XI - parte 1
La mattina della domenica 20 febbraio, Anastasia e Celeste avrebbero passato l'intera giornata con due soldati tedeschi. Si erano preparate in poco tempo, curandosi poco del loro aspetto; o almeno, così volevano dare a intendere.
Celeste aveva indossato un vestito verde decorato con fiorellini bianchi. Un tempo, era appartenuto ad Agnese, la loro mamma. Era l'abito preferito del papà, quando loro madre lo indossava nelle occasioni speciali, e da quando lui era morto, la donna non l'aveva più nemmeno toccato.
Anastasia si domandò se quello fosse un prestito, oppure Celeste l'avesse indossato senza consultare nessuno: a ogni modo, quell'abito la faceva apparire raggiante. Non era truccata, anche se le sue guance e le sue labbra apparivano più colorite del solito.
Anastasia, invece, aveva optato per il suo abito domenicale color rosa pastello. Era un abito semplice, senza troppi fronzoli, ma le calzava così bene che la faceva apparire più matura della sua età.
Mentre si guardava allo specchio e lisciava il vestito con le mani, l'abito azzurro regalatole dal Tenente Fischer giaceva solitario all'interno della scatola aperta, adagiata sul letto. Non l'aveva mai indossato per un'occasione importante, e Anastasia moriva dalla voglia di farlo. Era tentata di sfilarsi l'abito rosa e uscire di casa con quello azzurro, ma era una codarda. Aveva paura di una possibile reazione di Fischer: non una reazione violenta, ma aveva il timore che potesse leggere il gesto come un'accettazione da parte sua di un possibile corteggiamento. Sempre se regalare abiti rientrasse all'interno di un rituale di corteggiamento; Anastasia non poteva esserne certa. Avrebbe potuto essere solo un semplice regalo, senza nessun doppio fine. Le pareva alquanto improbabile che qualcuno come Johann potesse corteggiare una ragazzina come lei, che si sentiva così insulsa.
Ripensò alla loro ultima conversazione: chiamarlo per nome, anche solo nella sua testa, le provocava un fremito nelle vene. E io vorrei che lui mi corteggiasse?
Si allontanò dallo specchio e uscì dalla sua stanza, senza neanche truccarsi, troppo impaurita da se stessa. Non dopo aver rinchiuso la scatola nel suo armadio, per nasconderla da occhi indiscreti.
Aveva incontrato Celeste di fronte alla porta di ingresso: si erano complimentate l'una l'altra per il loro aspetto, avevano salutato Cecilia, scusandosi per il fatto di averla lasciata a casa - anche se la ragazzina non ne sembrava molto afflitta -, ed erano uscite.
Celeste la condusse a qualche isolato da casa loro, per evitare che qualcuno potesse fraintendere e farsi venire strane idee per la testa, le aveva detto.
E adesso, eccole lì, incappucciate e raggomitolate nei loro cappotti, mentre aspettavano i due tedeschi.
Anastasia osservò sua sorella maggiore: aveva la postura rigida, gli occhi verdi più scuri del solito. L'espressione era seria e le labbra strette in una linea sottile; vista dall'esterno, poteva sembrare una guerriera pronta alla battaglia.
Anastasia cercò di trovare qualcosa da dire per rompere il ghiaccio, ma fu Celeste a parlare per prima. «Anya, ascoltami con attenzione. Non devi nel modo più assoluto parlare, soprattutto con il tenente Fischer!» Celeste stava utilizzando quel tipo di tono che non ammetteva repliche.
Anastasia rimase a bocca aperta per la sorpresa. Aveva immaginato che sua sorella si sentisse a disagio, ma non fino a quel punto.
«Non devi per nulla al mondo parlare della nostra famiglia: di papà e soprattutto... di tu sai chi». Anastasia capì che sua sorella maggiore si stesse riferendo a Marco, che si trovava rinchiuso nella soffitta di casa loro, lontano dalle grinfie dei nazisti.
Solo in quel momento riuscì a vedere le cose con chiarezza: stavano nascondendo un ebreo in casa loro e per quello erano perseguibili per legge. Se qualcuno l'avesse scoperto, non solo Marco sarebbe stato in pericolo, ma la vita di tutta la loro famiglia.
Anastasia si sentì pervasa dall'orrore. Era come se la sua vista fosse stata coperta da un velo per tutto quel tempo, e in quel momento qualcuno gliel'avesse strappato con crudeltà, lasciando il cuore lacerarsi di fronte a quella terribile realtà.
