XIX

Anastasia guardava sconsolata la scatola posta sul suo letto; le sembrava che le stesse ricambiando beffardamente lo sguardo.

Era tutta nera, adornata con un nastro rosso. Ne aveva guardato il contenuto un centinaio di volte: tra la carta protettiva c'era un bellissimo abito azzurro.

Continuava a guardare incredula il tessuto, e le ricordava terribilmente quello stesso tessuto che aveva ammirato nella boutique. Il ricordo di quello spiacevole incidente la faceva ancora avvampare dalla vergogna.

Il biglietto che conteneva il nome del mittente era poggiato accanto alla scatola, sul letto. Era inorridita da tutta la situazione. Era un regalo per lei: all'inizio era stata lusingata.

Quella mattina era stata la prima ad alzarsi e a prepararsi per uscire e appena aveva aperto la porta, sull'uscio aveva trovato la scatola con su scritto il suo nome. Era stata così contenta che l'aveva presa e l'aveva nascosta sotto il letto mentre sua sorella era in bagno.

L'ultima volta che aveva ricevuto un regalo a cui avesse tenuto tanto era poco più che una bambola di porcellana che le aveva regalato suo padre: ancora giaceva, come senza vita, sul suo comodino - guai a chi gliela toccava, anche solo per vederla.

Non seppe darsi una spiegazione del perché l'avesse nascosto; forse perché voleva godersi un po' di felicità privatamente prima di condividerla con le sorelle.

Non l'aveva aperto subito, ma all'idea comparve un sorriso a trentadue denti sul volto.

Era uscita a fare le sue commissioni ma, in realtà, non vedeva l'ora di tornare a casa. Tuttavia, una volta tornata tra le pareti della sua dimora, spettò ancora per aprirlo. Voleva essere certa di essere completamente sola, e così fu.

Ciò che aveva trovato nella scatola l'aveva stupita così tanto che le si erano riempiti gli occhi di lacrime per la commozione. Da commozione a terrore, poiché, se il regalo era stato inaspettatamente gradito, il volto di Anastasia sbiancò una volta letto il nome del mittente sul biglietto.

Aveva preso il vestito, ponendolo frettolosamente nella scatola decisa a sbarazzarsene il più in fretta possibile. Perché le aveva fatto un regalo? Quali erano le sue intenzioni? Possibile che l'avesse vista nell'atelier mentre osservava la stoffa con cui era stato confezionato quell'abito?

Andava avanti e indietro per la stanza mentre ci rimuginava sopra. Guardava ansiosamente l'orologio appeso al muro mentre si mordicchiava le unghie: segnava le 23:45. Dov'era Cecilia quando aveva bisogno di lei? E perché la sorella era fuori a quell'ora?

Era preoccupata perché la stava aspettando sveglia apposta. Anche Celeste era fuori, dal momento che era impegnata al pub, ma almeno aveva un motivo valido. Che motivo poteva avere invece Cecilia per essere in giro di notte con il coprifuoco senza un permesso speciale?

La gemella aveva preso questa brutta abitudine da un po', ma Anastasia aveva sempre fatto finta di niente perché si fidava di lei. Cecilia era sempre stata una tipa riservata, non le diceva mai dove andava e per questo Anastasia era infuriata. Per di più se Celeste l'avesse scoperta, sarebbero stati guai seri per Cecilia.

Guardò di nuovo verso la scatola: aveva preso una decisione, l'avrebbe fatta sparire. Prima di dire addio al suo regalo, prese il bigliettino tra le mani. Chiuse gli occhi, per sentirne il profumo che emanava. Per un momento si immaginò con quel vestito indosso, e lui che la guardava con occhi ricolmi d'affetto.

Le sue fantasie furono interrotte da dei rumori sinistri provenire dal soggiorno. Anastasia gelò sul posto: con tutti i problemi che aveva, adesso si doveva preoccupare anche di possibili ladri venuti a rubare gli ultimi averi che erano rimasti loro.

