𝐕. 𝐒𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐢 𝐞 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐳𝐳𝐚𝐭𝐢
Irene Tarren era una ragazza dall'aspetto grazioso e con lunghi capelli biondi, folte ciglia e occhi azzurro chiaro; la sua pelle d'avorio, alla luce del sole pomeridiano che brillava oltre la vetrina del locale accanto al tavolo dov'era seduta, sembrava ancora più pallida, simile a quella di una bambola di porcellana. Le sue labbra piene e birichine erano piegate in un tenero sorriso mentre osservava il trio di neonati che sonnecchiavano nel passeggino a tre posti lì vicino.
Di fronte a lei, invece, sedeva un ragazzo dall'incarnato altrettanto chiaro e corti capelli color mogano; aveva due grandi occhi dorati e un viso dall'ossatura delicata che suggeriva una sessualità in realtà ambigua, come c'era da aspettarsi nel caso di un Indigo. Casey, questo il suo nome, aveva dato alla luce da appena pochi giorni le tre piccole meraviglie che dormivano nel passeggino. Aveva vent'anni precisi e una storia burrascosa alle spalle, ma sembrava aver trovato a Mythfield il suo piccolo angolo di paradiso e di riscatto al fianco dell'uomo che aveva conosciuto grazie a una rocambolesca serie di eventi che alla fine, però, lo avevano condotto ad approdare in quella città, lontano dalle grinfie del tanto temuto Stefan Olegov che, purtroppo, era anche suo padre.
Da quel che aveva detto a tutti loro Vargos, l'ultima volta che lo avevano contattato, l'ormai famoso Crystal Hawthorn pareva esser stato rintracciato e, soprattutto, essere il nuovo obbiettivo di quel manigoldo di Stefan. Proprio come Casey, Crystal era un Indigo, seppur meticcio: c'era l'assoluta certezza che fosse in parte di tale specie e per l'altra figlio di una strega o uno strego, dato che aveva poteri magici. Irene e Casey non erano stupiti del fatto che Olegov avesse messo gli occhi addosso a quel poveretto.
Certo, considerando gli spiacevoli trascorsi avuti con l'attuale compagno di Casey, Noah, Olegov appariva decisamente ipocrita nel nutrire tutto quell'interesse verso un Alphaga tutt'altro che di sangue puro. Sangue, come lo avevano sentito affermare con le loro orecchie, lordato dal gene umano.
Tipico di quel mostro fare la parte del pagliaccio, aveva commentato a un certo punto Casey, arricciando il bel naso all'insù.
La giovane Tarren si rilassò contro lo schienale del sedile imbottito. «Comunque, tornando a Vargos e Ragos, sembra che siano riusciti a convincere quel tipo a venire qui, a Mythfield. Dicono che abbia un gran bel caratterino e inizio a pensare che sia davvero una prerogativa di voi Indigo essere piacevoli quanto uno sciame di vespe su di giri.»
Casey si riscosse e tornò a guardare l'amica. «Suppongo di sì» commentò con un sorriso sghembo, poi però tornò serio. «L'importante è che Olegov non riesca ad acciuffarlo. Chissà quali piani avrà in mente per lui...»
Irene fece un cenno, cupa. «Non voglio neanche pensarci» ammise. «Tu l'hai scampata per un pelo e solo grazie all'intervento di Noah, mio e di Idris.» Con il capo accennò al fidanzato di Casey che aveva trovato lavoro proprio presso quel locale di ritrovo in cui sì e no tutta Mythfield tendeva a bazzicare. Se la stava cavando molto bene e lui e Casey avevano iniziato a conoscere meglio Ariel, l'altro dipendente. Era un ragazzo spigliato e tutt'altro che timido; sapeva farsi rispettare, anche se persino a Mythfield c'era di tanto in tanto quel tale rozzo e maleducato che cercava di approfittarsi di lui e del fatto che fosse un Omega. Vi erano alcuni che non avevano ancora capito che in fin dei conti erano tutti uguali e che gli Omega non fossero affatto dei giocattolini sessuali.
