L'ombra della bramosia - Parte Seconda


"Parlate pure come se non ci fossi, eh!" li redarguì Rey, sarcastica, mentre sprofondava sul sofà sdrucito che emanava un tanfo di vecchio.

Ben e Poe tornarono a scambiarsi taglienti occhiate di traverso.
Il professore rimaneva in piedi, statuario, con una mano piantata dietro la nuca, segno di inequivocabile imbarazzo.
Poe si era stravaccato, ancor più sul letto, in un atteggiamento strafottente e fintamente distaccato, prendendo a sorseggiare la seconda bionda ghiacciata prelevata dal mini bar.
Aveva persino acceso il televisore, a sottolineare che di ascoltare quei due non aveva nessuna voglia.
Rey sfilò l'ampio cappotto beige e mosse rapida verso il letto. Si allungò, fino quasi a distendersi su un Poe scompigliato, dalla barba incolta, in maglia intima e boxer.
L'ufficiale compiaciuto e provocatorio - al suo solito - mostrò di gradire quel contatto con un lieve movimento del bacino mentre mandava giù non si sa quanta birra.

"Sei ubriaco, Poe!" mugugnò Rey in tono di disappunto, scansando con la mano il lezzo d'alcool che proveniva dall'uomo "e smettila, mi serve il telecomando per spegnere quest'arnese," enfatizzò imperiosa, mentre gli sfilava la bottiglia dalle mani dirigendosi a vuotarla in bagno, dopo aver spento la TV.

Solo, che li aveva osservati minuziosamente, si finse impassibile.

"E tu siediti, per favore. La tua stazza riempie questo buco di stanza ancora di più. Manca l'aria," ordinò a Ben, riemergendo dal bagno, indicandogli il vecchio divano.

Solo ridusse gli occhi a due fessure, visibilmente accigliato, ma infine obbedì.
Rey sedeva ai piedi del letto a debita distanza dal tenente colonnello mezz'ubriaco.

"Nessuno conosce mio nonno. Nemmeno io. Una cosa so, però: che dobbiamo sembrargli convicenti, assecondare le sue aspettative. E sarò io a rassicurarlo di questo."

"Certo che voi due siete proprio fuori di senno!" ridacchiò Dameron, "a quest'ora vi avrà sguinzagliato dietro un codazzo dei suoi tirapiedi."

"Io non sono stato seguito da nessuno," precisò Ben.

"Chiederò a mio nonno di entrare negli Skull and Bones," proseguì Rey, decisa.
"Gli farò credere che è per il caso. Dirò che ho scoperto, durante le mie ricerche, che lui ne fa parte. Lo convincerò che è tempo, per me, di affiancarlo nella conduzione degli affari della confraternita.
Mi dimostrerò fedele."

"Non se ne parla!" esclamarono, quasi in simultanea, Ben e Poe.

"A me crederà! Tu Ben, devi fare come ti ha chiesto: ritirarti dal caso ufficialmente."

"E io? Faccio il terzo incomodo?" rise amaro il pilota, brillo.

"Tu manterrai il ruolo che hai sempre avuto Poe: devi ingraziarti mio nonno, fingere di essere d'accordo con lui e con me.
Ben sarà il nostro occhio esterno, interverrà quando sarà il momento.
Per entrare nella confraternita prenderò parte ai riti iniziatici. Se avrò il benestare di uno dei membri più anziani – mio nonno, appunto – egli avrà un occhio di riguardo per i miei amici."

Poe assunse un'espressione nella quale non vi era più nulla di beffardo.
Solo, austero, fissava Rey con sgomento.

"È troppo pericoloso," sbottò l'ufficiale," non posso lasciartelo fare. E se non si fermasse?"

"C'è un altro modo forse," propose Solo,"entreremo anche io e Dameron nella confraternita, per un'altra strada."

Rey e Poe lo guardarono basiti.

"Che c'è? Ho delle conoscenze anch'io!
Facciamo così: Rey, convinci tuo nonno, ma ora, tu, Dameron, rimettiti al mondo e andiamo via da qui.
Mi assicurerò che non ci sia nessuno nei paraggi mentre ti dai una sistemata.
So chi può darci una mano."

