💫~Incontri inaspettati~💫


Il sole bruciava sulla mia pelle abbronzata come una lama di fuoco mentre percorrevo in fretta il sentiero che mi avrebbe riportata a casa.

Per essere ottobre, le temperature si mantenevano ancora abbastanza alte, sembrava di essere a maggio.

L'autunno non era ancora arrivato, alzai lo sguardo al cielo azzurro, limpido, privo delle soffici nuvole tipiche di questo periodo, sbuffando.

Amavo l'autunno, a differenza della gran parte dei miei coetanei. L'idea di rimanere tra le coperte con una felpa oversize e una tazza fumante tra le mani, con la pioggia incessante fuori dalla finestra, mi allettava molto più di una serata in discoteca.

Odiavo il caldo, l'estate, uscire tutti i giorni con 40°. Non riuscivo proprio a capire come potesse piacere a tantissima gente, come molti l'aspettassero quasi con impazienza.

L'estate è bella se ti piace la confusione, se hai qualcuno con cui passarla. Quelli come me preferiscono la pace di una serata spesa a scribacchiare qualche pensiero con la musica a palla nelle cuffiette.
La confusione mi turbava, mi metteva ansia, mi faceva stare male. Anche solo all'idea di rimanere bloccata nella folla, del mio corpo schiacciato tra quelli di altre persone, del sudore e della mancanza di aria stavo male.

Ne ero terrorizzata.
E forse un po' avrei voluto non fosse così.

Ero andata una sola volta in discoteca, ed era stato un incubo, un trauma addirittura.

Ricordo la gente che si spingeva, il mio corpo inerme sballottolato da una parte all'altra che andava a sbattere contro chiunque, le grida e il respiro corto.

Ricordo bene il panico che prendeva il controllo della mia mente, la speranza che qualcuno venisse a tirarmi fuori da quell'inferno e la delusione nel realizzare che a nessuno, nemmeno alle mie amiche, faceva lo stesso effetto che faceva a me.
Ricordo bene la tristezza iniziale, dopo essere uscita finalmente da quel posto infernale ed essermi abbandonata sulla prima panchina libera, nel rendermi conto che le altre persone non erano scosse quanto me e le mie amiche mi avevano lasciata sola nonostante sapessero di questa mia paura.

Poi ricordo la rabbia.

Era arrivata di colpo, dopo averle ritrovate, violenta come uno tsunami si era infranta sul mio cuore che non aveva mai cessato di battere come impazzito. Ero furiosa con tutti, con chi aveva inventato questa specie di tortura, con le mie amiche, con i miei genitori e con me stessa.

Soprattutto con me stessa. Perché avevo deciso di provarci, avevo deciso di buttarmi a capofitto in una missione suicida, solo per il gusto di sentirmi come gli altri, solo per sentirmi meno sola.

Ero furiosa con me stessa per essere così, per questa innata fobia della folla, per farmi prendere sempre dal panico.

Lì, tra la gente che fumava o ballava versandosi addosso alcolici e drink di dubbia provenienza, avevo capito di essere completamente fuori posto e avevo preso una decisione da cui sarebbe stato impossibile smuovermi.

Non sarei mai più entrata in una discoteca, mai più.

Prima e ultima volta.

Ammetto di essermi fatta prendere un po' troppo dal momento, di averci marcato un po' la mano.

Forse avrei dovuto prenderla con più filosofia, in fondo cose così capitano ma non sono all'ordine del giorno...

Ma niente da fare.

Il mio cervello, testardo come al solito, aveva già imparato ad associare "discoteca" ad "attacco di panico", quindi ad un pericolo.
Erano anni ormai che mantenevo fede alla mia promessa. Anni in cui mi ritrovavo sola il sabato sera mentre tutti andavano a divertirsi in quei luoghi degni di un girone a parte.

Questo era uno di quei sabati.

Avevo liquidato le mie amiche con una scusa, come al solito. Avevo detto loro che purtroppo non sarei potuta andare a quella fantastica festa che avevano organizzato con cura, e che ero veramente dispiaciuta.