I vecchi pregiudizi, purtroppo, erano duri a morire. La situazione era però migliorata da quando Noah avevano iniziato a lavorare lì. Spesso era lui a rimettere a posto certi individui, da persona che mal tollerava da sempre atteggiamenti come, ad esempio, quello ben poco garbato e da imbecilli di dare pacche sul sedere al povero Ariel mentre quest'ultimo stava passando lì vicino. Una volta Casey lo aveva visto coi suoi stessi occhi imporre a un cliente di scusarsi con il suo collega e, già che c'era, di abbandonare il locale e piuttosto recarsi a mangiare in una stalla, ambiente assai più confacente ad animali della sua stessa risma. Certo, aveva sciorinato suddetta paternale al cliente nello stesso istante in cui Ariel, ragazzo di poche parole, aveva mollato un ceffone dritto sui denti al tizio e detto chiaro e tondo che se ci avesse riprovato, gli avrebbe strappato la mano dal braccio a suon di morsi e lo avrebbe fatto dopo essersi trasformato in puma, sua forma alternativa animale.
Era stata l'unica volta in cui il proprietario del locale, che secondo alcuni aveva in realtà un certo debole per le forme leggiadre del giovane Aguillard, non aveva potuto rimproverare nulla ai dipendenti. Era stato lui stesso, infine, a intervenire e a invitare il molesto cliente ad andarsene.
Ariel era fra quelli che sapevano farsi rispettare nonostante la stazza tutt'altro che imponente e l'esser nato soprattutto Omega. Non gliene importava niente, era questo uno dei motivi per cui il figlio dello sceriffo e Leroin erano andati quasi subito d'accordo. Vedevano tante cose alla stessa maniera e Aguillard, tra l'altro, era di compagnia e divertente come poche altre persone.
Sorrise di sbieco quando si accorse che Noah, da lontano, gli aveva fatto l'occhiolino.
Sembravano passati anni, non settimane, da quando erano giunti lì. Si erano ambientati molto presto e Casey, dal giorno in cui Vargos era partito, stava cercando di fare del proprio meglio per mantenere la città sotto controllo. Non era stato lasciato completamente da solo e benché fosse Vargos l'autorità perlopiù massima, vi erano anche quelle presenti in qualsiasi altra città: c'erano lo sceriffo Aguillard, ovvero il padre di Ariel, e poi il sindaco Alston e il suo vice Chapman a dargli una mano, tanto per fare qualche nome. Vargos era denominato, in via ufficiale, il governatore cittadino e aveva ceduto al giovane Leroin la spilla d'argento che lo contraddistingueva e faceva subito riconoscere come tale.
Tornò con gli occhi ambrati a guardare verso il fidanzato intento a spillare una bibita. Gli piaceva vederlo al lavoro e vedere, soprattutto, che lo eseguiva di buon grado, che gli piaceva stare lì. Era piuttosto bravo a interagire con i clienti e a farlo in maniera professionale. Lo rendeva sexy, in un certo senso.
Irene parlò di nuovo, attirando nuovamente su di sé l'attenzione dell'Indigo: «Penso che quando Crystal sarà qui, tu dovrai cercare di aiutarlo ad ambientarsi un po'. In fin dei conti avete alcune cose in comune e siete sulla stessa barca, no?»
Casey, benché incerto, annuì. «Posso provarci, ma dovrà permettermi di farlo.»
«Questo è chiaro» replicò la ragazza, sorseggiando poi il proprio tè freddo alla menta.
Leroin si umettò le labbra. «Irene, so che non ti piace parlarne, ma... come sta tuo fratello?» In tutta franchezza lo metteva in difficoltà parlare del gemello di Irene; benché mai avrebbe perdonato Dominic per quel che gli aveva fatto e tutti i guai che gli aveva fatto passare, voleva bene a quella ragazza e odiava vederla star male per via delle condizioni del gemello. Le chiedeva sempre se c'erano novità e lo faceva solo per lei, non di certo perché fosse realmente interessato alle sorti di quello scavezzacollo.