L'aviatore e Rey non potevano nascondere lo scetticismo sui loro volti, specie il primo.

"Ti dai una mossa sirenetto, o devo trascinarti in mutande? Non sei un bello spettacolo!"

"Questo lasciamolo giudicare a chi ha buon gusto!" gli ringhiò l'ufficiale a pochi centimetri dal viso, prima di dirigersi in bagno mentre occhieggiava verso Rey.

Solo roteò le pupille al soffitto, sorridendo beffardo. "Certo!" mormorò tra i denti.

"Ci dici dove stiamo andando, per favore?" l'ufficiale si spazientì, voltandosi verso Rey, visto che non otteneva risposta da Solo, ma la trovò allungata sui sedili posteriori, addormentata, del tutto placida.

"Ma tu guarda cosa mi tocca!" sibilò a labbra serrate e, scuotendo il capo, si accese una sigaretta.

"Buttala immediatamente! già non sopporto né la tua presenza, né la scia di alcool che emani. Nella mia macchina non si fuma!"

"Lo sai, Solo, tra questi boschi mi vengono in mente un'infinità di modi nei quali potrei eliminarti facendolo sembrare un incidente,"
lo sbeffeggiò Dameron, mentre tirava giù il finestrino per rilasciare, dalle labbra arzigogolate volute di fiato e fumo che il freddo pungente spegneva contro lo scuro manto di una notte tersa, incastonata di gelidi diamanti.
Spettatori muti, a migliaia di parsec di distanza, a osservavare il correre dietro al vento degli esseri umani, da sopra le irsute cime delle distese di conifere.

Gettò la sigaretta, dopo solo qualche tiro. La temperatura siderale e il finestrino tirato giù non erano un connubio ideale.
Burlington, diceva il cartello all'ingresso della città dove si stavano appena addentrando.

"Dimmi che sei in licenza per un po'. O t'abbiamo sequestrato?" chiese il professore con la consueta punta di sarcasmo nascosta, nemmeno troppo, dalla flemma cadenzata del timbro di voce.

"Sono in licenza, altrimenti non sarei qui dalla Florida... Che ci facciamo nel Vermont?"

Giunsero davanti a un'abitazione, di quelle a schiera di Five Sisters, uno dei quartieri migliori in cui vivere a Burlington.
Una zona che pullula di bar, ristoranti e parchi.
In un posto così si era trasferita la persona cui Ben Solo aveva avuto l'idea di rivolgersi.
Lavorava in una caffetteria, ma aveva smontato dal turno pomeridiano.
Al professore era stato utile tenere quel contatto, si sarebbe rivelato davvero prezioso.

Bussò alla porta con fare deciso, guardandosi intorno circospetto.

Poco dopo, dietro l'uscio, fece capolino una ragazza d'aspetto piuttosto giovane che lo accolse con un largo sorriso, invitandolo a entrare insieme ai suoi accompagnatori.
Poe sollevò gli occhi, inspirando profondamente, mentre varcava la soglia del modesto appartamento, certo di non essere visto, dal momento che era alle spalle del gruppetto.
Si accomodarono: l'ambiente non era spaziosissimo, ma c'era posto per tutti.

"Scusami se non ti ho avvisato prima del mio arrivo," esordì Solo.

La giovane sorrise mestamente, di rimando. "Cosa ti spinge, a tarda sera, nel Vermont?"

"Posso parlare con franchezza davanti a loro?" le chiese.

"Certo, Ben."

Rey li osservava, sembravano essere piuttosto in confidenza. Lei molto carina.
Che ci fosse del tenero? Si chiedeva un'attenta Miss Palpatine.

"Quando lavoravi da Ernest mi dicesti che ti mandava da clienti facoltosi, hai mai visto questi uomini?" gli mostrò una foto, dal suo cellulare, del senatore in compagnia del cardinale Lorenzetti, all'Opera.

L'espressione della ragazza mutò, divenendo sfuggente, all'improvviso. "Non li ho mai visti, mi dispiace, Ben."

Solo si pose all'altezza dei suoi occhi. Accovacciandosi sulle ginocchia; la prese per le spalle gentilmente "Nina, lo so che hai chiuso con quell'ambiente, ma è importante. Per favore."

