4| My eyes have seen you

La prima settimana di scuola è fortunatamente passata piuttosto velocemente.

Oggi è venerdì, il che significa che, come Michael mi ha ricordato per tutta la settimana, stasera andremo (sia chiaro che nessuno ha chiesto il mio parere, sono praticamente costretta) a una festa universitaria a cui lui e gli altri due idioti sono stati invitati da un loro amico.

Io non mi sento per niente dell'umore di prendervi parte.

In realtà non mi sento di quell'umore da circa un anno e mezzo, ma credo che per me sarà la cosa migliore partecipare, perché dimostrerò a me stessa che posso riprendere alcune vecchie abitudini, quelle positive e adatte alla mia età, ma che sono abbastanza matura per non cedere alle altre sbagliate.

Mio Dio, questi non sono proprio discorsi da me!

Sto diventando come mia sorella; io l'ammiro e la considero una persona fantastica ma, detto molte semplicemente, lei è Shyla e io sono Acacia e quest'ultima mi piace abbastanza, anche se a volte è una testa di cazzo, e di certo non voglio vederla sparire, anche se a sostituirla sarebbe una persona migliore.

Che poi come si può realmente definire se una persona è migliore di un'altra?

Tutti hanno diversi caratteri e modi di agire ed è puramente inerente all'epoca e alla zona in cui si vive il giudizio che gli altri danno su essi.

Certo, sono dell'idea che esista un qualcosa di simile a una morale universale, ma applicabile per macro argomenti, come l'omicidio, mentre il comportamento è una cosa a cui non si possono dare parametri standard.

Va bene, forse non dovrei perdermi in queste riflessioni alle otto e pochi minuti di un venerdì mattina, perché rischio seriamente di non uscirne più.

Varco la porta dell'aula di matematica.

Non faccio in tempo a posare la cartella per terra, che rimango colpita da una non così buona visione.

A due banchi alla mia sinistra è seduta una ragazza dai capelli tinti di un forte arancio e rasati su un lato: questo non mi direbbe niente, se non riconoscessi quella pelle abbronzata, la posa spavalda in quei vestiti che potrebbero essere i miei e, non appena gira il capo nella mia direzione, quegli occhi scuri e sottili colmi di sicurezza, che ora mi scrutano con esplicita soddisfazione.

Io ricambio l'occhiata, cercando di essere il più glaciale possibile, poi mi siedo appena Mr Jenkins fa il suo ingresso in classe.

Com'è possibile che lei sia qui?

Avevo matematica il primo giorno di scuola, ma sono certa che lei non ci fosse.

Non che mi importi qualcosa della sua presenza, solo che mi irrita la certezza che non perderà mai l'occasione di stuzzicarmi.

E poi se sapesse che Michael è tornato... Ma questo l'avevo messo in conto dal primo momento e, dopo un po' di tempo a rifletterci, ero giunta alla conclusione che finché la tenevo a distanza da me e da lui tutto sarebbe andato bene.

Certo, ora diventerà tutto più complicato.

Passo le quasi due ore con la testa posata sul quaderno, il che è davvero una novità dato che si parla di matematica e infatti anche il professore quando mi passa davanti non può fare a meno di rivolgermi un'occhiata interrogativa e di alzare uno dei suoi folti e cinerei sopraccigli.

Quando finalmente suona la seconda campanella e io sto raccogliendo le mie cose, sento che qualcuno si ferma davanti al mio banco.

"Esther", la chiamo a mo' di saluto.

Esther Ramirez. Ma io una volta la chiamavo Star.

"Kay, come va la vita?"

Il suo tono amichevole e disinvolto e la sua ostinazione nel chiamarmi come lei non si dovrebbe più permettere di fare mi mandano in bestia e vorrei solo cancellarle dalle labbra quel sorrisetto da puttana.

"Cosa vuoi Esther?"

Rotea gli occhi, ma non è irritata.

"Sei sempre così cortese. Andiamo in bagno assieme."

La sua non è una domanda, ma io comunque mi alzo e vado verso la porta e quando sono sulla soglia mi volto verso di lei.

"Non ho tempo da perdere con te."

Sto per lasciare l'aula ormai deserta, quando la sua voce mi blocca.

"Dove vai? Dal tuo Lassie che è tornato a casa?"

Merda, lei lo sa.

Sbuffo sonoramente e mi avvio fuori, diretta verso il bagno delle ragazze.

I corridoi sono gremiti di chiassosi ragazzi felici di poter avere qualche minuto di riposo dopo due ore di lezione.