Ma proprio mentre Anastasia stava per rilassarsi ed essersi convinta che era solo frutto della propria mente sentì, nuovamente, dei rumori attutiti.

Decise di prendere coraggio e di andare a controllare se ci fosse qualcuno. Arrivò davanti alla porta del soggiorno e si affacciò: Cecilia era lì, intenta a infilare dei soldi all'interno di un barattolo, per poi salire su una sedia e posare il barattolo sopra al mobile dell'argenteria. Emanava un forte odore di sigari e birra.

«Si può sapere cosa diavolo stai combinando?» sussurrò Anastasia stizzita.

«Anastasia! Mi hai fatto prendere un colpo!» Cecilia balzò, finendo quasi per cadere giù dalla sedia.

«Stai scherzando, spero! Sei tu che ti sei intrufolata in casa nostra come una ladra». Anastasia alzò il tono di voce. Non voleva svegliare la mamma, ma non riusciva più a trattenere la rabbia.

«Sei sempre la solita esagerata» rispose Cecilia alzando gli occhi al cielo. Adesso che Anastasia poté vederla più da vicino, si accorse che aveva dei residui di trucco sugli occhi.

«Dove sei stata tutto questo tempo? Lo sai che è pericoloso per una giovane donna camminare per le strade di notte». Mentre diceva quelle parole, la preoccupazione di Anastasia cresceva ancora di più.

«Tranquillizzati, sorella. Sono andata semplicemente a fare una passeggiata» rispose Cecilia eludendo le sue domande mentre si dirigeva verso la loro camera.

Una volta dentro, Anastasia chiuse la porta ed esclamò: «Non ti credo affatto! Da dove vengono quei soldi?»

«Se proprio lo vuoi sapere... Te lo farò vedere con i tuoi occhi». Le disse finalmente la gemella. Fu in quel momento che Cecilia guardò verso il letto nel punto in cui c'era il pacco con all'interno il vestito azzurro. «E questo cos'è?» domandò con curiosità mentre prendeva l'abito dalla scatola e lo guardava. Il biglietto giaceva ancora sul letto accanto alla scatola, e Anastasia sperò con tutto il cuore che Cecilia non se ne fosse accorta. «È molto bello. Indossalo e vieni con me» disse infine Cecilia.

«Che cosa! Adesso? Sei sicuramente impazzita» rispose Anastasia sull'orlo di una crisi di nervi. Prese l'abito dalle mani di Cecilia e lo mise nella scatola con rabbia. Tentò di afferrare anche il biglietto ma Cecilia fu più veloce di lei.

Appena lo lesse strabuzzò gli occhi. «Perché diamine il tenente Johann Fischer ti ha regalato quest'abito?» esclamò.

«Ti prego, non urlare. Non voglio che la mamma senta» disse Anastasia con voce tremante. Guardò implorante la sorella, ma se si aspettava di trovarla indignata dalla notizia, rimase stupita quando la trovò con un mezzo sorriso sul volto.

«A quanto pare non sono l'unica che nasconde un segreto» asserì semplicemente Cecilia. «Infilati quest'abito e vieni con me, sempre se vuoi ancora delle risposte» concluse infine la gemella, lasciandola da sola nella stanza per cambiarsi.

****

Celeste accarezzava svogliatamente il gatto che serpeggiava dietro il bancone. Aveva tentato in tutti i modi di cacciarlo, ma alla fine tornava sempre.

La serata al pub si stava svolgendo molto lentamente; i tedeschi, oramai, si erano abituati a lei, e lei si era abituata ai tedeschi. Passavano il loro tempo al pub a fumare, giocare a carte e a bere, senza dare più alcun tipo di fastidio: a parte sporcare il locale di fango e cenere.

Era assorta nei suoi pensieri quando dalla porta vide sbucare il volto noto di un amico. Almeno, era così che lo considerava fino a qualche settimana fa'. Leonardo si diresse con passi traballanti verso di lei. «Buonasera, Piccolè» la salutò lui in modo affettuoso, cercando di toccarle la spalla. A quel tentativo di approccio, lei si ritrasse e lui aggrottò la fronte.

