2. Giulia

«Lucio?»

Giulia inclinò la testa e allungò la mano per afferrare la sua, lui venne strappato quasi immediatamente ai suoi pensieri.

«Mh? Cosa c'è?»

«L'ordine...» sussurrò lei storcendo la bocca.

La confusione del ciarlio all'interno del ristorante lo inondò come un fiume in piena. Un ragazzo sulla ventina con l'aria imbarazzata era impalato di fianco al loro tavolo, tablet in mano. Aveva un piercing a lato del labbro inferiore, e i capelli biondicci erano rasati ad ambo i lati del cranio.

«Stavo dicendo alla signorina che abbiamo finito la salvia in tempura. Volete dividere lo sformato di asparagi e grana come antipasto, poi magari ripasso?»

A Lucio diede genuinamente l'impressione interessata e professionale di qualsiasi altro lavoratore del settore, eppure c'era qualcosa di gentile e preoccupato nel modo in cui lo fissava. Si sarebbe dovuto dire imbarazzato? Sì, in effetti sarebbe stato di buon gusto farlo, almeno per onestà intellettuale.

Tossicchiò schiarendosi la voce, leggendo di sfuggita il nome sulla targhetta.

«Sì, va bene, certo. Grazie mille... Andrew» rispose frettolosamente, ma con il garbo di chi volesse stemperare con ironia quella situazione di stallo.

Un attimo dopo era tornato a fissare Giulia. Si era fatta uno chignon sbarazzino, ma la ricrescita scura del suo color castano naturale aveva iniziato a sporcare il biondo cenere. Anche lei era stanca, era evidente dalle borse sotto agli occhi più o meno corrette e nascoste dagli occhiali dalla grossa montatura marrone.

«Mi vuoi dire che ti prende?» Bisbigliò lei infastidita, afferrando la bottiglia di acqua naturale.

«Niente, sto bene... devo soltanto cercare di dormire».

«Ancora gli incubi? Ma sei andato da quella tizia, dai, com'è che si chiamava...»

«Anna».

«Sì, lei...» la finta bionda annuì frettolosamente. «Ti ho dato il numero, no?»

«Sì, sì».

«Allora?»

Lucio si mise a fissare il piatto vuoto perfettamente pulito, a eccezione di una minuscola, quasi invisibile, crepa in alto a destra: lungo il bordo abbellito da una fantasia vegetale in rilievo. In quel momento si sentiva proprio così: danneggiato. A dire la verità odiava andare a pranzare al Fresia, ma visti gli ultimi quattro mesi da neo vegetariana di Giulia, era più che necessario per evitare ulteriori discussioni.

«La chiamo questo pomeriggio, promesso».

«Lo prometti sempre, Lù...» sbuffò l'altra, mettendosi a far ciondolare la testa. «Non sei l'unico a starci male».

Quell'ultima frase gli fece digrignare i denti e serrare la mandibola.

Accanto a loro due donne di mezza età stavano dividendo una bottiglia di un pessimo frizzantino. Alle spalle della fidanzata, invece, quattro ragazzi ciarlavano e sghignazzavano allegramente. Cosa c'era di divertente nel mangiare bieta ed erbette? Cos'erano, ruminanti?

«Ha chiamato me, non te» sibilò, stringendosi la radice del naso fra indice e pollice fino a sollevare leggermente la montatura dei bifocali.

«Questo... non è corretto». La voce di Giulia gli risuonò rotta, e si maledisse immediatamente. Per quanto tentasse di evitare i litigi, sembrava veramente che qualche diavolo gli stesse alle calcagna punzecchiandogli la schiena.

«Scusa, ma stanotte...» non sapeva come dirlo. «Sono peggiorati, penso» deglutì. «Credo persino di aver sognato che mi richiamasse».

«Credi?»