La giovane, a testa bassa, fissando le proprie mani tremanti, non osava sollevare lo sguardo a incontrare quello di Ben.
"E va bene: ti dirò quello che so. Da soli!"

Rey e Poe osservavano la scena, il secondo, scettico e spazientito.
La prima intenta a rilevare il minimo particolare: dagli sguardi che i due si scambiavano, al modo nel quale le mani di Solo, impercettibilmente, rassicuravano quella che, per lei era una sconosciuta, ma con fin troppa evidenza, non per lui!
Giurò quasi d'aver seppellito nel profondo un moto di rabbia che era ribollita, mista a nausea, alla vista della delicatezza che le riservava.

"Puoi parlare liberamente," la tranquillizzò,
"la questione riguarda anche loro."

Esitante, Nina strinse le proprie mani in quelle di Ben – mentre la frustrazione si faceva strada, sempre più prepotente, annodandosi in un groppo doloroso nella gola di Rey, alla vista di quel gesto.
La ragazza dai lunghi ricci scuri raccontò ai suoi ospiti ciò che sapeva delle strane abitudini di Lorenzetti e del suo illustre amico senatore.
Fino a poco tempo prima, vi era stata partecipe lei stessa.
Disse loro dove avrebbero potuto trovarli.

"Quella è gente pericolosa, Ben," lo avvisò premurosa Nina, posando la mano sul viso dell'uomo, in modo intimamente affettuoso.

Gesto che fece scattare Rey, sulla sedia, mentre accavallava nervosamente le gambe.
Poe la osservava, di sottecchi, a sua volta.
Lo sguardo vigile, penetrante, indagatore della docente di Psicologia, aveva seguito dovizioso ogni gesto, occhiata, che Solo e la ragazza del mistero si erano scambiati.
Trafitto e nascosto dietro le folte ciglia tristi e a mezz'aria, anche quello
di Poe Dameron non aveva mai lasciato la donna che amava.

Rey riemerse dalle camere retrostanti in una mise che poco lasciava all'immaginazione.
Le espressioni sui visi di Poe e Solo – vedendola in tal modo abbigliata – furono più eloquenti di qualunque parola potessero esprimere.
La giovane mosse, non senza una certa esitazione, in direzione dell'aviatore.
Gli dette le spalle perché le sistemasse le stringhe che chiudevano, sulla schiena, lo stretto tubino nero che la fasciava.
I tre si scambiavano fugaci occhiate infuocate: Miss Palpatine tentava, con le mani gelide, di spegnere un poco le fiamme che le ardevano sulle guance mentre osservava lo sguardo torvo che professor Solo faceva saettare da lei a Dameron.
E non poteva scorgere la soddisfazione negli occhi di Poe mentre quest'ultimo, con una lentezza estenuante, faceva scorrere i lacci tra le asole, lungo la sua schiena.
Un sussulto a ogni stretta, a ogni lieve frizione dei polpastrelli del tenente colonnello, lungo il delicato incavo di pelle che dalle scapole discendeva la curva di Venere¹.

Dal canto suo, professor Solo non mancò di saper essere provocatorio al pari, se non peggio.
Si eclissò in bagno per poi sfilare, dopo poco, con solo un telo di lino a cingergli i fianchi, mentre si dirigeva verso il mobile bar, per versarsi da bere, lasciando una imbarazzatissima Miss Palpatine indecisa se
gustarsi lo spettacolo, o morire d'infarto.

Eh sì che era impossibile non indugiare su quel fisico imponente e scolpito, imperlato dal riflesso delle goccioline che, cadendo dai capelli madidi d'acqua, disegnavano – percorrendo ogni linea dei bicipiti e dell'ampio petto – impertinenti rivoli che finivano per infilarsi in ogni più recondito anfratto di pelle per esaltarne la perlescenza e, nel contempo, evidenziando le innumerevoli cicatrici, oltre a quella al centro del petto, che non aveva notate la volta precedente, quando si era recata da lui, al suo ritorno dall'Irlanda, dopo le vacanze natalizie.

