II

Anastasia, quel lunedì mattina del dieci gennaio, si era svegliata alle sei, in seguito a uno strano sogno. La protagonista e causa di spavento era Madame Fleurie che le stringeva la mano, forse stipulando un qualche accordo con lei.

Era da quando sua sorella l'aveva portata in quel posto, la Maison Noire, che faceva sempre lo stesso sogno, ogni volta con un particolare diverso. A volte poteva cambiare la musica, che da un motivo di foxtrot passava al ritmo del Charleston; a volte cambiava il vestito che la ragazza indossava, che non era più quello elegante regalatole da Johann, ma risultava sempre essere un vestito che, con i suoi soldi, non poteva permettersi; a volte cambiava semplicemente l'espressione di Madame Fleurie, che poteva sorridere come se avesse concluso un affare che le avrebbe portato enorme vantaggio, o poteva osservarla da cima a fondo, come se temesse di essere tradita. L'unico aspetto che non cambiava mai era quella stretta di mano, alla quale si svegliava sempre nel panico.

Si chiedeva se fosse un segno: forse avrebbe dovuto accettare quel lavoro per dare una vita più vantaggiosa alla sua famiglia, o forse non avrebbe dovuto neanche metterci più piede, in quel locale, perché c'era qualche pericolo dietro l'angolo.

Non sapeva mai come rispondere a questo assillo che non le permetteva più di dormire. Quello che era certo era il suo dover prendere una decisione.

A tutto questo pensava mentre scendeva le scale, non emettendo alcun rumore. Di sotto c'era ancora Celeste che cercava tutto il necessario per quella giornata: la sua borsa, le chiavi, i suoi documenti - che giacevano sempre sul mobile affianco alla porta, nell'eventualità che qualcuno che li richiedeva bussasse - e il suo secondo cappotto, di colore nero. Anastasia pensava che Celeste con quel capo del vestiario sembrasse una diva del cinema, visto come le metteva in risalto il viso color della luna e gli occhi verdi.

Quando la vide uscire, completò la sua discesa delle scale, e fece colazione. Il pane di crusca che avevano comprato qualche giorno prima era già della consistenza della pietra. Ringraziava l'orticello che avevano messo su nel giardino per le carote con cui avevano fatto una crema la sera precedente, che ammorbidiva quel pane spacca-denti.

Poco dopo la raggiunse la gemella, che alla vista del pane disse: «Beh, almeno oggi non c'è il porridge». Dopo aver tentato di dare un morso, chiese alla sorella di passarle la crema di carote. «Avrei preferito il porridge!» ribatté. «Possibile che si debba mangiare così male, in questa casa?»

Anastasia guardò sua sorella come un cane rabbioso guarda un ladro che tenta di fuggire dalla casa del suo padrone. «Non ti viene da pensare che c'è chi è messo peggio?» Alle volte proprio non riusciva a capirla. Celeste faceva il massimo, e Cecilia non la ringraziava mai. «Mangia e ringrazia Celeste e Dio, perché almeno tu hai la pancia piena e non sei costretta a rubare». Nella sua testa aggiunse "Sciacallo!".

Cecilia guardò interdetta la sorella e, nel frattempo, si era spalmata la crema di carote su quella fetta di roccia. Quando diede un morso, affermò: «In fondo la crema non è così male», muovendo la testa in su e in giù e leccandosi leggermente le labbra sporche di crema. Poi, come se fosse una ricca ereditiera, si pulì gli angoli della bocca con il fazzoletto di stoffa.

Anastasia provò qualcosa dentro di sé che non riuscì a spiegarsi: per quanto l'atteggiamento della sorella potesse essere altezzoso, quasi riusciva a comprenderla, visto che era bella quanto, se non più, di Greta Garbo, la loro attrice preferita. Quelle poche volte in cui potevano permettersi i soldi per andare al cinema, sceglievano sempre i film in cui compariva nel cast il nome di quella "meravigliosa orchidea", come amava descriverla Anastasia.