«Non sappiamo quello che vogliono da noi. Quindi, semplicemente, sta' attenta!» Celeste addolcì i toni, vedendo l'espressione di Anastasia.
La conversazione fu interrotta dal suono di un clacson in lontananza. Un'auto nera si fermò a pochi passi da loro e dal finestrino spuntò il viso di un Hans Richte sorridente. Il suo compagno, invece, pareva avere dei battibecchi animati con lo sterzo.
Le sorelle Marchi si guardarono scettiche, mentre Hans le invitava a salire nell'auto. «Buongiorno, signorine» le salutò, mentre le ragazze si sistemarono nei sedili posteriori.
«Buongiorno» rispose Celeste, mentre Anastasia decise di rimanere in silenzio, ancora fresca di raccomandazioni, rispondendo al saluto solo con un cenno del capo.
«Come state?» continuò Hans, cercando di mandare avanti una conversazione cordiale. Tuttavia, l'attimo dopo, Anastasia poté giurare di sentir sussurrare qualcosa in tedesco al tenente Fischer, il quale pareva in difficoltà nel far ripartire il veicolo, che si era spento quando si era fermato davanti a loro.
«Dannazione! Un aereo è più facile da pilotare rispetto a questo rottame» Smanettava per capire come riavviare il motore. Nonostante le parole furono pronunciate sotto voce e in un tedesco stretto, Anastasia riuscì comunque a capire cosa Fischer avesse detto.
«Hai controllato il motore, vero Johann?» Hans continuò a interrogare l'amico in tedesco, forse per non spaventare le ragazze.
«Certo! Ma per chi mi hai preso?» rispose l'altro, con un tono di voce alterato. Sembravano una coppia di novelli sposi al loro primo litigio.
«Serve aiuto? Se volete posso guidare io, Tenente» propose Celeste quando vide la situazione degenerare, calcando con un po' troppa soddisfazione la parola "tenente".
Anastasia poteva scommettere un occhio della testa che la sorella l'aveva fatto per provocarlo.
«No, figuratevi. State comoda!» le rispose Fischer, con la sua solita gentilezza da damerino. Tuttavia, aveva un sorriso forzato sul viso, di finta cortesia.
All'improvviso, la macchina partì con un sobbalzo, e Celeste si aggrappò ad Anastasia per mantenere l'equilibrio. «Reggetevi, signorine!» sentenziò Fischer, guardando il riflesso di Anastasia dallo specchietto retrovisore. Non le aveva ancora rivolto la parola, né lo sguardo, se non fino a quel momento. Furono solo pochi secondi, ma i suoi occhi furono così intensi, che investirono come una tempesta Anastasia, la quale distolse sguardo dallo specchietto per l'imbarazzo.
Si concentrò sulle parole di Celeste; era possibile che le avesse regalato quell'abito e le stesse dando delle attenzioni per conquistare la sua fiducia ed estorcerle delle informazioni? Si avvicinò di più a sua sorella, poiché il contatto fisico con lei la rassicurava, mentre Celeste le circondò la vita con un braccio, sorridendole incoraggiante. Quest'ultima sembrava infastidita dalla guida spericolata di Fischer mentre Hans era del tutto a suo agio. Estrasse dal cruscotto una vecchia mappa, iniziando a consultarla con interesse.
«Potreste renderci partecipi della destinazione?» domandò Celeste, preoccupata. Non voleva perdersi in strade sconosciute in presenza di due tedeschi, ma forse era un po' tardi per preoccuparsi di quello.
«No, è una sorpresa» rispose Fischer, staccando per qualche secondo gli occhi dalla strada e sporgendosi verso la cartina tra le mani di Hans.
«Magari potremmo dare una mano con le indicazioni, in questo siamo sicuramente più esperte» azzardò ancora Celeste.
«Beh, non ha tutti i torti» convenne Hans, intimando al compagno di tenere gli occhi fissi sulla strada.
«Va bene, così se ci perdiamo sappiamo già a chi dare la colpa» commentò Johann, e Anastasia scoppiò a ridere in modo del tutto involontario. Johann la guardò ancora nello specchietto retrovisore: l'espressione era un misto tra l'estasiato e lo stupito, non aspettandosi di farla sorridere.
«Andiamo a Villa Ada. Un posto perfetto per un picnic, non credete?» rispose Hans, cercando di sviare l'attenzione dalle provocazioni del suo compagno.