Lei si strinse nelle spalle e si morse il labbro inferiore. «Come al solito» rispose. «È stabile, ma non vuole saperne di uscire dal coma. Ogni giorno che passa vedo la speranza di vederlo tornare affievolirsi. I medici stessi sono convinti che non si riprenderà mai. Inizio a pensare che... non lo so... che forse io e mia madre faremmo bene ad arrenderci e a lasciarlo andare. Tra poco i miei fratellini torneranno a casa, io dovrò andare a prenderli e non so cosa dirò loro per giustificare il fatto che Dominic non è con me per salutarli o... insomma... trovare una scusa valida per informarli della morte dell'essere che chiamavano "padre". La mamma ha deciso di non informarli di niente per non agitarli e distoglierli dagli studi, ma... non ho idea se la sua sia stata una buona scelta o meno. Personalmente sono una che preferirà sempre e comunque la verità a una menzogna. Non importa quanto brutale o difficile da accettare.»
«Non pensarci nemmeno a gettare la spugna, Irene» le disse con fermezza Casey. «È ancora troppo presto. Ci sono persone che si sono risvegliate a distanza di tanti anni. Non puoi arrenderti così. Devi stringere i denti anche per tua madre.»
«Quale differenza può fare? È lui ad essersi arreso per primo. Ormai è ridotto a un vegetale, Casey, e ho il terrore di tornare a Caverney Town non solo perché laggiù non sono più la benvenuta, ma anche perché so che non resisterò alla tentazione di tornare in quell'ospedale con la sciocca speranza che mio fratello si sia svegliato.»
«Aspettate, Irene» insisté il ragazzo, deciso. «Dovete avere pazienza.» Le strinse una mano sul tavolo e calò fra loro il silenzio. A volte era meglio non dire niente e lasciare che fossero i gesti e l'affetto a occuparsi di tutto.
Intanto Noah, impegnato nel soddisfare le richieste dei vari avventori, si era appena fermato vedendone un altro entrare nel locale. Un attimo dopo sogghignò e rivolse un fischio ad Ariel. «Guarda un po' chi c'è» gli disse a bassa voce, dato che non erano molto distanti l'uno dall'altro. Il giovane Omega si accigliò e guardò nella sua stessa direzione, poi alzò gli occhi al cielo ed emise un lieve lamento infastidito. «Ti prego, servilo tu o farò la parte del pazzo che salta sui tavoli e fa i versi da babbuino pur di togliermelo dai piedi. Non ne posso più!»
«Oh, andiamo!» rise Noah. «Quel poveretto ti fa la corte da settimane! Ti ha persino portato dei fiori!»
Lo squisito naso all'insù di Ariel fremette. «Per quanto mi riguarda, McKay, può anche mangiarseli quei dannati fiori. Come se potessi farmene qualcosa di poveri brandelli di natura ormai morti. Roba da chiodi.»
Il tizio di cui parlavano non era cattivo né sembrava avere brutte intenzioni. Si era semplicemente infatuato un bel po' di Ariel, ma lui non voleva saperne alcunché di accettare le sue avances.
Gli occhi color acquamarina del giovane e avvenente Aguillard di nuovo saettarono, per un attimo fugace, verso l'oggetto della conversazione: si chiamava Chris Walters e solo due anni prima aveva terminato gli studi. Era un ventenne ben piazzato, come d'altronde lo erano tutti gli Alfa, e di aspetto gradevole, ma troppo giovane e immaturo per i gusti di un Omega che di lì a un mese avrebbe compiuto venticinque anni. Si riteneva troppo vecchio e disilluso per simili bambinate ed era già alle prese con una cotta che si trascinava dietro sin dai tempi del liceo. Con Noah e Casey aveva ammesso, seppur a denti stretti, di essersi preso una seria sbandata per Vargos Elimar, ma era sempre stato un tipo orgoglioso e mai e poi mai avrebbe fatto presente all'oggetto di tale attrazione la verità. Piuttosto si sarebbe strappato la lingua a morsi.