Una volta finita la loro fetta di pane quotidiana, Anastasia e Cecilia andarono a lavarsi.

Cecilia disse di aver bisogno di una doccia, ma Anastasia le fece notare che, se l'avesse fatta, sarebbero arrivate in ritardo e sarebbero state punite dal signor Conti davanti a tutta la classe. Solamente tre volte erano arrivate in ritardo di pochissimi minuti, e la punizione era sempre stata molto severa: furono messe per l'intera lezione con le ginocchia sui ceci. La prima volta, Cecilia, una volta che poté alzarsi, disse che aveva i chiodi nelle gambe e che non riusciva a muoversi. Dovette essere sorretta da alcune sue compagne per andare al posto. Anastasia, invece, provò una tale vergogna che non ebbe neanche il coraggio di chiedere aiuto a qualcuno: con le gambe che formicolavano e con la sensazione tremenda della forma dei ceci nelle sue carni andò a sedersi a testa bassa accanto alla gemella.

Cecilia, ricordando cosa potesse succedere in caso di ritardo, disse alla gemella: «Se ne parla stasera. Mi passo un po' di saponetta sulle braccia, mi lavo i denti, e sono pronta».

Intanto Anastasia si era già lavata, e, dopo le parole della sorella, era andata in camera loro a indossare la sua divisa.

L'aveva trovata perfettamente stirata sul suo letto, appena sveglia: opera della sera precedente della sua beneamata sorellona.

Non la ringraziavano mai abbastanza. L'unico modo che Anastasia conosceva per dimostrare la sua gratitudine era aiutare la sorella nel pub. Tutti i sacrifici che Celeste aveva fatto per loro andavano in qualche modo ripagati.

Indossò la sua camicetta, che le diede la sensazione di un abbraccio, puro e amorevole: poteva sentire l'odore del sapone e del limone che era stato usato per sbiancarla. Il piquet bianco con cui era fatta presentava un motivo a quadrati in rilievo. La stoffa le dava la sensazione che il vento le stesse passando addosso in quel momento.

La gonna in tessuto nero era abbastanza lunga, in modo tale da riscaldarla un po' lungo le gambe, in quel periodo comunque abbastanza freddo: d'altronde era lì che lo soffriva di più.

Indossò le calze lunghe bianche, come sua abitudine, dopo la gonna. Sentiva come se si trattasse di un qualcosa che faceva solo lei: infatti, controllando Cecilia, notò che lei aveva indossato prima le calze e poi la gonna. In compenso, lei pensava, che con la sua tecnica, non c'era rischio che tirando su la gonna le calze potessero strapparsi, come una volta era successo alla sorella.

Le scarpette nere con laccio abbottonato sul davanti le apparivano molto eleganti, soprattutto quando usava il lucido da scarpe.

I guanti di filo bianco erano una gioia per le sue mani sempre screpolate dal freddo.

Quando indossò, come ultima cosa, il suo berretto in maglia di seta nera, le venne, come al suo solito, di toccare il bottone che ne fermava l'estremità. Era un tic che le era partito quando quel fetente di un bottone aveva rischiato di sfilarsi, e lei aveva rischiato di ricevere, per quello, cinque bacchettate sulle mani.

Una volta che le gemelle furono pronte si recarono a scuola. Anastasia teneva gli occhi bassi sulla strada. Non sapeva perché, ma si sentiva a disagio, a causa dei saluti che venivano rivolti a Cecilia da alcuni uomini affacciati alle finestre, a fumare. Le venne da pensare che fossero clienti abituali della Maison Noire.

Quando chiedevano chi fosse la ragazza che le camminava accanto, Cecilia rispondeva: «Quella timidona di mia sorella», provocando un moto istantaneo in Anastasia che alzava sempre gli occhi verso "l'intervistatore", che poi la guardava ammirato, forse per la somiglianza tra le due.

