VI
Settembre 1943
Anastasia continuava a fissare la pagina bianca davanti a sé; tuttavia, non le veniva in mente nulla da scrivere. Nel frattempo, ascoltava le lamentele della sua gemella. A breve sarebbe iniziata la scuola, per lei e Cecilia. Il professore, per l'estate, aveva assegnato loro un saggio sull'antico Impero romano, e questo implicava che avrebbe dovuto documentarsi sui fatti storici durante le vacanze, cosa che però non aveva fatto.
In quei mesi aveva avuto altro a cui pensare: la sua famiglia. Per di più, l'occupazione aveva sollevato una grande preoccupazione in tutta la popolazione, soprattutto in lei. Insomma, quell'estate era stata abbastanza turbolenta e l'Impero romano era stato l'ultimo dei suoi problemi.
«Santo cielo, che fame!» esclamò Cecilia, mentre dondolava le gambe sul letto. Anastasia cercò di concentrarsi, ignorando la sorella. Le venne in mente che, forse, avrebbe potuto fare un salto in biblioteca.
I suoi pensieri vennero interrotti nuovamente dalla gemella. «Oh, Dio! Morirò di fame!» si lamentò Cecilia, che sembrava star interpretando una parte tragica a teatro - tra l'altro stendendosi sul letto per fingere uno svenimento, per poi rialzarsi per sentire cosa avesse da dire la sorella.
«Se hai così tanta fame, perché non scendi in cucina a mangiare ciò che ha preparato Celeste, invece di lamentarti?» rispose Anastasia, rimproverando la gemella.
«Ma ha preparato l'ennesima volta il brodo, e io detesto il brodo!» disse Cecilia, mentre ricadeva a peso morto sul letto. A volte Anastasia la detestava: non odiava tanto la sua persona, quanto il suo atteggiamento.
Il senso di colpa prendeva sempre il sopravvento quando pensava male di lei. Non importava quanto Cecilia potesse comportarsi male: Anastasia avrebbe continuato a volerle bene e ad adorarla, perché non avrebbe potuto fare altrimenti. Era la sua metà, la sua gemella.
«Spera che Celeste non senta mai uscire queste cose dalla tua bocca» disse Anastasia, guardandola male.
«Senti, sei d'accordo anche tu che non possiamo più andare avanti con quelle brodaglie, vero?» domandò Cecilia, fissando la sua gemella con sguardo serio.
«Celeste fa quel che può» disse Anastasia, ricambiando il suo sguardo, altrettanto serio. Ed era vero: Celeste dava il massimo per portare avanti la baracca. Aveva smesso persino di andare a scuola per badare al pub. Aveva sacrificato il suo futuro per darne uno più prospero alle sue sorelline.
«Il punto è che non dovrebbe essere solo compito di Celeste». Cecilia alzò un sopracciglio dorato mentre scandiva bene le parole.
Anastasia aveva intuito che la sorella alludesse alla madre, e al fatto che stesse così male, sia nel corpo che nell'anima, da non poter essere utile. Era questo che le dava fastidio: questo senso utilitaristico di Cecilia. Per essere amata da lei, dovevi esserle utile.
«Neanche tu fai la tua parte, però» la rimproverò Anastasia. Amava la persona con cui aveva condiviso ogni istante della sua vita, così come amava la donna che le aveva dato la vita. E il minimo che potesse fare per sua madre era proteggerla e accudirla, così come lei aveva fatto con le sue figlie i primi anni di vita.
Anastasia aveva deciso che ne aveva abbastanza di quella situazione. Per questo prese la sua borsa per infilarci tutto quello che le serviva.
«Dove vai?» le domandò Cecilia incuriosita.
«Vado in biblioteca per cercare qualcosa di utile per il saggio» rispose Anastasia senza darle troppe attenzioni.
«Quale saggio?» le chiese; poi riflettendo disse: «Ah... Quel saggio!» Cecilia puntò lo sguardo sulla sorella, così come un predatore guarda la sua preda.
«Non ci pensare nemmeno, Cecilia! Ognuna per sé, stavolta». Era l'ennesima volta che Anastasia rimproverava la sorella ed era esausta. Si avviò verso la porta.
«Ma se non ho neanche aperto bocca!» esclamò Cecilia imbronciata, incrociando le braccia al petto.
«Non serve neanche che tu apra bocca» concluse Anastasia, prima di uscire dalla stanza.