I suoi genitori gli avevano detto che di quel passo sarebbe rimasto da solo per sempre, ma non gli importava e non era obbligatorio accasarsi e fare figli. La prospettiva di sistemarsi non gli garbava per niente, in verità. Rabbrividiva al pensiero di dover abbandonare tutto, specialmente la libertà di divertirsi quando e quanto gli pareva per dover star dietro a un rimbambito di marito e ad almeno tre pupi urlanti e viziati. Al diavolo le tradizioni, lui era un Omega libero e indipendente e tale sarebbe rimasto.
Udì Noah sghignazzare e per tutta risposta gli assestò una gomitata fra le costole. «E piantala, tu!» Si irrigidì non appena Walters raggiunse il bancone e salutò con un cenno amichevole Noah, solo per poi passare a guardare lui. L'Omega sostenne l'occhiata dell'Alfa più giovane e fece di tutto per scoraggiarlo dal ricominciare con i suoi tipici tentativi per abbindolarlo. Si sbrigò, piuttosto, a versare del caffè in due tazze, ad aggirare il bancone e infine a dirigersi spedito verso il tavolo di Irene e Casey. I due lo fissarono con aria perplessa e lui, dunque, si abbassò e pose i gomiti sul ripiano di legno. «Fate finta di parlare con me, vi prego» li supplicò a bassa voce. «Non ne posso più di Walters! Quello là tra un po' verrà qui, una volta o l'altra, e mi chiederà direttamente di sposarlo! Mi manderà al manicomio, parola mia!»
Casey si trattenne dallo scoppiare a ridere, reclinò la schiena e si sporse con il collo per guardare Chris, poi: «Non credo che riuscirai a togliertelo di torno, sai? Ha tutta l'aria di poter persino strapparsi il cuore e consegnartelo, se solo glielo chiedessi. Sei in un bel guaio, temo».
«Che lo faccia, porca pupazza! Che si strappi pure il cuore, almeno mi risparmierà l'ingrato compito di spedirlo al camposanto di mio pugno!» berciò in risposta Aguillard mentre si scostava irritato i lunghi capelli dorati dal viso e se li gettava oltre la spalla con un gesto secco.
Irene sbuffò. «Certo che sei proprio strano, sai?» commentò. «Ti piace Vargos, ma non vuoi dare neanche a lui una possibilità né fargli sapere che hai una cotta per lui. Intanto ti lamenti se quel tontolone di Walters smania per conoscerti. Non ti sta mai bene niente!»
«Perché non esci tu con quello scemo, allora?» la rimbeccò Ariel, stizzito.
«Non me la faccio con quelli più giovani di me. Mi piace avere accanto un uomo dalla mentalità matura e che sappia almeno farsi crescere un minimo la barba come si deve» lo scimmiottò scherzosa la ragazza.
Casey si morse il labbro inferiore. «Anche io la pensavo come te su certe cose, Ariel, però poi ho incontrato Noah e...»
«Ah-ah! Non ci provare, Rosso! Poco mi importa se tu hai trovato il tuo Principe Azzurro e di certo Coso lì non è...»
«Uhm... ciao!»
Ariel fu sul punto di saltare per aria come un petardo, ma mantenne un dignitoso contegno e con una mano sul fianco si voltò lentamente a guardare Walters. Lo squadrò da capo a piedi, serio come la morte e incoraggiante quanto un cobra in procinto di mordere la preda. «Squaglia, marmocchio.»
Chris abbassò subito lo sguardo, abbattuto e mortificato. «V-Volevo solo parlarti» biascicò.
L'Omega si accigliò maggiormente. «Beh, l'hai appena fatto.» Non aggiunse altro, rivolse un saluto ai due amici e se ne tornò al bancone, ignorando apertamente il vago senso di colpa che all'improvviso, con timidezza, stava iniziando a bussare alle porte della sua coscienza.
Sapeva cosa voleva Chris. In fin dei conti era ciò che tutti gli Alfa volevano, no?