«Certo, solo che dista un'ora da qui» rispose Celeste, non troppo convinta.
«È un problema?» Hans cercò di girarsi quanto più possibile nella direzione di Celeste. I due si guardarono per qualche istante e Anastasia percepì il corpo di sua sorella fremere. Notò il modo in cui Celeste accolse i suoi occhi, intrappolandoli, come una mosca in una ragnatela. La ragazzina distolse lo sguardo imbarazzata, sentendosi di troppo.
«No, non è un problema» rispose Celeste, continuando a mantenere il contatto visivo con Richte con un sorriso di sfida sulle labbra.
Il resto del tragitto proseguì tra diversi battibecchi e disaccordi tra le strade da imboccare, ma alla fine riuscirono ad arrivare a Villa Ada incolumi.
Il primo a scendere dalla macchina fu Johann, contentissimo di mettere i piedi di nuovo sull'asfalto, che disse all'amico: «Al ritorno guidi tu»; iniziarono a spintonarsi a vicenda, come bambini dispettosi.
Aprirono il bagagliaio, da cui presero diversi cesti contenenti cibo e bibite. Inoltre, Johann si mise sottobraccio un pallone di cuoio, e si diressero tutti insieme verso la villa.
Anastasia si beò del fresco venticello che le accarezzava il viso e del panorama mozzafiato, grata a Dio di poter godere di quella bella giornata soleggiata e di quella meraviglia.
Celeste le strofinò la mano sulla schiena, sorridendole, contenta del fatto che sua sorella potesse, dopo molto tempo, respirare un'aria diversa da quella angosciante di casa e quella intrisa di ideologia della scuola.
Le sorelle, sottobraccio, seguirono i ragazzi i quali avevano trovato un posto adatto dove stendere i teli.
«Tranquilli, sistemiamo noi. Voi intanto andate a giocare, o a fare qualsiasi cosa facciano i ragazzi della vostra età, purché lontano dai piedi» li cacciò via Celeste: i due non se lo fecero ripetere due volte, mettendosi a giocare a calcio qualche metro più in là.
Celeste e Anastasia si stupirono di quante pietanze avessero portato i ragazzi, concordando che forse non avrebbero mai mangiato così tanto neanche alla festa di Natale.
Entrambe risero quando sentirono lo stomaco brontolare.
Anastasia rimase a bocca aperta quando scoprì che c'era anche una torta alla fregole, nonostante fossero fuori stagione. Celeste la guardò con un cipiglio furbo, e rubò una fragola dalla torta per sentirne il sapore, ed entrambe scoppiarono a ridere. Anche Anastasia prese una fragola: aveva il sapore più dolce del mondo.
Le sorelle Marchi guardarono per l'ennesima volta tutte le pietanze che c'erano nel cestino.
Celeste iniziò prima a dividere in quattro porzioni uguali gli spaghetti al pomodoro, mettendole nei piatti fondi di ceramica: in quel momento tornò una bambina, perché quella pietanza era il pasto domenicale della famiglia, quando era ancora intera, e la mamma faceva sempre preparare a lei i piatti.
Poi divise l'arrosto di vitello, il quale emanava un odore così buono che quasi le salirono le lacrime, per via della gioia che provava. Quella carne aveva un prezzo così esorbitante che non potevano permettersi di comprarla più di una volta ogni due mesi. Quando tagliò la carne era così delicata: la cottura al sangue. Chissà da chi sono andati per farsi preparare tutto questo ben di Dio! pensò con un sorriso da birbante, mentre poneva i ritagli di carne in altri quattro piatti piani.
Il pane, quella volta bianco, era croccante al contatto con il coltello, e non duro come la roccia, come quello alla crusca che dovevano comprare i civili italiani.
All'interno del cestino c'erano anche dei vasetti di marmellata di vari gusti. Anastasia scelse di far aprire a Celeste quella alla pesca, che era la confettura preferita delle sorelle Marchi. La giovane la spalmò con il burro su altre quattro fette di pane.
Infine, Celeste tagliò, quattro pezzi di torta: per lei un pezzetto minuscolo, perché già sapeva che non sarebbe riuscita a mangiare così tanto, non essendoci più abituata.
Quando tutto fu pronto, si prodigò a cacciar fuori anche le posate, i bicchieri di vetro e i fazzoletti.
Le sembrava fosse tutto a posto. Perciò si alzò per andare a cercare i ragazzi, che nel frattempo stavano ancora giocando.
