and Bones.

Erano molti i presenti e dalle file uniformi, a turno, qualcuno avanzò verso le cinque punte formate dalla disposizione delle candele: alcune nere, alcune bianche.
Spiccavano quelle della Menorah che ne recava sette nere, venate di rosso.
Una mano le avvicinò il candelabro al viso e una voce tetra si levò imperiosa.

"Il tempo è giunto, tanto a lungo ho atteso... che mia nipote tornasse a casa. Non ti voglio morta, ti voglio qui... senatrice Palpatine.
Tu prenderai il mio posto, è tuo diritto di nascita governare... è nel tuo sangue... nel nostro sangue."

"Non sono qui per compiacerti!" ghignò Rey, seppure in sussurro spezzato.

"Tu prenderai il mio posto a capo della confraternita. Compiremo il rito propiziatorio, presterai giuramento e sarai iniziata nelle file di questa società, alla guida del nostro paese. Governerai al mio fianco secondo le regole che imparerai: di rigore e giustizia.
E adempirai il tuo destino come mia erede."

"Presto non sarò più una Palpatine, dopo averti fatto sbattere in galera mi strapperò di dosso il tuo nome.
Il tuo unico scopo è condurmi a odiare ma io non odierò, neppure te."

La provocò in un battito di mani.

"Osserva i tuoi amici."

Alcuni energumeni, a capo coperto, trascinarono ai piedi dei gradini Dameron e Solo.
Incatenati, polsi dietro la schiena e ginocchia a terra, le vesti logore ed evidenti ecchimosi sul viso e sulle braccia di entrambi.
I presenti, a turno, li percuotevano.
Poe e Ben non ce l'avrebbero fatta e l'unica colpevole era lei.
Sarebbe stata responsabile della loro morte tra indicibili sofferenze.

"Mi dispiace. Speravo di farcela. Ma sono veramente troppi," si arrese all'evidenza Poe, rivolgendo lo sguardo spento verso Solo.

"Basta!" un urlo disperato sovrastò le nenie dei convenuti e i gemiti di dolore che nè Poe, nè Ben riuscivano a trattenere oltre."

"L'unica famiglia che hai qui... sono io. Non ne hanno per molto, nessuno verrà ad aiutarli e sei tu quella che li ha condotti qui.
Prendi il comando. Insabbia le questioni scomode! Soltanto tu hai il potere di salvarli. Rifiuta e la tua nuova famiglia morirà."

Rey sentì l'energia vitale esserle drenata dal corpo.
Arresa e disperata, annuì, attonita. Pronta.

"Iniziamo!" proclamò a gran voce il senatore.
"Ella si sacrificherà mentre presta giuramento! Eleviamo l'offerta!
Vieni, amico mio."

Lorenzetti si avvicinò impaziente a Rey per abusarne – come aveva fatto in precedenza con molte ragazze, inclusa Jean, secondo il rituale della donna altare.
Bramoso, le posizionò le mani sul collo.
Il senatore, in stato di trance, sollevò le mani verso l'alto ed evocò una formula in latino.

Un gran trambusto, in quel momento, scosse le fila degli adepti.

Esausti, Dameron e Solo fecero appello all'ultimo brandello di forza che rimaneva loro e, mentre gli altri erano distratti e agitati dal suono di sirene sempre più vicine, i due giovani si precipitarono verso Rey, per impedire che il porporato consumasse l'orrendo abominio ai suoi danni.

Ben scaraventò Lorenzetti sul marmo nero con tutta la forza che aveva in corpo. Lo stecchì sul colpo.
Il senatore fu ridestato dalla morte del suo fedelissimo, rivolgendosi al professore e all'ufficiale.

"Notevole...il sindaco Organa ha guastato i miei piani!
Combattete insieme... cadete insieme!" ghignò il senatore ai due coraggiosi uomini.

Azionò un congegno che, dall'oscurità fece echeggiare un sinistro, pesante cigolio metallico.
Dai due canti della stanza si palesarono due creature mostruose che mossero verso i due.

Poco prima della loro apparizione, la fiamma delle candele aveva preso a oscillare in un'intermittenza anomala, e Rey aveva sentito un soffio gelido sulla pelle. Giurò di aver visto il soffitto a cupola deformarsi in filamenti gelatinosi.
In quel momento realizzò di essere all'interno della Tomba!

"Come eliminai Skywalker, un tempo, oggi cade l'ultimo dei suoi successori!" ringhiò il senatore a Ben, liberando dai ceppi le creature bipedi con il volto aperto in quattro opercoli dentellati.

I demogorgoni, due creature umanoidi molto alte e magre con arti allungati.
La testa che sembrava mancare di tratti del viso, fino a quando non dispiegarono la carne, come un fiore, per rivelare petali con molti denti affilati e una grande bocca aperta.
Si avventarono famelici trascinando le loro prede dentro le gabbie, all'interno delle quali nella parete sul fondo, si potevano scorgere enormi squarci cremisi, nel buio.

Degli spari e gran concitazione destarono l'attenzione della ragazza terrorizzata, in quella bolgia infernale.
Dei militari in mimetica erano riusciti a entrare e liberare Poe e Ben dalla presa delle creature.

