𝐗𝐈𝐈. 𝐋𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐂𝐚𝐞𝐥𝐚𝐧


Casey non si stupì più del dovuto quando vide che ad avergli aperto la porta fosse stato Gray, anziché Crystal. Fino ad allora non si erano conosciuti di persona, ma Leroin aveva sentito parlar bene di quel ragazzo e guardandolo in faccia, negli occhi, subito comprese di aver davanti a sé una brava persona. Si sbrigò a presentarsi, scorgendo sul viso del giovane una palese e comprensibile confusione: «Spero di non averti svegliato. Io... uhm... io sono Casey Leroin. Non so se Crystal ti abbia parlato di me o meno, comunque... ho saputo degli ultimi sviluppi in merito alla faccenda di Olegov e so che Crystal non ha preso bene la faccenda. Vorrei parlargli, se possibile».

Grayson ricordava eccome Casey. Crystal aveva parlato di lui per almeno un'ora buona e lo aveva definito, con ben poco garbo, un nanerottolo saccente e spaccone. In tutta franchezza, guardandolo, a lui faceva solo venire un mente una volpe, specie per via dei capelli fulvi e dei vispi occhi ambrati incastonati in un viso dall'ossatura delicata impreziosito da lineamenti graziosi, quasi da folletto dei boschi. Era un Indigo proprio come Crystal e la cosa risultava piuttosto palese. Si era guardato in giro da quando era arrivato a Mythfield e aveva già imparato a distinguere bene gli Alfa dagli Omega, gli Omega dai Beta e tutti e tre dai rari, e a quanto pareva preziosi, Indigo. Questi ultimi sembravano degli angeli per via del loro aspetto impossibile da classificare come maschile o femminile. Erano entrambe le cose e nessuna delle due. Da quel che gli aveva detto Vargos, un punto in comune lo avevano, ossia un gran bel caratterino col quale era meglio non scherzare troppo. La carenza di muscoli veniva compensata da un'indole spesso suscettibile e a tratti persino pericolosa. Bastava guardare Crystal per capire che era la verità. Quel ragazzo era capace di abbattere creature mostruose dieci volte più grandi di lui e non tutto poteva essere spiegato con l'abilità magica.

In quanto a Gray, lui non aveva dormito tutta la notte e solo verso le quattro del mattino Crystal si era deciso ad aprirgli la porta e farlo entrare in camera. Alle sei il povero Hawthorn era crollato, provato dalla notte insonne trascorsa a piangere e a maledire i propri natali e la propria natura. Grayson avrebbe potuto benissimo forzare la serratura con la magia, ma non aveva voluto farlo perché non era tipo da invadere la privacy altrui.

Trattenne un sospiro e si fece da parte per far entrare Casey. «Sta ancora dormendo» disse rauco. «Le ultime ore sono state un inferno, se devo esser onesto.»

Casey annuì con aria sinceramente afflitta e preoccupata. «Posso solo immaginare e non biasimo Crystal. Non ci siamo conosciuti nel migliore dei modi e... beh, sarei un ipocrita a dire di provare simpatia nei suoi confronti, ma quando mi hanno raccontato della sua reazione... non potevo far finta di niente, non quando la mia e la sua situazione sono legate, in un modo o nell'altro. Voglio aiutarlo e dargli la possibilità di sfogarsi. Ne ha bisogno.»

Gray si umettò le labbra e fece un debole cenno con la testa. «Non ha neppure voluto mangiare. Non lo conosco da molto, però fino a ieri sera non l'avevo mai visto in un stato come quello. I-Io... io ho davvero paura che possa fare qualcosa di avventato e stupido. Finché non si è addormentato ha continuato a parlare, a dire... a dire, ogni tanto, cose strane e preoccupanti. Non so bene la sua storia, non ha mai voluto parlarne apertamente, ma penso che abbia raggiunto il famoso punto di rottura. C'è un limite alle sofferenze che una persona può tollerare nel corso della vita e lui.. lui, credo abbia semplicemente sofferto troppo, considerata la sua età.»

Casey si accigliò. «Cos'ha detto di preciso?»

Jennings si strinse nelle spalle. Aveva lo sguardo lucido e stentava a far uscire di bocca le parole. «U-Un paio di volte ha ripetuto quel che aveva già detto prima di chiudersi in camera. Insomma... diceva di voler farla finita. Che era il solo modo per mettere fine a tutto e avere pace. Che finché fosse rimasto in vita n-non sarebbe mai stato libero.» Con gli occhi pregò Casey di non chiedergli altri approfondimenti, perché non aveva la forza né il coraggio di rievocare i disperati sproloqui del ragazzo. «Vargos mi ha parlato un po' di te e ha detto che sei una persona affidabile, e io mi fido del suo giudizio, perciò... se puoi aiutarlo, ti prego di farlo. Non voglio più vederlo soffrire. Non è giusto.»

«È proprio per aiutarlo che mi trovo qui» lo rassicurò Leroin, il quale si era quasi sentito male udendo il breve racconto del mago. «Comunque... non penso farebbe una cosa simile. Se c'è una cosa che ho capito al volo di Crystal, è che è una persona orgogliosa e come tale non arriverebbe mai a togliersi davvero la vita. Se davvero uccideva i mostri prima di arrivare qui e per tanti anni se l'è cavata facendo affidamento solo su se stesso, questo significa che è una persona abituata a lottare e a vincere le sfide che la vita gli pone davanti. Crystal è un guerriero e dobbiamo fare in modo che ricordi di esserlo.» Il ragazzo abbozzò un sorriso e batté piano una mano sulla spalla di Jennings. «Coraggio, Gray. Credo che il primo passo sia fargli trovare una colazione decente! Le cose si affrontano meglio davanti a una bella tazza di caffè e a un pasto caldo. Ti darò una mano.»

Gray cercò di sorridere a sua volta. «Grazie per essere qui» si limitò a dire. Lo guidò fino nella piccola cucina e insieme si dettero da fare e, nel frattempo, pensarono a un modo per intavolare una conversazione proficua con Crystal. Mezz'ora più tardi videro far capolino nella stanza la bionda e ribelle chioma dai riflessi d'argento dell'Indigo. Aveva il viso insolitamente cereo e le tipiche occhiaie di chi aveva dormito poco e male. I suoi occhi violetti erano spenti, quasi apatici.

Per un attimo fu chiaro che si fosse convinto di avere le traveggole nel vedere in cucina Casey.

«Ma che...» biascicò rauco. Le sue narici catturarono nello stesso istante un profumo invitante e dolce, leggermente vanigliato. Vide sul tavolo quadrato un piatto sul quale giacevano fumanti e dorati pancake, vicino ad essi una piccola bottiglia di sciroppo d'acero e un piattino sul quale era stato adagiato un panetto di burro. All'odore dei dolci seguì quello amaro, tostato e intenso di caffè appena fatto. Esitò, infine si fece avanti e guardò direttamente Casey. «Che ci fai qui?» chiese, davvero stupito.