Di essere dispiaciuta lo ero veramente, però ci tenevo alla mia sanità mentale, e non poco.

Senza troppe storie aprii il portone del mio appartamento, togliendomi le scarpe sull'uscio ed entrando.

Il programma per quella sera era semplice: uscire per andare a prendere una pizza e tornare a casa in tempo per il mio appuntamento settimanale con quel programma di divulgazione scientifica che tanto mi appassionava.

Mi buttai sotto la doccia, il getto di acqua calda mi solleticava il viso, mentre alcune gocce scivolavano lungo il naso, per poi cadere giù schiantandosi contro il pavimento freddo.

Sentivo la tensione accumulata nel corso della giornata svanire. Una bella doccia calda sistema sempre tutto, dovrebbe essere inserita in qualche classifica delle cose più belle al mondo.

Mi avvolsi un asciugamano intorno al petto, rabbrividendo al contatto con l'aria fresca, poi corsi in camera a vestirmi e ad asciugarmi i capelli bagnati.

Il mio sguardo cadde sul mio riflesso nello specchio, accompagnato da una smorfia.

Che aspetto orribile...
Ma alla fine dovevo solo andare a comprare una pizza, mica dovevo partecipare ad una sfilata di moda.

Dei cargo e una felpa vecchia non avrebbero scandalizzato nessuno, infilai le mie amate scarpe da ginnastica ed uscii di casa.

Come previsto, in giro non c'era anima viva. Tirai un sospiro di sollievo, nessuno avrebbe giudicare il modo in cui mi ero vestita dal momento che nessuno mi avrebbe vista.

Anche la pizzeria era deserta, tranne per l'uomo sulla sessantina che prese il mio ordine.

Ero l'unica cliente, eppure ci stava mettendo un'eternità a preparare la mia pizza.

Decisi di prenderla con filosofia e ne approfittai per guardarmi intorno.

Le pareti del locale erano spoglie, di un giallo scolorito e rovinato dall'umidità in alcuni punti. Ecco, iniziavo a capire come mai non ci fossero altre persone...

Nemmeno il tempo di formulare questo pensiero che un ragazzo fece il suo ingresso dalla porta in vetro. Mi girai per osservarlo, curiosa.

Poteva avere la mia età, o forse qualche anno di più. Osservandolo meglio, aveva un accenno di barba. Sì, era decisamente più grande.

I suoi occhi mi studiarono confusi, mi resi conto solo il quel momento l'impressione che stavo dando di me. Gli sarò sembrata una pazza nel fissarlo in quel modo.

Gli rivolsi un sorriso imbarazzato, nella speranza di alleggerire l'atmosfera. Lui ricambiò, mostrando due file perfette di denti chiari e facendo comparire una ruga sulla fronte.

L'uomo fece finalmente ritorno da dietro al bancone, pronto a prendere l'ordine del nuovo cliente.

-mi scusi... è un quarto d'ora che sto aspettando la mia pizza...- richiamai la sua attenzione un attimo prima che sparisse in cucina, guardandolo con aria truce.

Non volevo perdermi l'inizio del programma per colpa di quest'uomo.

-Si, si, mi scusi, abbiamo avuto un problema con il forno. Ancora qualche minuto ed è pronta- rispose prontamente lui, ignorando l'occhiataccia che gli stavo lanciando.

Sbuffai, andandomi a sedere su uno sgabello al lato della stanza. Tornai a concentrare la mia attenzione su quel ragazzo.

Aveva dei capelli riccissimi, di un castano scuro quasi tendente al nero.

Come se avesse percepito il mio sguardo su di lui, si voltò nella mia direzione. Mi affrettai a fingermi impegnata al telefono, colta da un'improvvisa vergogna.

Non stavo facendo niente di male... perché avevo reagito così? Stupida impulsività.

Il riccio non accennò a spostare lo sguardo da me, come per ripicca. Iniziai a sentirmi a disagio, non mi piace quando le persone mi guardano per tanto tempo...