Fortunatamente non intravedo Michael o nessuno degli altri.

Il pavimento del bagno delle ragazze è continuamente sporco, gli specchi sono scheggiati, non c'è mai cartigenica e c'è sempre puzza di fumo, ma non sarebbe così male, se la compagnia in questo momento fosse diversa.

"Ti ricordi quando venivamo qui a fumare, truccarci o fare qualunque altra cosa pur di saltare le lezioni?", mi chiede mentre si sistema i capelli guardandosi allo specchio.

Non sono proprio in vena di ricordare i bei vecchi tempi assieme.

"Perché non eri a scuola il primo giorno?"

Si gira verso di me, restando appoggiata al lavandino.

"Zed, io e qualche altro amico abbiamo passato un bel po' di tempo in Florida e, sai, la strada è molto lunga al ritorno, specie se non ai alcuna voglia di tornare."

Sono tentata di chiederle perché non siano rimasti lì allora, dato che comunque non ci faranno molto con il loro diploma ottenuto con pietà, anzi sarà solo una triste incremento nelle statistiche di diplomati che finiscono in prigione in giovane età.

Invece resto in silenzio, appoggiata alla porta del gabinetto di fronte a Esther, aspettando che lei dica qualcosa.

"Quindi lo sfigato è tornato in città..."

"Non chiamare Michael in quel modo!"

"Perché no? È sempre stato una palla al piede: voleva stare con noi, ma appena iniziavamo a divertirci davvero si tirava indietro e cercava di frenare anche te. Quando se n'è andato eri contenta anche tu, non ti ricordi?"

È chiaro che il modo di vedere le cose di Esther era molto diverso dal mio; è vero, Michael cercava di frenarmi e non gli dirò mai abbastanza grazie per il suo constante impegno, poiché senza di esso chissà dove sarei ora.

Quando si è trasferito non ero affatto felice, ma colma di rabbia contro di lui per essersene andato, per avermi abbandonata, così ho deciso che la cosa migliore era fare finta che non me ne importasse niente e divertirmi più di prima.

Non è stata la scelta migliore della mia vita, però non credo che il mio modo di affrontare il dolore sia così sbagliato. Insomma, almeno è costruttivo e non distruttivo.

Beh d'accordo, forse è stato un po' distruttivo.

Ma perché non riesco ad avere ragione neanche nella mia mente?

Afferro la cartella che ho lasciato cadere sul pavimento e mi dirigo verso la porta.

Voglio solo andarmene, dimenticare questo casino e concentrarmi sulla nuova vita che si prospetta davanti a me.

"Senti, tu, Zed e chiunque dei vostri amici falliti, quelli che rimangono, farete meglio a lasciarci in pace. Il liceo sta per finire Esther e tu dovresti cominciare a capirlo."

Sto per aprire la porta, quando mi sento afferrare per il polso.

Mi volto e sciolgo la sua presa con uno strattone.

Lei non è arrabbiata, anzi sembra divertita.

"Io lo so benissimo che il liceo è quasi finito e ho molte certezze per il mio futuro, rese tali da un certo ragazzo, di cui tu dovresti ricordarti. I suoi affari vanno bene ultimamente."

Non serve che mi spieghi di chi sta parlando, poiché lo intuisco fin troppo bene.

Sono già due anni che si è diplomato e come ci sia riuscito resta un mistero.

Mi sono chiesta spesso, più di quanto avrei dovuto, cosa stava facendo adesso che aveva finito il liceo.

L'unico lavoro onesto che era in grado di fare era il meccanico e infatti mi ricordo ancora benissimo i tempi in cui lavorava per il vecchio Wiston, che poi l'aveva licenziato quando aveva scoperto che rubava alcuni pezzi di automobili e ne portava altre nella sua officina per modificarle.

Il problema di quel ragazzo, uno dei tanti problemi, era che aveva sempre qualche idea per fare soldi, ma nessuna era mai, come si può dire?, legale.

"Oh davvero? Pensavo che dal momento in cui avesse messo piede fuori dal liceo avrebbe indossato solo una divisa arancione. Cosa fa? Vende un po' di erba e vive ancora da sua madre?"

Esther ride di gusto, mi guarda come se sperasse di farmi annegare in quei suoi occhi dove non si distingue iride e pupilla.

"Allora vivi veramente da reclusa! Non lo sai che il vecchio Rey è morto? Indovina chi è da poco stato eletto come suo sostituto?"

No, non posso crederci.

Rey.