Quando li trovò, vide nei loro sguardi qualcosa che non si sarebbe aspettata. Sembravano dei bambini che giocavano a palla nel cortile. Era una visione in grado di provocare quasi un sorriso, sul volto di Celeste, che li fissava con le braccia incrociate come una mamma che chiamava i figli a rapporto senza essere ascoltata.
Però, se non li avesse fermati, tutto quel ben di Dio si sarebbe freddato. «Ragazzi!» chiamò, e vedendoli rispondere al suo richiamo con un innalzamento della testa, continuò. «È tutto pronto!»
La palla rimase ferma tra i due. Hans, approfittando della distrazione dell'amico, calciò il pallone, il quale volò lontano, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Johann. «Non è finita qui, te lo posso assicurare» urlò Johann, andando a recuperare la palla.
Hans rise, iniziando a correre verso le ragazze e, una volta stesosi sul telo, prese una fetta di pane tra i denti. «Mi dispiace, amico» gli urlò di rimando, ridendo con la bocca piena.
Johann, il quale riuscì a raggiungere la palla, guardò l'amico in lontananza con un ghigno. Calciò la palla in direzione del trio, rischiando di far saltare tutto il cibo in aria. Per fortuna, Hans riuscì a parare il pallone prima del disastro.
«Arschloch!» gli urlò contro Hans, mentre Johann li raggiungeva, scivolando sul telo. Prese il mento di Hans tra le mani e iniziò a mimare dei baci, causando le risa delle ragazze. Hans lo spinse via, imbronciato.
«Calmati, lo sapevo che l'avresti presa, altrimenti non l'avrei mai lanciata» tentò di giustificarsi Johann. «Non vi siete spaventate! Giusto, ragazze?» disse, rivolgendosi alle due dame.
«Figuriamoci se un pallone spaventa le Marchi» esordì Celeste, sfrontata come sempre.
«È vero!» asserì Anastasia, aprendo bocca per la prima volta, anche se in realtà tremava, all'idea che il pallone sarebbe potuto finirle in faccia.
Johann guardò nella sua direzione; piccola e innocente com'era, era l'unica in grado di addolcirlo. Le sorrise in maniera genuina. «Ecco, mangia!» le disse, porgendole una fetta di pane.
La vide arrossire mentre accettava quella porzione di cibo, dicendo: «Vi ringrazio, ten- Johann» si corresse, quasi sillabando e fissando gli occhi sulla tovaglia. Anastasia morse la fetta e la sensazione guduriosa di un pane finalmente decente la fece sorridere.
Mentre Hans si sistemava meglio sul telo, si voltò in direzione delle ragazze; parevano entrambe rilassate, ed era quello che sperava. Detestava il fatto che li vedessero come mostri. Quella era la loro occasione per dimostrare loro chi fossero davvero. «Allora, ragazze, vi piace l'aria aperta?» Si pentì subito della domanda appena posta, credendo che fosse troppo ridicola. Sorrise per coprire l'imbarazzo.
Con un sorriso sulle labbra, Celeste notò come, nonostante la domanda di Hans fosse rivolta a entrambe, la sua attenzione era focalizzata su di lei. Ammiccò con lo sguardo. «Sapete, Hans», iniziò lei, prendendo a esempio la sorellina che aveva chiamato Fischer per nome, «è da un po' che non proviamo questa libertà!» Sperava velatamente di provocarlo. «È un piacere, dunque, condividerla con voi!» Si sistemò anche lei sul telo, con le gambe poste a lato, in modo da poter nasconderle con la gonna del vestito. «Nonostante questa mancanza, però, siamo andate avanti. E questo è l'importante. Non credete?»
«Certo, immagino solo come possa essere stata dura per voi...» rispose Hans, con apprensione. Lui conosceva la loro storia, avendo letto i fascicoli di numerosi cittadini, e quando si ritrovò quello delle Marchi tra le mani, fu scosso dai brividi. Avrebbe voluto conoscere la storia da lei, ma capì che quella non era la sede adatta.
Johann gli lanciò un'occhiataccia di ammonimento, lasciando intendere la sua volontà di non voler affrontare l'argomento. Hans sapeva che il suo compagno aveva le idee chiare sull'accaduto.
«La guerra è guerra; a volte è necessaria» rispose Johann alla provocazione della più grande delle sorelle Marchi. Il tenente Fischer non era così sprovveduto da non vedere i danni e il dolore che la guerra aveva portato nella vita di tutti, ma lui aveva fede nella sua Nazione e nel loro Führer. La guerra andava fatta, se si voleva ottenere un mondo migliore in cui vivere.