-
Anastasia passò due ore in biblioteca tra libri polverosi che ormai nessuno più apriva da tempo. Dopo che ebbe finito di scrivere il suo saggio e aver riposto i libri che aveva utilizzato nei loro scaffali, salutò la bibliotecaria e uscì, prendendo però in prestito due libri di poesie di D'Annunzio, che nonostante fosse stato un seguace di Mussolini, scriveva testi di bellezza magistrale.
Non aveva nessuna voglia di ritornare a casa, per cui iniziò a girovagare per le vie della città. Le era sempre piaciuto passeggiare, perché l'aiutava a schiarire le idee. Tuttavia, non credeva che fosse una buona idea, dal momento che la città era piena di soldati tedeschi che pattugliavano la zona. Non aveva alcuna voglia di imbattersi in uno di loro, ma risultava inevitabile, poiché sembravano saltar fuori da ogni vicolo. Apparivano cortesi: ogni volta che lei passava e ne incontrava qualcuno, costui la salutava con un cenno del capo. Lei ricambiava il saluto, più per paura che per cortesia.
Dal momento che non si sentiva più al sicuro a camminare da sola in strada, decise di avviarsi verso il pub di famiglia per aiutare Celeste. Si sarebbe sentita più sicura a percorrere la strada del ritorno con la sorella. Da quando era morto loro padre, la sorella maggiore era diventata il capo famiglia, la guida a cui rivolgersi nel momento in cui tutto sembrava perduto. Aveva sempre una soluzione a portata di mano, quando le cose si mettevano male. A volte avrebbe voluto essere coraggiosa e sfrontata quanto lei.
In realtà Anastasia avrebbe voluto anche essere bella e in gamba come la sua gemella, ma in realtà sapeva di non essere nessuna di quelle cose. Non era né carne, né pesce: era semplicemente timida, mai fuori degli schemi, sempre sull'attenti ad eseguire gli ordini. Cecilia la prendeva sempre in giro, dicendole che sarebbe stata un "perfetto soldato" se si fosse arruolata.
Era quasi arrivata di fronte al pub, quando si sentì la spalla sinistra leggera e poi un tonfo ai suoi piedi. Si girò per vedere che si trattava della sua borsa che si era rotta, facendo cadere tutto il contenuto sui sampietrini. Anastasia rimase imbambolata a fissare le sue cose per terra, finché non si inginocchiò e prese tra le mani il tessuto ormai usurato della sua borsa. Era delusa e mortificata, perché sapeva che non poteva permettersene un'altra.
Come se non bastasse, sentì delle risate maschili. Alzò la testa e vide che erano proprio dei soldati tedeschi che la stavano guardando, e nel frattempo bisbigliavano tra di loro. La mortificazione si trasformò in umiliazione e cercò, per questo, di recuperare in fretta e furia tutte le sue cose. Nel fare ciò perse l'equilibrio e sarebbe andata a finire faccia a terra, se non avesse attutito la caduta con le braccia. I soldati risero ancora più forte.
«Seid still!» Fate silenzio! tuonò una voce. Al suono di quel comando, i soldati passarono dal ridere a un silenzio tombale.
Un giovane soldato uscì da una tabaccheria poco distante, aggiustandosi il berretto sulla testa. Quando passò davanti ai soldati, questi gli rivolsero il saluto militare. Anastasia capì che quello doveva essere un loro superiore. Anzi, dalla sua divisa poté intuire che fosse un Tenente.
Negli ultimi anni aveva frequentato dei corsi di tedesco, ma aveva sempre pensato che non le sarebbero serviti a nulla. Aveva partecipato solo perché erano gratuiti dal momento che erano sovvenzionati dallo Stato. Tuttavia, in quel momento raccolse i frutti dei suoi studi: poteva capire la lingua, ma non la parlava bene. Da una parte fu grata di quell'interruzione, perché le avrebbe dato la possibilità di prendere le sue cose e andarsene con la coda fra le gambe senza più attirare l'attenzione.
«Cos'è che vi fa tanto ridere? Razza di imbecilli!» disse il tenente in un tedesco molto stretto. Non sapeva se essere più soddisfatta perché aveva capito tutto, oppure perché li aveva chiamati "imbecilli".
Tuttavia, la soddisfazione durò poco, perché uno dei soldati la indicò. Il tenente allora si girò e la guardò, per poi venire con passo spedito verso di lei.
Anastasia si domandò quali peccati avesse commesso nella sua breve vita, per far sì che le succedesse tutto questo. Cercò di mantenere il controllo di sé stessa e di non farsi prendere dal panico. Si disse che era una sciocca: non potevano arrestarla perché era povera e piena di stracci. E anche perché non aveva fatto letteralmente nulla.
