I
Dopo un lungo dissidio interiore, Celeste si convinse che seguire le orme di Leonardo fosse necessario per liberare il suo Paese.
Era da poco entrata nella cellula di resistenza - forse sì e no due settimane - quando le fu proposta la sua prima missione.
Quando Leonardo le disse, la sera del sette di gennaio, ciò che avrebbe dovuto fare si alterò molto. Addirittura litigò anche con lui, con il quale non aveva mai avuto nessun tipo di alterco. Ciò che la sorprese di più era che, nonostante lui le avesse assicurato di essere nel gruppo, non le aveva ancora presentato nessuno: dunque, Perché affidarmi un compito del genere?, si era ripetuta a lungo.
Sconvolta com'era da quel compito assurdo, alle cinque dell'otto di gennaio si alzò da letto per preparare un po' di latte, che aveva comprato qualche giorno prima, per le altre donne di casa. Coprì le tazze con dei piatti per non far raffreddare il contenuto. Lei era troppo disgustata anche solo per pensare di mangiare. Ne aveva preparata una porzione in più, sperando che una delle sue sorelle la portasse al diretto interessato.
Camminava per le strade con il cappotto pesante, che ancora rendeva la sua figura molto elegante nonostante fosse consumato. Sperava quasi di poter sparire grazie a esso, ma il suo abbigliamento riusciva sempre ad attirare gli sguardi, soprattutto quelli più indiscreti.
«Come mai così elegante, principessa?» la derise una giovane ragazza povera che camminava per strada con un semplice grembiule: doveva star congelando. Sicuramente era qualche domestica di persone facoltose: la infastidiva da un po' di tempo a quella parte, quando passava per quel tratto di strada.
Celeste guardò solo davanti a sé continuando a camminare, senza rispondere alla ragazzina, che l'aveva presa molto male - girandosi di poco notò che aveva messo le mani sui fianchi e aveva sbuffato.
«Parlo con te, Marchi!»
L'uso che fece del suo cognome la fece arrabbiare, tanto da farle girare i tacchi e raggiungere la ragazzina. Avrebbe preferito che la insultasse con nomi ingiuriosi anziché insultarla usando il buon cognome di suo padre.
«Che cosa vuoi, ragazzina?»
«Tu fai cose pericolose, per caso?» la guardò con sguardo investigatore. Gli occhi marroni della giovincella la squadravano da capo a piedi. «O mio Dio. Fai tanto la casta, e poi vai con i tedeschi?» si finse sconvolta.
«Anche se fosse, sicuro non verrei a dirlo a te». Fece per andarsene, ma poi tornò alla ragazzina, puntandole l'indice. «Se osi nominare di nuovo il cognome di mio padre, ti faccio fuori, carina!» disse con un sorriso maligno, che fece scappare a gambe levate la giovinetta.
Se ne andò, prendendo la via per il pub.
Sulla strada, incrociò una vettura che trasportava tre tedeschi: dietro c'era Hans Richte.
«Guten Morgen, Fräulein» disse uno di loro, togliendosi il cappello in segno di riverenza. Aveva un sorriso da ebete sul volto.
«Guten Morgen, Herren» rispose docile al saluto lei, chinando leggermente il capo di lato. Il suo sorriso contagiò tutti sull'auto, tranne Richte, che rimase totalmente impassibile, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Cos'ha che non va? Sta sempre arrabbiato, si disse.
Riprese a camminare verso il pub - che si trovava sulla sinistra all'incrocio a cui era arrivata - tornando impassibile e voltando le spalle agli uomini in divisa, che invece svoltarono verso destra.
Giunta sul luogo del lavoro, appena li vide, pensò che i vetri si fossero opacizzati, e che fosse necessario pulirli. Beh, con tutto quello che fumano i tedeschi..., si disse con una risatina sommessa.
La signora Dora era giunta poco dopo di lei e l'aveva salutata cordialmente, con il solito sorriso sdentato. Anche la donnina aveva notato i vetri piuttosto sporchi. Decisero, pertanto, che si sarebbero messe a pulire prima dell'apertura effettiva del locale al pubblico.