Dovevo pensarci prima di mettermi a fissare un perfetto sconosciuto, ovviamente. Mi stava bene.

L'arrivo di una pizza mi distrasse dai miei pensieri, salvandomi.

-Ecco a lei- la porse al ragazzo, con un sorriso stampato sul volto.

-Scusi ma c'ero prima io... sono qui da mezz'ora- protestai, guardandolo accigliata.

Venni ignorata e questo bastò per mandarmi in bestia.

Stavo per sbottare, lo sentivo.
Mi costrinsi a prendere un paio di respiri profondi e provai a calmarmi contando fino a dieci, fallendo miseramente.

Mi avvicinai nuovamente al bancone, determinata ad avere immediatamente la pizza che mi spettava.

-Mi scusi- alzai leggermente la voce -Ci vuole ancora molto per la MIA pizza?- calcai la penultima parola, sforzandomi di rimanere educata.

Una mano mi si poggiò sulla spalla, sobbalzai per quel contatto inaspettato, girandomi per capire chi mi avesse chiamato.

-dovresti calmarti... sembra tu voglia infilarlo nel forno insieme alle pizze...- mi disse sottovoce, soffocando una risata.

Non immaginava neanche quanto avesse ragione.

Lo guardai male.

-ecco, ora vuoi incenerire anche me- ridacchiò divertito -piacere, Marco-

-Emma- sussurrai.

-Bel nome, mi piace-

Sentii le guance andare a fuoco, non mi aspettavo un complimento.

-Hai dei bei capelli- non l'avevo detto sul serio, vero?? Maledetta me che non sapevo tenere a freno la lingua.

-Grazie?- sorrise.

-Ecco a lei la sua pizza- lo scorbutico commesso mi salvò da quel momento imbarazzante.

-Era ora- sbuffai con una smorfia che voleva essere un sorriso ironico.

Pagai la pizza, stizzita per essermi persa quasi un'ora del mio programma preferito.

-Emma! - il ragazzo moro era di nuovo accanto a me.

-è il mio nome, sì- risposi ironica, desideravo soltanto poter tornare a casa il più in fretta possibile.

-Hai bisogno di un passaggio? Sembra tu abbia fretta- indicò una moto poco distante, che intuii essere la sua.

Scossi il capo con sicurezza.
-Abito qui vicino e poi... non ti conosco- non sono così sconsiderata da accettare un passaggio da un completo sconosciuto.

-Dovevo immaginarlo- sorrise lui, gentile, lasciandomi spiazzata per un attimo -speravo solo di potermi sdebitare per il fatto della pizza... quell'uomo è stato veramente maleducato-

-Tranquillo, me ne ero già dimenticata- sorrisi anche io, stupita di fronte a questa solidarietà inaspettata. -non è colpa tua, non avresti potuto fare niente-

Marco si infilò il casco -allora vado, è stato un piacere conoscerti Emma, magari ci rivedremo in giro- mi salutò con un movimento della mano, che ricambiai prima di girarmi e imboccare la via di casa.

•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~

Quella notte non riuscii a dormire granché.

Si era alzato un forte vento che continuava a scontrarsi bruscamente con la finestra, disturbando il mio sonno.

Rassegnata, ad un certo punto, ci avevo rinunciato, prendendo un libro e iniziando a leggere alla luce fioca della lampada che avevo sul comodino.

Il sonno tornò alle prime luci dell'alba, quando ormai era troppo tardi per riposare come si deve.

Qualcuno suonò al campanello più volte rendendomi impossibile ignorarlo e rimanere al caldo tra le coperte.

Mi costrinsi ad alzarmi per andare a vedere chi fosse alla porta a quell'ora.

-Arrivo, arrivo... un attimo solo- gridai mentre cercavo le ciabatte improvvisamente sparite da qualche parte sotto il letto.

Quando finalmente le trovai mi precipitai ad aprire, trovandomi davanti il postino con un pacco in mano, arrabbiato come non mai.

