~Carmen~

È dura proteggere qualcuno.
Si finisce – sempre –
troppo coinvolti.
Se è qualcuno che ami è peggio.
Se non lo è ancora,
è solo questione di tempo.


I preparativi per l'evento di beneficenza indetto dal sindaco Organa e dal suo staff erano giunti al culmine.
Il Boston Opera House era in fermento per La Prima che apriva la Stagione Lirica.

Alla spicciolata arrivavano illustri invitati e ospiti vari, sfilando sul pregiato Kirman Carpet battuto all'asta da Christie's a New York.

Era giunta anche Miss Palpatine, fiera, al braccio del suo uomo, che fissava ammirata.
Entrambi elegantissimi, salivano per la monumentale scalinata che conduceva all'ampio atrio antistante l'ingresso ai palchi.

Poe si diresse, con sottobraccio la sua amata, verso una distinta coppia di mezza età che discorreva fitto con il rettore Johnson.
Salutò accoratamente il suo mentore, il generale Solo, con sorpresa di Rey la quale non aveva idea di essere alla presenza dei genitori di Ben.

Poe si era chiesto spesso come due persone così amabili come Han e Leia potessero avere un figlio tanto burbero.

"Incantato," proruppe entusiasta Han "Lei dev'essere Rey Palpatine."

La giovane docente sorrise lievemente imbarazzata alle lusinghe del veterano dalla spumeggiante personalità, non potendo fare a meno di constatare il divario, nei modi, tra padre e figlio.

Poi fu la volta delle presentazioni con il sindaco Organa.
Forse Ben era più simile a sua madre, nella compostezza, nell'eleganza.

Gli occhi di Miss Palpatine vagarono, rapidi e smaniosi, per ogni canto dell'ampia hall.
Era lui che cercava, tra i vari gruppetti, i quali alimentavano il frenetico chiacchiericcio che aveva invaso la sala gremita.

Lui. Perché non era di già con la sua famiglia?
Cosa lo tratteneva?
Fremeva, di un nervosismo che le si irradiava dalle viscere riverberandosi fino alla pelle.

"Rey," le sussurrò Poe all'orecchio "tremi!"

"Non è niente, sarà qualche spiffero," replicò sottovoce.

Il pilota le cinse, con un braccio, in un gesto estremamente protettivo, le spalle nude.
Il calore di quel tocco di velluto rilasciò come un benefico e durevole segno sulla pelle della giovane.

Agli occhi di tutti lei era la fidanzata perfetta, virtuosa e invidiatissima del bell'ufficiale, ma dentro... dentro, si accartocciava su sé stessa.
Un grido senza voce che nessuno poteva udire. Soffocata. Murata viva in una prigione claustrofobica, senz'aria, senza luce.
E la cosa più assurda?
Vi si era infilata con le proprie mani. Aveva fatto tutto da sola!

L'amour est un oiseau rebelle
Que nul ne peut apprivoiser
Et c'est bien en vain qu'on l'appelle
C'est lui qu'on vient de nous refuser
Rien n'y fait, menaces ou prieres
L'un parle bien, l'autre se tait
Et c'est l'autre que je prefere
Il n'a rien dit mais il me plait
L'amour... L'amour... L'amour... L'amour...

Habanera – Carmen
Atto Primo

Come per un presentimento, seppure di schiena, si voltò avvertendo la presenza di lui.

Un incendio divampava dagli occhi ambrati di Solo, nonostante tentasse di nasconderlo con malcelata goffaggine.
Le sue pupille le marchiavano la pelle come tizzoni ardenti.

Avanzava con incedere austero verso Johnson e la sua famiglia in uno smoking nero che ne modellava – esaltandolo perfettamente – il fisico prestante.

Le mani nervose, strette a pugno, seppellite nelle tasche, potendo le avrebbe martoriate, com'era solito, rosicchiando la pelle intorno alle cuticole, per ora si accontentava – per così dire – di tendere la pelle così tanto sulle nocche da imbiancarle malamente.

Lei. Una apparizione ultraterrena. Ancor più angelica che alla presentazione.
L'incarnato bronzeo risaltava in perfetta contrapposizione alla tonalità cremisi del lungo abito di taffetà che indossava per l'occasione e che ne accarezzava, morbido, la silhouette.

