La foresta di faggi [revisionato]
Secondo una leggenda orientale due persone che sono unite dal destino tengono legati al dito un filo rosso. Esso congiunge la persona con l'altra, è invisibile e indistruttibile, lunghissimo, nazioni o continenti, può attraversare anche il filo spinato di un campo.
Il destino è stato già scritto ed ogni piccola anima è aperta al mondo.
LIANNE'S POV
Era tarda notte quando finii di lavorare; avevo dovuto raccogliere della legna e tagliarla con l'accetta, ne era davvero troppa e non ero abituata affatto a lavori pesanti, specialmente in quel ritmo insostenibile. Il perimetro a noi accessibile della foresta di faggi era minimo, superato, anche per sbaglio, ci avrebbero fucilati subito. In totale, lavorai dieci ore nella foresta, appena dopo esser stata in lavanderia; del mio gruppo eravamo solo tre, oltretutto.
Infatti il mattino seguente arrivò un altro treno, era appena l'alba e sedevo a terra per osservare quante persone stavano per scendere da lì. Come obiettivo avevo solo quel treno, null'altro osservavo, già immaginando la quotidianità che caratterizzava il luogo, ovvero trambusto, poi pianti, grida di pietà, alcune persone troppo coraggiose che venivano subito eliminate per aver provato ad affrontare gli uomini armati. Il solito vociare dei soldati rimbombava ormai in quella folla. Era tutta accalcata, appena oltre i cancelli, completamente spaesata. Non ce la facevo più a resistere così distolsi lo sguardo ma appena dopo lo riportai ai cancelli notando con la coda dell'occhio una ragazza bionda, alta, coi capelli mossi ed il pensiero volò immediatamente a Samantha. Purtroppo non era lei nonostante le somigliasse così tanto.
-Lianne.- Si avvicinò Luise sedendosi poi di fianco a me.
-Buongiorno.-
-Buongiorno.- Mi abbracciò gracile. -Ci sono molte più persone questa volta.-
Dovetti fare l'appello seguito poi dalla fantastica colazione ed ebbi l'occasione di parlare con una ragazzina, Edda, aveva quindici anni e veniva dalla Cecoslovacchia. Sembrava molto dolce, così piccola ed indifesa così non pensai due volte a darle consigli, assieme a Luise ed Emily, su come ''sopravvivere meglio'' e non dare troppa confidenza ad una ragazza da noi lontana, Federica, poiché era semplicemente una falsa. Luise alimentò la discussione parlando ancora più male alle spalle della ragazza italiana e la cosa non mi toccava più di tanto, in realtà. Non rivolgeva più la parola a nessuno, rideva se capitava qualcosa alle altre, mi aveva semplicemente deluso...
Rimasi per tutta la giornata in silenzio, anche durante il lavoro. Respiravo, mi concentravo solo sul raccogliere legna e tagliarla, raccogliere e tagliare, fino a sera. Eravamo un po' di più allora, una signora ben più grande di me mi chiese aiuto sottovoce e, cercando di non farmi notare, presi io la sua legna, lasciandole il lavoro più leggero.
Ad un certo punto sentii del fiato pesante sul collo, con la certezza di essere osservata da uno di quei soldati cercai di rimanere fissa sul lavori, sul legno a me davanti, tentennando alle volte per la stanchezza.
-Non dovresti aiutare le altre.- Mi consigliò e dalla voce riconobbi bene Josef. -Loro non lo farebbero con te.- Aggiunse atono ma anche se avesse avuto ragione a me sarebbe importato ben poco, sopravvivere mi sarebbe importato ancor meno ultimamente. Francamente, lavoravo più per ingannare il tempo, ignorando quasi del tutto punizioni come frustate o ancora il gas nocivo, tutto quello non mi toccava davvero minimamente. Senza volerlo, ripensavo all'episodio di pochi giorni prima con Johann e tremavo all'immagine che la mia mente riproiettava, percependo distintamente tutto sulla mia pelle come un'ulteriore volta, facendomi ancora più male.
Abbandonai l'accetta dopo aver tagliato l'ultimo pezzo, avevo terminato anche il lavoro di quel giorno. Era scesa la sera ed io rimasi seduta sull'erba fredda ed incolta per rilassarmi un attimo finché non arrivarono nuovamente dei soldati a riportarci nei rispettivi blocchi e, ironia della sorte, c'erano anche Josef e Johann.
-Non sei in ritardo per la cena da Wilhelm?- Aprì il discorso Josef prendendo in giro l'altro ma mai distogliendo lo sguardo da me. Dal tono sembrava più che infastidito e non fui l'unica ad accorgermene.
