Colpevoli
Rey fece pianissimo per non svegliare Poe.
Gli aveva promesso che si sarebbe fatta perdonare e invece, quando era con Solo, rientrava tardissimo.
Gli posò una coperta addosso, si era appisolato sul divano.
Poi si diresse in bagno a cambiarsi e, una volta nel suo pigiama, distesa tra le soffici coperte, ripensò a ciò che quelle donne avevano detto: parlavano di una data che coincideva con quella appena trascorsa. Qualcosa che era successo, a Solo, nel medesimo giorno, anni prima.
Con il cellulare provò a effettuare una piccola ricerca in internet, ma niente di particolare riportava a qualche fatto degno di nota, a Boston, il ventitré novembre delle annate precedenti.
Avere a che fare con quell'uomo era come essere in bilico sull'orlo di un baratro e restarci - intenzionalmente - nonostante sapessi che ci saresti potuta sprofondare.
Il vissuto criptico e il suo comportamento mutevole erano una calamita che la attirava a volerne sapere sempre di più.
L'indomani mattina si svegliò presto, nonostante non avesse classi.
Guardò Poe ancora addormentato: i ricci indomabili, scompigliati gli ricadevano sulle lunghe ciglia brune.
Sorrise. Gli avrebbe preparato il suo magnifico caffè italiano e dei pancakes da leccarsi i baffi. Meritava una sorpresa, dopo le miglia percorse, per lei, in lungo e in largo.
Poco dopo, il suo ospite, fu destato dall'invitante fragranza del burro fuso e dello sciroppo d'acero, nonché dal borbottio del caffè che sbuffava dalla moka.
"Buongiorno, dormiglione. Vieni?"
Un sorriso enorme illuminò il volto del bell'ufficiale che le posò un bacio tra i capelli arruffati, per salutarla, mentre prendeva posto accanto a lei.
Era bellissima, candida in quel pigiamone di ciniglia bianco.
"Sei anche uno chef sopraffino..." ridacchiò.
"Hai fatto di nuovo tardi ieri, peccato. Comunque... com'è andata?"
"Tutto liscio," rispose evasiva.
"Sono contento, immagino che fossi con i tuoi colleghi e ti ci trovassi come una regina. Sono così fiero della donna che sei diventata," disse, accarezzandole dolcemente la mano.
Un tocco caldo e delicato, che uno strano scherzo della mente le rimandava a un altro, molto recente, ben diverso.
"Vieni qui," gli prese il viso avvicinandolo al suo. Con la punta delle dita ne percorse la linea della mascella un po' squadrata,
il mento regolare, soffermandosi su ogni particolare: le meravigliose fossette che gli venivano quando sorrideva... specialmente a lei. E i suoi occhi, ossidiana pura: scuri, profondi. Le piccole rughe che li contornavano. Il modo in cui la veneravano, mentre la accarezzava, a sua volta.
La sua pelle, il suo odore inebriante, deciso... così familiare.
Lo trasse ancora più vicino fino a che le loro labbra divennero una cosa sola... Quanto le erano mancate!
Un bacio, poi un altro, un altro ancora.
Capelli simili a
vite d'uva fragola
tra i cui tralci
mi irretisce il desiderio
Nettare degli dei la linea piena delle tue labbra
Un favo che stilla miele gli occhi adoranti
Il tocco sacro dei palmi che increspano la pelle di brividi
Bianche dune d'avorio la schiena e la curva dei tuoi fianchi
scolpiti tra le spalle possenti
Colonne di basalto le gambe intrecciate alle mie
Sto impazzendo sognandoti così?
L'integerrimo, stimato, talvolta temuto, professor Solo si immerse nella sua Iacuzzi lasciandosi scivolare sulla schiena finché, a fatica, il suo viso non fu seppellito sotto l'acqua, lasciando riemergere le ginocchia flesse. Sparire. Ecco l'unica cosa che desiderava.
Gli applausi, la gloria, il prestigio: una finzione.
Un inchino, un sorriso appagante per il pubblico, e una mesta uscita di scena.
Tutto aveva un prezzo!
E lui, il suo, non avrebbe mai finito di pagarlo.
Un patto col diavolo, avrebbe scommesso più di qualcuno.
Una vita patinata e maledetta. Il calore dell'acqua, sulla pelle, era l'unica cosa che lo facesse sentire ancora vivo.
Si avvolse in un asciugatoio che lo copriva appena, guardò allo specchio, passandovi dinnanzi, le profonde occhiaie che gli segnavano il volto, gli occhi arrossati e spenti.
Fuggì l'immagine riflessa davanti a sé; gli dava la nausea.
Spense le luci, tranne quella soffusa della grande lampada, sul tavolino accanto al sofà, dove troneggiava l'edizione personalizzata de Il Rosso e Il Nero.
Indossò la vestaglia di vigogna, dai toni granata e, a piedi nudi, si diresse verso il mobile bar per versarsi il suo bourbon. Infine, sedette sul divano.
Lo sguardo fisso sul ghiaccio che roteava nel bicchiere.
Gettò all'indietro il capo. L'esofago bruciava, mentre al palato era restato il sapore dei frutti primaticci. Le note di una delle sue arie favorite, da Turandot, acuivano il languore che avvertiva al basso ventre.
"Tu che di gel sei cinta,
da tanta fiamma vinta,
l'amerai anche tu!...
Prima di questa aurora
io chiudo stanca gli occhi,
perché egli vinca ancora...
Per non vederlo più!
Prima di questa aurora,
io chiudo stanca gli occhi
per non vederlo più!"
Turandot - Giacomo Puccini, Scena Prima, Atto Terzo
Un nodo in gola gli serrò le labbra – in quella smorfia solita di quando non riusciva più a trattenere le emozioni – per poi dischiuderle piano.
Una lacrima calda si affacciò pungente dietro le ciglia, per poi staccarsi dalle palpebre pesanti, a tracciare un sottile rigagnolo che discese la tempia lungo l'orecchio, terminando tra i capelli ancora umidi, mentre allungava un braccio stanco per sfiorare la grana delle pagine aperte.
E per lui, poca cosa erano il freddo, il calore, la musica, il gusto del whiskey, lui non sentiva niente.
Il vuoto lo divorava dall'interno, al ritmo di ogni battito inerte del suo cuore.
Note dell'Autrice Sadica:
Allora facciamo un gioco: chi sono i Colpevoli e perché?
Cosa hanno fatto per essere tali?
Non lasciatevi ingannare da una prima lettura decidendo di pancia, non tutto è come sembra, questa è la chiave.
Curiosità: l'uva fragola è una qualità di frutto prodotta dai vitigni americani.
PS: Helmwige mia, questo capitolo è tutto per te!
Ma pure per me, perché Dameron è un bravo ragazzo ed è un 'pess de gnocc' incredibile.
Il libro che Solo ha sempre aperto, sotto la grande lampada accanto al divano, rappresenta qualcosa a cui tiene molto. Ne accarezza la grana, in modo nostalgico.
Più avanti sapremo meglio qual è esattamente il suo valore simbolico.
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