A causa della risposta continua di Cecilia, fu costretta a camminare ancora di più con gli occhi ancorati al selciato, perché rischiavano in continuazione di uscirne lacrime.

Una volta a scuola, le due ragazze si sedettero al loro banco. E Cecilia, alzandosi, con la sua spocchia, fece vicino a Conti, una volta giunto in aula: «Stavolta chi è in ritardo?» Ammiccò anche leggermente con lo sguardo.

Anastasia costrinse la sorella a chiedere scusa al professore, ma palesemente notò che Cecilia aveva semplicemente sfoggiato le sue doti da attrice, perché comprese che le sue scuse non fossero sincere. Ringraziò, però, Iddio, perché il professore disse semplicemente a Cecilia di sedersi e di non fiatare più. Anastasia, forse, se fosse stata un'insegnante e un'allieva le avesse detto una cosa del genere, avrebbe usato delle maniere più forti. Infatti, non si spiegava come mai, il professore, che aveva sempre punito lei per la minima trasgressione e le aveva sempre punite per qualche minuto di ritardo, non aveva punito la sorella per una frase tanto irrispettosa.

Il professore disse subito, interrompendo i suoi pensieri: «Oggi farete le ultime prove per il saggio ginnico. Mi raccomando: impeccabili! È questo che il Duce vuole: delle impeccabili future madri d'Italia!»

Tutte in aula erano entusiaste di poter essere le future madri dell'Italia del Duce. Anche Cecilia sorrise molto all'idea di diventare madre un giorno: anche se non per Mussolini, come diceva sempre alla gemella.

Anastasia, invece, quando pensò al fatto che dovevano provare una coreografia, pensò alla scena che aveva visto alla Maison noire. Le ragazze con i vestiti che stringevano e mettevano in risalto i loro fianchi che ballavano sensuali davanti a tutti quegli uomini. Le venne il voltastomaco, soprattutto al pensiero che lei era in prima fila. Sarebbe stata il primo fenomeno da baraccone in vista al pubblico.

Quando uscirono in cortile per le prove, tolsero il cappello e i guanti; il Professor Conti diede loro un piccolo decoro floreale per le loro camicie e l'attrezzo che avrebbero usato per la coreografia: un lungo e sottile bastone di ferro decorato con fiori. Anastasia non poté far altro che notare quanto il materiale fosse rigido. Infatti, quando appena applicò un po' di pressione, notò che il ferro non prendeva la forma che si aspettava.

Tutte si misero in fila, tranne lei. Sentiva di non ricordare minimamente la coreografia. Vedeva davanti a sé soltanto le paillettes che illuminavano la sala del locale di Madame Fleurie. Sentiva la musica jazz nella sua testa. Iniziò a sudare e respirare affannosamente.

«Marchi? Si vuole mettere al suo posto, prego?»

«Cosa?» Anastasia era stralunata. Si guardava intorno e non capiva assolutamente nulla.

«Possibile che non ricorda mai nulla? Lei è in prima fila. Si sbrighi!» urlò l'insegnante, provocando un moto nelle gambe della ragazza.

Si posizionò vicino alla compagna Flaminia, una ragazzina poco più bassa, ma molto più graziosa di lei, pensava, per via delle guance paffute e color ciliegia e due occhi neri da cerbiatto.

Quando partì la musica, tutte iniziarono a muoversi, ma nella testa di Anastasia regnava soltanto il vuoto. Non sapeva più cosa dovesse fare.

«Marchi!» urlò ancora il professore. «Cosa diavolo fa? Cos'è successo?»

Anastasia non aveva il coraggio di dire una sola parola. Abbassò semplicemente lo sguardo alle piastrelle in pietra del cortile. Le lacrime iniziavano a rigarle il viso, segnando un tragitto lungo fino al mento, ma riuscì a controllare il tono della voce, quando rispose. «Non lo so, professore. Non mi sento più molto a mio agio davanti».