Le caviglie minute incastonate tra il raso lucente di un tacco delicato e – visione che gli aveva trapassato, feroce, cuore e costato, tramortendolo quasi: un'apertura laterale, talmente pronunciata, da lasciare in mostra finanche parte della tenera rotondità della coscia e le gambe affusolate e tornite, che alternava una davanti all'altra, scoprendo ulteriormente le sue meravigliose grazie.

Un autentico struggimento lo bramava, mentre ne osservava minuziosamente ogni particolare, dal filo di perle del suo sorriso incastonato tra petali di rosa rossa – le labbra –
agli occhi di felce incorniciati di un trucco leggero che esaltava la profondità del suo sguardo cristallino.

In quegli occhi erano rimaste invischiate le iridi liquide del professore, il quale si compiaceva, sornione, che lei lo stesse ricambiando, con fuggevole imbarazzo, eppure con il medesimo fuoco nelle pupille.

Purtroppo lo sguardo cadde, infelice, anche sulla mano candida che stringeva sull'avambraccio dell'impettito ufficiale, adorna di un magnifico rubino.

"Generale Solo, che piacere! E, i miei ossequi, sindaco Organa," esordì Poe, esibendo un galante, quanto volutamente provocatorio baciamano, nei riguardi Leia; il che raggiunse immediato lo scopo facendo pervenire un languore nauseante al basso ventre di Ben.

Mentre la conversazione si srotolava tra gli argomenti più disparati; dai complimenti affettati,
alle critiche più aspre in merito all'outfit dei presenti, ai convenevoli sulle reciproche carriere, con grande sorpresa dei presenti un'illustre personalità fece il suo ingresso avanzando verso la famiglia Solo.

"Nipote mia adorata!" Una voce impostata, atona, la colse di sorpresa, alle spalle.

"Nonno!... Tu qui?" Dopo l'evidente stupore iniziale, Rey disciolse la sua espressione di meraviglia in un sorriso, salutando con un bacio sulla guancia il senatore Sheev Palpatine.

Giunto il momento di prendere posto, ognuno andava dirigendosi verso i propri palchetti; i coniugi Solo erano naturalmente ospiti di quello d'onore, riservato agli organizzatori dell'evento.
Rey e Poe erano destinati – insieme ai colleghi docenti – al primo ordine dei palchi, posizione tutto sommato privilegiata e dall'ottima visuale.

Gli occhi smaniosi di Miss Palpatine continuavano a perlustrare ogni angolo dei corridoi, sbirciando ossessivamente, dietro le spesse cortine degli accessi ai palchetti antistanti l'ingresso del loro.
Poe acuì leggermente la stretta sulla mano della sua ragazza,

"Ti sento nervosa, Rey... Sicura di star bene?"

"Assolutamente, tranquillo. È l'elettricità che si respira all'evento che mi fa quest'effetto e poi... mio nonno... chi se lo sarebbe aspettato?"

Ma nella sua testa un solo pensiero martellava come un chiodo fisso.
Lui si era dileguato alla chetichella, lo aveva perso di vista per qualche momento e puff... svanito.
L'aveva lasciata irritata, contrariata, svuotata.
Se in un primo momento era stata certa di essere stata oggetto delle sue attenzioni – nemmeno tanto velate –
avvicinatosi, non l'aveva degnata della benché minima considerazione, spiazzandola con il suo comportamento altamente contraddittorio.

Si pose a sedere nei posti più in basso: la prima fila di poltroncine, nel palchetto. Era stata una fortuna non accomodarsi  sugli sgabelli retrostanti, con quello spacco vertiginoso.

Suo nonno sedeva nei palchi frontali al loro in compagnia di un porporato e altre cariche politiche di spicco.