Aveva frequentato sia Alfa che Beta e la storia era sempre stata la stessa. Ce n'era sempre stato qualcuno che si era intestardito nel voler mettergli le briglie e lui sempre aveva risposto mandandolo a quel paese senza troppe cerimonie. L'unico a essergli sempre sembrato un po' diverso era Vargos, ma era anche la persona dalla quale desiderava tenersi il più lontano possibile, complice l'antica rivalità risalente ai tempi della scuola, per non parlare del rifiuto pressoché totale di Ariel di fronte alla prospettiva di impegnarsi davvero con qualcuno. Ci aveva provato già diverse volte e alla fine si era sempre reso conto di sentirsi ingabbiato e in trappola, nonché annoiato da relazioni che mai l'avevano soddisfatto appieno. Preferiva di gran lunga frequentare tizi che aveva appena conosciuto e che poi, non appena si erano presi quel che volevano e avevano dato a lui ciò che desiderava, se ne andavano dalla porta del suo appartamento senza voltarsi né avere ripensamenti.
Era più semplice, più divertente e decisamente meno impegnativo e deludente.
Lanciò un'occhiata fugace a Walters e lo vide lasciarsi cadere su una seggiola accanto a uno dei tanti tavoli presenti in sala. Sbuffò piano tra sé e sé e passò a Noah, che attendeva un ordine, due piatti appena prelevati dalla feritoia che si affacciava sulla cucina.
Forse aveva esagerato un po' e di sicuro il suo capo non avrebbe approvato una simile condotta. Poteva avere un debole per lui quanto voleva, ma non avrebbe chiuso un occhio davanti a un cliente trattato ingiustamente male. I clienti andavano trattati con ogni riguardo. L'educazione veniva prima di ogni altra cosa, salvo casi in cui andavano presi dei provvedimenti davanti a un atteggiamento scorretto e molesto.
Chris Walters, fino a prova contraria, non aveva mai allungato le mani come invece diversi altri individui avevano fatto sin dal primo giorno in cui aveva iniziato a lavorare nel locale. Era questo a indurre la sua coscienza a farsi sentire: quel ragazzo non meritava di esser preso a pesci in faccia. In fin dei conti si era sempre comportato bene e l'unica sua colpa era di essersi invaghito della persona sbagliata.
Sospirando si avvicinò, schiarì la voce e disse: «Uhm... va bene, Chris, scusa. Non volevo essere brusco o maleducato».
Fu come se dietro il viso spento del ragazzo qualcuno avesse appena riacceso una luminosa lanterna. Chris sorrise e scosse la testa, agitando una mano. «Non fa niente, Ariel. In fin dei conti il tuo è un lavoro stressante e non hai quasi mai un attimo di respiro. Lo capisco, tranquillo.»
La verità era che Chris Walters pareva voler far di tutto per attirare l'attenzione di Ariel sin da quando, al liceo, spesso aveva tentato di approcciarlo goffamente nei corridoi, fallendo tuttavia ogni volta. Che fosse accaduto perché magari in quel momento Aguillard era alle prese già con un altro studente o per il semplice fatto che fosse difficile attirare la sua attenzione, i loro approcci non erano mai andati oltre un timido "ciao" da parte di Walters e un gesto di saluto della mano di Ariel che si era sempre sforzato di essere almeno cordiale.
Non aveva mai dato molto credito a Chris perché lo aveva sempre ritenuto troppo giovane e immaturo per uno come lui, ma il ragazzo ancora non voleva demordere, nemmeno a distanza di tre anni e qualcosa dalla prima volta che si erano incrociati.
Il giovane barista, unico figlio dello sceriffo Aguillard e del suo compagno Omega River, decise di affrontare la questione una volta per tutte. Non c'era molto da fare, la situazione era tranquilla nel locale e Noah poteva cavarsela da solo per qualche minuto. Si sedette di fronte a Walters. «Senti, Chris... il punto è che non voglio incoraggiarti né darti false speranze. Non sono uno di quelli interessati a una relazione stabile. Me ne vado in discoteca, mi faccio abbordare o sono io ad abbordare qualcuno, facciamo sesso in un cubicolo del bagno o in auto e finisce lì. Riesci a capire cosa voglio dire? Tu... tu sei un bravo ragazzo, questo lo so da quando andavamo a scuola insieme, ma io non sono la persona giusta per te, credimi. Ti spezzerei il cuore, lo capisci?»