Casey si strinse nelle spalle. «So che hai fatto di nuovo scena, ma onestamente sono qui perché... penso di non essermi comportato bene con te e volevo chiederti scusa, Crystal. A volte dimentico le buone maniere e torno a essere lo stronzetto che metteva dentro le borse delle proprie compagne di liceo delle rane morte!» Sbuffò una debole risata e poi giunse le dita di entrambe le mani a poca distanza dal viso, tornando serio. «Sul serio... scusa. Non è stato carino da parte mia metterti sotto il naso una pistola e fare la parte del mafioso di turno. Non sono così e mi sarei dovuto comportare da persona matura.» Accennò con il capo al cibo. «Perciò... ho convinto Gray a darmi una mano per preparare la colazione, anche se non è chissà cosa. Vedi tutto quanto come un ramo d'ulivo.»

Gray e Crystal si guardarono e il primo pregò con gli occhi di accettare l'offerta di pace. Hawthorn, forse perché attualmente non aveva la forza di discutere o di fare il gradasso come suo solito, si arrese e annuì, lasciandosi cadere su una delle quattro seggiole.

«So che mi beccherò un vaffanculo per una simile domanda scema, ma... come ti senti?» chiese Casey. 

«Non saprei» replicò rauco Crystal, cercando di non suonare troppo sardonico. «Vediamo... ieri ho scoperto che un pazzo intende ingravidarmi e poi uccidere me e il frutto della violenza carnale come offerta a un dio di cui non ricordo neppure il nome per motivi che onestamente ho rimosso nel corso di questa notte infernale. Per il resto tutto bene, sul serio. Una meraviglia. Da quando mi sono svegliato vedo solo unicorni sulla carta da parati e arcobaleni in giro per questa cazzo di dependance. Dammi un altro giorno e raggiungerò il Nirvana, suppongo.»

Casey sbuffò una risata. «La prossima volta sii meno prolisso e di' semplicemente di stare da schifo» lo rimbeccò sagace.

Crystal curvò un angolo della bocca verso l'alto e accettò la tazza di caffè che l'altro ragazzo gli aveva appena allungato. La sollevò a mo' di brindisi. «Non sei così male, dopotutto.»

Leroin sogghignò e ingollò un sorso della calda bevanda. «Signor Hawthorn, non mi faccia arrossire. Sono fidanzato, dopotutto.»

Gray, senza riuscire a frenarsi, schiarì rumorosamente la voce. Crys, allora, da sotto il tavolo gli assestò uno scherzoso e lieve calcio allo stinco. «Piantala, Hocus Pocus. Ci sei ancora tu nei miei sogni più sporchi e vietati ai minori di diciotto anni.» Quasi subito quell'accesso di giocosità ebbe fine e ben presto Crystal tornò serio. «A proposito... mi... mi dispiace di aver detto quelle cose ieri notte. Non ero in me e non avevo smaltito del tutto la sbronza. Sommato al resto, quindi, credo di aver toccato il fondo.» Non era mai stato da lui mollare la presa e arrendersi al fato, e non riusciva a perdonare a se stesso di averlo fatto nel peggior momento possibile. «Non mi ammazzerei mai. Sono troppo narcisista per farlo, a esser sincero» aggiunse, ravviandosi i capelli con aria imbarazzata. «Scusami, Gray. Davvero.»

Jennings gli strinse una mano. «Non fa niente. Mi importa solo di vederti stare bene.»

Hawthorn, dunque, si rivolse di nuovo a Casey. «Riguardo alla nostra chiacchierata... accetto il tuo aiuto. È una faccenda che va oltre le mie capacità e ieri ci ho sbattuto la testa quanto bastava a rendermi conto che da solo finirò davvero per venir messo all'angolo da quel pazzo. Voglio solo che tu mi assicuri una cosa, Casey: uccideremo insieme Stefan Olegov. Ci assicureremo che la faccia finita di andare in giro a insidiare poveri Indigo a caso per sacrificarli su un altare. Lo voglio morto e poi... poi voglio un po' di pace, una vita normale. Voglio...», i suoi occhi violetti si diressero verso Gray. «Voglio provare a metter radici e voglio che quello che si sta creando con quest'uomo al mio fianco funzioni. Voglio un futuro decente e per assicurarmelo devo prima liberarmi di Olegov. Penso che per te sia lo stesso, no?»

Casey si sentì sollevato di fronte a quell'inaspettato cambio di rotta. Era incredibile come Crystal fosse capace di incassare un colpo duro come quello ricevuto la notte prima senza frignare più del dovuto. «Di fronte a tanta forza di volontà e coraggio, Crystal, io mi inchino» disse sincero, sorridendo di sbieco. «E hai la mia parola che distruggeremo insieme quel bastardo. Non l'avrà vinta e voglio impegnarmi a cancellarlo dalla faccia del globo perché a casa ho tre figli e un compagno che amo con tutto il cuore ad attendermi. Olegov voleva i miei bambini e non è riuscito a metter loro addosso le grinfie, e so che purtroppo, appena verrà a risapere che ci troviamo qui, tornerà all'attacco. La tua presenza a Mythfield servirà da ulteriore richiamo, temo, ma non andrà come l'ultima volta. Non finiremo come Caelan Elimar. Noi lotteremo e vinceremo. Siamo cazzuti, poco importa cosa abbiamo fra le gambe. Abbiamo le palle d'acciaio ed è tempo che tutti quanti si ficchino bene in testa che gli Indigo non sono solo un trofeo da vincere o prede da conquistare.»

Malgrado lo sceriffo Aguillard gli avesse detto di andarci piano con le congetture, lui sapeva, sentiva che Simon Tarren e Olegov avevano avuto a che fare con la morte prematura di Caelan. 

Grayson schiarì la voce. «Riguardo a Caelan» disse, attirando l'attenzione di entrambi, «Ragos mi ha raccontato una cosa inquietante e curiosa sul suo conto».

«Ovvero?» incalzarono entrambi in coro, Casey avido di informazioni che potessero avvallare le proprie supposizioni.

«Prima di dirvelo, voglio aggiungere che Ragos mi ha fatto giurare solennemente che non avrei riferito nulla di tutto quanto a suo fratello, quindi ora, voi, dovete promettere come ho fatto io.»

«Non siamo due vecchiette pettegole dal parrucchiere» gli fece notare Crystal, lievemente urtato. 

«Lo promettiamo» tagliò corto Casey. «Parla, Gray.»

Jennings si umettò le labbra e raccontò a entrambi quanto aveva scoperto Ragos sulle circostanze seguenti alla morte di Caelan. Quando ebbe concluso, nella stanza piombò un denso silenzio.

«Cristo santo» esalò poi Hawthorn, inquieto. «Spero solo di non sognarmelo stanotte.»

Leroin si umettò le labbra, assalito da un leggero accesso di nausea. «Quindi era come pensavo: Calean aspettava un figlio e quasi certamente morì per tale ragione. Lo sceriffo mi ha parlato di lui e insieme a ciò che ha detto Vargos sul conto dello zio, era chiaro che una gravidanza, ancora più faticosa e difficile da affrontare per un Indigo, avrebbe ucciso un Alphaga delicato come Caelan. Non aveva speranze, eppure... eppure non capisco perché non volle liberarsi del bambino. Certo, anche io alla fine ho portato avanti la gravidanza, ma in fin dei conti sono stato costretto a farlo e poi... poi non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo con l'aborto. Caelan rischiava davvero la vita, però, e ne era sicuramente consapevole. Mi chiedo se scelse appositamente di morire, a questo punto. Non so cosa pensare, onestamente.»