I postini non mi erano mai piaciuti, sempre scorbutici e la gran parte delle volte maleducati.

Mica è colpa mia se non trovo le scarpe o se non posso scendere in quel momento, non c'è mica bisogno di guardarmi male o mancarmi di rispetto.

-scusi per averla fatta aspettare, mi dica- cercai di sembrare cortese nonostante mi avesse quasi sfondato il campanello.

-sei tu Emma- si fermò per leggere il cognome dal biglietto attaccato alla scatola -Santis?- concluse con aria scocciata.

Annuii, infastidita perché mi aveva dato del tu e non del lei.

-devi firmare qui per ritirare il pacco- mi porse una penna e avvicinò una ricevuta.

Feci come mi era stato detto, per poi ringraziare e chiudermi la porta alle spalle.

Quando fui di nuovo sola poggiai lo scatolone sul tavolo, pesava molto di più di quello che sembrava.

Non ricordavo di aver ordinato qualcosa di recente... o forse mi sbagliavo?

Con un paio di forbici tagliai lo scotch e ne rivelai il contenuto.

Tubetti di acrilici colorati e pennelli si dispersero sulla superficie in legno mentre prendevo l'unica cosa che dall'inizio attirava la mia attenzione: una scatola da 80 colori Caran D'Ache.

L'avevo ordinata mesi fa per poi dimenticarmene, erano anni che aspettavo di poter usare quelle che definivo le "migliori matite sul mercato", e ora erano finalmente mie!

Non me lo feci ripetere due volte e corsi ad infilarmi un paio di pantaloni della tuta e una felpa larga, afferrai il mio blocco da disegno e i colori e mi precipitai a prendere le chiavi, per poi uscire di casa.

Come sempre il mio aspetto non era dei migliori, constatai guardandomi allo specchio dell'ascensore mentre provavo a raccogliere i miei capelli in due codini disordinati.

Le strade erano deserte, il sole batteva incessante mentre un venticello fresco mi solleticava il collo scoperto.

Mi sedetti su una panchina all'ombra di un albero, di fronte al duomo della mia città, decisa a ritrarlo.

Incrociai le gambe e ci posai il blocco, prendendo una matita 1H per tracciare la bozza leggera sul foglio bianco.

Nonostante fosse domenica mattina, era ancora troppo presto perché le vie si popolassero, il silenzio era interrotto solo dal fruscio delle foglie e dal passaggio di alcuni che avevano approfittato della bella giornata per una corsetta mattutina.

Mi persi nella pace di quel luogo, con la mina che scorreva sulla pagina seguendo i dettagli della chiesa.

Con precisione disegnai le due bifore del campanile e gli archi a sesto acuto a cui sottostavano, per poi contemplare il lavoro che avevo fatto e passare ad inchiostrare con una bic nera.

-Ehy scusa, posso sedermi qui?- una voce conosciuta mi strappò ai miei pensieri.

Alzai il capo e mi ritrovai davanti un ragazzo alto dai capelli riccissimi, che mi osservava con i suoi occhi dello stesso colore del muschio e un sorriso stampato sul volto.

-Emma sei tu! Non ti avevo riconosciuta- rise lui passandosi piano la mano tra i ricci, come per ravvivarseli.

In effetti quel ragazzo aveva un aspetto familiare, però non riuscivo a ricordare dove l'avevo già incontrato... come faceva a sapere il mio nome?

Un flash mi riportò alla sera prima, nel parcheggio della pizzeria.

Ecco dove l'avevo incontrato!

Mi portai una mano alla fronte -Marco, giusto?-

-in persona- rise ancora, imbarazzato.

-comunque certo, ti faccio spazio- mi spostai ad un lato della panchina, lasciandogli l'altra metà.

-grazie, non volevo disturbarti, mi sembravi concentrata- con un cenno indicò il disegno incompleto.

Annuii -tranquillo, nessun disturbo...- sorrisi.