«Che fine hai fatto? Credevo che te la fossi data a gambe» rispose lei, cercando di non far trapelare il fastidio dalla sua voce.

«Non capisco che intendi». Il viso di Leonardo passò dallo scherzoso all'infastidito. Le ricordava suo padre, a volte, quando assumeva quell'atteggiamento serio e perentorio.

«Ah, non capisci?» ribattè Celeste infastidita. «Mi avevi promesso che mi avresti aiutata a gestire il locale, e invece sei sparito per giorni senza farti più sentire» continuò lei cercando di non apparire isterica. «Ma a quanto pare non sono l'unica a pensarlo, dal momento che anche tua moglie ti ha dato per disperso» aggiunse poi, cercando di provocarlo.

«Cosa c'entra mia moglie, adesso?» Leonardo la guardò con freddezza.

«Ah! Lascia perdere...» disse Celeste, cercando di far cadere l'argomento, ricordandosi di un vecchio detto che recitava più o meno così: Tra moglie e marito, non mettere il dito.

Ma evidentemente Leonardo non la pensava così, perché le prese il braccio e glielo strinse. «Ehi! Guardami» rispose lui in modo autoritario.

«Dannazione, Leonardo! Lasciami, mi stai facendo male!» gridò senza rendersene conto. Intanto, un gruppo di tedeschi seduti ad un tavolo vicino al bancone, guardava la scena con sguardi interrogativi.

Leonardo la lasciò, mormorando delle scuse. Celeste si massaggiò il braccio con un'espressione scontrosa sul viso. Leonardo prese a fissarla nuovamente, e questa volta il suo sguardo si addolcì. «Mi spiace, hai ragione. Meriti delle spiegazioni. Ma sappi che non era mia intenzione abbandonarti» disse, questa volta cercando di accarezzarle il viso. Celeste era restia a farsi toccare di nuovo, ma accettò comunque di farsi accarezzare la guancia. «Ma prima dimmi, cosa c'entra mia moglie con noi?» Il modo in cui Leonardo pronunciò quel "noi" le fece arricciare il naso.

Allora Celeste gli spiegò tutto. Della ragazza del vicolo, dei soldati tedeschi e di come la moglie l'aveva cacciata quando aveva cercato il suo aiuto. Gli spiegò anche come si era sentita vedendo quella scena violenta; voleva aiutare la ragazza, ma non sapeva come. E infine, gli raccontò del fatto che la ragazza non ce l'aveva fatta a reggere tutto ciò, e aveva preferito togliersi la vita piuttosto che crescere un bambino frutto di una violenza.

Leonardo ascoltava con pazienza, senza dire una parola. Alla fine del racconto sospirò. «Vieni con me, ti devo parlare. Senza che i tedeschi ci ascoltino» le disse infine, conducendola fuori dal locale.

I due si allontanarono, ignari che un paio di occhi azzurri li aveva guardati da lontano, in uno dei tavoli più appartati del locale, per tutto il tempo; erano gli occhi del tenente Johann Fischer.

-

Celeste era uscita fuori senza portarsi dietro il cappotto e stava morendo di freddo. Leonardo l'aveva portata a qualche isolato, lontano dal pub e dalle "orecchie dei tedeschi". In realtà, Celeste avrebbe voluto dirgli che i tedeschi erano dovunque, ma se lo tenne per sé.

Leonardo intanto, si era acceso una sigaretta, e aspirava avidamente. «In questi giorni ho avuto da fare. Dovevamo fare qualcosa, dopo tutte queste ingiustizie subite».

«Tu e chi? E poi cosa pensate di fare? Cacciarli dal paese?» disse Celeste, evitando accuratamente di dire le parole "tedeschi" o "Germania".

Leonardo sorrise: un sorriso più eloquente di qualsiasi parola che abbia mai potuto pronunciare.

«Non mi dire che...» Celeste lo guardò incredula.

«Non sei l'unica che ha questi sentimenti, Celeste. Già prima di te ci sono state persone che non erano più disposte a sopportare i soprusi di questi porci. Dobbiamo fare qualcosa per annientarli». Le parole di Leonardo erano cariche di orgoglio.