Con nonchalance riemerse in un intimo più che convincente per la parte nella quale Nina, aveva suggerito a ognuno di loro di calarsi.
Indossò, molto lentamente, un coprispalle tenuto fermo da bretelle centrali che andavano a congiungersi sotto le clavicole.
Un pantalone in tessuto tecnico che lo avvolgeva fino ai fianchi, corredato da lunghi stivali neri stringati. In ultimo indossò la lunga tunica, dotata di strategico cappuccio copri-volto. La fermò in vita con una cintura, infilò i guanti di pelle e, a completare, un misterioso elmo metallico, con tanto di modulatore vocale.

Rey lo seguì, molto credibile, nella sua tenuta trasgressiva – senza mai essere volgare – aggiungendo, come pezzo finale al suo outfit, una cappa rossa, anch'essa dotata di copricapo.

Ma il vero pezzo forte era Dameron.
Per l'occasione aveva fatto in modo di rivisitare una tuta da volo ignifuga.
Anch'essa fermata, sul torso del bell'ufficiale, da cinghie in pelle, nel senso della lunghezza del busto, e trasversali.
A coprirlo, dal freddo siderale, una t-shirt velata e un trench in pelle nera, corredato a stivali e guanti in pelle, da biker, del medesimo colore.

Nella gelida notte si addentravano nel Club54,
il locale dove il loro uomo li attendeva, all'incontro combinato sapientemente da Nina.

I rituali d'ammissione alla confraternita si erano spostati in luoghi meno sospetti.
La Tomba giaceva, effettivamente, in stato d'abbandono, da molto.
Un locale alle porte della parte bene della città non avrebbe destato clamore.

Furono introdotti, dopo essere stati vagliati all'ingresso dalla security, in uno dei privè.

"Il cliente ha gusti particolari," suggerì, ai due uomini, uno dei buttafuori di guardia alle camere.

Solo si era presentato, dismesso l'elmo – che sarebbe servito, più tardi, esclusivamente a scopo ludico – per il riconoscimento facciale. Si registrò al nome fantasioso di Kylo Ren.

Miss Palpatine e Dameron, si annunciarono col proprio cognome.
Lei era attesa come invitata principale alla festa.

Un'ampia stanza in penombra, dalle pareti cremisi, accolse i tre.
L'unica illuminazione era costituita da un lampadario in ferro battuto, dalla caratteristica forma a cestello circolare ornato con motivi fitomorfi, sul quale erano innestati sei bracci, decorati con pendenti a forma di corolla floreale.
Non emanava che un flebile fascio di luce smorta che bastava, a malapena, a illuminare un imponente talamo posto al centro della stanza, ornato da spesse cortine in velluto granata, bordate di nappe del medesimo colore, alternate a pendagli in ottone.
Il resto della grande stanza, restava avvolto nella penombra.

La musica soffusa, che aveva accompagnato il loro ingresso, si smorzò sulle note finali e una voce, dall'ombra, invitò i tre a mettersi comodi per poi, successivamente, porsi al centro del palcoscenico che sarebbe stato teatro della loro performance.

Solo aprì le danze, deponendo l'elmo.
Legò, non senza un certo piacere, alla testiera del letto – su precisa indicazione del loro spettatore – il tenente colonnello, per i polsi, con delle manette appositamente preparate per l'occasione, e gli serrò la gola in uno spesso collare metallico, collegato anch'esso a capo del letto tramite una catena.
Poco dopo, si calò nel ruolo di un curioso tipo di insegnante, invitando Miss Palpatine a fargli compagnia, per prima.

Una Rey cerea, annaspando, gli si fece prossima, sotto lo sguardo ferino di un Poe accecato di rabbia.

"Togliti la cappa," le sibilò Solo, dal basso della seduta dalla quale la osservava.
Prese il mantello dalle mani della ragazza per adagiarlo sulle proprie spalle.
A coprirlo solo i calzoni e il manto purpureo che Rey gli aveva ceduto.

Sfrontatamente, senza preavviso, la trasse a sé, con impeto.
Lei, per controbilanciare il peso del proprio corpo che invano aveva cercato una pudica resistenza, finì con le mani sul petto dell'uomo.
E il contatto con la pelle tesa e lucente di quelle anse armoniose, custodi di muscoli, sangue e battiti, scottava!
Le iridi di Solo bruciavano di un ardore disperato. Rivendicavano il diritto di andare oltre quell'unico bacio fuggevole nel quale s'erano mischiati. Fusi e persi, ma che, troppo presto, la fredda razionalità aveva interrotto riportando ognuno ai propri demoni.