L'acqua scorreva all'interno del secchio che Celeste teneva con la mano sinistra. Uno scorrere inesorabile che le ricordava quanto corresse veloce la vita. Erano già passati molti mesi dall'inizio di quell'incubo, eppure parevano esser passate poche settimane.
Quando uscì, tenendo il secchio sempre nella mano sinistra - abitudine che aveva ereditato da sua madre -, notò che Dora stava parlando con dei repubblichini.
Forse sono più pericolosi loro, dei nazisti, pensò, visto ciò che avevano fatto al suo "uomo preferito" - ripensando al nomignolo che gli aveva affibbiato da piccina, le scappò un sorriso triste. Perché stava parlando con loro?
«Buongiorno» interruppe la conversazione, Celeste. «Posso fare qualcosa per voi?»
«Buongiorno» salutò uno di loro: un volto ormai familiare, a causa dei controlli di routine. «In effetti sì, potreste essere d'aiuto».
Celeste si pentì di essersi intromessa. E di aver chiesto se ci fosse bisogno.
«La Gestapo sta cercando una serie di individui un po' loschi. Conoscete un certo Achille?»
Lo conosceva, sia con quel falso nome che con il suo. «Purtroppo non so di chi stiate parlando, signore». Lo guardò impassibile, fingendo benissimo di non essere agitata, mentre mentiva in maniera spudorata. «Ma ha fatto qualcosa? Dobbiamo stare in allerta?»
«Per il momento non è una minaccia. Scusateci il disturbo» disse l'uomo, chinando il capo nel suo saluto e andandosene sulla sua macchina. «Se però doveste scoprire qualcosa, sarebbe molto d'aiuto se ce lo diceste» disse avviando il motore.
«Certamente» rispose Celeste con un finto sorriso, rimanendo con le braccia conserte sull'uscio del pub.
Quando se ne furono finalmente andati, lanciò un sospiro di sollievo e si mise a pulire. Prese la pezza dal bordo del secchio e iniziò a lavare i vetri. Si stava recando a prendere un giornale per asciugare, quando, dicendo «Signorina?», Dora interruppe i suoi pensieri.
«Ditemi pure, signora Dora!» rispose sempre gentile Celeste.
«Secondo voi è pericoloso?»
«Ma chi?» chiese, fingendosi finta tonta.
«Questo Achille. Insomma... Nessuno l'ha mai sentito o visto ma lo ricercano in molti. È strano!»
Era la prima volta che sentiva delle ricerche di Achille. Come sarebbe a dire che in molti lo cercano?, si chiese preoccupata, ma continuando a pulire per fingersi calma. «Ma no, signora» disse Celeste, controllando al meglio il tono della sua voce. «Vedrete che ci sarà sicuramente qualche errore».
«Speriamo!» disse la vecchia giungendo le mani, fingendo di pregare.
Celeste aveva risposto con un tale controllo, da sembrare un'attrice sul palco.
Le due pulirono i vetri in silenzio, scambiandosi giusto qualche sorrisetto d'intesa di tanto in tanto. Era da quando aveva quindici anni che quella vecchina lavorava con lei nel pub. E le piaceva sempre chiacchierare con lei.
Solo che ora che faceva parte della resistenza era divenuta molto più schiva. Fortunatamente Dora non era un tipo che faceva molte domande, sulla sua vita privata.
Quando si erano fatte finalmente le sette di mattina, i vetri erano perfettamente lucidati, e il pub perfettamente in ordine, pronto ad accogliere i primi clienti.
I primi abitudinari erano quelli che facevano sempre la colazione salata, che Celeste preparava appositamente con Dora. Verso le otto e mezza arrivavano quelli che bevevano il caffè, che era la cosa che le riusciva meglio, con un cornetto o una pasta.
E... puntuali come un orologio svizzero, alle dieci in punto arrivarono i tedeschi. Quando li vedeva, sembrava sempre più cordiale che con gli altri clienti. Quanto si sentiva in colpa per quello che stava facendo: sorrideva a quei mostri assassini, come un'amante con il suo fidanzato.
