Capitolo 3
Parcheggio la mia moto nel parcheggio della scuola, e guardo i ragazzi che mi fissano.
Di certo si sono accorti che sono ben più grande di loro.
Prendo il mio zaino, che sinceramente ricordo più grande, ed entro nell'edificio. Non posso di certo lamentarmi, è una bella scuola, e gli studenti intorno a me... appetibili.
Forse mi divertirò parecchio quest'anno.
Dopo essere stato in segreteria, trovo il mio armadietto e ci metto i libri.
Dentro di me ho solo rabbia. Mi rimprovero mentalmente per non aver finito la scuola, sennò adesso non mi troverei qui.
Cammino verso l'aula della prima ora e vado a sbattere contro qualcuno, visto che ero troppo impegnato a guardare il foglio degli orari.
- Ops! - Sento una voce ridacchiare nel dire quella parola. Ho sbattuto il culo.
- Cazzo che male! - E il tipo vicino a me se la rideva?
Alzo lo sguardo e mi pietrifico.
Occhi azzurri.
Quegli occhi azzurri.
Quei fottuti occhi azzurri.
Sono rimasto a bocca aperta nel vedere, che davanti a me, c'è il mio ex fratellino, Louis. Si, perché è proprio lui. Non posso sbagliarmi. - Ciao... - È l'unica cosa che dice, visto che è rimasto senza fiato. Louis lo guarda con superiorità e con un ghigno sulle labbra.
- Sei il tizio che è venuto qui per finire la scuola, giusto? - Eh?
- E tu come lo sai? - Chiedo rimettendomi in piedi.
- Ormai lo sappiamo tutti in questa storia. Sei una leggenda, ripetente. - Digrigno i denti e mi avvicino al mio fratellino.
- Non chiamarmi ripetente, Louis. Prova di nuovo a... -
- Ehy, aspetta! - Mi interrompe bruscamente il liscio, sorpreso. - Come sai il mio nome?! Sei uno stalker? - Oh oh. Deglutisco a vuoto e oltrepasso Louis.
- Ci si vede. - Dico velocemente e cammino a passo svelto verso l'aula.
Maledetta la mia bocca larga!
Salgo sull'ascensore e premo il pulsante numero nove. Mi appoggio al muro e aspetto.
Ho passato tutto il giorno ad evitare Louis, non so come comportarmi con lui. Sono felice di rivederlo, ma di certo non posso dirgli che è il mio ex fratellino. Adesso sono in ospedale a far visita a mio padre. È stato vittima di un infarto, qualche mese fa, da allora vado sempre a fargli visita.
Quando arrivo al piano, mi incamminò verso il corridoio e saluto gli anziani che conoscevo. Giunto alla stanza 414, busso e entro solo dopo il permesso di mio padre.
Des sta leggendo un libro, ma lo mette via subito quando mi vede.
- Harold! Ragazzo mio, dai un abbraccio al tuo vecchio! -
- Non sei vecchio, papà! - Lo rimprovero con un sorriso gentile, mentre lo stringo a me. Mi siedo poi su una sedia vicino al suo letto e gli stringo una mano.
- Dimmi, Harry, come ti sta andando il lavoro? -
- Non c'è l'ho più un lavoro. Non ho una laurea, e per tanto sono stato costretto a tornare a scuola. - Dico, con una nota triste nella voce, ma mio padre continua a sorridergli.
- Non preoccuparti, di solito succede. Non è la fine del mondo. -
- Il peggio è che... è la stessa scuola di Louis. - Des corruga la fronte confuso, per poi spalancare gli occhi. - Louis? Quel Louis? Il figlio di Johannah? -
- Si, papà. L'ho incontrato stamattina. È diventato un bellissimo ragazzo. - Mio padre sorride e guarda fuori dalla finestra.
- Mi mancano Johannah e Louis. Sai, spesso penso sempre a loro. - Ritorno a pensare al sogno che ho fatto quella notte e faccio rivoltare mio padre verso di me.
- Papà, c'è una cosa che non ho mai capito. Tu e Johannah avete mai litigato, da quel che ricordo io, e allora perché avete divorziato? -
- Perché Johannah amava un altro. Un certo Tomlinson, se non sbaglio. -
- Ma tu l'amavi. - La mia non era una domanda.
- Certo che l'amavo. E l'amo tutt'ora. L'unica donna giusta per me. Batte perfino tua madre! - Des sorride malinconico e io mi lecco le labbra pensieroso. Guardo di nuovo mio padre.
- Stanotte ho fatto un sogno. Credo fosse un ricordo. Ero andato a calmare Louis nella sua culla e voi, tu e Johanna, avete preso il mio posto. Poi, vi ho sentiti parlare in cucina. Ti ricordi di quella notte? - Vedo i muscoli di mio padre irrigidirsi. Si ricorda bene. - Tu tenevi in mano un foglio di carta. Che cos'era? - Mio padre sposta finalmente lo sguardo dalla finestra e sospira, guardandomi serio.
- È il momento che tu sappia. Duecento anni fa, i miei antenati e quelli di Johannah erano nemici. I nostri litigi, le nostre battaglie piene di sangue, fecero arrabbiare gli aristocratici più potenti delle nostre famiglie. Stufi di noi, ci misero una condanna, e se quella condanna non verrà ristabilita col passare degli anni, la Legge può incolpare le nostre famiglie per antichi reati, condannando i nostri discendenti. - Lo guardo stupito e senza fiato. - Il foglio che hai visto, era un contratto. Un contratto che, con malavoglia, io e Johannah siamo stati costretti a firmare. E mi dispiace tanto. Perché adesso tu e Louis non avete altra scelta, se non accettare il patto. -
- Quale patto? - Des tira fuori da un cassetto un borsellino e cerca dentro esso.
- Johannah chiese a me di tenere questa e di preparati, mentre lei preparava Louis. - Tira fuori una chiave. Quella chiave che ho visto in sogno, e me la porge. - Nella vecchia casa dove abitavamo, dietro il frigo, c'è la cassaforte. - Mi disse semplicemente. La prendo e annuisco. Qualunque cosa sia, è pericolosa. - Harry? - Alzo lo sguardo su mio padre. - A proposito di Johannah... La senti ancora come un tempo? Come sta? - Oh no... Sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto. Abbasso la testa e guardo la chiave, facendola rigirare tra le mani.
- Papà... - mormoro, con le lacrime agli occhi. Alzo lo sguardo su mio padre e Des vede i miei occhi rossi e gonfi. - Non sapevo come dirtelo, mi dispiace. - Un singhiozzo lascia le mie labbra al ricordo di quando aveva ricevuto quella chiamata dalla sorella di Johannah. - Johannah ha avuto un incidente, qualche settimana fa. È morta sul colpo. Louis abita dal patrigno da solo, adesso. - Una lacrima lascia una scia umida sulla mia guancia e giuro di stare per svenire quando sento il "Bip" dei battiti aumentare e vedendo il corpo di mio padre agitarsi convulsamente. - Infermiera! -
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