Dal buio, alle loro spalle, un inequivocabile clangore metallico suggerì lo smuoversi frenetico degli armamentari che tenevano asserragliato l'ufficiale.

Languido, Solo prese a lambire il candido collo della giovane docente, i capelli, le spalle, di licenziose, lievi carezze, per poi posarvi, delicato, le labbra calde che, ardite, osavano d'avventurarsi a cercare un contatto più intimo con la pelle di lei.

Occhi chiusi, Rey, cercava il modo di non soffocare a ogni contatto.
Di non soccombere per la vergogna che provava, mista all'emozione di trovarsi cullata tra le braccia del desiderio di lui, ma che mai avrebbe sognato – neanche nel peggiore incubo – di condividere sotto gli sguardi di inopportuni spettatori.
Senza contare il vano tentativo di non morire, al solo pensiero della sofferenza che, ancora una volta, infliggeva a chi come unica colpa era imputata la sfortuna di amare una scellerata.

Una colorita imprecazione fuoriscì dalle labbra livide di Dameron, a quello spettacolo crudele, mentre s'era martoriato i polsi nel vano intento di divincolarsi.

Un applauso, dall'oscurità, interruppe la piacevole occupazione di Solo, richiamando Miss Palpatine.

"Vieni, cara," la invitò strisciante.

La giovane mosse dal letto verso il centro della stanza.
Dall'ombra, la mano e parte d'un braccio di una figura vestita di porpora emerse, raccogliendo quella candida di Miss Palpatine tra le sue, secche e raggrinzite per baciarla, traendola a sé.
Sulla tunica, all'altezza del petto, un massiccio crocifisso in ottone pendeva, non lasciando dubbi su chi fosse il misterioso spettatore.
Solo e Dameron osservavano la scena pronti a tutto pur di difenderla.

Rey avanzò disinvolta, d'una fierezza che mascherava il profondo disgusto che le aggrovigliava i visceri, al tocco di quelle mani viscide, colpevoli di chissà quanti e quali crimini.
Non poteva scorgere ancora il suo viso, ma l'uomo prese posto su di una poltrona, facendo come per tirarla a sedere sulle sue ginocchia.
Prontamente Rey gli puntò lo stiletto del suo stivale sul petto, a sancire che a dominare la situazione sarebbe stata lei!

"Mia giovane apprendista!" continuò la voce, melliflua,"il tuo nome ti precede e fa onore al tuo temperamento. Non hai da temere bambina.
Sei l'erede indiscussa.
Le mie intenzioni non sono ostili. Da brava, fa' contento il tuo vecchio zio, siedi qui con me e gustiamoci lo spettacolo!"

Rey cedette il fianco e il cardinale la fece accomodare sul suo grembo.
La giovane donna fremeva mentre le mani sudice di quell'individuo si insinuavano tra le stringhe del corpetto, nel tentativo di slacciarle mentre le passava i ruvidi polpastrelli su ogni lembo scoperto di pelle, lungo la schiena.

Solo ebbe uno scatto d'ira, alla vista di quel quadretto nauseante, facendo per avventarsi sul cardinale.

"Quanta fretta, Ren, non ti ho invitato qui con noi.
Slega il pilota e divertimi con lui!" intimò il cardinale, mentre Rey, in un rigido pallore mortifero, cercava di ingoiare fiotti di rabbia mista a conati di vomito, nel percepire l'eccitazione di quel mostro a ogni tocco sul suo corpo inerme.
Stette al gioco, pur sentendosi morire, tremendamente abusata da quel sadico maniaco.

Solo mosse verso Poe. Lo slegò bruscamente, facendolo voltare di scatto.
Rimasero come sospesi, per momenti interminabili.
Con la coda dell'occhio, nella penombra, a cercare entrambi di captare cosa quell'essere immondo stesse facendo a Rey.

"Non siate timidi, miei giovani ospiti. Ren, dimostra di cosa sei capace: infliggi sofferenza."