Andò verso le cucine a prendere ciò che ordinavano di solito: da quando erano arrivati, per colazione ordinavano sempre lo stesso.
«Spitzbuben für euch». Aveva finalmente imparato il nome di quei biscotti tirolesi che amava cucinare. Una volta Richte, per ironizzare, le chiese come mai cucinasse qualcosa di cui non conosceva il nome. E lei, in tutta risposta, disse che non serviva sapere il nome di qualcosa che doveva finire in pancia.
Però per dimostrare di essere una brava cuoca aveva deciso che ci si sarebbe messa con impegno per imparare quel nome, per lei fino a qualche tempo prima impronunciabile.
«Es stimmt, dass Sie gelernt haben!» Sembra che abbiate imparato, disse proprio lui che, dopo il giro di ricognizione, si era fermato con i colleghi al pub.
«Ja» disse solamente, allargando il viso in un sorriso. Lo faccio solo per Roma.
Lui sorrise, e la cosa la sorprese molto.
Nel pub entrò Leonardo. Quando Celeste si avvicinò al bancone, l'uomo le chiese: «Come sta andando, Piccoletta?»
«Diciamo che un passo avanti l'ho fatto, perché mi ha sorriso». Era infatti raro vederlo sorridere, quando era con i tedeschi al lavoro.
Lui rise, dandole una pacca sulla schiena. Quando notò che la ragazza aveva cambiato espressione, le chiese: «Tutto bene, Piccoletta?»
«Si può sapere cosa avete fatto in giro, prima che entrassi a far parte del gruppo?» chiese sottovoce.
Lui scosse il capo, fingendo di ignorare la cosa. «Ma niente. Qualche graffito...»
«E scommetto che l'hai firmato...» disse lei, mettendosi i pugni sui fianchi. «Devi stare attento, Leo. Se ti scoprissero, io...»
«Piccoletta, non devi assolutamente preoccuparti. Achille è un'ottima copertura» le sussurrò all'orecchio. Lei sorrise, perché lui riusciva sempre a rassicurarla in qualche modo. Le disse, sempre con circospezione: «Comunque lo sapevo che fossi perfetta per questo incarico. Sei l'unica persona che abbia fatto sorridere quel tipo da mesi a questa parte».
«Sai, non è facile. Anche solo l'idea di mostrarmi tanto cordiale con loro... mi fa venire il ribrezzo».
«Tu sai che stai lottando per una cosa più grande, Piccoletta mia», la abbracciò, lasciandole un bacetto sulla fronte. «Il fatto che tu abbia accettato ti fa davvero molto onore». L'abbraccio in cui l'aveva stretta la confortò talmente che si sarebbe addormentata, come faceva da piccola, se lui non l'avesse allontanata con delicatezza. «Ti voglio bene, Celeste», la guardò negli occhi, accarezzandole il viso dai cui occhi iniziarono a sgorgare le lacrime, che lui prontamente asciugò. Le spostò i capelli dietro l'orecchio.
«Ti voglio bene anch'io, Leo». Si mantenne dall'impulso di chiamarlo con il suo nome in codice.
«Torna a lavoro. Sembra che abbiano finito» le disse, smettendo di accarezzarla.
«Guten Morgen. Seid ihr fertig?» Avete finito?, chiese, avvicinandosi al loro tavolo.
«Ja. Kann ich heute bezahlen?» chiese Richte. Aveva intenzione di offrire lui, la colazione, ai suoi colleghi.
«Natürlich». Ormai era talmente tanto che parlava con loro nel pub che aveva imparato queste frasi, che ripeteva come un disco rotto. «Es kostet 70 Lire, bitte».
«Vedo che avete imparato anche la mia lingua, un po'» disse con forte cadenza tedesca nella voce.
«Sì. Diciamo che l'aiuto di mia sorella mi è servito. Ha seguito, un po' di tempo fa', un corso di tedesco sovvenzionato da Mussolini. Quindi mi ha insegnato diverse cose». Cercava di essere il più umile possibile. Sorrise, però, abbassando lo sguardo. Vide che lui recuperava i soldi dalle tasche. «E poi sono anche frasi che ormai ho imparato a memoria. Visto che siete assidui frequentatori, qui».