«Tutt'a un tratto. Guarda caso, qualche giorno prima della esibizione!» Il professore si girò sui tacchi e diede un pugno all'aria. «Cecilia Marchi! Sostituirà sua sorella in prima fila». Poi rivolta ad Anastasia disse: «Lei va in terza fila. Si sbrighi, per l'amor del cielo!»

Quando si scontrò con la sorella, ci fu uno sguardo d'intesa da parte di Anastasia. Cecilia la guardò senza capire nulla.

Lì dietro, si sentì in diritto di poter sfogarsi. Lasciò uscire le lacrime come una vera e propria cascata e al contempo permise alle sue labbra di trasformarsi in un sorriso. «Grazie a Dio» disse, volta verso l'alto.

Quando stavolta partì la musica, in una posizione a lei favorevole, ricordò di nuovo tutta la coreografia, e quell'ansia da prestazione era completamente svanita. Si muoveva libera, non più sotto lo sguardo analitico del pubblico. Ripeteva la coreografia, così come la vedeva nella sua mente.

Quando furono a casa, Cecilia chiese alla sorella a che cosa fosse dovuto il suo comportamento.

Anastasia non voleva rispondere che era a causa sua che si sentiva sempre così a disagio. Per questo, disse: «Semplicemente non volevo stare davanti».

«E serviva fare tutta quella scena?» chiese, mettendosi le mani sui fianchi. «Sembravi completamente nel panico».

«Ma no» finse con innocenza Anastasia.

«Come mai eri così contenta di stare davanti e ora te ne esci con questa storia?» chiese, analizzando l'espressione della gemella.

«Ma quale storia, Ceci?»

«C'entra qualcosa Fleurie?»

Anastasia spalancò gli occhi alle parole della sorella. Poi ammise: «È così evidente che sia lei la causa?», con il labbro tremolante e gli occhi al pavimento.

«Guarda che sei tu che mi hai chiesto come guadagnavo il denaro».

«Ed è proprio questo il problema!» urlò con la voce spezzata. «Offrirti come un fenomeno da baraccone per gli uomini! È bello secondo te?»

«Beh. La sensazione non è proprio piacevole. Ma è proprio per questo che, quando ballo, penso di star ballando davanti a te. Perché so che tu non mi giudichi mai!»

«Cosa?» Anastasia rimase ancora più sconvolta a quelle parole. «Sai che è ancora più strano, se la metti così?»

«Perché è strano? Siamo sorelle. Ho spesso recitato, cantato e ballato, chiedendoti un parere».

In effetti Cecilia aveva ragione. L'aveva fatto anche per la coreografia dello spettacolo ginnico. Ricordava che Cecilia si muovesse come un cigno, quando ballava. Occupava tutto il palco - il loro soggiorno - pur facendo una coreografia semplicissima. Eppure, continuava a trovare strano che la gemella ballasse in maniera sensuale pensando a lei.

«Non c'è nulla di male!» disse la sorella, sorridendole ma con le lacrime agli occhi. «Ti voglio bene e ti ammiro. Perché tu sei l'unica che mi dice sempre, o quasi - facendo riferimento alla presunta, ma inesistente, "relazione con Johann", inarcando le sopracciglia - la verità». Le si avvicinò e le prese le mani. «Devi riprendere il tuo posto per la coreografia, perché ti spetta».

«Ma non lo voglio, Ceci, come te lo devo dire?»

«Pensa a me, quando balli. E non a Conti, oppure al pubblico. Tu sai che io non ti giudico. E poi sai la coreografia molto meglio di me». Abbracciò forte la sorella, provocandole un dolore al petto. «Domani dici a Conti che rivuoi il tuo posto. E che oggi ti sentivi solo un po' insicura».

Anastasia sorrise alla sorella, e in un accordo stipulato con una promessa iscritta nella loro memoria, il giorno dopo si recò dal professor Conti per riprendersi il ruolo che le spettava in quello spettacolo.