Celeste era esterrefatta e spaventata dalla parola "annientare". Sapeva bene quali erano i rischi e i risultati dell'annientamento. Lei non voleva annientare nessuno, al massimo avrebbe voluto aiutare chi era in difficoltà. «Faccio parte di un nucleo di resistenza» disse infine, con un tono solenne.

«Ma sei forse impazzito? Come puoi dirlo con così tanta leggerezza, a chiunque poi?» disse Celeste gesticolando animatamente.

«Tu non sei "chiunque". Sei la mia piccola e coraggiosa farfalla. Sei l'unica di cui mi fido, e... voglio che tu ti unisca a noi». Fece uscire queste parole che fecero rimanere Celeste a bocca asciutta.

«Me? Sei impazzito veramente allora. Ti sei dimenticato che ho una famiglia da mantenere? Da proteggere? Ti sei dimenticato che fine ha fatto mio padre per le sue idee? Già siamo nel mirino dei tedeschi per "colpa" sua, pensi che io abbia così fretta di mettere in pericolo la mia famiglia nuovamente?» Celeste disse queste parole con le lacrime agli occhi. Ormai era scoppiata, e le lacrime le uscivamo come un fiume in piena. Suo padre aveva lottato per qualcosa in cui credeva e gliel'avevano fatta pagare. Gliel'avevano portato via. Lui le aveva abbandonate in uno Stato di indigenza: si era preso cura più delle sue idee della sua famiglia. «E tu? Non pensi alla tua famiglia? Ai tuoi figli? Non pensi che con le tue azioni potresti metterli in pericolo?» continuò con il suo discorso, cercando di farlo rinsavire.

«È proprio per i miei figli che lo faccio. Per far sì che crescano in un Paese libero» replicò lui in maniera convinta. «Senti... Puoi decidere di fare quello che vuoi. Puoi decidere di agire, come puoi decidere di stare a guardare tutte le ingiustizie che vedi. La scelta è soltanto tua. Nel caso cambiassi idea... sai dove trovarmi». Queste furono le ultime parole di Leonardo, che che se ne andò lasciandola lì: al freddo e da sola con i suoi pensieri.

Celeste continuò a rimuginare sulla conversazione avuta con il suo amico di una vita, pensò a tutto quello che aveva vissuto fino ad allora. Era una codarda? Certamente no.

Era la degna figlia di suo padre, ma non avrebbe fatto la sua stessa fine.

****

Anastasia seguiva la sua gemella per le strade desolate della città. Il cuore le batteva a mille mentre camminavano furtivamente, cercando di evitare la strada principale.

Nonostante Anastasia avesse molta paura, notò che Cecilia fosse stranamente troppo tranquilla, come se avesse percorso quelle strade di notte un milione di volte.

Ancora non riusciva a credere che sua sorella l'avesse trascinata in questa folle avventura, con numerose pattuglie tedesche che perlustravano la zona.

Aveva indossato l'abito azzurro, che per suo orrore le stava a pennello. Le calzava aderente: si stringeva alla vita, mettendole in risalto il petto. Tuttavia, non riusciva a metterla a riparo dal freddo pungente della notte.

«Allora... Cosa c'è tra te e il tenente Fischer?» domandò sua sorella, rompendo il silenzio.

Anastasia, sorpresa dalla domanda, quasi inciampò sui suoi stessi passi. Che razza di domanda è?, pensò. Era ovvio che non ci fosse niente tra loro. Ma l'abito che stava indossando in quel momento, era la prova vivente del contrario.

«Ti posso assicurare che non c'è niente» rispose frettolosamente Anastasia.

Cecilia, che camminava davanti a lei, si girò per guardarla in faccia e inarcò un sopracciglio. «Sono molto offesa dal fatto che tu non voglia dirmelo. Se hai paura che io possa giudicarti...»