«Es ist alles» È tutto, disse lui, lasciando l'importo sul tavolo. Tornò con gli occhi allo sguardo dell'uomo. «Sehr gute Aussprache, Fräulein». In segno di galanteria si tolse il cappello e le sorrise, ancora, fissandola con gli occhi verdi, che sembravano lanciare bombe contro di lei.
«Auss...?», chiese Celeste, non comprendendo la parola, cercando di nascondere l'imbarazzo. Stava diventando rossa: sembrava una ragazzina.
«Aussprache. Pronuncia, signorina».
«Oh!». Arrossì dalla vergogna, provocando ancora il sorriso di lui. «Dankeschön, Herr!» Abbassò gli occhi al suo vestito azzurro. «Anche voi avete migliorato molto il vostro italiano. Complimenti!» disse sorridendo e grattandosi il polpaccio sinistro con la scarpa destra. Sono così nervosa, pensò irritata.
«Jetzt muss ich gehen» Ora devo andare, disse lui impacciato, ma ancora con il sorriso in faccia. «Auf Wiedersehen!» La salutò, chiamando all'ordine gli altri e uscendo dal locale.
Leonardo le si avvicinò, facendole un occhiolino. Questo significava, secondo il codice silenzioso che si erano inventati quando lei era bambina, che stava facendo un ottimo lavoro per accattivarsi quel tedesco. Il ché non le faceva affatto piacere.
Infatti il viso allegro di poco prima, fu sostituito da una cupezza non tipica di lei.
****
Era ormai ora di pranzo e le gemelle avevano preparato il pasto con quel poco che avevano trovato in casa, messo a portata d'occhio da Celeste prima di andare al pub.
Cecilia guardava la porta della soffitta, con il piatto di brodaglia che le scottava il braccio destro, mentre nel sinistro teneva mezzo pezzo di pane e un caraffa d’acqua. Il tutto era molto pesante, ma lei era abituata, forgiata da anni di lavoro per aiutare sua sorella al pub.
Era rimasta lì, imbambolata davanti a quella porta, che sin da bambina le aveva sempre messo una paura terribile; ma adesso, con i suoi 15 anni di età, la paura era scomparsa, sostituita da una strana sensazione di eccitazione e ansia.
Sapeva che quelle sensazioni erano causate dalla persona che si trovava nella soffitta, che era confinata lì da quando aveva rischiato di essere acciuffato da alcuni tedeschi, una notte di qualche tempo dopo il loro incontro fuori dal Fatebenefratelli.
I ricordi di quella notte erano nitidi della sua mente. Rammentava di come qualcuno avesse bussato in maniera concitata alla loro porta, di come Celeste avesse indugiato sull’uscio e fosse sgattaiolata velocemente di sopra, alla stregua di un ladro, con qualcuno al suo fianco. E quando, più tardi, avevano bussato di nuovo, e la ragazzina, impaurita com'era, si era decisa a scendere finalmente di sotto, solo per vedere il tenente Fischer che punzecchiava la sorella e girava nel salotto come un predatore nel suo territorio.
E poi ricordò le parole pronunciate più tardi, nella loro camera, da Celeste: «Abbiamo un amico da proteggere».
Erano salite tutte quante in soffitta per vedere Marco - che di solito aveva sempre un sorriso dolce e una voce carezzevole - in preda agli spasmi, la voce rotta dal pianto e dalla collera, a causa della situazione che era venuta a crearsi.
Raccontò che avevano portato via la sua intera famiglia, che lui si era salvato con dei suoi amici rifugiandosi al Fatebenefratelli - Cecilia ricordava ancora l'aneddoto sul morbo di K -; ma Cecilia sapeva che gli avevano portato via anche qualcos’altro.
Il ragazzo della soffitta non era neanche lontanamente la persona che Cecilia conosceva.
Era più taciturno, irrequieto e le riservava sempre delle parole di scherno. Cecilia sapeva che non era colpa sua, come sapeva che Marco non aveva nessuna intenzione di ferirla. Vederlo in quello stato la distruggeva.
