◾Non guardare◾
Lasciò che le strade vuote e gelide di sera si colmassero solo con odio e presunzione. Solo un cane, due anziani e un cielo torbido avvelenato dalla spaventosa indifferenza degli umani che abitavano sopra quella terra.
LIANNE POV'S
Studiavo medicina all'università di Francoforte ed era appena cominciato il mio secondo anno. Nonostante le difficoltà in qualche materia, ottenevo buoni risultati e ne ero soddisfatta.
Di lì a breve avrei compiuto venti anni esatti. Come era volato il tempo, ricordavo ancora la prima volta che avevo impugnato una penna e adesso non sarebbe mancato poi troppo alla mia laurea.
Colma di euforia, stavo già ai preparativi per una festicciola intima, me con i miei amici più cari, un po' di musica alla radio e qualche delizia che avrei preparato.
Tuttavia, tralasciando le apparenze, nacqui in un periodo e un luogo non molto fortunati: l'anno 1939, data che segnò molte delle nostre vite, lasciò l'amaro in bocca e segnò con un tratto indelebile il testamento di ogni singolo umano.
Ben presto, cominciai a vedere le città sempre più spoglie, e a stento credetti fossero passati già quattro anni da allora.
Non sapevo quando sarebbe finito tutto perciò preferivo trascorrere il mio tempo libero al meglio, dando peso ad ogni ticchettio dell'orologio.
Mi dedicavo allo studio, ai minuscoli dettagli che aguzzavo ogni dì. Man mano che il tempo trascorreva, mi sembrava legittimo dedicarmi anche alle cose più insignificanti. Dare loro un degno merito. Spesso strofinavo le copertine dei libri, seduta accanto la finestra, aspettando il tramontare del sole; talvolta riuscivo a godermi quei minuti a pieno ma ultimamente accadeva sempre con maggiore difficoltà.
Le urla arrivarono anche al palazzo adiacente al mio. Nessuno voleva certamente andare via di casa.
Restavo immobile a carpire quanto più possibile, i dialoghi frammentati, qualcosa che si rompeva. Dei tonfi. Poi tutto spariva immediatamente, quasi sembrasse fittizio. Accadeva perlopiù di notte, col buio che fungeva da tenda per i guardoni.
Anno 1943: nessuno sapeva quando sarebbe finita quell'oppressione.
...
Camminavo lungo il viale di Francoforte, specchiandomi goffamente alle vetrine, di tanto in tanto.
Era mattina, faceva piuttosto caldo, l'arietta tiepida alzava dolcemente la gonna.
D'improvviso mi fermai, sempre lì, in quell'esatto punto: La Mia Battaglia occupava arrogantemente uno scaffale intero, lo stesso dove anni prima c'erano cascate di dolciumi del migliore negozio in centro. Fissavo la copertina con insistenza.
Sì, ne avevo uno in casa mia. Alcuni centimetri di polvere avevano celato metà titolo.
Era impossibile non considerarlo. Non conoscevo abbastanza il nostro uomo per poterlo giudicare, potevo giudicare solo le sue azioni che al popolo tedesco davano più che serenità. Per un po' lo stavo sostenendo anch'io, a esser sinceri.
Mi piaceva come si esprimeva, quando sorrideva. Sempre circondato da uomini eleganti che mettevano in risalto la sua stessa persona; ogni cosa era dannatamente capace di farlo.
Eppure stava portando avanti una guerra da troppo tempo e questo non potevo accettarlo.
Ai tempi, non sapevo neanche delle angherie celate.
Ero così ingenua.
Ripresi i miei passi, notando qualche soldato ispezionare la zona, come suo solito.
Scrutai uno in particolare venirmi incontro e salutandomi con un sorriso apparentemente fiducioso.
«Buongiorno, Lianne. Stai andando all'università?»
«Buongiorno, Mikael. Sì, a dir la verità sono un po' in ritardo. Con permesso», stroncai il discorso e stetti per oltrepassarlo, con un sorriso appena accennato di rimando.
«Posso accompagnarti se vuoi, ho la macchina a pochi metri da qui.» Mi guardò con aria preoccupata ma, a me, quegli occhi grigi trasmettevano ansia.
«Oh, no no, non ti preoccupare. A metà strada mi incontrerò con Eitel.» Sperai così di toglierlo dai piedi, definitivamente.