Il discorso di Cecilia fu interrotto dalle parole della sua gemella. «Non c'è nulla da dire, semplicemente perché non c'è niente. Non so perché mi abbia fatto un regalo del genere. Anzi, avevo intenzione di restituirglielo prima che tu mi costringessi a indossarlo. E poi non puoi parlare, proprio tu, di segreti». Anastasia terminò il discorso quasi urlando.

Cecilia si girò, mettendosi un dito sopra la bocca, a intimarle di far silenzio. Nel frattempo avevano raggiunto una stradina isolata in cui c'era quello che sembrava essere un vecchio teatro. Cecilia bussò quattro volte. La porta venne aperta da un uomo vestito di nero che le guardò dalla testa ai piedi. Tuttavia, sembrava aver riconosciuto Cecilia, perché la guardò, facendole l'occhiolino.

«Parola d'ordine» disse quello. Aveva la voce rauca e aveva l'alito pesante.

«La Maison Noire è aperta a tutti coloro che amano la Vedova nera» rispose Cecilia con un tono seducente e persuasivo. L'uomo si fece da parte per farle passare, sorridendo compiaciuto.

Anastasia era scioccata mentre attraversavano in silenzio un lungo corridoio. Della musica poteva essere percepita oltre le pareti.

Arrivarono in fondo a un corridoio davanti a una porta che venne aperta, poi, da due uomini. Ad Anastasia venne un infarto quando li identificò come due tedeschi: non sembravano arrabbiati o terrificanti, ma solo molto ubriachi. Passarono di fianco alle ragazze senza neanche degnarle di uno sguardo, ridendo e spintonandosi tra di loro.

Prima di entrare, la sua gemella la guardò in modo serio, dicendole: «Non bere nulla!»

Quando Cecilia aprì la porta, Anastasia fu investita da una musica da cabaret, che si percepiva già oltre le pareti, e da un odore pungente di alcol. La sala era gremita di uomini in festa, i quali erano seduti a dei tavoli che erano rivolti tutti verso il palcoscenico. Lo spettacolo consisteva in delle bellissime ragazze che ballavano in modo seducente. Erano vestite con degli abiti attillati e scollati e indossavano delle parrucche, ma le ragazze non erano solo sul palco: servivano ai tavoli o chiacchieravano con gli uomini. Il locale era frequentato sia da soldati che da civili.

Anastasia era nel panico più totale. Non era come il locale di sua sorella: pensandoci, non aveva mai frequentato un locale del genere in tutta la sua vita.

Voleva andarsene da lì, per cui decise di riprendere la strada del ritorno. Si rese conto, però, di essere così spaesata da essersi allontanata ancora di più dall'uscita. Cecilia la prese per un braccio.

«Perché mi hai portato qui? È questo il tuo grande segreto?» le domandò Anastasia in tono accusatorio, sull'orlo delle lacrime.

«Anastasia, tranquilla. È tutto sotto controllo. Questo locale frequentato da gente facoltosa e da persone perbene. Non c'è nulla di cui tu debba preoccuparti», cercò di rassicurarla Cecilia.

«Persone perbene? Si può sapere che cosa combini qui?» le rispose stizzita. Anastasia era sull'orlo di una crisi di nervi. La musica, suonata dal vivo dai musicisti sul palco era così alta che era costretta ad urlare per comunicare con la sorella.

«Niente di quello che immagini. Semplicemente, ballo». Se Cecilia pensava che quella spiegazione potesse bastare, si sbagliava di grosso. Anastasia guardò le numerose ragazze, poi la sua attenzione si spostò verso gli uomini. Guardavano le ragazze con occhi famelici e con la bava alla bocca. Era uno spettacolo disgustoso da guardare.

«Tu balli in quel modo... per compiacere gli uomini! E se si venisse a sapere, che cosa si direbbe del buon nome della nostra famiglia, che è già in pericolo a causa di papà? Non hai pensato alla tua reputazione? Alla mamma verrebbe il crepacuore, se lo scoprisse». Anastasia pronunciò quelle parole come se fossero un fiume in piena. Era piena di collera verso la gemella. Come le era venuto in mente di mettersi in questa situazione così sconveniente?