****

Hans sedeva al tavolo con i suoi camerati da più di un'ora, aspettando di veder comparire il suo più caro amico. Era quasi passata mezzanotte, e lui era stato tutto il pomeriggio e per metà della serata nel suo ufficio.

Johann era passato verso le 21:30, cercando di convincerlo ad abbandonare i suoi doveri per quella sera: ci sarebbero state delle ballerine che li avrebbero intrattenuti!

Ligio al dovere, Hans non si era fatto corrompere, continuando a lavorare fino a che non aveva sistemato tutte le scartoffie. Quando era sceso di sotto lo spettacolo era appena finito, e il campo era disseminato di soldati ubriachi che avevano deciso di iniziare un incontro di pugilato per intrattenere le bellissime signorine.

Si stupì, quando non vide Johann sul ring: proprio lui che amava sfoggiare la sua forza.

Per cui, non avendo altro da fare, si mise a giocare a carte con un gruppo di colleghi, fumando.

«Habt ihr sie gesehen? Sie ist ein sehr schöner Saumensch». L'avete vista? È proprio una bella troia, sentì dire Hans che spalancò gli occhi a quell'epiteto che uno dei suoi colleghi aveva utilizzato per apostrofare la giovane e bella ballerina che gli stava accanto - e che ovviamente non capiva nulla di ciò che dicesse in tedesco. Le diede una pacca sul sedere, prima di terminare in italiano: «E una brava ballerina», storpiando la maggior parte delle parole. Hans si sporse per osservarli, e notò gli occhi dolci della ragazza, che poi baciò il soldato, in segno di ringraziamento per il complimento, accarezzandogli il petto coperto dalla camicia.

Scosse il capo. Hans - nonostante li avesse così vicini e sentisse tutti i loro commenti sconvenienti su quelle povere ragazze, sui loro fisici, che venivano definiti come ben torniti, e nonostante vedesse come spesso le accarezzassero anche in maniera impropria (tutte cose che lo infastidivano, al pensiero che potessero essere fatte a Mein Schatz) - cercò di rimanere concentrato, liberando totalmente la mente: guardò la mano di carte che aveva in mano.

Era la sua serata fortunata: aveva vinto già tre volte, ed era sul punto di vincere una quarta volta quando la sua concentrazione fu interrotta da un movimento brusco accanto a sé.

Con la coda dell'occhio intravide una zazzera di capelli dorati.

Johann prese la sedia del tavolo affianco, e mentre la trascinava al tavolo di Hans, ci fu un tonfo sordo e una raffica di imprecazioni in tedesco. Dal canto suo, il biondo aveva ben pensato di prendere una sedia già occupata, sottraendola al suo legittimo proprietario proprio mentre era sul punto di sedersi e che era caduto rovinosamente a terra.

L'uomo urlò: «Scheiße!» Merda!, a seguito dell'impatto. «Wer ist der Misthund, der meinen Stuhl betrogen hat?» Chi è il pezzo di merda che si è fottuto la mia sedia?, aveva sbraitato attirandosi gli sguardi di tutti, e, non ricevendo risposta, si rimise a sedere accanto a una giovane ballerina, che aveva trovato una sedia che il grassone potesse occupare.

Intanto, Johann guardava dritto davanti a sé, facendo finta che non fosse successo niente. E fu così che la fortuna abbandonò Hans e perse la partita.

A quel punto si girò verso l'amico per guardarlo male, anche se il sorriso che Johann aveva sul viso, lo fece arretrare nelle sue intenzioni. «Hai il colletto della camicia sporco di rossetto» puntualizzò Hans con un sorriso beffardo.

«Chi, io?» rispose Johann con aria innocente.

«No, io. Babbeo!» ribatté Hans, dandogli una sberla sulla nuca.

