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Maggio 1945
I bambini e i ragazzi, scesi dal carro dopo una giornata di viaggio, si erano posizionati in fila davanti alla giovane donna che avevano visto quella mattina in questura, la quale era rimasta da sola, perché l'uomo che li aveva accompagnati era andato a lavoro, dopo una breve chiacchierata con lei.
I più piccoli, lì per lì, nel vedere la tenuta, si erano spaventati. Per quanto facesse caldo, i forni della panetteria erano in funzione, quindi si poteva vedere il fumo uscire. Però, notarono i ragazzi più grandi, non era lo stesso che avevano conosciuto nei campi: era grigio, non nero, e poi non puzzava, almeno fino a che non si depositava sugli abiti.
Una delle bambine aveva con sé un mestolo. Quando la donna giunse al cospetto del folto gruppetto, guardò con interesse quella bambina. Le disse: «Tesoro. È da stamattina che hai questo mestolo in mano». Tentò di avvicinarsi con cautela, temendo di spaventarla. «Vorresti darlo a me? Così che tu possa prepararti con gli altri per il pranzo».
La bambina, senza muovere un attimo la bocca, scosse il capo seria, in un diniego deciso.
La giovane donna non aveva idea del perché volesse tenerlo, ma se alla piccina faceva piacere averlo con sé, non voleva certo toglierle lo sfizio.
Invitò i ragazzi più grandi a prendere i piccoli in braccio, per poi guidarli, tutti insieme, verso le loro camerate.
Diversi bambini piccoli, dopo essersi liberati dalle braccia dei ragazzi più grandi, quando toccarono il materasso, sorrisero. Il loro primo pensiero: saltare sopra quei letti, come non avevano potuto fare per molto tempo.
I ragazzi più grandi, che si erano caricati i bambini e le valigie, lasciarono i loro sacchi sul pavimento e i bambini ai rispettivi letti. Dopodiché, vennero invitati dalla donna a farsi una doccia.
Quasi tutti si lavarono senza molti problemi, tranne una ragazza, che si era ribellata: non voleva entrare in quella stanza. Aveva deciso che piuttosto avrebbe preferito puzzare come una capra.
«Come mai?» chiese la giovane.
«Non sai cosa succedeva lì?» chiese una ragazza che sopraggiunse. «Io sono Esther, lei è Lena», presentò sé stessa e l'altra, prima di spiegare. «Lì c'erano due stanze. Una con docce vere, una con docce false. Non so quale delle due fosse peggio» mormorò sul finale Esther, non facendo capire cosa intendesse.
«Perché dici così?» chiese la donna che si sarebbe occupata di loro, accarezzandole una spalla.
La ragazzina sorrise al gesto carino della donna, ma poi scansò il tocco. «Perché in una c'era la morte, nell'altra il dolore. Da una usciva fuori il gas, dall'altra fuoriusciva acqua bollente che veniva alternata ad acqua gelida». Alla giovane donna vennero i brividi. Aveva sentito che i campi fossero terribili, dagli altri bambini che già erano lì. Ma loro erano talmente piccoli, che certi dettagli non li conoscevano. «La gente cercava sempre di fare in fretta la doccia, quando entrava nella stanza che conteneva quelle vere».
La giovane "mamma della tenuta" si mise una mano sulla bocca. Poteva solo immaginare ciò che quei ragazzi e quelle ragazze, quei bambini e quelle bambine, avessero passato. Ma non aveva idea del dolore che loro si portavano dentro, per tutte le umiliazioni a cui erano stati sottoposti.
Abbracciò entrambe le ragazze, con le lacrime agli occhi, mentre le due si scambiavano uno sguardo interdetto. Toccò i capelli rasati bagnati di Esther. Disse a Lena: «Se vuoi, puoi lavarti nella vasca».
La ragazzina, con un sorriso minuscolo, accennò un "Sì" con la testa.