Poe deglutì puro veleno al ringhio infame di quel verme.
Solo obbedì, reprimendo tutta la rabbia che aveva in corpo.
La sfogò diversamente sull'uffuciale inerme, legato come una bestia.
Assecondò le richieste del porporato.
Gli pose una mano guantata sulla bocca per zittirlo.

"Le tue imprecazioni non ti salveranno, pilota.
Niente più resistenza!"

"La pagherai, maledetto!" si dimenò inutilmente Dameron.

"Ti farò urlare come una femminuccia," sibilò nel suo orecchio il professore.

Per quanto scabrosa la situazione fosse, Ben si dimostrò all'altezza recitando il ruolo da insegnante perfetto.
Gli teneva la testa tirata indietro, per i folti ricci, come un agnello pronto per essere sgozzato.
L'aviatore, con indosso solo i calzoni, grondava sudore. A quell'ennesimo gesto, non trattenne un gemito di pura frustrazione, nel non poter reagire, legato come un animale.
Strinse gli occhi e una minuscola lacrima fuggì dalle ciglia brune, mischiandosi al sudore che gli colava tra i ricci madidi.
Rey osservava la scena inorridita, non sapeva se più per la pena di vedere Poe in quello stato, o per la nausea nel dover assecondare le lascive mani di quell'essere vagare a proprio piacimento su di lei.

"Debole!" il cardinale irrise Poe. "Aveva ragione il mio amico, manovrabile: questo sei."

Quelle parole smossero una collera cieca nel pilota.

"Ho quasi finito, Dameron, non deludermi! Ora giocheremo con lui."

Complice la semi oscurità Ben sciolse Poe e occhieggiò verso Rey.
Quest'ultima annuì, il vecchio era vulnerabile al punto giusto, Rey lo aveva sapientemente rimbambito.

Si divincolò di scatto e, premendo, con foga, il tacco sul petto del cardinale, lo ribaltò violentemente sul pavimento. Dameron si gettò su quest'ultimo, tappandogli la bocca celermente, per poi picchiarlo con la mano ancora libera. Gliene dette tante, ma tante!

"Vecchio maniaco, te lo do io il debole!" Poe esalò un respiro liberatorio, furente.

Tutto successe in così pochi attimi che Lorenzetti non poté battere ciglio, nemmeno provare a chiamare gli energumeni, a guardia, fuori la stanza.

"Lo ucciderai così, questo infame ci serve vivo," lo fermò Rey.

Nel frattempo Solo aveva preparato il talamo, per ricevere la confessione.

Il cardinale si ritrovò legato polsi e caviglie divaricati. In men che non si dica sputò fuori la verità, salvo morire a suon di botte che Dameron e Solo non gli avevano di certo risparmiato, comunque, mentre Rey registrava tutto!
In seguito avrebbero tagliato dal file i lamenti del cardinale, quando si mostrava restio a collaborare e il professore o il pilota, a turno, gli ricordavano che non era nella posizione di poter scegliere.
Ottenuto il tutto, Ben addormentò con del cloroformio, il porporato, lasciandolo appeso per i polsi al baldacchino del letto.
Si rivestirono e celermente lasciarono quel luogo, senza destare sospetto.
Se la filarono a tutto gas verso un albergo prenotato a Filadelfia.
Di certo non potevano tornare a Boston, al culmine di una giornata interminabile.

Sotto la doccia, non seppe quanto a lungo s'era strofinata la pelle – fino a scorticarla forse – per lavare via il viscido dell'incubo di quella notte.
Rimase immobile, seduta sul letto, lo sguardo fisso alla parete di fronte che sembrava, per qualche strano motivo, interessante, a un tratto.
L'odore fresco di lavanderia che emanava dall'accappatoio e dal telo che avvolgeva i capelli, la convinsero che s'era tolta di dosso il sudiciume dei momenti da poco trascorsi.
Dopo essersi preparata per la notte sentì bussare alla porta.
Poe era venuto a sincerarsi che stesse bene.

"Me la caverò, me la cavo sempre. Tu piuttosto..." allungò una mano spostandogli i ricci ancora umidi di una doccia frettolosa, per carezzargli con il pollice la tempia ferita nella collutazione con Solo, nei giorni prima.