Non era molto convinto da quell'ultima ipotesi. Sarebbe stato tutto più semplice se avessero avuto modo di parlare con qualcuno che gli era stato accanto all'epoca, ma Farron Elimar, il fratello di Caelan, era morto e così pure la moglie, e Ragos e Vargos erano solo dei bambini all'epoca. 

«Non potremmo, che so, fare una seduta spiritica?» buttò lì stupidamente Crystal. «In certi film di solito si fa così.»

«Magari con la tavola ouija, vero?» gli fece eco Casey, sarcastico. «Non funziona così e penso che tu e Gray lo sappiate meglio di me.»

Jennings sospirò. «Teoricamente sarebbe possibile mettersi in contatto con un defunto, ma occorrono competenze delle quali io sono sprovvisto ed è comunque difficile quanto pericoloso. Dipende dallo spirito che si vuole evocare, tra l'altro. Alcuni si rifiutano categoricamente di interagire, di lasciare l'Aldilà per tornare nel mondo materiale e parlare. Non penso che Caelan vorrebbe rievocare gli eventi che lo hanno portato alla morte. La dipartita è già di per sé un trauma per tutti, se poi è avvenuta in circostanze negative ecco che il gioco è fatto.»

«Beh, ciò non toglie che sommando quanto ho scoperto fino ad ora con ciò che hai detto tu, Gray, qualcosa stesse bollendo da un pezzo in pentola. Nessuno mi toglierà dalla testa che Olegov cercò di fare la stessa porcata con Caelan, prima di ripiegare su di me e infine su Crystal. E noi siamo solo due casi accertati. Non possiamo essere sicuri di quanti altri Indigo siano stati coinvolti e forse... forse siano infine morti pur di dare a quel mostro ciò che lui desiderava. Non so quanti Indigo siano attualmente in vita, ma non rimarrò con le mani in mano mentre Olegov li divora uno a uno come il dannato lupo cattivo.»

«E se fosse già alla ricerca di un altro di noi?» suggerì inquieto Crystal. 

«Appunto. Non faccio che pensarci tutti i giorni» ammise sconsolato Leroin. «Ho i brividi e la nausea al solo pensiero.»

«Però... questo potrebbe darci un po' di vantaggio in fatto di tempo» azzardò l'altro Indigo. «So che è orribile, ma finché sarà impegnato con un altro disgraziato nelle nostre identiche condizioni, noi avremo la possibilità di prepararci al suo prossimo attacco. Ci dà la caccia da quando siamo nati, Casey. Non mollerà l'osso così facilmente, lo hai detto anche tu.»

«Sì, ma è davvero orrendo permettergli di torturare qualcuno mentre noi... mentre noi ce ne stiamo qui al sicuro, aspettando che venga a bussare alla nostra porta.» Casey era visibilmente arrabbiato e combattuto. «Io sono suo figlio e guarda cos'è stato capace di farmi. Sono stato venduto come carne da macello al miglior offerente, a un uomo al quale non avevo fatto niente di male e che mi ha maltrattato per mesi. E tu, Crystal... tu hai perso la tua famiglia. I tuoi genitori sono stati barbaramente uccisi, prima Emery e poi Dion. È una scia di sangue senza fine e...», si bloccò, lo sguardo perso nel vuoto, infine scattò in piedi. «Invece c'è qualcuno che può dirci cosa accadde a Caelan! C'è eccome! Vestitevi tutti e due! Veloci, dai!»

«Ma di che cazzo vai cianciando, rosso?» chiese Crystal, spaesato. 

Casey batté le mani sul tavolo. «La governante degli Elimar! È ancora viva e lavorava lì da prima che Vargos e Ragos nascessero! L'ho persino conosciuta!»

«Non so se sia una buona idea» tentò Gray, perplesso. «Voglio dire... piombi lì e inizi a tempestarla di domande su Caelan Elimar? Le verrebbe un colpo.»

«È l'unica pista che abbiamo! Basta andare alla villa degli Elimar! So che Ragos ci vive ancora!»

«E se...», Crystal sospirò. Non riusciva a credere a ciò che stava per dire, ma sentiva di dover fare quel che stava per suggerire di fare. «E se andassi io? In fin dei conti sono il più abituato a questo genere di cose, no? Mi è capitato spesso di dover indagare qui e là prima di dare la caccia a dei mostri. E comunque... beh... ammetto di non essermi comportato bene con Ragos e ho bisogno di chiarire le cose con lui, onestamente. Se lavoreremo insieme dovremo andare tutti quanti d'accordo e so che finché non ci saremo scornati ben bene, da stronzi quali siamo entrambi, non potrà esserci la pace richiesta da una situazione del genere.» Si alzò a sua volta. «Lascia che vada io, Casey. Posso farcela e... ho davvero bisogno di lavorare, di un obiettivo concreto e dietro l'angolo. Lascia che faccia la mia parte.»

La signora Basil era una donna ormai in là con gli anni, ma non aveva mai perso la tempra che l'aveva caratterizzata sin dalla gioventù. Camminava con la schiena ben diritta e adorava indossare una gonna a coste di Principe di Galles dentro la quale veniva fatta scivolare con impeccabile cura una camicia di seta dalle maniche leggermente a sbuffo. A ornarne il colletto ben abbottonato c'era sempre un cammeo di opale, un elegante regalo che era stata la defunta e ultima signora Elimar a farle.

Heather Basil non si era mai sposata e aveva preferito pensare ai figli degli altri, anziché averne e crescerne di propri, ma non andava immaginata come la classica vecchia zitella dall'aria arcigna. Era ben educata e dall'ancora marcato accento britannico, anche se in teoria era scozzese di nascita, venuta al mondo in un paesino popolato da Alphaga, ma aveva vissuto in Scozia solamente per i primi cinque anni dell'infanzia prima di seguire i genitori a Londra.

Da giovane era stata bella, arguta e non aveva perso mai del tutto tali qualità. I fiammanti capelli rossi avevano ceduto il passo al grigio e al bianco, e solo poche ciocche di spento rame ormai variegavano il raffinato chignon in cui era solita acconciare la chioma. I suoi occhi azzurri avevano visto molte cose in tanti anni di servizio presso la casa degli Elimar, assistito alla giovinezza del padre di Farron e Caelan, alla nascita di questi ultimi e poi a quella di Vargos e Ragos. Purtroppo avevano anche visto la morte di quasi tutti i membri del nucleo familiare che considerava come suo. Le aveva pianto il cuore quando Vargos si era rifiutato di restare in quella dimora e aveva scelto di cedere la proprietà e la responsabilità sul maniero dall'antico aspetto coloniale al fratello minore.

Quella casa, un tempo stata felice e accogliente, sembrava essersi rabbuiata e riempita di ombre per via dei tanti tristi avvenimenti avvenuti al suo interno.

Lei e gli altri due soli domestici si trovavano seduti nella grande cucina dall'aria antica quando udirono il campanello suonare e riecheggiare fin là. La tazza di tè fumante della signora Basil rimase a mezz'aria e così pure quelle di caffè della giovane cameriera Mabelle e di Lucas, il ragazzo che si occupava dei giardini.