La giovane si era prodigata a preparare un bel bagno per quella ragazza: sembrava aver bisogno delle coccole dell'acqua sul corpo, invece che del suo scorrere imperterrito.
Quando Lena entrò nella stanza con la vasca, lei chiuse la porta e si allontanò per andare in mensa.
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Intanto, nel luogo in cui mangiavano di solito, all'interno di un grosso capanno, si era creato il caos. I bambini urlavano, piangevano, si rincorrevano, si picchiavano.
Quando la donna arrivò rimase sconvolta. La bambina col mestolo se ne stava piangente sul tavolo, mentre gli altri bambini correvano intorno al suo "piedistallo della vergogna", prendendola in giro.
Ella notò il motivo per cui la piccina piangeva: le era stato rubato il mestolo dai bambini che le ridevano contro mentre piangeva.
«Sei solo una scema rammollita» le diceva uno.
«Guardate che piagnona» rideva un'altra.
L'unica adulta in quella stanza al momento era lei. Il suo collega zoppo si stava occupando del pane da preparare per loro. Quindi era lei a dover riportare l'ordine.
«Silenzio!» L'urlo si estese fino all'esterno dell'edificio in cui si trovavano, tant'è che il suo amico dalla panetteria era giunto. «Che cos'è questo baccano?» Rivolta a uno dei bulli, ordinò: «Dammi subito qua, 'sto mestolo!»
«Ma perché?» disse il bambino a cui aveva tolto il mestolo con il broncio. «Ci stavamo solo divertendo. Tu lo sai cos'è il divertimento?»
«Non di certo vedere una bambina di 5 anni meno di voi piangere» asserì. «Non vi vergognate? Invece di essere tutti amici, vi azzuffate come le peggiori delle bestie».
Il sedicenne, che quella mattina le aveva detto il nome di quel bambino che l'aveva affascinata, Giovanni, si fece avanti. «E tu, che fai tanto la sapientona, cosa sai di come ci tenevano quei mostri?» La rabbia era palpabile, visto che il ragazzo aveva gli occhi quasi serrati e, vista l'apertura delle spalle, sembrava essere cresciuto nel corso della mattinata. «Non sai che loro volevano che fossimo delle bestie?» calcò molto sull'ultima parola.
La donna, preoccupata, cercò di calmare il ragazzo, dicendo: «Voi non siete affatto bestie e mai lo sarete. E sbagli a dire queste cose, perché stai dando ragione ai tedeschi!»
«Beh. Vuoi sapere perché quella bambina piangeva per il suo mestolo?» disse indicando la piccina dagli occhi lacrimanti sul tavolo. «Perché quello era l'unico modo per mangiare, lì. Se avevi il mestolo mangiavi, sennò morivi di fame». Il ragazzo perse l'inclinazione rabbiosa nella voce, che fu sostituita dalla tristezza. «Vuoi sapere perché ha pianto quando gliel'hanno tolto?» Le lacrime avevano iniziato a scorrergli sul viso. «Perché se ora si fosse trovata in quel maledetto posto, non avrebbe potuto più mangiare».
La donna, con un enorme dolore nel cuore, dovette allontanarsi dalla mensa, dopo aver ridato il mestolo alla piccina. Lasciò i ragazzi e i bambini sotto la custodia del suo collega.
Mentre camminava, ripensò a un episodio che era avvenuto nella sua famiglia, qualche anno prima, che aveva qualche affinità: anche se questo ricordo non le aveva causato alcun dolore, rispetto a quella cascata di terra che le era stata catapultata addosso dal sedicenne.
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Cari lettori, ecco a voi un nuovo capitolo!
Anche in questa parte, alcuni dettagli sono ispirati a La guerra è finita, ma abbiamo cercato di renderli comunque nostri con dettagli nuovi.
Dopo una lunga riflessione, abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana, ogni venerdì, così da far combaciare tutti i nostri impegni. Vi auguriamo una buona lettura. A venerdì prossimo ❤️
Lilingel
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