L'orchestra si preparava per Il Preludio, le luci in sala stavano per calare e gli occhi di Rey vagavano, ancora e ancora, senza posa, incessanti, instancabili in cerca di quell'unica presenza che, pure chiusa in un ermetico silenzio,
la riempiva totalmente, invadendole la mente, irridendo strafottente ogni suo principio. Le inondava le vene non più di sangue ma di un magma che si propagava dai recessi più angusti del suo essere, alle giunture, in un rogo che bruciava dietro di sé macerie di una vita costruita tutt'attorno a un equilibrio fragilissimo, le sue poche certezze e ogni barlume di lucida determinazione, per poi lasciarla fredda, vuota in balìa di un baratro di incertezze.

Il vorticare frenetico degli occhi si arrestò brusco. Era lì, due palchi più a destra, nei divanetti in prima fila.

Le si mozzò il fiato in gola alla vista della mano di lui risalire il fianco, fino a fermarsi appena sotto la pericolosa linea di confine di una zona troppo intima, di una venere dalla pelle d'ebano, molto più giovane di lui, fasciata di un abito ceruleo che lasciava le spalle scoperte.
Gli sorrideva – ricambiata – in un atteggiamento confidenziale che lasciava intendere un rapporto tutt'altro che professionale.

Un impeto d'ira la fece sussultare, scansando la calda vicinanza del suo accompagnatore che rapito dalla trionfale apertura dell'Orchestra – grazie a Dio –
si era perso lo spiacevole siparietto.

"Rey, che ti prende?" sbottò l'ufficiale, notando il perdurare dello stato d'ansia che attanagliava la sua compagna.

Lo guardò, colpevole, senza proferire sillaba –
e come avrebbe potuto? – il suo Poe...
Raccolse, tra le sue fredde mani, quella gentile di lui e gli posò il capo su una spalla, rigirando il viso tra le pieghe della stoffa della sua camicia candida. Si morse ferocemente il labbro inferiore, trattenendo, a stento, l'istinto di lasciarsi andare in un pianto dirotto, come da bambina, quando quel ragazzone, il suo vicino di casa, la confortava a ogni paura.

Come poteva essere una spudorata del genere?

A lui aveva confidato la prima cotta, lui le aveva asciugato le lacrime quando l'assenza di una famiglia si faceva sentire più forte.
Lui la difendeva dai ragazzi più grandi, a scuola, quando la prendevano di mira.
Le notti abbracciati durante un temporale.
Uno spavento per un brutto sogno svanito sotto una coperta calda.

La prima mestruazione a casa sua, una mattina, un timore che seppe rassicurare con una dolcezza unica.

Poi era sbocciata, divenendo una ragazza e non correva più nel suo letto, non poteva.
La guardava con occhi diversi – se ne era resa conto – se pure con la medesima tenerezza e lei se ne vergognava... era cambiata.
L'allontanamento fu inevitabile anche se doloroso.

Si scoprì gelosa vedendolo frequentare coetanee della sua età.
Lei non era che una bambinetta.
L'Aviazione per lui, il College per lei.

Addii e infiniti ritorni.
Perché mai si perde ciò che si ama.
La propria anima gemella.

Un'estate, alla fine del secondo anno di corso, per lei, tornati entrambi a casa – lui in licenza – si erano ritrovati.

Cambiati eppure gli stessi, più maturi, un uomo e una donna senza più nessuna tacita etica che potesse loro impedire di viversi pienamente.
Così ci avevano provato e tre meravigliosi anni di puro amore – alternato a infausta distanza – erano seguiti.

Poi, la lontananza aveva logorato entrambi avvolgendoli in un turbinio di recriminazioni, dubbi, gelosie; così lei aveva deciso per entrambi.

Così come lo aveva voluto prepotentemente, anni dopo non sapeva se fosse giusto tenerlo legato a sé. A separarli infinite distanze.

Due anni e svariate vicissitudini dopo aveva realizzato di voler dare loro un'altra chanche.

Le mancava come aria. Questo aveva raccontato a sé stessa e a lui... una volta giunta a Boston.
Lui, l'altra metà del suo cuore, non l'aveva mai dimenticata.

E ora?

L'oiseau que tu croyais surprendre
Battit d'aile et s'envola
L'amour est loin, tu peux l'attendre
Tu ne l'attends plus, il est là
Tout autour de toi, vite, vite
Il vient, s'en va, puis il revient
Tu crois le tenir, il t'évite
Tu crois l'éviter, il te tient
L'amour... L'amour... L'amour... L'amour...