Il suo coraggio durò poco, perché il tedesco l'aveva raggiunta in così poco tempo senza che neanche se ne potesse rendere conto.
Quando se lo ritrovò davanti, si sentì le gambe molli come gelatina. Era molto alto, infatti abbassò la testa per rivolgerle uno sguardo inquisitorio. Anastasia si stupì, quando, invece di un rimprovero, lui le domandò semplicemente se stesse bene.
Lei lo guardò a bocca aperta, senza dire una parola, da quanto era scioccata.
«Verdammnis!» Dannazione! esclamò lui, togliendosi il berretto e passandosi una mano tra i capelli. «Ich kann nicht gut Italienisch sprechen». Non so parlare bene l'italiano, continuò lui, sentendosi chiaramente in difficoltà.
Anastasia si ridestò, e si rese conto che fosse il caso di dire qualcosa. «Ja... cioè... sì. Sto bene. Danke!» abbozzò lei.
Il tedesco rilassò lo sguardo, poi le sorrise. Rimasero in silenzio per qualche secondo; poi lui si abbassò e prese i libri che giacevano a terra - Fa' che non si siano rovinati, pregò Anastasia - per porgerglieli.
«Dankeschön!» rispose lei, imbarazzata. Non sapeva se fosse più imbarazzata per la situazione o perché sembrava stesse ripetendo all'infinito "grazie mille", come se fosse l'unica cosa che sapesse dire in tedesco.
Gli occhi di lui erano così azzurri che la ragazza non riusciva a guardarli. Era una sensazione strana, per lei: lui la metteva in soggezione.
«Bitte» rispose cordialmente lui. «Sono il tenente Johann Fischer» si presentò, con un cenno del capo, dando ad Anastasia conferma riguardo il grado militare. «Perdonate i miei uomini, se vi hanno dato fastidio» le disse, vedendola chiaramente a disagio.
Anastasia, dal canto suo, non riusciva a capire perché lui si premurasse così tanto di apparire cortese. Erano una potenza occupante, nel suo paese: i tedeschi potevano fare della sua gente ciò che volevano, senza che gli italiani potessero farci niente.
«Non preoccupatevi!» si ritrovò a rispondere. Si strinse i libri al petto, cercando di trarre un po' di conforto da essi.
«Posso chiedere con chi ho il piacere di parlare?» le chiese lui dolcemente. A differenza sua, lui non aveva mai distolto lo sguardo da lei.
«A-anastasia. Il mio nome è Anastasia... M-marchi». Cercò di non sembrare intimorita mentre parlava, ma l'unico risultato fu che iniziò a balbettare.
«Marchi... Dov'è che ho già sentito questo nome?» Lui ripeté il suo cognome, con una certa soddisfazione: quasi come se stesse assaporando un calice di vino pregiato. La guardò: sulle labbra ancora quel sorriso appena accennato.
«Anastasia!» La voce di sua sorella Celeste la fece ritornare con i piedi per terra, rompendo la situazione bizzarra e anomala che si era creata. Quando Anastasia si girò, vide sua sorella maggiore: il suo viso serio e la postura rigida. Ebbe l'amara sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato. Era questo l'effetto che faceva Celeste: aveva tanto la capacità di lodarti e farti sentire al settimo cielo, quanto la capacità di darti l'impressione di averla delusa.
Nonostante ciò, sentì l'atmosfera cambiare non solo per il comportamento di sua sorella, ma anche perché l'espressione sul viso del tenente Fischer cambiò, spaventandola, passando dall'espressione dolce che la guardava poco prima a un volto del tutto impassibile. Adesso aveva davanti a sé un uomo che non la guardava nemmeno; bensì guardava sua sorella con un'espressione così seria da paralizzarla sul posto.
Celeste ricambiò lo sguardo, come ci si poteva aspettare, con aria di sfida.
Anastasia temeva una reazione da parte del soldato, ma l'unica cosa che lui fece, fu un cenno del capo verso sua sorella, che non ricambiò il saluto.
«Vieni, Anastasia!» ordinò sua sorella, in un tono che non ammetteva repliche. Anastasia salutò il tenente con un timido gesto della mano e poi si avviò a seguire la sorella, senza farselo ripetere due volte.
Quando si furono allontanate abbastanza, Anastasia non riuscì a resistere, e si girò. Il tedesco le stava osservando da lontano.
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Buon venerdì. Ecco un nuovo aggiornamento. Fateci sapere come vi è sembrato tramite un breve feedback. Buon continuo di lettura ❤️,
Lilingel
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