Capitolo 12 - Arriva l'intuizione

<< House? House? >>.

Era Wilson.

Dopo quanto successo con Annie, mi ero chiuso nella mia stanza, ostinato a non voler parlare con nessuno.

Come avevo potuto perdere così il controllo?
Non era da me bloccarmi in situazioni d'emergenza, non mi era mai successo: neppure ai primi anni di specializzazione.

Avevo ragione a pensare che i sentimenti possono solo portare guai: per poco non moriva la mia paziente. Se non fosse entrato Wilson ... Wilson, il mio migliore amico, la persona di cui più mi fidavo al mondo. L'unico che avesse visto veramente la parte di me che più tenevo nascosta, quella che non volevo che nessuno neppure sospettasse lontanamente.

<< House, mi stai facendo preoccupare >>.

Andai ad aprire la porta: era ovvio che non avrebbe ceduto, lo conoscevo troppo bene. In quei due giorni avevamo discusso più e più volte su Annie, riguardo alla mia potenziale paternità e a quanto fossi impreparato ad affrontarla. Sì, è vero, ormai avevo quasi cinquantacinque anni, ma non ero pronto.

Avevo sempre visto l'amore per i figli come una prerogativa del sesso femminile; d'altra parte, il darwiniano istinto di conservazione della specie non era proprio una cosa che potevo avere io, da sempre convinto misantropo. Le donne, invece, per loro natura, desideravano profondamente la maternità, dai tempi più antichi: come dicevo io, erano vittime dell'increzione estrogenica delle loro ovaie.

Eppure, dal primo giorno che avevo visto Annie, specie da quando avevo iniziato a sospettare che fosse mia figlia, non sapevo perché, ma avevo come l'impressione di aver stilato una sorta di legame con lei.

Che fossero i nostri geni i responsabili?

<< Si può sapere cosa ti è preso prima? >> esordì Wilson.

<< Non lo so >> risposi, laconico.

<< House, non ti riconosco più >> sentenziò.

Non mi riconoscevo più neppure io.

<< Grazie per essere intervenuto >>.

<< Di nulla >>.

Si sedette accanto a me, a un lato del tavolo.

<< Hai parlato con la ragazza? >>.

<< Sì, prima di rischiare di farla dissanguare le ho parlato. Ma non avrei dovuto >>.

<< E perché no? Ha diritto di sapere >>.

Tipico di Wilson, quell'atteggiamento da capo scout.

<< Sapere cosa? Che suo padre potrebbe essere un tossicomane come me? Che non può fare a meno di prendere Vicodin, spesso più volte al giorno? Non la farà certo stare meglio, soprattutto se mi impedisce di arrivare alla sua diagnosi >>.

<< No, House, non fare così. Devi calmarti e ragionare. Ad Annie servi lucido >>.

Non avevo voglia di ribattere: Wilson la faceva sempre così facile.

In realtà, quella situazione era tutto fuorché facile.

<< Hai intenzione di fare il test di paternità? >> chiese.

<< L'ho già fatto. Attendo i risultati >>.

Wilson parve turbato e colpito al tempo stesso.

<< Sono fiero di te >> si limitò a dire.

Mi alzai dalla sedia e presi due tazze di caffè, dandone una al mio collega.

<< Hai esaminato l'aspirato di Annie? >> domandò.

Mi conosceva davvero bene, pensai. Aveva capito che era opportuno cambiare argomento.

<< Sì, poco fa. Non ha la leucemia mieloide cronica >>.

<< E' una notizia straordinaria, House >>.

<< No, non lo è >>.

Wilson mi guardò, stupito.

<< Se avesse avuto la LMC, forse avremmo potuto curarla con l'Imatinib. Invece non abbiamo la minima idea di quello che abbia >> dichiarai.

Era la verità. Brancolavamo nel buio più totale.

<< E le ipotesi di Cameron e Chase? >> si interessò.

<< Sono ipotesi stupide, senza credibilità. Sono sicuro che non abbia l'amiloidosi né l'infezione da EBV >>.

Sorseggiai il caffè.

<< Arriverai anche stavolta alla diagnosi, House. Lo fai sempre >> mi incoraggiò Wilson.

Sì, ma quella volta era diverso ...

<< House >>.

Cameron si era precipitata nella stanza, verso di me.

<< Si è fatto vivo il padre di Annie. Si sta sottoponendo alle procedure per la verifica della compatibilità del midollo >>.

Ci mancava solo Gary.

<< Bene ... >> dissi.

<< Ha chiesto di parlare con il medico di sua figlia >>.

Cosa voleva da me Cameron? Non avevo mai parlato con nessun parente, in tutta la mia carriera. Non vedevo perché avrei dovuto farlo proprio quel giorno.

<< Cameron, lo sai che io non sono quel tipo di dottore >> la congedai.

<< Sì, lo so, House. Ma lui ha chiesto espressamente di parlare con te >>.

Le sue parole mi spiazzarono.

<< Con il dottor House >> aggiunse, rimarcando il concetto.
Sapeva essere davvero insopportabile quella donna.

<< Dille che sono tornato a casa >>.

Cercavo di divincolarmi da quella brutta situazione.

Wilson mi rivolse un'occhiataccia.

<< D'accordo, coalizzatevi pure contro di me. Andrò a parlarci più tardi >>.

Non avevo intenzione di farlo realmente.

Presi il bastone e uscii dalla stanza, lasciando quei due ricattatori da soli. Mi diressi verso la farmacia dell'ospedale in cerca di Vicodin: aveva iniziato a farmi male la gamba. Perlustrai il magazzino, ma non riuscii a trovarne neanche una confezione: qualcosa mi diceva che la Cuddy aveva notato i miei piccoli furti. Una volta raggiunto l'atrio dell'ospedale, fui letteralmente sommerso dagli insulti dei pazienti del mio ambulatorio, infuriati per le continue assenze.

Una, in particolare, mi seguì lungo il corridoio, lamentando nausea e sbalzi pressori. Poteva avere sì e no sedici anni, una di quelle ragazzine tutte "casa e chiesa" che poi ne combinano di cotte e di crude. Alle sue spalle, la madre, leggermente in sovrappeso, enfatizzava i sintomi della "sua bambina".

<< Dottore, non ce la fa più a dormire, talmente sta male. La guardi, è solo una ragazzina. Non riusciamo a capire cosa ha >>.

Stavo per risponderle che avevo perfettamente capito quello che aveva, quando ebbi un'intuizione geniale. Suggerii alla madre di chiedere conto al fidanzato della figlia, e mi diressi rapidamente verso la stanza di Annie, trovandomi di fronte Gary.

<< Ciao, Greg >>.

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