Hans, che non voleva annoiare le ragazze con quegli inutili discorsi sulla guerra, cercò di cambiare argomento. «L'italia è molto bella, comunque. Tra tutti i paesi che ho visitato, questo è quello che mi fa sentire di meno la mancanza della mia Patria» disse, sperando che quelle parole risultassero sincere, mettendosi sdraiato sui gomiti e con un ginocchio piegato verso l'alto di novanta gradi.
«Beh» iniziò Celeste. Gli occhi puntarono quelli verdi del tedesco che sembravano sorriderle. «L'Italia è sempre bella» disse, inarcando un sopracciglio. Guardò la sorellina, che aveva ancora lo sguardo inchiodato a terra. Aveva, però, un sorriso sulle labbra impossibile da dimenticare. «La guerra ha tolto molto a tutti. Ma in Italia sappiamo sempre come farci valere. L'Italia è meravigliosa anche per via di coloro che la abitano» disse, osservando i vasetti di marmellata, con una voce che tradiva un tono di sfida. «Ci siamo dati alla creatività più sfrenata, qui. Vero, Anastasia?»
Anastasia, sentendosi interpellata, si rivolse alla sorella con aria distratta. «Come dici?»
Celeste alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. «Possibile che tu sia sempre con la testa tra le nuvole, quando non devi esserlo?» Toccò volutamente una gamba della sorellina, che sobbalzò. «Racconta come facciamo il caffè a casa!»
«Ah, sì! Celeste è in grado di fare un ottimo caffè con la buccia bruciata delle arance o dei limoni» squittì Anastasia, ridestatasi quasi del tutto dai suoi pensieri.
«E non sapete quanti fiori ho usato per rendere gustose le frittelle» continuò Celeste, con un sorriso da vincente e uno sguardo sognante. Ah! Sentiva ancora il sapore delle frittelle che aveva preparato qualche giorno prima. «L'Italia è bella anche per la sua fantasia». Celeste, a cui non era sfuggita la provocazione di Fischer in merito alla guerra, rivolta al ragazzo, aggiunse: «La guerra sarebbe necessaria, secondo voi?»
«In effetti, è un metodo creativo per fare il caffè» rifletté Hans, il quale cercò di coprire la voce di Celeste per evitare di ritornare di nuovo sul discorso della guerra. «Un giorno mi insegnerete» aggiunse, cercando di abbonire la giovane. Tuttavia, il suo piano fallì, proprio a causa dell'amico.
«Perché è necessaria la guerra, mi domandate? Per ristabilire l'ordine delle cose, naturalmente». Johann cercò di rispondere in maniera cordiale alla domanda posta da Celeste. Tuttavia, gli risultava difficile non notare un velo di sarcasmo nella voce della giovane.
Celeste fissò Johann con la rabbia che incalzava come cavalli da corsa sulla pista. «Ristabilire l'ordine delle cose, dite?» chiese, inarcando un sopracciglio. «Cosa ci sarebbe da riordinare?» Il tono di voce iniziò a diventare serio. «L'Italia ha firmato l'armistizio perché era stremata, non per altro...» puntualizzò lei.
«Ma certo...» rispose Hans con una mano che andò pian piano avvicinandosi alla mano di Celeste che giaceva sul telo, cercando di non far andare la conversazione alla deriva, ma fu interrotto di nuovo da Johann.
«Stremata? Tradire i vostri alleati perché siete stremati non è giustificazione plausibile». Il tono di voce di Johann si alzò più di quanto avrebbe voluto. «Voi italiani, oltre a essere molto creativi nel fare il caffè, siete anche creativi nell'arte del tradimento». Le parole uscirono fuori dalle labbra di Johann prima che potesse fermarle.
«Credetemi» rispose piccata Celeste. «Se aveste visto in che condizioni venivano mandati in guerra i nostri uomini, avreste capito». Aggiunse, con acutezza: «Poi cosa c'entrano i civili? Sono i nostri governanti ad aver firmato l'armistizio».
«So benissimo come vengono mandati gli uomini in guerra, per Dio. Forse avete dimenticato che sono un soldato» rispose Johann con tono freddo, quasi per incuterle timore. «Già che ci siamo, vorreste darci la vostra opinione anche sulla questione ebraica? Vorremmo tanto sapere che cosa ne pensate» domandò, poi, Fischer, con tono di sfida.