"Sto bene, Rey," le rispose languente.

Miss Palpatine lo abbracciò forte, seppellendogli il viso su una spalla mentre gli accarezzava il capo con infinita tenerezza.

"Se ti ho nascosto delle cose è stato solo per proteggerti. Non volevo che ti facessero del male... te ne faccio già fin troppo io," gli sussurrò, mentre il fiato le si smorzava in gola, in un singhiozzo soffocato, sulla spalla del giovane ufficiale.
Poe la strinse di più, nel tentativo di calmarla.
Si salutarono, mani nelle mani, sull'uscio. Occhi negli occhi in una tacita comprensione e un mutuo perdono che, tra loro, ci sarebbe sempre stato. Non poteva avercela con lei. Avrebbero protetto per sempre l'altra metà del proprio cuore, quella promessa fatta per essere mantenuta.

Seguì Poe, con lo sguardo, lungo il corridoio, finché lo vide richiudersi alle spalle la porta della sua stanza.
Prima di rientrare nella sua, Rey scorse Solo, sull'uscio della sua camera.
Constatò che doveva essere lì già da un po', quindi doveva averli visti.

La guardava, da lontano, poi fece per rientrare, ma lei, più svelta, bloccò la porta sgusciando nella sua stanza.
In un attimo se la ritrovò davanti, a piedi scalzi, sulla moquette.
Scarmigliata, con indosso i suoi larghi pantaloni da tuta e il top nero dalle spalline sottili che utilizzava per dormire.
Lo stesso della notte della Tomba.

Lo guardava con gli occhi sgranati, indagatori. Con quello sguardo gli reclamava l'anima, il diritto di entrarci e prendersene cura, come nemmeno lui era capace di fare.

Lui, dal canto suo, seguitava a osservarla senza poter dire niente.
Rey, però, in quelle pupille, leggeva tutto. Una richiesta soffocata. Accorata.
Di comprensione.
Di liberazione.

Solo si fece animo posandole le mani sugli omeri, che prese a sfiorare, delicatamente, con i pollici.

"Stai bene?" pronunciò con un filo di voce.

Non disse niente. Lo strinse. Fronte contro fronte, mentre gli accarezzava il viso, per poi intrecciargli le braccia intorno al collo e terminare con le dita tra i suoi capelli e le labbra premute alle sue. Accoglienti, morbide e gentili, capaci di acquetare ogni paura.
Nuovamente fusi. In una smania atavica, di desideri incofessabili, di colpe innocenti di cui s'erano caricati per espiare i peccati del mondo intero.
Il peccato stesso che, ora, divampava dalle loro viscere e si consumava, avido, attraverso i loro corpi in un groviglio irrefrenabile, primordiale, scomposto.

"Hai avuto quello che volevi?..." sussurrò con voce rotta mentre lo guardava, con i suoi grandi occhi, stretta tra le sue braccia e le lenzuola di quel letto d'albergo.

"E che cosa voglio?" ricambiò, intristito, lo sguardo di lei... che seguitava a fissarlo silenziosa.
"Tu credi che io abbia preso solo ciò che desideravo, e nient'altro, giusto?"

A quel punto si fece piccola, ma prima che potesse raggiungere l'incavo del suo collo, per fuggire i suoi occhi che la vagliavano come stelle notturne, a un microscopio, lui le raccolse il viso tra le mani per tornare a toglierle il respiro, baciandola ancora.


Note dell'Autrice:

¹ curva di Venere, piccola licenza poetica che ho utilizzato per descrivere il punto del corpo, alla base della schiena, dove ci sono le omonime fossette.

Perdonate il ritardo con il quale aggiorno, ma i capitoli che volgono al finale non sono una passeggiata come i primi dai toni ben più sbarazzini.

Tra l'altro il Tiranno che fa tic tac non mi dà tregua.

PS: le fanart ragazzi! Maledette, ce ne sono troppe che attentano seriamente alla mia fantasia, che uno poi come fa a non inserirle per condividere come hanno preso piede certe strambe idee.

I riti iniziatici delle confraternite sono quasi tutti a sfondo sessuale. I nuovi adepti devono materialmente essere disposti a rimetterci in nome della segretezza e della fedeltà.

A presto.

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