La Basil fu la prima a posare il tè e ad alzarsi dalla seggiola dell'ampio tavolo stipato al centro della stanza. «Magari... magari si tratta del signor Elimar, di Vargos» disse fra sé, non poco speranzosa. Ultimamente Ragos le era sembrato stare peggio che mai e forse la presenza del fratello sarebbe riuscita a scuoterlo un po'.
Come sempre faceva prima di andare ad aprire, si sistemò l'acconciatura e la gonna, si rese presentabile al meglio e poi, fermatasi al portone, aprì. Non poca fu la sua sorpresa quando si rese conto che la persona mingherlina dai lunghi capelli biondi e due grandi occhi color lillà non potesse essere in alcun modo Vargos. Aveva, tuttavia, un'aria familiare. Heather sbatté le palpebre. «Desidera?» chiese cortese.

Crystal, invece, subito capì di avere di fronte la governante. «Uhm... sono qui perché gradirei parlare sia con Ragos che con lei, signora Basil. Sono Crystal Hawthorn e...»

«Hawthorn?» lo interruppe la donna, senza fiato. «Hawthorn, dice?» ripeté incredula.

«Uhm, sì» confermò il giovane, confuso. Pareva quasi che la donna avesse appena assistito all'apparizione di un fantasma. Rimase di sasso quando la signora Basil si avvicinò e gli prese il viso fra le mani, gli occhi di colpo lucidi, il corpo che tremava. «Giorni celesti! Oh, sei tu! Ma guardati! Guarda come sei cresciuto!» Sembrava una nonna che dopo tanti anni aveva finalmente rivisto il nipote, cosa che lasciò ancora più basito il povero e spiazzato Indigo.

«Io... io credo di essere un po' confuso» ammise il ragazzo.

Lei fece un passo indietro e giunse le mani sul grembo, sospirando. «N-Non mi stupisce. Eri un neonato quando lasciasti questa città con tuo padre, il povero Dion.» Scosse la testa. «Mentre lui e il signor Elimar facevano i preparativi per la vostra tempestiva partenza, ti affidarono a me. Per un po' fui io a cambiarti, a cullarti e a darti il biberon, sai?»
Estrasse dall'interno di una tasca ben celata nella gonna un fazzoletto di trina e si tamponò le guance, persa nel ricordare quel minuscolo e fragile bambino. «Piangevi quasi sempre, come se sentissi la mancanza di Emery e sapessi che non sarebbe mai tornato. Ricordo che Vargos era ancora molto piccolo e ogni tanto si affacciava nella nursery o sulla tua culla. Lui pareva andarti a genio, smettevi subito di piangere non appena arrivava. Se allungava una mano tu subito gliela afferravi e facevi delle smorfie. Non sapevi sorridere un granché bene, ancora. All'epoca la signora Elimar aveva da poco scoperto di essere di nuovo incinta, ricordo.»

Crystal si sentì strano nell'udir rievocare ombre di un passato che non poteva in alcun modo rimembrare. Gli dispiaceva quasi di non poter ricordare certi attimi.

Quindi... conoscevo Vargos da prima di parlare con lui dopo esser stato convinto da Ethel ad accettare il suo aiuto. E lui ricorda di avermi già conosciuto?

Era improbabile. Facendo due calcoli, Vargos all'epoca aveva appena quattro anni e lui doveva esser rimasto in quella dimora solamente per pochi giorni. Il suo ricordo era stato cancellato dalla mente infantile e poi divenuta adulta del maggiore dei fratelli Elimar, e la cosa... un po' gli dispiaceva. Apriva delle finestre nella sua mente che si affacciavano su mille e più scenari di ciò che sarebbe potuto essere e invece mai era stato; di cosa sarebbe potuto accadere se Dion fosse rimasto a Mythfield e avesse scelto di crescerlo lì, di tenerlo al sicuro nel luogo in cui Emery era sì morto, ma lui era invece venuto al mondo, circondato dai propri simili.

Sapeva che Dion aveva solo cercato di proteggerlo, di allontanarlo dal pericolo rappresentato da Olegov e i suoi compari, ma per la prima volta lo assalì il dubbio che forse suo padre avesse commesso un errore madornale, spinto dalla paura e dal dolore. Uno sbaglio che Dion infine aveva pagato con la propria vita condannando Crystal, inevitabilmente, a un'infanzia difficile e traumatica costellata di abusi da parte di coloro che avrebbero dovuto trattarlo come un figlio. E cosa dire dell'aver dovuto vivere come un reietto per strada, andare avanti a suon d'espedienti umilianti che lo avevano condotto a scelte difficili? Suo padre aveva voluto proteggerlo, ma aveva ottenuto l'esatto contrario. Lo aveva lasciato da solo in un mondo spietato che lo aveva divorato intero, proprio come i mostri erano soliti fare con i bambini abbandonati a se stessi nei fantomatici e temuti boschi colmi di pericoli.

«Non sapevo tutto questo» ammise rauco. Cedette subito dopo a una tentazione e chiese: «Può... può dirmi qualcosa in più su Dion? È morto quando ero piccolo e onestamente non ricordo molto di lui.»

La signora Basil sospirò tristemente. «Oh, Dion... povero Dion! Era così distrutto dopo la morte di Emery ed era sprofondato nella paranoia. Neanche i signori Elimar lo riconoscevano più e le loro famiglie erano molto amiche e legate. La morte di Emery cambiò tutto, proprio come quella di Caelan.» Scosse la testa e dovette soffiarsi il naso. Era come se parlare di quella faccenda e, soprattutto, di Caelan, le facesse male al cuore. Doveva essere davvero affezionata a quella famiglia.

Crystal si sentì vicino al pianto a propria volta nel sentire quel breve resoconto dello stato psicologico di suo padre dopo la morte di Emery. Corrispondeva con la testimonianza di Rebecca.
Come dovrei chiamare quella persona, poi? Mamma o papà?
Si chiedeva quali fossero le tradizioni famigliari fra gli Alphaga e di nuovo lo trafisse il senso di inadeguatezza e profonda ignoranza. Di Emery conosceva solo l'aspetto fisico, un po' dei retroscena che Casey aveva raccolto parlando con lo sceriffo e, infine, il modo orribile in cui era morto quell'Omega. Non sapeva nient'altro e odiava il non riuscire a provare empatia né rabbia o dolore nei confronti di Emery. Dentro di sé andava ripetendosi che era sbagliato, che persino un rettile avrebbe mostrato più rispetto e dispiacere, ma sapeva, tuttavia, che non era colpa sua. In fin dei conti come si poteva elaborare un lutto che non si rimembrava e al quale non si era assistiti? Quella persona era morta pochi minuti dopo la sua nascita. Lui era venuto al mondo ed Emery lo aveva invece lasciato, come se l'equilibrio fra vita e morte avesse trovato, come sempre, la maniera di ristabilirsi. Non si erano mai conosciuti davvero e di certo il fatto che lui si fosse sviluppato per mesi nel grembo di Lilrose non era una valida scusa.

«Posso... posso entrare un attimo, signora Basil? Ho bisogno di farle qualche domanda e la prego di aiutarmi. È importante.»

La donna annuì e lo fece passare, poi lo scortò in un elegante soggiorno dal tipico stile coloniale e d'altri tempi. Sarebbe risultato confortevole, ma vuoto com'era... appariva freddo, tutto sembrava morto. Deglutì e si accomodò su uno dei morbidi divani, proprio accanto alla signora Basil. «Che cosa vuoi chiedermi, caro?» chiese lei, esitante.

«A fronte di quanto ho realizzato poco fa, sono tante le cose che vorrei domandarle, ma... è per parlare di Caelan che mi trovo qui, almeno oggi.»