Tutte le altre erano già rientrate, così mi voltai per andare anch'io ma sentii mi prese la spalla e dovetti fermarmi controvoglia. Un brivido di paura corse lungo tutta la schiena e percepii i battiti aumentare irregolarmente. Quell'effetto in me era più che insolito, aggiungendo anche che mi tornarono in mente tutti gli altri momenti trascorsi da soli, come in infermeria o nella cucina, e sembravo essere preda dei suoi scherzi o attacchi isterici per poi crollare sempre nei suoi sguardi fissi e quei pochi baci contati prima sfiorati e poi decisi, certamente ambigui eppure a tratti quasi... Piacevoli. Avrei voluto maledirmi anche per quello, forse era stata la febbre ma effettivamente in quei giorni non ero riuscita a fare a meno di pensare anche a quel gesto che non era proprio insignificante.
Stavo male anche per quello. Quel soldato era il mio nemico, derideva della mia sofferenza e dei miei pianti, altre volte, però, sembrava volesse gridare per me, capirmi in qualche modo. Ancora in quel momento non smise di fissarmi negli occhi ed esitando per un po', mi sussurrò appena dopo di seguirlo, senza aggiungere altro. Non potei obiettare così lo seguii e ci fermammo nella foresta di prima, quella che circondava il campo, allontanandoci più di quanto era possibile a me. L'autunno era imminente e già si notavano alcune foglie mutare in un giallo vivo ed un rosso fuoco meraviglioso, appena poco più in alto delle nostre teste, incorniciare il cielo nero. Josef si fermò dove alcuni faggi, più vicini tra loro, spaziavano quasi formando un cerchio, permettendo all'erba di riflettere la luce fioca di molte stelle, oltre alla bellissima luna. Le ammirai per la prima volta dopo tanto tempo, non ci era permesso alzare lo sguardo così in alto ed era un grandissimo peccato perdersi quel cielo dipinto di luci bianche affievolite ma che donavano compagnia nelle notti taciturne come allora.
-Qui possiamo stare soli per un po'.- Constatò Josef atono. Poco dopo si sedette a terra con la schiena sul sottile tronco di un albero e mi imitò guardando anche lui il cielo suggestivo. -Ogni sera passo per qua ma solo stasera si vedono bene le stelle.- Mi limitai ad ascoltarlo e, non sapendo cosa fare, lentamente, mi sedetti anch'io e rialzai il mento per ammirare la natura circostante. Faceva freddo ed il mio corpo tremava ormai costantemente, così strinsi più le ginocchia al petto evitando di pensarci. -Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho portata qui.- Continuò senza guardarmi minimamente. -Volevo far vedere anche a te questo punto particolare, il mio preferito.-
Josef era sicuramente una persona ambigua, strana sotto ogni punto di vista. Fraintendevo ogni suo gesto, quando sembrava essere comprensivo in realtà mi prendeva solamente in giro per cui anche allora preferii rimanere ad una rispettiva distanza da lui ed annuire solamente a ciò che dicesse.
-Non ti ho mangiato la lingua, puoi parlare.- Mi intimò.
-Non... Sto capendo...- Effettivamente non riusciva a dire una parola di più.
-Neanche io, eppure l'istinto mi ha detto che dovevo portarti qui e questa notte stessa. Seguo sempre il mio istinto, mi ha sempre dato le scelte più giuste.- Si pavoneggiò. -Sembra una storia buffa ma, è come se, per tutto questo tempo, io abbia avuto una sorta di custode che mi abbia detto sempre cosa fare. Credo che il mio dio voglia questo, non so.- Si giustificò seguendo la logica della sua fede, anche se faceva acqua da tutte le parti e non soltanto io lo credetti. Non riuscivo a capire il suo discorso ma preferisco non interromperlo, accogliendo con sempre meno diffidenza la sua voce pacata seppur infida. -Già dalla prima volta, da quella notte in cui ti ho portata al blocco, sembra assurdo, me ne rendo conto, ma mi è rimasto impresso il tuo profumo e lo sento tutt'ora, anche con quelle vesti.- Scosse la testa mugugnando qualcosa ed ebbi paura che si alterasse nuovamente ma, invece, scattò in piedi e si avvicinò rapidamente a me costringendomi ad alzarmi; il respiro affannato tradì la sua apparenza intimidatoria e sembrò essere lui la persona più tesa tra le due, in una situazione ancora più strana.