«Sì, io non lo so Lilli. Te lo giuro su Dio, era la sua voce. Stessa identica chiamata, stesse identiche parole... tutto identico, tutto, persino il fatto che fossi impalato sull'uscio della cucina».

Ecco, a quel particolare non aveva fatto caso fino a quel momento. L'orario? Il cellulare aveva iniziato a vibrare alle 2.03, di per sé l'ora avrebbe coinciso a eccezione dei minuti, ma pensandoci bene, la voce di Roberto si era fatta sentire giusto poco dopo. Non c'erano tracce sul registro, quindi disse addio all'ipotesi di mostrarle le sue deliranti "prove". Doveva per forza essersi trattato di un incubo. A parte il fatto che fossero le identiche parole che gli aveva sentito singhiozzare quella notte, mentre lui sciabattava per andare a prendersi una birra gelata in cucina, non c'erano altre coincidenze degne di nota.

Sì, è così.

Ebbe il coraggio di guardare in faccia Giulia, scoprendo con amarezza una maschera mal riuscita d'imbarazzo e mestizia. Le faceva così schifo farsi vedere in giro con uno schizzato? E dire che un tempo erano tutto fuoco e scintille, soprattutto dopo la prima pubblicazione del suo saggio. Per essersi conosciuti in sede d'esame, con lui assistente e lei futura laureanda in Scienze Storiche e Orientalistiche, la situazione si era di sicuro ribaltata.

Ora chi esaminava chi?

«Chiama Anna» si limitò a biascicare lei.

Lui annuì, prima di gettare un'occhiata al cellulare piazzato di fianco alle posate. Lo schermo era pieno di impronte, e le lampadine nude, appese al soffitto in uno stile fra il rustico e il minimale, oscillavano sull'ombra nera di un telefono senza notifiche.

«Senti, pensavo a una cosa...» accennò Giulia, iniziando a girare fra le mani lo stelo del suo bicchiere opaco. «Stamattina mi ha chiamato Rosa».

Lucio chiuse gli occhi. La sorella di Roberto era soltanto l'ennesima scheggia d'acciaio della spada di Damocle che gli pesava sul collo.

«E...?»

«E... ci ha invitati da lei questo Sabato. Voleva imparare a preparare la pizza in casa, sapeva che io la sapevo fare e allora abbiamo deciso di organizzare. Ci saranno anche Emma e Dario».

La sua ex studentessa accennò finalmente a un sorriso. A lui piaceva quando lo faceva: le si formavano due fossette ai lati della bocca, e la montatura degli occhiali le si alzava appoggiandosi sugli zigomi. Da quant'era che aveva smesso di guardarla? Giorni? Settimane? Mesi? Certamente non anni. Se soltanto ripensava alle vacanze dello scorso Natale...

«Che ne pensi?» Insistette lei.

«Va bene» disse.

Due parole che gli pesarono più di un macigno sui polmoni, neanche il cuore. Quello era già ridotto in poltiglia.

«Sei sicura che voglia vedere anche me?»

Giulia strinse le labbra fra di loro e si mise a giochicchiare attorcigliando il tovagliolo bianco. Lucio nemmeno s'azzardò a indovinare il numero esorbitante di pensieri che le stavano passando per la mente.

«A dire la verità...»

Bingo. Lo studioso fece cadere la testa in avanti, lasciandosi sfuggire un sorriso per lo più isterico. «Gliel'hai chiesto tu, vero? Che venissi anche io, intendo...»

Lei si umettò le labbra e annuì, ma non aggiunse altro. Quel gesto, forse, era la forma più genuina di sincerità da parte sua.

«Se me l'hai detto, comunque, immagino avrà detto di sì».

Un altro cenno, prima che fossero forzati a un sorriso e a un ringraziamento nei confronti del cameriere.

Lo sformato fra di loro sembrava una muraglia verdastra. Mattoncini cumulati uno sull'altro, un insieme di paglia, fango e fiele.

Cazzo, quanto odiava i ristoranti vegetariani.

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