Lei perse un po' di colore sulle guance. «D-Davvero?» incalzò titubante, la voce di colpo più argentina e al tempo stesso flebile.

«Sì, signora Basil.» Crys sospirò. «Siamo onesti, nella scomparsa dello zio di Vargos e Ragos c'è qualcosa che palesemente non torna e... so che Ragos ha scoperto una cosa su Caelan. Una cosa che Farron e la moglie fecero in modo di insabbiare e nascondere dentro una scatola che sigillarono con l'aiuto di uno strego. È ovvio che andò così, visto che Ragos, per aprirla, dovette rivolgersi a qualcuno capace di togliere il sigillo magico.»

La Basil deglutì a vuoto ed evitò gli occhi viola del giovane. «C-Capisco, quindi...»

«Sì, signora Basil. So che Caelan aspettava un figlio quando morì. Era al sesto mese, giusto?» Crystal non riusciva a non essere educato e decisamente più delicato del solito con lei. Si sentiva incapace di fare il solito spaccone e comunque, se anche così non fosse stato, non ne era in vena.

La donna parve perdere, dopo tanti anni, una lotta interiore che a lungo si era protratta. Esalò un lungo e stanco respiro. «Sì. Purtroppo morì e portò con sé il piccolo. Vedi... Caelan... lui n-non avrebbe mai dovuto avere dei figli. Non solo perché era debole, lo era stato sin dalla nascita, ma perché il suo utero era... come dire... difettoso, inadatto a portare avanti nel modo corretto una gravidanza. Non so perché decise comunque di rischiare, nessuno lo sapeva, neppure il fratello. La settimana prima di morire fu colto da forti dolori, da un malessere generale e dalla febbre, e se ne andò quella stessa domenica. La peggiore domenica della mia vita e... naturalmente di tutta la sua famiglia. Farron era distrutto e la signora Elimar, Lenore, pianse per giorni. Lo amavano con tutto il cuore, io lo avevo cresciuto dopo che la madre era morta dandolo alla luce.»

«Che cosa gli accadde veramente?»

«Oh, b-beh...», la signora Basil deglutì. «Una sera tornò a casa. Era uscito, anche se tutti gli avevano ripetuto che non era saggio, non con gente come Stefan Olegov nei paraggi, ma era stanco di restare sempre chiuso in casa. Mi salutò e mi sorrise, mi assicurò che sarebbe tornato nel giro di un'ora, ma rientrò solamente alle otto di sera, quando ormai era calato il buio. Gli abiti erano ridotti da far pietà, era più debole del solito e lo aiutai a svestirsi e a farsi un bagno. Fu allora che notai dei lividi e dei segni. Gli era successo qualcosa di orribile: aveva gli occhi vuoti, persi nel nulla, e sobbalzava tutte le volte che lo toccavo per aiutarlo a lavarsi. Poi, di colpo, mi strappò di mano la spugna e iniziò a strofinarsi ogni centimetro di pelle con insistenza, quasi in modo maniacale. Dovetti fermarlo, rischiava di fare seri danni a se stesso e non se ne rendeva neppure conto. Dava l'idea di voler scorticarsi pur di togliersi di dosso qualcosa che solo lui riusciva a vedere o a sentire.»

Crystal annuì, sottosopra per tale racconto. «E poi?»

«Rimase a letto per giorni e io, ovviamente, riferii tutto a suo fratello e alla sua cognata. Erano impegnati con i disordini di Mythfield, ma si trattava di una cosa seria. Caelan stava sempre peggio e disse infine la verità: Olegov lo aveva...», la donna si interruppe, incapace di dire quella parola. «S-Si era approfittato di lui, si era preso... insomma... delle libertà, ma non era questa la parte peggiore. Confessò a Farron che in realtà... Stefan avesse intrapreso con lui una relazione e neppure di recente. Disse di aver conosciuto quell'individuo abominevole a Caverney Town, mentre si trovava laggiù per trascorrere del tempo insieme a Lenore e ai nipoti presso i Tarren. Erano amanti, in poche parole, ma nell'ultimo incontro avvenuto fra di loro Olegov lo aveva costretto a non prendere precauzioni, l'aveva spinto a farsi mordere per appartenergli e avere insieme a lui un figlio, ma Caelan si era spaventato e si era opposto con fermezza a quelle richieste sconclusionate. All'ennesimo rifiuto Olegov aveva perso le staffe e lo aveva trascinato nella camera da letto dove... dove era poi avvenuto l'orrendo atto. Pare che si incontrassero saltuariamente in un piccolo appartamento di New Orleans, nel Quartiere Francese. Io... io ero sconvolta e i signori Elimar lo erano più di me, naturalmente. Quando gli chiesero come avesse potuto essere così ingenuo, Caelan, in lacrime, aveva detto di aver creduto fino all'ultimo che fosse una persona migliore di quanto apparisse. Disse che lo aveva trattato sempre con gentilezza, se non si contava quell'ultimo appuntamento risoltosi nel peggiore dei modi. Credo che Olegov, semplicemente, lo avesse irretito a suon di buone maniere e seduzione. Caelan era una persona molto sola, purtroppo, e aveva poche persone sulle quali contare. Stefan se ne approfittò, immagino.»

La signora Basil ricordava bene cosa aveva aggiunto Caelan nel raccontare dell'aggressione subita da colui che aveva spergiurato di amarlo: aveva detto di aver pianto e urlato per tutto il tempo, implorato Stefan di fermarsi e tornare in sé, ma Olegov si era limitato a tenergli il viso sul materasso e a proseguire la violenza. Tutto questo si era ripetuto per tre volte finché il delinquente non aveva capito che a furia di violare il poveretto e picchiarlo avrebbe finito per ucciderlo o causargli in ogni caso gravi danni fisici. Avendo ben altri piani in mente lo aveva lasciato andare e Caelan ci aveva impiegato molto per tornare a casa, non avendo quasi per niente la forza di muoversi. L'anziana governante ricordava di averlo visto uscire con i nivei capelli acconciati in una morbida treccia dai riflessi argentei, ma quando finalmente era rientrato la treccia si era sciolta quasi del tutto, i capelli erano scarmigliati, il viso ancora arrossato. Si era gettato fra le sue braccia come quando era bambino ed era scoppiato in lacrime.

Quando Farron, giorni dopo, aveva saputo la verità, c'era voluto l'intervento della moglie, di Dion Hawthorn e dello sceriffo Aguillard per frenarlo dall'andare dritto da Olegov per vendicare la dignità dilaniata del fratello, così come l'onore della famiglia e il danno fisico e psicologico arrecato a una persona bellissima e buona che non aveva mai fatto del male a nessuno. L'unica colpa di Caelan era stata di farsi irretire da un uomo affascinante fuori e marcio dentro, un uomo che era disceso nella pazzia a furia di perseguire dei biechi e segreti obiettivi.