Si riebbe dall'abisso che l'aveva ingoiata cercando di concentrarsi sulla potente Habanera che risuonava.

Ed ecco quella sensazione strisciante, sottopelle, insinuarsi, quando nella penombra aveva scorto la bella venere nera concentrata sullo spettacolo, mentre gli occhi di lui erano fissi su di lei.
Quegli occhi! Una notte buia che la ghermiva, per poi cullarla.

L'amour est enfant de Bohême
Il n'a jamais, jamais connu de loi
Si tu ne m'aimes pas, je t'aime
Si je t'aime, prends garde à toi
Si tu ne m'aimes pas, si tu ne m'aimes pas, je t'aime
Mais si je t'aime, si je t'aime, prends garde à toi.

Le note di Carmen riempivano l'auditorium, sembravano scritte apposta per colpirle, come stiletti affilati, il cuore.
Nel mentre, era tutto un occhieggiare: dallo sguardo compiaciuto, a tratti quasi sadico, di Solo verso di lei, a quello malevolo che Miss Palpatine scambiava con la sconosciuta accompagnatrice di lui in quel gioco perverso. E, come da copione, ve n'era uno invisibile ai più.

Toréador, toréador!
Et songe bien, oui, songe en combattant
Qu'un oeil noir te regarde
Et que l'amour t'attend,
Toréador!
L'amour, l'amour t'attend.

Toréador – Carmen
Atto Secondo

Alla fine del secondo atto, Rey si assentò per andare alla toilette.
Si sistemò guardandosi allo specchio, il riflesso di sé stessa la nauseò: l'immagine di rimando era perfetta solo esteriormente.
Lasciò i locali da bagno addentrandosi nei corridoi semi deserti quando si sentì bloccare un polso.
Una stretta rude, decisa la trascinò nella penombra dietro una delle colonne poste a mo'di divisorio tra i palchi.
Serrati, nel buio, il suo fiato a solleticarle le guance.

"Quanta fretta, Miss Palpatine!" sibilò.

"Hai l'abitudine di confrontarti così con tutti? Che razza di modi! Metti giù le mani, Solo!"

"Sicura che sia quello che vuoi?" le intimò a fior di labbra.

"Si può sapere che c'è? Vieni al dunque!"

"Nascondi più di ciò che fai credere, ma mi dirai quello che voglio sapere, con le buone o con le cattive! Vai a raccontarla a qualcun altro che non sapevi della presenza del senatore," serrò ancora più forte la stretta sul braccio.

Il tenente colonnello Dameron, nel lucore che dai riflettori giungeva flebile alle logge, aveva osservato la scena trattenendo a stento la collera.
Ingoiò come un degno Don José un fiotto di sangue ribollente che gli era affiorato alla gola in un rigurgito, talmente forte s'era martoriato un labbro alla vista della sua donna stretta a un altro.
Lo avrebbe sgozzato senza pietà, come un torero la sua preda.
Verme! Come osava allungare le sue sudice dita su di lei.
Perché non lo respingeva? Perché?
Rey era sempre stata sincera, ne era certo, non poteva fingere, non ne era capace.

Come una furia si diresse verso la toilette e vi si chiuse, spalle alla porta.
Si prese il capo tra le mani rovinando la cera che lateralmente gli fissava ordinatamente i ricci.
Tirò le ciocche tra le dita fino a farsi male, che quel dolore superasse quella puntura asfissiante che premeva tra le costole.
La gola dolorante, di un singhiozzo violento che tratteneva, mentre le labbra tremavano incontrollabilmente.
Infine eccole, amarissime, irrefrenabili, cocenti gocce di limone bruciare dagli occhi annebbiati alla ferita del labbro.

Miss Palpatine era tornata ai loro posti ,da molto ormai. Il Terzo Atto era a metà abbondante, provò a chiamarlo, mandargli dei messaggi ma niente.
Mosse risoluta verso il guardaroba. Chiamò un taxi che presto la riportò a casa.
Rigirò la chiave nella toppa; ad agio posò borsa scarpe e cappotto vicino l'uscio e lanciò un'occhiata verso il letto: Poe era lì, di spalle, probabilmente dormiva già, erano passate due ore scarse da quando si erano persi di vista.