Esse si palesavano, evocate durante riti di investitura, per sbranare le vittime designate da offrire in libazione.
Al loro arrivo generavano campi magnetici in tutta l'area boschiva che dal Vermont si estendeva fino alle porte di Filadelfia, luogo dov'era avvenuto il misterioso incidente anni prima. Dove l'elicottero che trasportava Ben, Lara e Peter aveva perso quota per l'improvvisa avaria al motore.

Uno degli uomini delle imponenti forze di terra – giunte sul posto insieme ai paramedici del 911 e al generale Solo – coprì la ragazza, in evidente stato di shock. I paramedici, successivamente, la adagiaromo su una barella per un trasporto immediato in ospedale.
Furono soccorsi anche Solo e Dameron che erano comunque messi meno peggio di Rey.
Questo non prima che Leia e Han fossero giunti ad abbracciare il loro ragazzo tremendamente provato.
Han si sincerò, preoccupato, anche delle condizioni di Poe.

"Me la caverò generale... grazie," mormorò mogio, l'ufficiale, a occhi bassi.
Han, in un gesto paterno gli accarezzò il viso, spostandogli i capelli arruffati, appiccicati alle numerose ferite sul volto.

Poe guardò la barella che trasportava Rey, stava per essere caricata su una delle ambulanze.
Accanto a lei c'era Ben, le teneva il viso tra le mani baciandole la fronte.
Una smorfia di dolore deformò il volto dell'aviatore.

Non pensò Han, di fare torto a Ben, lo aveva assicurato alle amorevoli cure di sua madre e non solo.
Attento a non fargli male, afferrò il giovane ufficiale per le spalle, con un braccio, e se lo strinse al petto seguitando ad accarezzargli i capelli in un gesto paterno.

Nessuna famiglia sarebbe venuta per il giovane, lo sapeva Han.
Lui sapeva sempre.
E Poe gli si strinse senza ritegno, fragile come cristallo frantumato, mentre il calore delle braccia del generale Solo provava a tenere insieme i mille frammenti di un'anima andata in pezzi.

Dal corridoio di un ambiente asettico, poco dopo, un medico venne verso il gruppetto in sala d'attesa.

"Ho bisogno di parlare con un familiare della paziente."

Han si fece avanti.
"La signorina, non ha familiari, può dire a me."

"È una questione riservata."

"Lasci perdere, venga al dunque, i signori presenti sono la mia famiglia. Sta bene, Rey?"

"Adesso sì, è fuori pericolo ma..."

"Allora?!" si spazientì Han, mentre Poe e Ben scalpitavano alle sue spalle, tenuti a bada dal sindaco Organa.

"La... la signorina, è arrivata in clinica con un aborto spontaneo, abbiamo dovuto praticare un raschiamento d'urgenza, per scongiurare una sepsi. Il feto era di circa quattro settimane.
È molto provata. Ha bisogno di sostegno. Inoltre ci serve sapere chi sia il padre, per le formalità."

A quella dichiarazione l'aria divenne densa, come intrisa di gas tossico. Un silenzio surreale catapultò i presenti in una bolla.

Solo mosse lo sguardo verso Poe, che lo fissava truce, di già.
Leia temette il peggio.
Poi, rivolto verso il dottore, Ben Solo pronunciò le parole più amare che potessero uscirgli di bocca.
"Il padre è lui, certamente!" espirò indicando al medico, Dameron.

Quest'ultimo aveva in viso un'espressione vitrea, incredula.

"Venga con me, prego, ci sono dei documenti che dovrebbe firmare."

Poe si mosse più per inerzia che per razionalità.
La sua mente non era stata in grado di assimilare il concetto di padre alla sua persona.

Leia invece espresse la volontà di vedere immediatamente Rey, se possibile. Permesso che le fu accordato vista la delicata situazione.

Note dell'Autrice:

Ragazzi miei, da dove iniziamo?
Questo capitolo vi ha fatto scoppiare il cervello? A me sì!

Siamo alla fine, il prossimo sarà l'ultimo.

I rituali cui mi sono ispirata sono quelli macabri delle messe nere. Non ho inventato nulla, non mi piace descrivere la loro efferatezza, ma se fate delle ricerche per conto vostro troverete che essi vengono abitualmente praticati.
A volte in modo più lieve, anche se di lieve vi è poco francamente.

Non sono scesa nei particolari veramente osceni, ma tali usanze sono utilizzate anche in alcune sette-confraternite statunitensi in maniera soft cioè senza sacrificio umano, ma con la sola pratica dell'orgia. 😢

Ho utilizzato questo contesto e lo avevo in mente fin da inizio storia per giustificare la brama di potere del senatore, come nell'originale.
Chiaramente ho dovuto essere più drastica dovendo creare una connessione con l'attuale.

L'attività degli Skull and Bones è spiegata nel capitolo Jean. Sono principalmente personaggi politici o che aspirano a tali cariche a farne parte. Disposti a tutto pur di ottenere potere.

Il crossover, che tanto mi piace, con Stranger Things riprende l'esperienza condivisa da Ben e Rey del capitolo La Tomba.

La frase iniziale in apertura del capitolo "Se lo imprime addosso" è una perla – una delle tante – della bravissima autrice e artista miryel: andate a leggerla, a stellinarla e a darle tutto il vostro supporto. Non a caso vincitrice dei Wattys 2020, nella categoria Fanfiction.

Attendo tanti pareri.
Che credevate che vi lasciavo solo con il fluff iniziale? 😈

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