Jean

Jean O'Connel era sparita la notte del primo novembre 1977, in misteriose circostanze.
Il suo cadavere fu trovato, mesi dopo, nei pressi di una delle baie paludose al limitare di una zona portuale in espansione.
Una squadra operaia, addetta al dragaggio della banchina, durante le operazioni di bonifica, aveva riportato alla luce la poveretta in un tratto lungo una delle miriadi di canali che tessevano la foce del Mystic.

In precedenza, mesi di ricerche frenetiche non avevano potuto nulla.
La ricca famiglia di banchieri, dalla quale O'Connel proveniva, aveva continuato a cercarla a proprie spese, dopo lo scadere del termine delle indagini ufficiali.
Nemmeno i cani da ricerca e l'aver scandagliato buona parte delle rive del fiume, a un costo altissimo, aveva prodotto risultati.

Riprese le lezioni, dopo il break del Ringraziamento, Rey aveva propinato a Solo una serie di scuse immaginarie per evitare di lavorare con lui.
Quel pomeriggio si era rintanata nei sotterranei dell'archivio umidiccio, seppure a malincuore.
Purtuttavia era l'unico posto dove potesse consultare, indisturbata, altra documentazione, oltre a quella che il suo collega era già riuscito a far fuoriuscire con la complicità di Mrs. Gwendoline.

Si era nascosta bene, così che la custode non si accorgesse della sua eventuale presenza oltre l'orario di chiusura.
Era anche riuscita a bypassare l'ostacolo di sbloccare le porte – un collega le aveva suggerito come, in via confidenziale.


Era bella la povera Jean, un viso d'angelo si poteva ancora scorgere sotto il livor mortis.
I lunghi capelli biondi, il corpo dinoccolato in una posizione innaturale. Dall'espressione pareva dormire, non fosse stato per le evidenti chiazze ipostatiche disseminate, non solo sul viso, ma evidenti anche attraverso il tessuto lacerato, in alcuni punti, dell'uniforme – che ancora indossava al momento del ritrovamento – e sulle mani e le gambe scoperte.

Era come se qualcuno avesse tentato di darle compostezza, prima di consegnarla all'oblio di quella cava che sarebbe stata la sua dimora eterna. Privata della vita nel fiore degli anni e persino di una degna sepoltura.

Di nuovo quella sensazione di nausea le affiorò, guardando le immagini allegate ai referti e, stavolta, non c'era il suo collega a riscuoterla, con il tono calmo e rassicurante con il quale la riportava alla realtà.

Il professor Solo – il terrore del campus, un diavolo, qualcuno diceva – ma lei non dava mai retta alle ciance, e in quel momento le mancava il supporto che riusciva darle.

L'umidità si infiltrava sottopelle nella penombra grigia e spessa tra le pile di faldoni.
Solo la flebile luce della piccola lampada rosseggiava appena sulle gote di Rey.
Poneva, ogni tanto, le mani sotto il raggio luminescente per scaldarle un poco, mentre piccole volute di vapore volteggiavano nell'aria quando soffiava un poco sulle nocche, nel vano tentativo di trovare un po' di calore.
A poco era valso essere particolarmente infagottata, in vista della giornata che aveva programmato.

Jean faceva parte della Kappa Alpha Theta (ΚΑΘ), divisione di Boston.
Lei e alcune altre ragazze della confraternita erano legate ai rampolli più in vista, atleti degli Eagles – la squadra di football del Campus e membri della famigerata Skull and Bones Society: una vera e propria organizzazione segreta,
la quale, secondo il sociologo Rick Fantasia, funge da "condotto verso la Corte Suprema, la CIA, gli studi legali e i consigli di amministrazione più prestigiosi del paese."

Associazione tra le cui fila, negli anni recenti, avevano militato George Bush e il suo antagonista per la corsa alle presidenziali John Kerry; la cosiddetta "Power Élite": diplomatici, militari, sportivi, personaggi del jet set e diversi prelati del clero romano e persino eminenze religiose di stampo protestante: rara
eccezione concessa alla sezione del Boston College, in quanto istituto notoriamente cattolico.

Si andava delineando una trama più fitta e torbida di quanto lasciato volutamente emergere dalle sentenze definitive.
Le ricerche di Rey avevano portato persino al cardinale Lorenzetti, vescovo dell'Arcidiocesi di Burlington nel Vermont.

La sensazione che la giovane docente avvertiva, proseguendo la stesura della sua relazione, era che la sfortunata non fosse che una dei tanti a cui era andata male, mentre le altre vittime, sottoposte ai rituali della società, in qualche modo se l'erano cavata.
Le cronache, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Novanta, riportavano di pericolose iniziazioni, balzate più volte all'attenzione per aver causato delle morti.

Cercò di riaversi, era stanca e voleva andare a casa; chiuse tutti i fascicoli che stava consultando e sgattaiolò lungo i corridoi in penombra, tra le pareti di cassetti e scaffali, per rimettere tutto al suo posto, quando sentì un rumore sordo provenire come da dietro un divisorio.
Si mise in ascolto per qualche secondo, ma niente...
forse un vecchio libro o lo scricchiolio delle mensole sotto i pesanti incartamenti; imboccò il passaggio obbligato che accedeva all'ambiente contiguo, il piccolo ufficio di Mrs. Gwendoline, per poi fuoriuscire dall'ingresso principale.