Nonostante tutto, quando il medico di famiglia si era presentato per risolvere al più presto il problema di Caelan, un problema che nel giro di un mese aveva iniziato a crescere nel suo grembo violato, il fratello minore di Farron aveva avuto una crisi di pianto sfociata nell'isteria; aveva implorato il dottore di non farlo, di non uccidere il piccolo, perché la colpa non era della creatura, ma solo sua e di Olegov. Farron non aveva avuto il cuore di forzarlo ad abortire e aveva confidato nella fortuna, nella credenza che non potesse andare tutto sempre male. Si era sbagliato, ovviamente, e Caelan aveva arrancato per mesi, indebolito sempre di più dal fardello annidatosi nel suo ventre che continuava a crescere, a sviluppare arti e tutto il resto, ignaro del male che stava arrecando al corpo che aveva scelto di ospitarlo. Le difese immunitarie di Caelan avevano subito un tracollo spaventoso e alla fine era stato un colpo di gelo, una testarda richiesta di stare un po' all'aria aperta, a segnare le sue sorti. Era stata la signora Basil, una mattina, a trovarlo freddo e privo di vita nel letto. Ricordava ancora quegli occhi rosa pallido ancora aperti, occhi che purtroppo non avevano mai avuto la possibilità di vedere. Caelan, infatti, aveva sempre dovuto affidarsi alla vista delle mani e del proprio buon animo perché, purtroppo per lui, la natura aveva scelto di essere ancora più crudele negandogli il dono della vista sin dalla nascita. Quella era stata l'ennesima ragione a spingere la sua famiglia a non farlo quasi mai restare da solo, a temere sempre le volte in cui si era ostinato a uscire, specialmente quando erano esplosi i conflitti intestini a Mythfield e le strade si erano fatte pericolose.

«Non riuscii subito ad avvertire i signori Elimar. Rimasi lì, paralizzata, e poi... poi, incapace di accettare quel che stavo vedendo, provai a scuoterlo, a farlo tornare indietro, lo strinsi a me. Era... era come un figlio, lo avevo cresciuto io, capisci? Non... non potevo guardare in faccia la realtà e ammettere che se ne fosse andato per sempre.»

Il padre di Farron non aveva mai voluto occuparsi di Caelan, lo aveva sì e no abbandonato alle cure dei domestici, specialmente della signora Basil, e lo aveva fatto perché era nato come un Indigo, ma albino e cieco e dunque, secondo la sua visione, debole, indegno di vivere, immeritevole del sacrificio della propria madre.

Era già tanto che Edmund Elimar gli avesse permesso di frequentare una scuola pubblica, ma lo aveva fatto solo perché gli sarebbe venuto a costare troppo un istitutore privato e malgrado gli Elimar fossero sempre stati una famiglia ricca, non aveva voluto in alcun modo spendere un centesimo, non per Caelan, almeno finché la salute precaria del ragazzo non aveva richiesto drastici cambiamenti.
Farron, invece, era stato trattato come un principe, ma si era sempre dimostrato un fratello protettivo e affettuoso, capace di mediare la situazione tra il fratello minore e il padre.
Il giovane Caelan, con l'aiuto degli insegnanti e di Heather, era riuscito a imparare a leggere l'alfabeto Braille e a non restare indietro rispetto al resto dei compagni di scuola. Per via della sua cecità e fragilità fisica, tuttavia, era stato tagliato fuori molto spesso dai coetanei, considerato diverso, uno da tenere lontano e relegato in un angolo.
Le cose erano andate così finché, per l'appunto, la sua cagionevole salute non lo aveva costretto a rimanere a casa e a terminare gli studi con l'aiuto di un insegnante privato. Edmund, tuttavia, non si era disturbato a cercare il migliore dei precettori presenti sul campo e tante delle cose che Caelan, da allora in avanti, aveva imparato, le aveva apprese da solo, grazie alla sua curiosità e sete di conoscenza, nonché amore sconfinato per la letteratura, specialmente quando si trattava di opere classiche in latino e greco. Malgrado la disabilità, era riuscito comunque a elevarsi, a trovare qualcosa che lo appasionasse.

V'era, però, una cosa ancora peggiore che Caelan aveva dovuto affrontare e tollerare da parte del crudele padre. Crudele, ecco come si era comportato ogni singolo giorno Edmund nei suoi riguardi. Non v'erano altre parole per descrivere l'inferno che il poveretto era stato costretto a sopportare quotidianamente fra quelle mura.

«Vedi, Crystal... il signor Elimar, Edmund... aveva iniziato di tanto in tanto a bere dopo la morte della moglie, la cara Hilda, nonché sua lontana cugina. A volte sembrava quasi... detestare Caelan. Era un bambino introverso, timido e silenzioso, accettava tutto passivamente. Edmund purtroppo vedeva quel suo atteggiamento nel modo sbagliato e allora si arrabbiava, lo trascinava in una stanza e lo picchiava. Diceva di farlo per temprare il suo carattere e farlo uscire dal guscio, ma era solo una menzogna, un pretesto per sfogare l'ebbra aggressività repressa su una creatura che riteneva diversa da Farron, immeritevole di essere considerata suo figlio. Una volta dovetti intervenire. Era orribile per me sentire quel povero bambino urlare e piangere. Non mi sorprende se poi si lasciò irretire da Olegov. Quando incrociava uomini dalla volontà prepotente e autoritaria si sottometteva sempre a loro, era come se cercasse nei loro atteggiamenti, nel loro stesso viso, il suo crudele padre. Era cresciuto con la convinzione di essere una nullità e poco importava quanto per anni gli avessi ripetuto che meritava la felicità e il benessere proprio come suo fratello. Diceva di non meritare niente, di essere niente. Io non potevo fare granché, se non metterlo in guardia dalle persone che di tanto in tanto frequentava e che puntualmente lo gettavano via non appena avevano ottenuto quel che desideravano. Lo accettava e basta e ogni volta che quelle relazioni malsane terminavano, lo vedevo chiudersi in se stesso sempre un po' di più. Diventare più silenzioso e perso nei pensieri. Il suo sguardo spegnersi mentre fissava il mondo fuori dalla finestra sapendo che... in un certo senso... non ne avrebbe mai fatto davvero parte.»

La cosa che aveva realmente turbato Heather, quella maledetta domenica mattina, era stata intravedere sulle ceree labbra di Caelan un sorriso sereno, come se l'arrivo della morte per lui avesse significato l'inizio della libertà e non la fine della sua vita, della sua esistenza. Eppure Caelan non se n'era mai andato davvero da quella casa. Lei stessa, una notte, ne aveva avuto la prova.

«Lui è ancora qui. Non sono una donna superstiziosa e credo fermamente alla verità che i miei sensi mi suggeriscono. So che esiste la magia, certo, così come esiste una vita dopo la dipartita, ma per qualche motivo non ho mai voluto credere agli spettri, finché... finché non ho visto il suo. Il fantasma di Caelan.»

A quelle parole, malgrado l'angoscia e il nodo in gola causati da un così triste e inquietante resoconto dell'esistenza dello zio di Vargos e Ragos, Crystal drizzò le antenne. Aveva avuto a che fare con gli spettri, ovviamente, e non sempre si era trattato di incontri pacifici. «Ne è sicura, signora Basil?» incalzò serio.

Heather annuì mentre si passava le nocche sotto entrambi gli occhi. «U-Una notte non riuscivo a dormire, ero insolitamente inquieta e... beh, sgusciai fuori dal letto per farmi una tisana. Avevo appena versato l'acqua bollente nella tazza e stavo aspettando che l'infuso raggiungesse la giusta intensità quando... quando lo vidi. So che sembra folle, ma giuro che lo vidi, proprio come ora vedo te, Crystal. Era Caelan e fece l'ultima cosa che ci si aspetterebbe da un fantasma, dall'ombra di qualcuno che è trapassato: mi sorrise, prese una zolletta dal contenitore dello zucchero e la fece scivolare nella tazzina. Sapeva che a me piaceva la camomilla zuccherata e... n-non lo so, ricordo che scoppiai a piangere. Erano trascorsi quattro anni dalla sua morte, ormai avevo da tempo elaborato il lutto, quindi mi rifiuto di credere che fu tutto un semplice frutto della mia immaginazione.»