Questa parola continua a frullarmi in testa e purtroppo capisco troppo presto cosa la mia interlocutrice voglia dire.

Un disastro. È tutto un disastro.

"Ma come è possibile? Lui non era nemmeno uno di loro e non è neanche del tutto ispanico."

"Lo è quanto basta, perché a quanto pare nessuno ha protestato quando si è unito a loro, appena concluso il liceo.
Coraggio, perché non lo dici con me: Viva el nuevo Rey!"

Cerco di restare calma, di non farle fiutare la mia paura.

Mi ripeto che questo non mi riguarda, che non cambia niente.

"Beh, sono contenta per lui. Spero che gli piantino una pallottola in testa quanto prima. Ora vado, l'intervallo è quasi finito."

Questa volta esco dal bagno e proseguo spedita verso il corso di letteratura comparata, ignorando le ultime parole di Esther, che però mi creano un brivido dietro la schiena.

"Tanto lui ti troverà."

Riderei su questa frase da film di bassa qualità, se questo grumo che mi si è formato nel petto non fosse così opprimente.

Perché deve succedere tutto ora che sono così vicina alla libertà?

Che fregatura.

***
Lo so che saltare la seconda lezione dell'anno del corso che vorresti seguire all'università non è una gran mossa, ma per tutto il pranzo Calum non ha fatto altro che stuzzicarmi dicendo che non vedeva l'ora di sapere quel che ho scritto nel mio tema per scrittura creativa.

Non è che mi vergogni di parlare di una mia paura, solo che dopo quel che è successo oggi non credo che avrei i nervi saldi abbastanza per sopportare Calum o i riferimenti di Danielle alla Columbia.

Continuo a ripensare alla chiacchierata con la mia vecchia amica.

Anche se lui fosse diventato realmente il nuovo Rey, perché mai dovrebbe volere ancora qualcosa da me?

Nel suo stato potrebbe avere chiunque, quindi perché cercare una ragazzina che si è conosciuta tanto tempo prima?

Probabilmente Esther voleva spaventarmi e io sono una stupida a stare qui seduta per terra davanti al mio armadietto, a fare il suo gioco.

È sempre stata gelosa di me, per qualunque oscuro motivo sia possibile invidiarmi.

"Ehi, lo sapevo che dovevi essere ancora in giro da qualche parte!"

Giro la testa verso la voce famigliare del ragazzo che ha appena girato l'angolo.

"Cosa ci fai tu qui?"

Calum si siede accanto a me, così vicino che il tessuto dei suoi jeans sfrega sulle mie gambe lasciate scoperte dagli short.

"Potrei farti la stessa domanda. Sei stata brava a seminarmi dopo pranzo, ma secondo te cosa avrei fatto una volta entrato in classe rendendomi conto che tu non c'eri? Non puoi saltare lezioni senza avvisarmi, è il mio sport preferito!"

Sorrido e mi sembra strano che per una volta non abbia detto niente di irritante.

"Cosa c'è, avevi paura che leggendo il tuo tema davanti a me saresti stata più vulnerabile ai miei occhi?", dice imitando la voce di una di quelle ragazzine fissate con i romanzi rosa o le fan fiction sentimentali.

Ecco appunto, era strano che non avesse ancora detto niente di irritante.

"Se vuoi saperlo non me ne frega niente di quello stupido tema, non avevo semplicemente voglia di sorbirmi quasi altre due ore di scuola. Sono stanca."

Il moro mi guarda con un'espressione strana, quasi preoccupata.

"Ma la scuola non c'entra. Cos'è successo?"

Sono davvero talmente trasparente? Non mi è mai sembrato, ma se anche lui, che conosco da così poco tempo, capisce quello che sto provando, è ovvio che dev'essere così.

"Perché ti interessa? Non so neanche per quale motivo ti importasse tanto di leggere il mio componimento. In fondo noi non ci conosciamo e non siamo neanche partiti col piede giusto per iniziare a farlo, quindi non starò qui a raccontarti i miei problemi, per cui puoi anche tornare in classe, idiota."

Mi aspetto che lui mi risponda male o mi lanci un'occhiataccia, invece comincia a ridere, facendo rimbombare nel corridoio il suo tono leggermente acuto.

"Tu sei...", mormora tra le sue risate.

Aspetto che finisca la frase per poter controbattere, ma lui non aggiunge altro.

Ad un certo punto smette di ridere e inizia a frugare nel suo zaino, per poi tirarne fuori un foglio di carta stropicciato, che mi consegna.