-Io...- E si staccò da me, interdetto. - Io... Sono rimasto sorpreso da te, dalla tua grinta. La vedo sempre nel tuo sguardo, è troppo assurdo. Sto dicendo un mucchio di cazzate, sì, ah... Sono ubriaco come al solito...- Si allontanò assumendo nuovamente l'atteggiamento altezzoso da perfetta SS, fingendo che quelle parole in verità non gli appartenessero realmente. Però preferì continuare il soliloquio riflettendo ad alta voce, evitando ancora il più possibile il contatto visivo e scuotendo ogni tanto la testa.
-Hai sempre avuto la faccia tosta ogni volta che mi affrontavi, ah, però, quel giorno mi è rimasto impresso nella mente, quando... Quando hai rischiato la tua vita per salvare quella bambina. Lì è... È come se si fosse aperto un mondo davanti a me, come se tutto quello che avevo fatto e pensato fino ad allora fosse stato una follia, davvero. Dannazione, giuro, non so cosa sto dicendo...- Rise nervosamente.
-Ho perso perfino la voglia di combattere...- Ammise l'ultima frase in un sussurro mentre si reggeva con una mano ad un tronco, visibilmente stanco e stressato. Josef sospirò ma non era l'unico ad essere meravigliato dalle sue stesse azioni.
Calò il silenzio, stringevo le mani al petto sperando che tutto ciò che dicesse fosse sincero e non una messa in scena, finché non lo sentii davvero singhiozzare così indietreggiai. Era vero, aveva fatto male a tante persone, anche a me, eppure non sopportavo vedere lui in quel modo, chiunque egli fosse. Forse fu una mossa avventata ma non mi pentii di essermi avvicinata a lui ed avergli accarezzato la schiena sfiorandolo appena, spaventata.
Era così vulnerabile che mi scaturiva tanta rabbia, desolazione. I muscoli miei erano contratti e solamente le dita riuscivano a muoversi autonomamente.
Sembrava affranto, tanto dall'apparire completamente un altro essere umano. Gli occhi umidi ricercarono i miei e l'effetto fu ulteriormente strano, indescrivibile. Le sue guance rosee alludevano ad una lieve sbronza come egli stesso ammise ma da allora le sensazioni terribili che mi dava quell'uomo erano scemate quasi totalmente, dandomi l'idea che non stesse davvero recitando.
-Non piangevo da anni.- Lo vidi sorridere. - Ecco cosa intendevo, nonostante io stesso ti abbia fatto del male tu non ti sei allontanata o scappata via. O sono veramente ridotto male o tu sei fuori di testa, non c'è altra spiegazione...- Ebbe la forza di ironizzare sull'ultima parte lasciando un piccolo sorriso persino a me.
-Lo nego a me stesso più volte ma dovrei farmene una ragione, invece. Dannazione... Sai, come quella mattina, quando ho saputo che tu eri tra quelle scelte per la selezione: ho lasciato la mia postazione per raggiungere quella struttura e quando ho Constatò che fosse finito quasi del tutto il gas fui grato a dio.- Ammise. -Hanno proposto di prenderne altro ma li avevo fermati con... Una scusa frivola, che ne sarebbe arrivato la settimana dopo o quella seguente...- Aggiunse, gesticolando continuamente.
Il battito del mio cuore accelerò d'un tratto lasciandomi il fiato corto e le mani tremanti; d'istinto strinsi i pugni per calmarmi, trovando il bigliettino in una delle due tasche, un po' stropicciato ma intatti e non ci riflettei su, tirandolo fuori e mostrandolo a lui.
-Questo. Questo l'ho tenuto con me fino ad oggi. Si è rovinato ma non importa. Mi dà pace ogni volta che lo rileggo.- Confessai arrossendo violentemente.
Nessuno dei due aggiunse altro ma restammo semplicemente così, in piedi, l'uno davanti all'altra, finché smisi di tremare ed anche i miei muscoli si rilassarono. Josef non volle smettere di guardarmi negli occhi e stranamente neanche io lo desideravo. Erano davvero belli i suoi, tanto chiari e magnetici che anche al buio si distinguevano dal resto.
Mi portò a riflettere su tanto e su nulla allo stesso tempo; avevo la certezza che non era cattivo, era un uomo a cui avevano dato un'idea sbagliata del mondo, della vita, altri uomini che non erano riusciti loro stessi a coglierne il vero significato.
Poi, ci sedemmo sulla fredda erba umida, uno di fianco all'altra, avvolti nell'ombra della notte e con l'aria fresca che percorreva le mie ginocchia, nude per via di vari strappi nei pantaloni, coperte nell'immediato dalla giacca di Josef, senza dire nulla. Vederlo in maglietta mi faceva anche strano; sembrava ancor più una persona qualunque e non un soldato.
Sentii le guance accaldarsi e non più il leggero vento un ostacoli, godendomi ancora quel momento in cui sentivo davvero di stare bene.
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