-Anche tu mattiniera?-

-in realtà no... ho ricevuto queste matite stamattina e non vedevo l'ora di provarle... altrimenti sarei rimasta a dormire- scherzai -tu invece? Che ci fai in giro a quest'ora?-

-Volevo approfittare della giornata soleggiata per dipingere un po', a casa non trovavo più ispirazione- mi mostrò lo zaino che non avevo ancora notato, era colmo di tempere e pennelli.

Rimasi a bocca aperta.

-Anche a te piace disegnare?- chiesi, per poi rendermi conto che era stupida come domanda visto che era qui per il mio stesso motivo -scusa, risposta scontata-

-in realtà preferisco dipingere- tirò fuori dallo zaino una tela di medie dimensioni e una tavolozza.

-io non sono molto brava a dipingere, ci provo ma finisco sempre per combinare qualche casino e rovinare tutto... preferisco di gran lunga i colori a matita- risi.

Intorno a noi calò un silenzio imbarazzato, Marco tornò a concentrarsi sulla sua tela e io sul mio disegno.

-Sei brava a disegnare, non riuscirei mai- mi sentii arrossire.

-grazie, anche tu a dipingere- sorrisi notando come il suo naso si fosse leggermente tinto di rosso, evidenziando una spruzzata di lentiggini appena visibili.

La mattinata passò in fretta, tra una chiacchiera e l'altra arrivò l'ora di pranzo e ricordai all'improvviso di non avere nulla da mangiare a casa, dovevo assolutamente appuntarmi di fare la spesa il prima possibile.

-Devo andare a cercare un posto per pranzare- dissi interrompendo il silenzio.

-idem, ti va se andiamo insieme? Conosco un posto qui vicino dove si mangia bene... ovviamente se hai voglia- propose Marco, sembrava a disagio.

-Va bene- accettai, raccogliendo le mie cose e alzandomi per seguirlo.

Arrivammo ad un bistrò e ci accomodammo ad un tavolino in fondo alla sala, uno di fronte all'altro.

Ordinammo e di nuovo calò il silenzio.

-vai all'università?- decisi di aprire una conversazione, nonostante fossi molto timida.

-sì, architettura al secondo anno... vorrei restaurare opere d'arte, è il mio sogno da quando ero bambino- sorrise -tu invece? -

-faccio biologia, sono al primo anno... devo ancora capire cosa fare dopo- risi -appena ho del tempo libero, però, ne approfitto per scrivere o disegnare-

-io per dipingere... diciamo che tutta la mia vita gira intorno all'arte-

-è bello che fai qualcosa che ti fa stare bene-

-già...l'arte mi fa sentire vivo, come se fosse l'unico modo per esprimere ciò che ho dentro- notai i suoi occhi brillare e il loro colore verde intensificarsi, non potetti fare a meno di guardarlo con gioia, era bello vederlo felice, anche se non lo conoscevo bene.

-stessa cosa con la scrittura, solo scrivendo riesco a tirare fuori ciò che ho dentro- confessai un po' a disagio, non ero abituata a parlare delle mie passioni.

Inaspettatamente lui sorrise, facendomi a sentire a mio agio.

-è stato bello passare del tempo con te, sei simpatica- Marco si alzò e mi porse la mano per aiutarmi.

-Anche tu, mi sono divertita- sorrisi, afferrandola.

-potremmo ripeterlo ogni tanto, se ti va- propose mentre uscivamo.

-Certo, ti do il mio numero così ci organizziamo- dissi, porgendogli il telefono per farglielo salvare.

-Allora ci sentiamo, ciao Emma!-

-Ciao Marco!- lo salutai con la mano, guardandolo allontanarsi.

Quando sparì dietro l'angolo della strada, mi girai e imboccai la via di casa, in testa impressi i suoi occhi color selva e la rughetta che gli si formava sulla fronte quando sorrideva.

💫ANGOLO AUTRICE💫

Salve gente!! Sono tornata con una nuova storiella... stavolta romantica (o almeno ci provo)
💫❤
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate e se volete lasciate una stellina o un commento
Vi voglio bene ❤, la vostra

💫Rob💫

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