Johann sbuffò, aggiustandosi la camicia... e i calzoni. Hans capì subito che il suo amico non doveva essere di buon umore.

«A giudicare dal tuo sguardo, devo dedurre che sia andata male». Con quelle parole, Hans cercò di provocarlo, perché sapeva che, quando Johann era nervoso, si cacciava sempre nei guai. Tenerlo impegnato era meglio che curargli le ferite.

«No, assolutamente» disse Johann, lanciando un bacio volante ad una ballerina appoggiata alla porta della sala. Lei ricambiò il gesto con un occhiolino.

«Non ti facevo tipo da ballerine. Credevo che ti piacessero le puritane» disse Hans, prendendolo in giro bonariamente.

«Beh, sì certo, ma una volta che le hai macchiate... A proposito di puritane. Ho visto la tua bella» rispose l'amico con un gran sorriso, guadagnandosi un'occhiataccia da parte sua.

«Ah, si?» Hans cercò di non sembrare interessato. Era tentato di accendere un'altra sigaretta, ma si trattenne.

«Certo. Una di queste sere. A un certo punto è uscita con quel cameriere zoppo». Johann prese le carte che erano rimaste abbandonate sul tavolo e iniziò a mischiarle.

«Interessante» rispose Hans in modo evasivo. Guardò verso colui che considerava un fratello; stava posizionando le carte sul tavolo.

«Secondo me quei due hanno una storia» disse Johann con una punta di soddisfazione nella voce.

«E da cosa lo avresti dedotto?» A un tratto, l'intenzione di Hans di non sembrare interessato andò in fumo.

«Beh, sono usciti e si sono appartati ad isolati lontano dal suo locale» rispose il biondo: doveva averli seguiti con lo sguardo, finché non erano spariti in un vicolo, dedusse Hans.

«Questo non vuol dire assolutamente niente» tagliò corto Hans.

«Questo vuol dire tutto. Perché una dolce signorina come lei, non maritata e puritana, dovrebbe appartarsi da sola con un uomo di notte? Per essere lontano da sguardi indiscreti, ovvio». Johann si animò sempre di più mentre spiegava la sua teoria.

Hans rimase in silenzio. Alla fine, non riuscì a resistere all'impulso e si accese un'altra sigaretta per il nervosismo. Espirò, buttando fuori il fumo.

«Ho fatto delle ricerche su quel tipo. E indovina un po': è sposato e ha famiglia. Non mi stupirebbe se si fossero nascosti per non farsi notare da nessuno. Ah... quel tipo non mi piace, e neanche lei». Johann pronunciò quelle parole guardandolo negli occhi, come fa un padre con un figlio al momento di intavolare dei discorsi seri.

«Almeno una di loro ti piace, vedi di non macchiare pure lei». A quelle parole Johann cambiò espressione. Sapeva di averlo colpito nel profondo.

Hans non si mischiava negli affari del suo amico, perché sapeva che se avesse toccato delle parti del suo cuore, gli si sarebbe rivoltato contro. Non sapeva che intenzioni avesse o che cosa provasse Johann per quella ragazzina: sapeva solo che quelle parole lo avevano reso serio e nervoso. E sapeva anche che per quella sera era meglio evitare Johann.

Intanto, il suo amico concentrò la sua attenzione sulle carte davanti a sé: le aveva sistemate in modo da avviare una partita di "solitario", evitando lo sguardo di Hans e chiudendo la conversazione.

Non era riuscito a calmarlo o a distrarlo: aveva solo contribuito a fomentare il suo umore nero.

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Eccoci con un nuovo aggiornamento. Anastasia è alle prese con un saggio ginnico da mostrare al Duce. Mentre Johann ha iniziato a nutrire qualche sospetto su Celeste. Interessante, non è vero?
Ma ha ragione o sta solo esagerando? E il suo umore nero si placherà mai?
Beh, dovete solo leggere per scoprirlo.
Buona lettura❤️,

Lilingel

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