Heather Basil era una donna instancabile e forte sin da quando era stata bambina. Aveva sempre reagito con forza, quasi in modo prorompente, al dolore e alla perdita. Si era ripresa anche dopo la scomparsa di Caelan e lo aveva fatto perché sapeva di avere ancora molto da fare, e si era affezionata fin troppo a Vargos e al piccolo Ragos per cedere alla tristezza.

«Lui... lui mi sfiorò una mano, mi sussurrò che mi voleva bene e poi... un attimo prima era lì e quello dopo era sparito, lo avevo perso una seconda volta. Ogni tanto, però, ho ancora la sensazione di percepire la sua presenza in casa. Anche Mabelle e Lucas, gli unici domestici rimasti, hanno detto di aver visto un giovane dai capelli bianchi e il viso malinconico, e posso assicurare che iniziarono a lavorare qui dopo la morte di Caelan. Mabelle lo ha scorto proprio nella camera che gli era appartenuta e che ,nonostante la sua morte, teniamo ancora in buono stato. Una forma di rispetto, se vogliamo, anche se nessuno degli Elimar ci è più entrato. Lucas, il mese scorso, ha affermato di averlo visto in giardino, nei pressi dell'albero di magnolia bianco che tanto amava. Adorava il suo profumo e prima che la sua salute peggiorasse lo vedevamo spesso sedersi sotto di esso o stendersi sull'erba a guardare il cielo.»
Di tanto in tanto, nei momenti in cui i pensieri l'avevano trascinata lontano, si era sorpresa nel guardare fuori dalle ampie finestre con la convinzione che vi avrebbe di nuovo scorto Caelan intento a passare del tempo all'aria aperta e, soprattutto, ancora vivo. «Sono una donna razionale, credimi, e quell'evento mi tolse il sonno per settimane, ma poi... poi tornò il dolore di quattro anni prima e trascorsi notti insonni a piangere nel cuscino. Piansi perché avevo capito che non era morto in pace e che fosse condannato ormai a vagare per sempre fra queste mura, intrappolato in una casa che sembra decisa a inghiottire tutti i membri restanti della famiglia Elimar. Si è presa tanti di loro: Hilda, Edmund, Farron, Lenore, Caelan... tutti loro sono morti qua dentro, quasi che questa dimora fosse un buco nero e li avesse risucchiati come ignare stelle uno per uno. In città gira voce che questo luogo sia maledetto, ma sono sciocchezze: a infestarlo è il dolore che per anni è rimasto celato al suo interno, lontano da sguardi e orecchie indiscreti. I panni sporchi si lavano in famiglia, d'altronde, e questo era proprio uno dei motti degli Elimar. Quel che accadeva in famiglia, in famiglia doveva rimanere.»

Crystal, mentre ascoltava, si guardò in giro e scorse su una delle pareti una fotografia che ritraeva un giovane uomo che richiamava alla mente un fiero guerriero vichingo dagli occhi castano chiaro e, al suo fianco, qualcuno che a primo acchito pareva essere un'esile ragazza dai lunghi capelli bianchi e gli occhi rosa pallido. Dovevano essere Farron e Caelan da giovani.

«La cosa più struggente è che... penso che lui desiderasse quel bambino, anche se era stato concepito nel dolore e nella violenza» disse Heather, notando lo sguardo dell'Indigo. «Desiderava di poter crescerlo, di vivere abbastanza per vederlo diventare grande. Voleva una famiglia tutta sua. In un primo momento si era convinto a voler darlo in adozione, ma poi ci aveva ripensato e stava per parlarne con Farron quando la sua salute peggiorò drasticamente. Credeva di poter ingannare la morte e la natura stessa, ma perse la battaglia. Il piccolo non nacque mai, se non...» Le labbra della donna tremavano. Le guance erano affollate di lacrime e a nulla serviva il suo continuo strofinarle con il fazzoletto. Sembrava minuscola e fragile su quel divano, anziana e sola com'era, avvolta da un dolore che persino Crystal, in qualche maniera, riusciva ad avvertire. «Oh, Dio» singhiozzò la governante, scossa dal pianto. «N-Non mi toglierò mai dalla testa l'immagine di Farron che stringeva in braccio quel minuscolo fagotto. Appena mi vide crollò come un castello di carte e mi implorò di prendere quello che scoprii essere i-il feto. Era così piccolo e mi spaventò vedere quella creatura immobile. Non dimenticherò mai l'odore di... di morte. Farron mi disse che il corpo di Caelan lo aveva espulso durante la funzione e che per fortuna nessun altro se n'era accorto. Si era deciso di non far sapere in giro della condizione di Caelan, altrimenti la gente avrebbe sparlato. Seppellirono il piccolo in braccio a Caelan e tutto finì così. Feci notare ai signori Elimar che Caelan avesse scelto il nome per il bambino e che sarebbe stato giusto farlo incidere sulla lapide, ma loro dissero che sarebbe stato meglio per tutti fare come se Aden, così aveva deciso di chiamarlo Caelan, non fosse mai esistito.» Heather cercò di calmarsi. Ora nei suoi occhi sembrava ardere una rabbia indescrivibile. «Olegov era un mostro e ha le mani sporche del sangue di molti innocenti, primo fra tutti Caelan. Ragos mi ha raccontato di cosa ha fatto ai tuoi genitori e a te, così come al giovane Leroin, ai parenti del fidanzato di Casey e... a Rory. Merita di marcire all'inferno e di restarci. Di andarci da vivo, anzi.»

«Rory?» chiese flebilmente Crystal, già provato dal racconto straziante dell'esistenza misera condotta dallo zio di Vargos e Ragos. «Rory non era l'amico di Ariel? Ricordo che mi ha accennato a lui, ma...»

La donna deglutì. «Sì, quel ragazzo era amico di vecchia data del figlio dello sceriffo, più o meno erano come fratelli, m-ma era anche fidanzato con Ragos. Venne ucciso da Olegov. Lui e Ragos avevano deciso di dargli la caccia nel momento in cui iniziò a circolare la preoccupante voce che Vargos fosse in pericolo e nel mirino di quel folle. Lo rintracciarono e... fu allora che il disastro avvenne. So che Rory, per proteggere Ragos, si gettò in avanti e venne colpito al suo posto da un proiettile vagante. Morì poco dopo e Ragos, in lacrime, nei giorni seguenti mi rivelò che avevano pianificato di sposarsi e di crescere il bambino che Rory aveva appena da poco scoperto di portare in grembo. Magari questa famiglia non sarà maledetta, come ho detto prima, ma è innegabile che non sia stata baciata dalla fortuna. Ho quasi il terrore che entrambi gli ultimi Elimar ancora vivi possano terminare i loro giorni in disgrazia e in solitudine. Ragos ha perso la persona che amava e da allora si è lasciato andare. È raro che accetti di mangiare e di andare a dormire a orari decenti. Una volta, non molto tempo fa, l'ho sentito discutere con suo fratello e urlare in lacrime che era stanco, che voleva farla finita, che Vargos non poteva capire come si sentiva e che voleva essere lasciato in pace. Ho visto Vargos uscire dalla stanza e... piangere. Piangeva come un bambino, lui che ha sopportato di peggio e...», scosse la testa.