«Non lo verrebbero mai a sapere perché ci travestiamo. Non vedi? Indossiamo delle parrucche. E non mettere in ballo la mamma: non c'è mai quando abbiamo bisogno di lei. Come sai siamo in difficoltà economica... Celeste fa quel che può per andare avanti, ma se posso voglio dare il mio contributo. Madame Fleurie paga bene», cercò di argomentare Cecilia.

«Chi diavolo è Madame Fleurie?» sbottò Anastasia.

«Stavate parlando di me?» Sentì dire da una voce femminile dietro dietro le sue spalle. Anastasia si girò e quello che vide la fece rimanere a bocca aperta. Una donna con una sigaretta in mano e con abiti succinti la guardò dall'alto in basso. Aveva un abito verde, a sirena, e un profumo inebriante.

«Cecilia! Il mio bellissimo cigno. E chi abbiamo qui?» La donna misteriosa si rivolse prima verso Cecilia, per poi guardare Anastasia con interesse. «Ah... la copia spiccicata di vostra madre. Cecilia, hai portato anche tua sorella?» disse la donna, cercando di toccare il viso di Anastasia.

«Sì, ma ce ne stavamo andando» rispose Cecilia frettolosamente, stringendo il braccio di Anastasia.

«Ah, ma perché tanta fretta, su bevete qualcosa» disse la donna, che Anastasia presumeva essere la famosa Madame Fleurie, prendendo due coppe da uno dei tanti vassoi trasportati dalle ragazze in servizio e porgendoli alle gemelle.

Anastasia guardò il contenuto all'interno del bicchiere. Era una bevanda dorata ricca di bollicine che emanava un odore invitante. Guardò la sorella che le ricambiò lo sguardo con occhi truci. Si ricordò della sua raccomandazione iniziale; non avrebbe dovuto bere niente, neanche se le veniva offerto.

«Allora, tesoro. Anche tu sei interessata a lavorare qui con noi? Sai, tua sorella è molto brava. È una delle mie ragazze migliori. Balla come un cigno e ha la voce di un usignolo. E tu? Hai qualche talento?» le domandò con molto interesse.

Anastasia non ebbe il tempo di rispondere perché fu anticipata da sua sorella. «Forse parlare di lavoro è un po' prematuro» rispose Cecilia, muovendo il polso facendo girare il contenuto del bicchiere. Ogni tanto salutava qualche cliente in maniera disinvolta. Sembrava completamente a suo agio.

«Oh suvvia, mio piccolo cigno. Non essere gelosa. Tu sarai sempre la mia preferita». La madama scoppiò in una fragorosa risata. «Se avete ereditato la bellezza di vostra madre, avrete sicuramente ereditato anche i suoi talenti, entrambe. E poi mi hai detto che avete problemi economici, no? Pensaci, cara». Le ultime parole le disse rivolgendosi ad Anastasia.

«Conoscete nostra madre?» riuscì a rispondere quest'ultima con tono flebile.

«Beh, sì, è una storia abbastanza lunga. Ma mi raccomando: non diteglielo» rispose, ammiccando. «Assomigliate a vostra madre, ma la vostra sorella più grande... lei ha ereditato il fuoco e la bellezza di vostro padre» iniziò a dire.

Cecilia alzò gli occhi al cielo, sapendo che adesso la madama si sarebbe lanciata in uno dei suoi lunghissimi monologhi.

«Avete ragione, Madame Fleurie. Ci penseremo, ve lo prometto. Ma adesso si è fatto tardi, dobbiamo proprio andare» disse infine Cecilia prendendo il braccio di Anastasia e trascinandola verso l'uscita.

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Eccoci in un nuovo aggiornamento. Finalmente scopriamo dov'era Cecilia ogni volta che serviva. Che ve ne pare del colpo di scena? Vi aspettavate qualcosa di simile?
E Celeste come risponderà alla domanda di Leonardo? Non resta altro che leggere per scoprirlo.
E... detto questo, vi lasciamo alla lettura.

Lilingel

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