A costo di essere brusco e crudele, doveva metterlo di fronte alla realtà dei fatti. Le illusioni, a quel mondo, servivano a ben poco e facevano solo soffrire.
«Trova qualcuno della tua età e che possa apprezzare le tue tante qualità. Non perdere tempo con me. Sul serio, fatti questo enorme favore.»
Chris, tuttavia, deglutì e scosse il capo. «È chiaro che sei tu a non capire» mormorò. Sembrava sull'orlo delle lacrime. «E io non so come fare in modo che tu capisca cosa... cosa provo per te.»
Ariel si sentiva più in colpa che mai. «No, hai ragione: non capisco e mi dispiace. Credo di avere il cuore arido come quello di una vecchia zitella.»
Walters si fece coraggio. «Sicuro che non sia solo ciò che vuoi far credere agli altri?» chiese diretto. «Come puoi dire questo o quest'altro, se nemmeno mi dai la possibilità di mostrarti con le azioni che per me sei più di una semplice cotta da liceo?»
«Perché conosco fin troppo bene me stesso» lo rimbeccò Ariel, schietto. «Mi conosco e torno a ripeterti che con me non saresti felice. Ti farei soffrire invano. Tu vuoi qualcosa che io non sono capace di darti. Vuoi l'amore, ma al massimo posso offrirti amicizia e affetto, e anche in quel caso non sono un granché. Ci sono amici migliori del sottoscritto, credimi.»
«Ma io non voglio esserti semplicemente amico.»
Ariel si ravviò i capelli biondo oro striati di venature più chiare e, sorprendentemente, del tutto naturali. Era costernato e non si dava la pena di nasconderlo. «Allora chiudiamo qui la faccenda, Chris. Per il bene di entrambi, specialmente il tuo, chiudiamola qui prima che le cose si aggravino.»
Walters non rispose subito: prese uno dei tovagliolini dal contenitore apposito, esitò e infine sfilò dal taschino della divisa dell'Omega la penna. Scrisse qualcosa sul tovagliolo e lo consegnò ad Aguillard. «Nel caso... non lo so, che cambiassi idea, questo è il mio numero. Chiamami o mandami un messaggio. Come preferisci, davvero.»
Per lui era stato un autentico colpo di fulmine. Non era riuscito a dimenticare Ariel a distanza di anni e ogni volta che lo vedeva e incontrava era sempre come la prima. Sempre la stessa sensazione di qualcosa che ronzava dentro il suo stomaco; sempre il medesimo desiderio di voler dedicare tutta la propria esistenza al ragazzo che aveva di fronte.
Probabilmente la sua sarebbe stata un'attesa vana, ma lui avrebbe aspettato, sperato sempre in un miracolo.
Fece chiudere il pugno di Ariel attorno al tovagliolino. «S-Sei libero di gettarlo via, se vuoi. Non sei costretto a fare niente, davvero.» Non aggiunse altro. Si alzò e lasciò poco dopo il locale, seguito dallo sguardo insopportabilmente compassionevole di Aguillard.
Crystal scese dall'auto e si stiracchiò, i biondi capelli sospinti da una lieve brezza e lasciati liberi sulle spalle. Aveva deciso di uscire dalla macchina in attesa che Ragos finisse di fare benzina e che Gray tornasse dalla capatina al bar lì a fianco per prendere due bottiglie di soda.
In quanto a Vargos, alla fine aveva scelto di non tornare con loro a Mythfield e di prolungare la propria assenza dalla città in questione per andare in un posto chiamato Caverney Town, un altro centro urbano Alphaga. Aveva solo detto di voler fare una bella sorpresa a quel tale, a Casey.
Inutile dire che con Ragos a far loro da accompagnatore il viaggio non fosse stato granché piacevole. Crystal a malapena gli aveva rivolto la parola ed Elimar, in modo speculare, gli aveva riservato lo stesso trattamento. Gray, invece, sembrava aver preso quella faccenda in modo alquanto bizzarro, quasi fosse un'avventura. Non aveva mai smesso di fare domande d'ogni tipo a Ragos e quest'ultimo, con gran sorpresa di Crystal che lo considerava sì e no un fetente spaccone, gli aveva dato corda.