Il tono di Johann stava diventando insopportabile per Celeste. Quella sfida a viso aperto non le piaceva. «Non esprimo questioni a riguardo. La cultura degli altri non è affar mio, Tenente, come non è neanche...»
Johann la interruppe, dicendo: «Ecco, appunto. Lasciate queste situazioni nelle mani di coloro che sono più capaci di voi, signorina Marchi» rispose Fischer con soddisfazione, vedendo la ritirata di quest'ultima.
La giovane sgranò gli occhi, avendo capito a cosa si stesse riferendo. La voce iniziò a tremarle. «Volete insinuare che sia meno capace di voi perché sono una donna, Tenente?» Socchiuse gli occhi, per mostrare la sfida che ora voleva lanciare lei. «Quanti anni avete, Tenente?» chiese, sperando di accendere la miccia per far esplodere la bomba che teneva dentro da troppo.
Johann, che quella mattina si era ripromesso che avrebbe cercato di non rimanere vittima della propria irascibilità e che fino a quel momento aveva cercato di mantenere la calma, gettò la spugna. «Ecco, vedete?» Alzò una mano al cielo come se fosse annoiato dalle mosche. «È risaputo che le donne siano più impulsive e poco ragionevoli degli uomini; basti notare la vostra reazione, signorina Marchi» le disse, alzando un sopracciglio, felice che la Marchi gli stesse dando ragione attraverso il suo comportamento indisponente.
«Saremmo più impulsive e sentimentali, e anche poco ragionevoli degli uomini, come afferma la scienza a cui vi appigliate per le vostre considerazioni, ma io, Tenente, porto avanti una famiglia di quattro persone da quando avevo quindici anni, e sono una donna. Non ho potuto più istruirmi perché dovevo lavorare per aiutare mia madre e le mie sorelle e per non rischiare di perdere casa nostra». La voce le tremava, le lacrime volevano uscire fuori, ma riuscì a trattenerle. D'istinto, Celeste si girò verso Anastasia che fissava il vuoto, con una tristezza che non aveva mai visto, bianca come la luna. Le accarezzò il viso, cercando la reazione di Fischer. «Voi cosa rispondete a riguardo?»
L'espressione di Johann si fece seria, fredda e impassibile. Un tipo di espressione che Hans conosceva molto bene. Aveva assistito al battibecco troppo a lungo e sapeva che la situazione sarebbe degenerata di lì a breve e non poteva permetterlo. «Va bene, adesso basta. Celeste, che dite di andare a fare quattro passi? Gradirei molto passare del tempo con voi, godendo dell'aria fresca» le disse Hans, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Celeste fissò la mano a mezz'aria del tedesco ed era tentata di afferrarla. Tuttavia, l'idea di lasciare sua sorella da sola con quel mostro senza cuore di Fischer la fece desistere. «Ora mi calmo. Non è necessario allontanarci».
Hans si accovacciò per avvicinarsi quanto bastava per sussurrale all'orecchio: «Sta' tranquilla, lui non le farà del male». Le sue labbra erano a un centimetro dal collo di lei, il respiro caldo la fece tremare, e volutamente, Hans le sfiorò la mano con la sua, quando si drizzò in piedi. «Dai, su!» La incoraggiò, invitandola ad alzarsi.
Gli sussurrò lei di rimando, una volta che si fu alzata, così vicina al suo orecchio: «Giuratelo sul vostro onore di uomo!» Gli occhi freddi rivolti di nuovo alla sorellina.
Hans le sorrise, cercando di apparire il più rassicurante possibile. Poi si rivolse ad Anastasia e Johann. «Fate i bravi, mi raccomando. Anastasia, se inizia a darti fastidio, sei autorizzata a dargli un pugno in testa» disse Hans alla piccola Marchi, facendole l'occhiolino accompagnato da un sorriso di complicità.
«Idiot!» sussurrò a denti stretti Johann, lanciandogli una mela addosso.
o 0 O 0 o
Eccoci con un nuovo aggiornamento. Abbiamo visto una scena, di apparente normalità, accompagnata da un discorso che tutto è fuorché normale. Che Johann l'abbia fatto volutamente, per rimanere da solo con Anastasia?
B
eh, ora che la coppia Hans-Celeste si è allontanata, che succederà? È giusto che Celeste abbia così tanta paura per la sorellina?
Vedremo! 🤭
Vi aspettiamo al prossimo capitolo, unsere Leser. Bis bald! A venerdì!
Lilingel
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