Stava per farsi sfuggire qualcosa che non poteva in alcun modo rivelare neppure a Crystal. Vargos le aveva detto di non riferire a nessuno di come fosse realmente venuto a mancare Farron e lei non avrebbe tradito la fiducia di quel ragazzo per nulla al mondo. Era un segreto troppo terribile e doloroso per essere condiviso con altri. Avrebbe solamente riaperto vecchie ferite e lei non voleva assolutamente ripensare allo spavento e al dolore che aveva provato vedendo il corpo esanime di Farron penzolare da una corda. Era stato orribile e ciò che più le aveva fatto male era che fosse stato Vargos a rinvenire il cadavere. Vedere il proprio padre in quello stato aveva rischiato di spezzare il ragazzo, all'epoca, e solamente la presenza di Ragos e la responsabilità nei suoi riguardi aveva distolto Vargos dallo sprofondare in pensieri cupi e dolorosi.

Crystal stava quasi per sentirsi male. Si ravviò i capelli che poco fa aveva legato in una coda alta per motivi pratici e cercò di respirare normalmente, ma fallì. Senza rendersene conto scattò in piedi. «D-Dov'è ora Ragos? D-Devo parlargli.» Non si era mai sentito così in empatia con una persona, mai. Gli era quasi sembrato di udire di nuovo la propria voce dire quelle cose orribili a Grayson, giusto la notte prima. Ciò spiegava anche perché Vargos fosse impallidito e avesse reagito in un certo senso male al suo sfogo.
In fin dei conti quei due fratelli avevano cercato di aiutarlo. Ragos, pur essendo passato sin da subito per un gran bello stronzo, aveva provato a dargli una mano e senza neppure conoscerlo. Solo allora aveva realizzato di essere stato lui un vero bastardo. E cosa dire di quel che aveva detto al minore degli Elimar in macchina? Aveva parlato senza sapere, dimenticando la massima che suo padre, Dion, gli aveva ripetuto fino alla fine: mai aprir bocca su argomenti difficili se non si conoscevano i problemi altrui.

Si era comportato come se fosse il solo al mondo ad aver affrontato una vita orribile, come se solo lui avesse problemi in apparenza irrisolvibili, come se solo lui avesse perso la propria famiglia, le persone che gli erano care.

E ora... ora si sentiva in colpa come mai si era sentito fino ad allora.

Devo parlargli.

Quella frase riecheggiava nella sua mente come un potente imperativo simile a un mantra.

Heather lo fissò con aria inebetita, una mano premuta sul petto per via del suo scatto improvviso. Senza batter ciglio indicò il soffitto. «L-Lui è... è di sopra, in camera sua. Bisogna salire le scale, la stanza è l'ultima a destra sul corridoio di sinistra» rispose stordita, senza smettere di squadrare il ragazzo. Lo seguì con gli occhi azzurri ancora arrossati finché Crystal non fu uscito dal soggiorno per dirigersi a passo svelto alle scale di legno dotate di due spessi corrimani finemente lavorati. Il giovane strego le risalì rapidamente e quasi di corsa proseguì fino ad arrivare in cima, dove c'era una biforcazione. Prese il corridoio giusto e lo percorse fino in fondo, infine percosse con le nocche, agitato, l'ultima porta a destra. Lo dovette fare ben quattro volte prima che qualcuno venisse finalmente ad aprire e per poco non rischiò di assestare un pugno dritto sul naso a Ragos. Il minore dei fratelli Elimar si ritrasse e fissò Hawthorn mezzo rimbecillito. Non aveva una bella cera e... cavolo, quanto aveva bevuto? A Crystal pareva di annusare l'aria nei pressi di una distilleria.

«E tu che ci fai qui?» chiese scontroso l'Alfa, ma il tono di voce flebile e rauco tolse alla domanda l'effetto sperato.

Crystal si rese conto di non sapere come intavolare il discorso. Aveva agito di impulso, quasi in preda a un episodio maniacale. «Uhm...», fece un bel respiro e si diede un metaforico schiaffo per tornare sui propri passi. Assunse un'espressione decisa e autoritaria, pose le mani sui fianchi e chiese di rimando: «Tu che stai facendo, piuttosto?»

Ragos si accigliò. «Senti, Coso, io credo che tu sia un po' confuso.»

«Non lo sono affatto, invece, e non chiamarmi ‟Coso"» lo rimbeccò Crys. «Adesso voglio che tu ti dia una bella sistemata e venga con me. Dobbiamo parlare e non voglio farlo qui dentro. Usciamo, un po' di aria fresca ti farà solo bene. Forza, vai! Spicciati, Elimar!»

Elimar inarcò un sopracciglio. «Ma vaffanculo.» Fece per chiudergli la porta in faccia, ma Crystal lo fermò, lesto come un'aspide, gli afferrò la maglietta, lo trasse in avanti e dopo una mezza capriola su loro stessi Ragos si ritrovò con la schiena al muro e due occhi viola ardenti puntati su di sé. Sollevò le mani in segno di resa, non avendo alcuna voglia di attaccar briga, specie con un nanerottolo come quello. «Che ho fatto stavolta? Gradirei saperlo prima di beccarmi un altro dei tuoi pugni.»

«Te lo dico subito che cosa hai fatto!» sbottò Hawthorn. «Guardati allo specchio, anzi! E poi vieni a farmi la predica? Ti stai distruggendo con le tue stesse mani e... c-così facendo... fai star male le persone che ti stanno attorno! Anche io sono caduto nel tranello, l'ho fatto ieri notte, ma alla fine ho ricordato a me stesso chi sono e che non ho mai permesso a niente e a nessuno di mettermi i piedi in testa! La morte non risolve mai un cazzo, Ragos! Semmai crea altri problemi! Mi capisci?»

Ragos cercò di spingerlo indietro e di non essere troppo brusco, ma Crystal rafforzò la morsa sui suoi vestiti e tentò di calmarsi. «Ora...» aggiunse lentamente, «ora tu verrai con me e faremo una chiacchierata. Dobbiamo chiarire una volta per tutte. Siamo due stronzi, Ragos, guardiamoci in faccia, e solo uno stronzo può ascoltare i deliri disperati di un suo simile.» Lo lasciò andare, lo fece piano piano, infine mosse alcuni passi indietro. «Okay?»

Elimar lo squadrò con aria incerta e dubbiosa. Non si fidava, era più che ovvio. «Perché?» chiese, un accenno di rancore nella voce. «Prima mi tratti da zerbino e fai la primadonna capricciosa del cazzo, poi vieni qui e mi offri un ramo d'ulivo come se nulla fosse mai accaduto? Cristo santo, Hawthorn! Se sei in calore e sei schizzato per via degli ormoni, non puoi di certo venire a casa mia per strapazzarmi a tuo piacimento!» Gli ci volle solo un quarto d'ora per convincersi a dargli retta. Dieci minuti, infatti, li impiegò per tentare di riprendersi dopo aver ricevuto un colpo di ginocchio ai gioielli di famiglia.

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