«Oh, va bene. Allora ci vediamo, Lianne. Salutami Samantha».
«Certo, Mikael. Buona giornata».
Come detto, poco dopo mi incontrai con il mio migliore amico, Eitel. Nella nostra comitiva faceva parte anche Samantha, la ragazza di Mikael. Un tempo anche lui usciva sempre con noi, fino a pochi anni prima, quando entrò a far parte delle Schutzstaffel.
E io ero fermamente convinta che la mia migliore amica fosse persa di un ragazzo cinico e desideroso di guerra, mentre lei notava solo i suoi occhi grigi come nembi, capelli biondo platino e una forte sicurezza.
Molte volte avevo tentato di farla ragionare ma lei ignorava ogni avvertimento; dopo un paio di discussioni lasciai stare, le volevo troppo bene e non desideravo affatto che la nostra amicizia potesse rompersi.
Eitel mi salutò con un abbraccio quasi soffocante svegliandomi dai miei pensieri, subito dopo cominciò a parlare e agitarsi dei suoi esami universitari, diventando rosso in viso.
«Eitel, prendi aria! A momenti soffochi!» Risi.
Si ricompose subito, tossì un paio di volte, tornando ad essere incredibilmente serio e assertivo.
Diversamente da Mikael, Eitel era buono e sensibile. Era la mia ancora, spesso mi sfogavo con lui, mentre lui mi ascoltava davvero e dava sempre ottimi consigli.
Era anche un bel ragazzo dagli occhi verdi molto simili ai miei ma i capelli ben più chiari, tendenti al castano.
«Lianne, mi hai sentito?»
«Uh-, cosa?»
«Ti ho chiesto, dopo le lezioni ti andrebbe di prendere un gelato assieme? Eri persa nel tuo mondo, tesoro.» Sbuffò sonoramente.
«Ahah, scusami. Certo e sai già che...»
«"prenderò il gelato al limone perché è il mio preferito".» Mi precedette con una pessima imitazione, rendendomi più infantile.
«Ah, oramai lo sai.» Arrivammo alla porta e lui la aprì scostandosi per far passare prima me.
«Ovviamente offri tu!»
«Va bene, scroccona».
...
Restammo in giro fino all'ora di cena. La sera era il mio momento di giornata preferito: la vedevo speciale, fresca e brillante in estate, dove i rumori quotidiani si attutivano e riuscivo a concentrarmi meglio sui particolari. La bellezza del cielo notturno non era sempre visibile, se non in un quadro, o la compagnia di alcune falene attratte da delle lanterne al parco o altri piccoli insetti brulicanti che strisciavano adiacenti alle panchine.
Almeno lo era prima di quegli anni.
Ero così ingenua.
Capitò anche quella notte, poco prima che rientrassi in casa un pianto mi bloccò sull'uscio della porta.
Lo distinsi bene, era in un'abitazione vicina.
Quella volta commisi l'errore di scrutare fuori dalla finestra, sarà stata forse la curiosità estrema, incapacità di reagire, non ne avevo idea.
Non guardare, mi ripetei invano.
L'ansia comandò il mio braccio obbligandomi a scostare di poco la tenda, riuscendo a vedere solo che un piccolo gruppo di persone salì dal retro di un camioncino partendo con furia per chissà dove.
Mi tremarono le mani.
Mi lasciai scivolare sul pavimento, con la schiena al muro, incapace di agire anche quella volta.
--- Angolo scrittore
Hello! Questo capitolo è revisionato, come spiegato sul mio profilo, non starò fissx ad aggiornare tutto ma ogni volta che ho tempo lo farò.
Per rispetto del tema storico lo faccio, altrimenti non sarebbe stato tanto nei miei piani; questo racconto lo cominciai anni fa, in piena adolescenza, e sono stra consapevole che molti termini, il lessico, alcune vicende stesse sono fuori luogo e inesatte. 🙆🏼♂️
In ogni caso, i capitoli con questo simbolo " ◾" sono diciamo ufficiali, ovviamente chi è nuovo può continuare se gli aggrada.
Io sono comunque felice che sia piaciuto a molte persone, nonostante vari errori ovviamente la base solida volevo mostrarla già dall'inizio, senza schernire vicende avvenute davvero e senza, mhm... "Romanzare" troppo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top