"Hai ragione, non ci conosciamo, ma magari dovremmo, almeno così ci odieremmo con più consapevolezza."

Apro il foglio e la prima cosa che leggo e il titolo del tema che c'ha assegnato Danielle.

Davvero mi sta facendo leggere il suo compito?

Beh, merita una D- per la presentazione.

Non è così complicato capire quale sia la mia più grande paura, non perché sia banale o risaputa, ma perché sostanzialmente è comune a molte persone, che però nella maggior parte dei casi non se ne rendono conto.

Io ho paura di me stesso.

Questa paura ovviamente non si riferisce al mio aspetto esteriore, perché altrimenti dovrei rompere tutti gli specchi di casa mia come la Bestia di quella storia.

No, la paura di me stesso è interna.

Ho continuamente il terrore di fare la cosa sbagliata, di ferire le persone che amo e di diventare una persona che non voglio essere.

A volte penso di essere già quella persona e che è solo schiocco da parte mia illudermi di essere diverso, che posso provare a combattere, perché alla fine perderò la battaglia con quel che ho dentro.

Mi è stato detto di sviscerare questa paura il meglio possibile, ma credo che ci sia realmente poco da aggiungere in merito.

Questa paura condiziona la mia vita?

In alcuni momenti mi sembra di infischiarmene, di essere convinto di poter vivere in pace con me stesso, di poter avere il controllo e fare qualcosa di buono, mentre in altri momenti mi sento del tutto in balia degli eventi, incapace di comportarmi correttamente, come una parte di me vorrebbe fare.

Mi sembra di essere un nuovo Mr Hyde, senza alcuna coscienza o umanità, e anche quando tiro fuori il dottor Jekyll le cose non migliorano, perché egli è la parte ipocrita che condanna l'opera di Hyde ma prova piacere nell'essere lui.

E allora, dato che non c'è alcuna parte di me che si salva, so benissimo di non meritare l'amore di nessuno, in special modo delle persone che io amo, e mi dispiace per coloro che hanno il coraggio di restarmi attorno, poiché potrò solo deluderli.

Questo è il mio tema.

Come ho detto all'inizio la mia paura è più comune di quanto si pensi; tutti cerchiamo stimoli emozionali dall'esterno e non ci accorgiamo in realtà ogni cosa si trova dentro di noi, positiva o negativa che sia.

Alzo la testa dal foglio e guardo Calum. La sua espressione neutra non mi aiuta a comprendere come dovrei interpretare quello che ho appena letto.

Il mio più grande interrogativo è perché mai abbia voluto rendermi partecipe di sensazioni così personali. Insomma, non è che sia proprio la sua migliore amica.

Gli restituisco il foglio, perché mi sembra quasi che scotti tra le mie mani.

Ora che ci penso le sue parole mi suonano alquanto famigliari, anche troppo a dire la verità.

Mia sorella aveva ragione, come sempre d'altronde: forse io e Calum ci somigliamo più di quanto io sia disposta ad ammettere, o almeno ad accettare.

"Quindi? Non dici niente? Quale onore: ho lasciato senza parole Acacia Halen!"

Lo fulmino con un'occhiata, ma il suo sorriso non accenna a svanire e mi chiedo come possa sorridere in questo momento.

"Davvero avresti letto quello davanti a tutta la classe?"

"Certo che no, ho pronto nel quaderno un ammasso di parole preconfezionate che magari mi farebbero anche prendere una B se la cara Miss Fray è abbastanza larga di voti, però io volevo che leggessi la verità."

"Perché?"

Lo chiedo con più enfasi di quanta vorrei, ma non mi interessa. Voglio saperlo, anche se non so neanche perché mi importi tanto.

Lui mi guarda in modo strano, come se stesse cercando qualcosa nel mio sguardo.

"Beh, a quanto pare tu restarai tra noi per un bel po', perciò tanto vale mettere le carte in tavola.
Sai, tu sei come Michael alcune volte. Certo, lui sarebbe stato più imbarazzato, ma entrambi non sareste rimasti indifferenti a quelle parole, perché voi in fondo non riuscite a odiare, non veramente, e neanche a essere insensibili."

Davvero sta parlando di me?

"Seriamente? Pensavo che avessi capito che io non posseggo affatto la sensibilità di Michael e che sono capacissima di odiare."

Un'altra risata. Inizia veramente a snervarmi.

"Ma per te è molto difficile esprimere i tuoi sentimenti; in questo mi somigli."

E in molto altro.