Iniziava quasi a sentirsi di troppo, parola sua!
Si sistemò meglio gli occhiali da sole sul ponte del naso diritto, frugò nelle tasche dei jeans e poco dopo s'infilò una sigaretta fra le labbra, accendendola con lo zippo che emise un secco schiocco metallico non appena venne richiuso.
Espirò una nuvola di fumo che si disperse nell'aria e maledisse quel tempo pazzo che di colpo sembrava esser passato a temperature degne della primavera agli sgoccioli. Fu costretto a togliersi il giubbotto di pelle e a legarselo attorno ai fianchi. «Che cazzo di clima!» borbottò rauco, decisamente di umore nero che poté solo peggiorare nel momento in cui vide tornare dal distributore di benzina Elimar. Quest'ultimo si avvicinò.
Se prova a parlarmi, giuro che gli tiro un cazzotto. Crystal non si era di certo scordato che per colpa sua avesse dovuto farsi un bel soggiorno in ospedale. Quel tizio, a suo parere, era un'autentica calamita per i guai. Forse gli sarebbe convenuto fare uno spergiuro ogni volta che lo incrociava, come ad esempio sputare a terra o roba simile. Che diamine, la sfortuna esisteva eccome, e aveva mille occhi e orecchie!
Elimar si tastò i jeans dall'aria logora, poi chiese: «Uhm... senti, biondino, hai una sigaretta?»
Crystal, immusonito, con reticenza gli lanciò le Marlboro e lo zippo. «Serviti.» Da fumatore un po' troppo incallito qual era, comprendeva il bisogno che ogni tanto si aveva di fare qualche bel tiro. Era da stronzi dire di no persino per i suoi standard.
Ragos bofonchiò un ringraziamento e gli riconsegnò tutto. Espirò il fumo. «Ascolta, so che non siamo partiti col piede giusto, ma ti giuro che non avevo intenzione di metterti nei casini. Cercavo solo di darti una mano, tutto qui.» Con l'anfibio nero scalciò un sassolino. Sembrava a disagio.
Crystal inarcò un sopracciglio e rilasciò dalle labbra socchiuse una nuvoletta di fumo che finì dritta in faccia al fratello minore di Vargos. «Se non altro sei consapevole di esser stato per me una bella spina nel culo» replicò, diretto e acido.
Elimar si accigliò. «Considerando quel grand'esemplare di scopa che hai ben piantato là dietro, ero convinto che una semplice spina non sarebbe stata un problema per te» lo rimbeccò d'impulso e a tono.
Hawthorn rise con scherno. «Divertente, dico sul serio! Dovresti fare il clown alle feste di compleanno per bambini, fidati!»
«Non è che tu sia chissà quale fulgido esempio di simpatia, sai?»
«Qui non sono io ad aver fatto finire uno che neppure conoscevo sotto le ruote di una macchina, mi pare.»
«Ho appena detto che mi dispiace e che non intendevo assassinarti né causarti problemi. Che altro devo fare? Prostrarmi e baciarti le scarpe? Allora vaffanculo, sottospecie di Targaryen.»
«Vacci tu per primo. Ti offro un biglietto di sola andata e per giunta gratis. Accetti l'offerta?»
Hawthorn finì di fumare, gettò il mozzicone a terra e lo pestò con lo stivale consunto mettendoci più forza del consueto. «Qui l'idiota sono io a perder tempo a parlare con uno come te. La colpa è mia, non tua.» Ringraziò il cielo quando vide finalmente Grayson fare rotta verso di loro. Aveva in mano tre bottiglie di soda color rosa acceso. Ne allungò una all'amico che la stappò e le diede una generosa golata, morto di sete com'era. «Direi che possiamo andare» sentenziò subito dopo.