Entrò in bagno e piano si svestì dell'abito, delle calze, di tutto.
Rimaneva il trucco e questo la costrinse a riflettersi nello specchio; sfilò gli orecchini, l'anello, il suo anello.
Pulì il viso con il tonico e lo risciacquò.
L'ultima maschera era caduta.
Nel gesto di togliere l'asciugatoio dal viso lo vide. Nello specchio il suo riflesso, dietro di lei.

I ricci scarmigliati gli ricadevano morbidi sugli occhi assonnati, un po' stanchi, dolci.
Si voltò cingendogli le braccia dietro la nuca. Intrecciando le dita tra le ciocche nere, gli baciò e ribaciò la fronte, le palpebre.

"Che hai fatto?" sussurrò, passandogli il pollice sul labbro rotto.

Non disse una parola, la prese, lì dov'erano e l'amò.
Con l'urgenza
Con ardore.
Con tutto il dolore.
E poi... poi le fece male, non curandosene quasi, abbandonandola per tornare verso il letto a rivestirsi.

"Poe," languì lei.

Non una risposta, non un filo di voce emesso dalle sue corde vocali.
La sentì alle spalle, percorrergli le braccia robuste, avvertendo la tensione estrema dei fasci nervosi.
Risalì piano fino alle spalle massaggiando i muscoli tesi dietro la nuca, baciandolo tra i capelli.

Reclinò il capo alle effusioni di lei
"La Carmencita non è soddisfatta?" mugugnò uno sconfitto Don José contro le labbra di lei, mentre s'era rigirato riportandola verso il letto, dove – come un povero diavolo – avrebbe sottoscritto la sua condanna eterna, amandola, ancora!

Carmen – Bizet
'L'Atto Quarto è consumato.'

𝕮𝖆𝖗𝖒𝖊𝖓 (𝖑𝖆 𝖟𝖎𝖓𝖌𝖆𝖗𝖆, 𝖑'𝖔𝖕𝖊𝖗𝖆𝖎𝖆, 𝖑𝖆 𝖘𝖎𝖌𝖆𝖗𝖆𝖎𝖆, 𝖑𝖆 𝖗𝖎𝖈𝖊𝖗𝖈𝖆𝖙𝖆).

𝕯𝖔𝖓 𝕵𝖔𝖘é (𝖎𝖑 𝖇𝖗𝖎𝖌𝖆𝖉𝖎𝖊𝖗𝖊)

𝕰𝖘𝖈𝖆𝖒𝖎𝖑𝖑𝖔 (𝖊𝖑 𝖙𝖔𝖗𝖊𝖆𝖉𝖔𝖗)


Note dell'Autrice:

Kirman Carpet: pregiato tappeto persiano in seta, tessuto con perle.

Ingresso alla Hall del Boston Opera House

Primo Ordine (dei palchi) sarebbe la prima fila a semicerchio più in basso, appena sopra la platea.
Il riferimento è palese e ci sta tutto 😅.

Carmen: Opera-Comique di George Bizet in quattro Atti. Un inno alla libertà femminile.
Un becero femminicidio.

Preludio: Intro dell'opera, assolo iniziale dell' Orchestra.

Habanera: Danza cubana, diffusa in Spagna, di ritmo binario in movimento vario ma sempre moderato.
Prende nome da L'Avana, appunto.

Dunque, dunque... veniamo a noi.

Perché professor Solo fa di nuovo il prezioso/str***?
Sdoppiamento di personalità come sempre.

Cosa ha combinato Poe?
Si è calato troppo nei panni di Don José? (mi sa che vi tocca studiare per le risposte) 🤭.

Cosa dobbiamo farci con questo povero diavolo dai ricci e dalla vita inquieta?

Rey "ha giocato" alla Carmencita.
Ma troppo spesso, in una società ancora patriarcale, alle donne non è concesso.
Il prezzo è ancora molto alto.

Pubblico in piena notte, mi devo togliere il vizio.
Non mi assumo pienamente la colpa di qualche castroneria che rivedrò in seguito.

A presto ♥️.

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