Varcata la soglia, si accorse di non essere sola.
L'orario di chiusura era passato da un po' e Mrs. Gwendoline faceva gli straordinari – a quanto pareva, con il professor Solo.

"Miss Palpatine, che ci fa qui?" biascicò il collega, passandosi una mano tra i capelli.

"Potrei chiedere lo stesso ad entrambi," sibilò cerea.

"Mrs. Gwendoline vada pure."

L'avvenente bionda gli appioppò un'occhiataccia in segno di disappunto, poi girò sui tacchi squadrando, inviperita, la ragazza, prima di scomparire.

Rey, rapidissima, si fiondò dietro di lei per fare altrettanto, ma Solo la afferrò per un braccio. Lei, senza voltarsi, livida di rabbia, si puntellò saldamente al pavimento e oppose resistenza a quella presa possente.

"Quanta fretta... non avevi mal di testa?"

"Metti giù le mani, immediatamente!" gli intimò a denti stretti.

"No," la freddò seccamente, forzando la stretta con maggior fermezza, prestando attenzione a non farle male però,
costringendola così, spalle alla parete, a fronteggiarlo.

"Avevo il sentore che mi evitassi, volutamente, da giorni. Ora ne ho la certezza.
che ho fatto stavolta?
Non abbiamo tempo infinito, il semestre terminerà prima di rendercene conto."

Rey fissava, in fermento, le travi del pavimento
quanta arroganza, stupido cascamorto.
Un incendio divampava nelle sue viscere e ogni parola di lui era un nuovo tizzone.
Freddo, umidità? Un lontano ricordo.
Avrebbe voluto prenderlo a calci nel sedere e correre da Lady Tano e da Poe, che di certo la stavano aspettando per cena.

"Allora?" insistè lui.

"È... è che per un po' volevo continuare le ricerche da sola, ti avrei richiamato al massimo tra un paio di giorni aggiornandoti in merito," pronunciò, seguitando a non guardarlo, fissando però la mano di Solo, che aveva finalmente allentato la presa sul suo braccio per appoggiarsi alla parete.

"Potrei fare rapporto al rettore, lo sai?
I patti non erano questi."

"Mi piacerebbe vederti tentare... professor Solo, mentre gli spieghi, però, i tuoi metodi per portare fuori dall'archivio i documenti ufficiali," gli ghignò in faccia la giovane.

"Quali... metodi?" mormorò, accorciando pericolosamente la distanza tra loro, così che Rey fosse sempre più costretta, a ridosso della libreria.

Lo guardava furente, con sempre maggior voglia di schiaffeggiare quella sua faccia tosta e levargli, una volta per tutte, quel sorrisetto sarcastico da incallita canaglia e il cipiglio insolente dell'espressione dei suoi occhi.

"Quelli che usi con Mrs. Gwendoline."

"Spiegati meglio."

"Falla finita ora, lasciami passare," gli premette una mano sul petto e sgusciò sotto il suo braccio, appoggiato ancora alla parete.

"Non che debba darti spiegazioni, ma io chiedevo solo a Mrs. Gwendoline di prendere altri documenti e sai che devo insistere per ottenerli," la bloccò nuovamente lui, ma solo parlandole.

"Sì certo, ho visto in che toni," esclamò mentre continuava a voltargli le spalle.

"E che cosa credi di aver visto? Sentiamo."

Rey rimase in silenzio. Che cosa avrebbe mai potuto dire? Solo non aveva mostrato nessun atteggiamento equivoco quando lei aveva fatto irruzione nello studio, casomai disagio: se ne stava a occhi bassi con le dita che tamburellavano lo zigomo affilato mentre Mrs. Gwendoline era tutta in fermento.
Gli ronzava attorno come un'ape sul miele, cercava ogni pretesto per scorrergli le lunghe unghie laccate
su una spalla o toccarlo mentre gli porgeva dei libri.
O peggio, in maniera ridicola, si morderva un labbro ravvivando la chioma, spostandola poi su un lato a scoprire il collo. Ondeggiava sinuosamente sui tacchi o metteva in mostra la mercanzia: il generoso décolleté. Ogni movimento era una provocazione palese.

"Mi aspettano per cena, Ben," Non mancò di enfatizzare "Domani, da te, nel pomeriggio. Se non ti spiace."

"Perfetto," annuì Solo, lasciando la stanza, poco dietro di lei.


Note dell'Autrice:

Scrivere questo capitolo è stato abbastanza difficile per quel che riguarda il rapporto che Rey scrive per suo conto, per qualche pomeriggio, e renderà a Ben soltanto dopo.

Mentre le stupende fan art che ho inserito, a tema Reylo AU Hogwarts, hanno ispirato le scaramucce più giocose tra i due. Esse appartengono all' artista igneel.art che trovate su Instagram.

Perché Rey non vuole lavorare fianco a fianco col suo collega dopo la parentesi del Ringraziamento?

Perché si rende poi conto di quanto sia più vantaggioso avere il suo supporto, frutto di tanta esperienza?

Attendo i vostri pareri. 😊

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