Restiamo in silenzio per alcuni secondi, minuti, ore, non saprei dirlo. Potremmo alzarci da questo pavimento ed essere già diplomati, ma io starei ancora pensando alle sue parole, sia scritte che orali.

A un certo punto lo vedo in piedi.

"Beh, sarà meglio che vada. Avevo detto a Miss Fray che andavo in bagno, ma oramai mi avrà dato per disperso.
Torni a casa ora?"

Finalmente riesco a uscire dalle trame dei miei pensieri e fisso negli occhi Calum, forse anch'io alla ricerca di qualcosa, ma non saprei dire cosa in particolare.

"No, ho promesso a mio fratello che l'avrei portato io a casa. Prima andava e tornava con la bici, perché diceva che non voleva essere visto con la sua sorellona, ma è stato già capace di romperla quella bici, quindi che gli piaccia o no dovrà stare con me. Tra l'altro non dovrei essere io quella imbarazzata nel farmi vedere con il mio fratellino?"

Lo so che tutte queste spiegazioni sono del tutto fuori luogo, ma sento che è necessario allontanarci il più possibile dall'argomento di partenza prima di dividerci.

"Sai come sono i ragazzini di quell'età. Anch'io non volevo essere visto con mia sorella maggiore, è una cosa da maschi."

Ha una sorella.

Questa informazione appena acquisita mi porta a riflettere nuovamente sul perché lui e Luke si siano stabiliti a casa di Michael.

Non hanno una famiglia, qualcuno che li vorrebbe vicini?

"Sì, probabilmente è così."

Lui mi lancia un'altra occhiata indecifrabile, poi si volta.

"Non dovresti restare qui in corridoio comunque. Io vado, ci vediamo all'uscita o nel caso direttamente stasera. Mettiti qualcosa di carino."

Mi fa un cenno di saluto e poi mi da le spalle per tornare in aula, ma io non riesco a trattenermi.

"Comunque è una stronzata la storia di dispiacerti per le persone che scelgono di restarti accanto perché potrai solo deluderlo. Se qualcuno decide di starti vicino, avrà sicuramente valutato i pro e i contro e non puoi di certo essere tu a mettere in discussione le sue ragioni.
Inoltre credere di non meritare l'amore di qualcuno è il modo migliore per ferirlo."

Non capisco perché il mio cervello non sia collegato alla mia bocca o perché io faccia sempre l'opposto di quel che mi propongo di fare, comunque ormai non posso rimangiarmi le parole e non lo farei in alcun caso.

Lui si ferma solamente, ma non si volta, e resta così per alcuni secondi.

"A dopo Acacia", dice solamente prima di dileguarsi.

Anch'io decido di alzarmi e mi avvio nella direzione opposta.

In fondo sono felice di questa pseudo chiacchierata, nonostante abbia aggiunto altri pensieri nella mia testa già in subbuglio.

Almeno sento che da tutto questo tempo passato seduta sul pavimento non ci ho guadagnato solo un culo ghiacciato.

***
"Davvero esci? Di venerdì sera? E vieni a una festa nella mia università?"

Guardo mio fratello attraverso lo specchio del soggiorno.

Anche lui va alla festa e si è vestito con quella sua camicia floreale che a suo dire lo fa rimorchiare da Dio.

Alla fine l'ho perdonato per tutta quella storia, ovviamente dopo la centesima volta che si è scusato.

Non riesco mai seriamente a portare rancore a mio fratello, ma qualche volta è giusto provarci.

Sistemo i capelli alla meglio e stiro con le mani i pantaloncini neri.

"Vuoi un passaggio?", mi domanda mentre mi lancia il mio giubbotto di pelle.

"No, penso che Michael e gli altri siano già qui fuori."

Mi fissa in un modo che mi ricorda un po' quello di Calum oggi in corridoio.

"Ascolta, volevo chiarire che io sono felicissimo che tu esca di nuovo con Michael. Lui è un bravissimo ragazzo e in fondo ci conosciamo da tutta la vita. Non so perché ho detto quelle cose quella sera. Forse mi sono solo affiorati in mente troppi ricordi. Poi quello che è successo la sera successiva ha completato il quadro in maniera impeccabile..."

"In che senso? Che è successo?"

"Niente, lascia perdere. Volevo solo metterti al corrente di quello che penso."

Ovviamente sapevo dall'inizio che le cose stavano in questo modo, perché in fondo anch'io quel giorno ho rivissuto momenti non molto piacevoli e in realtà quel che ha scatenato la mia furia verso Wade è che lui mi ha costretta a riviverne altri, quelli più dolorosi.