Ragos e Gray a loro volta bevvero dalle rispettive bottiglie. Il primo, dopo un attimo di silenzio, disse: «Dato che siamo partiti piuttosto tardi da Shreveport, credo che arriveremo a Mythfield non prima di domani. Ci toccherà fermarci per la notte in un motel o simili. Ho bisogno di riposare e anche di assicurare a mio fratello che tutto sta andando liscio, più o meno».
Fu Gray a rispondere e lo fece prima che Crystal potesse uscirsene con uno dei suoi soliti commenti maligni. «Per noi va bene, Ragos. Non preoccuparti.»
Hawthorn sbuffò tra sé e tornò dentro l'auto. L'altro strego lo seguì, sedendoglisi accanto sul sedile posteriore. «Dagli un po' di tregua, Crys. In fin dei conti anche lui ti sta aiutando, no?»
«Dato che l'ultima volta a momenti mi ha fatto ammazzare, avrei preferito di gran lunga il contrario.» Crystal tacque quando Ragos rimontò in macchina e riaccese il motore. Ignorò lo sguardo accigliato e severo di Grayson, anche se lo infastidiva essere piazzato dalla parte del torto. Se c'era una vittima, lì, non era di certo quello stronzo, e se proprio doveva scegliere fra uno dei fratelli Elimar, ebbene preferiva di gran lunga Vargos. Se non altro conosceva le buone maniere ed era chiaramente un tipo sveglio. Ciononostante gli era toccato di essere scortato da quel buzzurro maleducato e presuntuoso.
Sbuffò tra sé e sprofondò nel sedile, gli occhi color lillà puntati con ostinazione fuori dal finestrino. Si chiese se sarebbe riuscito, prima o poi, a mettersi il cuore in pace e ad accettare di essere un lontano parente dei lupi mannari e altre poco piacevoli bestiole che lui stesso aveva rimesso al loro posto più volte in passato. Alcuni li aveva persino uccisi. Tanti, anzi.
Si chiedeva se sarebbe stato accettato o meno, dato che di rifiuti ne aveva collezionati a iosa negli anni. Davvero quella città, Mythfield, si sarebbe rivelata diversa? Sul serio c'erano persone laggiù che non lo avrebbero considerato uno scherzo della natura o un soggetto perfetto per le fantasie di certi pervertiti?
Diamine, ormai non sperava più in niente e gli appariva strano quel che per molti altri invece era normale e sensato.
Guardò di sfuggita e con la coda dell'occhio Gray. Al momento solo lui rappresentava una sorta di ancora capace di tenerlo coi piedi per terra e ben posati sul suolo della realtà. Condividendo l'appartamento che già iniziava a rimpiangere con quel ragazzo, per pochi giorni aveva assaporato vagamente un senso di piacevole normalità prima che di nuovo tutto fosse finito per andare in frantumi. Era abituato a situazioni che spesso e volentieri andavano in malora, ma in quel frangente persino la sua identità era stata messa in discussione.
Tutto per colpa di un maledetto medaglione che anche in quel momento pendeva dal suo collo, ben celato dalla maglietta nera e un po' logora sulle maniche e sui bordi. Un ninnolo del tutto in contrasto con il suo modo di vestire e di fare. La sola cosa che gli fosse stata lasciata in eredità. Ogni cosa era accaduta perché Ragos aveva notato quel gingillo. Dopo l'incidente più volte era stato tentato di disfarsi della collana, ma non c'era riuscito. Qualcosa di silenzioso, privo di un nome, glielo aveva impedito. Forse, malgrado tutto, nonostante i guai che quell'affare gli aveva causato, vi era lo stesso affezionato.
Senza una ragione apparente diede un colpo con la spalla a quella di Gray che lo guardò con aria incuriosita e un po' sorpresa. Di nuovo senza un motivo, Crystal gli sorrise di sbieco, una sincera curvatura delle labbra. Avrebbe voluto ringraziarlo per aver preso tutta quella storia fin troppo bene e con spirito d'avventura, ma non era mai stato bravo con le parole né era un gran chiacchierone. Grayson, tuttavia, lo stesso capì e gli sorrise di rimando.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top