Bussò con la punta del piede alla porta; quattro colpi ripetuti, così che lui sapesse che si trattava di lei. Lui le aprì, poi andò ad appoggiarsi scontrosamente al muro.
La soffitta era fredda. Lì, un tempo, ci tenevano tutte le cianfrusaglie di famiglia o di quando erano piccole che furono obbligate a vendere nei primi anni di guerra. Per cui, ora era diventata spoglia, tranne per un tavolino e un lettino messi apposta per il loro ospite.
Cecilia poggiò tutto sul tavolo, poi lo osservò, soffermandosi su alcuni particolari del suo viso.
Dapprima una breve pausa ai suoi occhi: lui ricambiò lo sguardo, ma non le sorrise come avrebbe fatto un tempo. Aveva uno strano bagliore, nei suoi bellissimi occhi verdi: non erano spenti, come si sarebbe aspettata - visto tutto ciò che gli stava capitando - ma non erano neanche gli occhi curiosi e vivaci di un tempo; c'era qualcosa che Cecilia non avrebbe saputo descrivere al loro interno. Il ragazzo, dopo un po', abbassò la testa, lasciando che i capelli ricci, ormai troppo lunghi, gli ricadessero fluentemente sulla fronte, non permettendo più a lei di avervi accesso.
Lo spostamento dei capelli le permise, però, di notare che aveva la mascella contratta: non si era rasato, e il filo di barba che gli ricopriva il mento lo faceva sembrare più maturo della sua età.
Era diventato più massiccio; da quando era chiuso lì dentro, le aveva confessato che si allenava: qualcosa da fare per combattere la noia.
Era diventato bello: lo era sempre stato, fin da quando erano bambini e giocavano insieme. Ma ora era così bello, che una statua della Grecia classica, in un confronto, avrebbe certamente sfigurato. Altro che il nasino alla greca degli ariani...
Cecilia cercò di scacciare via quei pensieri, arrossendo leggermente, ma cercando di nasconderlo alla meglio all'amico.
Marco era cambiato sia nello spirito che nell’aspetto e Cecilia non sapeva ancora cosa pensare di questa nuova versione di lui, poiché essa non la cercava né la guardava con gentilezza.
La ascoltava, questo sì. Era diventato il suo fedele e silenzioso confidente. Era stata la prima persona a cui aveva confidato le sue preoccupazioni sulla situazione economica della famiglia: il primo a sapere della Maison Noire e di Madame Fleurie.
Lui l’aveva ascoltata e aveva risposto semplicemente: «Questa faccenda non può che finire male».
Ma Cecilia ci era andata comunque, alla Maison Noire, e non perché le piacesse, ma perché ci era costretta. Nonostante si comportasse volutamente come una a cui non importava nulla di niente e di nessuno, in realtà le importava di tutto e tutti.
Sospirò e poi gli domandò: «Come stai?»
Lui fece una risata e rispose in maniera sarcastica: «Beh… devo dire che sono davvero felice di trovarmi nella tua soffitta: era la mia massima aspirazione, nella vita. E tu, come stai, principessa?»
Preoccupata e triste per la condizione di Marco, Cecilia cercò di simulare un sorriso, per poi rispondere: «Stiamo tutti bene, per adesso».
Marco non le rispose, inarcando semplicemente le sopracciglia; prese posto a tavola e iniziò a mangiare, ignorandola.
Cecilia decise che fosse meglio lasciarlo da solo e, quando chiuse la porta alle sue spalle, aveva il cuore traboccante di delusione e amarezza.
o 0 O 0 o
Ecco un nuovo aggiornamento. Celeste alla fine si è decisa a seguire Leonardo nella Resistenza. Però è strano che non le abbia presentato ancora nessuno, non vi pare? Come mai? Non vi resta che continuare per scoprirlo.
E quanto sono belli Marco e Cecilia. Lei ha finalmente capito di avere una cotta per lui, ma si trattiene dal confessarlo. Come vi sembrano?
Detto questo, vi lasciamo alla lettura❤️,
Lilingel
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