"Sta tranquillo, l'avevo già capito."

E prima che possa dire qualsiasi altra cosa, mi trovo stretta nel suo abbraccio.

Da chi avrà ereditato questa propensione alle dimostrazioni d'affetto fisiche?

Forse non è mio fratello.

Ma quando mi da un puffetto sulla guancia e poi, quando mi sono già avviata verso la porta, mi fa notare che quei pantaloncini leggermente a vita alta mettono un po' troppo in mostra un mio certo lato, so per certo che quell'idiota non può essere altro che il mio fratellone e non potrei esserne più lieta.

***
"Wow, c'è davvero tanta gente qui dentro", mi dice Margot nell'orecchio per superare l'alto volume della musica.

In effetti quest'ampia sala, che dovrebbe essere la sala comune di una confraternita o roba del genere, è così affollata che non riesco neanche a fare un calcolo approssimativo delle persone cui presenti.

Margot sembra piuttosto intimorita, mentre io sono del tutto tranquilla: sono stata in posti più affollati, caotici e sporchi e purtroppo non con una compagnia sicura come questa.

Certo, mi sembra un po' strano trovarmi a una festa dopo tutto questo tempo.

Michael invece appare piuttosto disinvolto: lui di sicuro ha visto altri party dopo aver lasciato la California.

Sono contrariata con quella parte di me che la giudica quasi una colpa, come se lui non fosse, non sia, un adolescente che merita di divertirsi.

"Kay, ascolta io non sono sicura che... Insomma..."

Rivolgo nuovamente la attenzione su Margot, che sta torturando l'orlo della sua gonna a fiori.

Non pensavo che fosse così tanto nervosa.

"Ascolta, stai semplicemente calma e non pensare a niente. Sciogliti e lasciati trasportare."

I ragazzi, che si erano allontanati, tornano verso di noi, tutti con bicchieri rossi in mano.

Ne porgono uno a me e uno a Margot.

Michael nel consegnarmelo mi lancia il suo famoso sguardo, che sottintende la frase "che sia uno degli ultimi". L'ha brevettato alla prima festa del primo anno. Vorrei dire di avergli dato retta quella volta o le volte successive, ma sarebbe una bugia.

Forse dovrei parlargli di quel che gli sto occultando dal suo arrivo e aggiungerci quel che mi ha detto Esther oggi, tuttavia questo non è né il luogo né il momento opportuno.

Così svuoto il bicchiere con un paio di sorsi e comincio a ballare assieme agli altri.

Bevo anche dal bicchiere di Margot, perché lei dice di essere astemia.

Ovviamente dopo un po' ho di nuovo sete, quindi mi dirigo verso il grande fusto di birra in un angolo della sala, seguita dalla richiesta di Calum di riempire un bicchiere anche a lui.

Spero che il mio terzo dito gli abbia fatto capire che se vuole qualcosa deve muovere il suo bel didietro.

Dopo aver fatto quel che dovevo faccio per tornare indietro, ma improvvisamente vado a sbattere contro qualcuno e la birra finisce addosso a entrambi.

Alzo lo sguardo per poter urlargli qualcosa in faccia, ma incredibilmente rimango senza parole.

Non perché è un bel ragazzo (e si lo è, e molto) sono i suoi occhi che mi incantano: è illuminato dalla luce di una lampada e riesco a scorgere tutte le sfumature castane, verdi e dorate nelle sue iridi.

"Scusami, non volevo. È stata colpa mia."

Ora probabilmente dovrei dire il classico No, è colpa mia, ma io sono io, non posso sforzarmi fino a questo punto.

"Non fa niente, in fondo non l'hai fatto di proposito, oppure rimorchi buttando birra addosso alle ragazze?"

Sorrido e lui sorride di rimando, ma il suo modo di farlo è di gran lunga migliore del mio: è uno di quei sorrisi tutto fossette e così caloroso che scalderebbe il cuore a chiunque.

"No, la mia tecnica preferita non si limita alla birra. Alla ragazza che mi interessa lancio addosso qualsiasi cosa, come alle elementari."

"Mi chiamo Acacia."

"Che bel nome. Io sono Ashton. Ma aspetta, tu sei l'amica di Michael?"

Un attimo. Lui è l'amico universitario dei ragazzi?

Ma perché incontro tutti gli amici di Michael in questo modo?

Cosa farà il prossimo, mi getterà nel fango?

Io annuisco e nell'abbassare il capo mi rendo conto che la mia maglietta bianca e bagnata... e io non indosso il reggiseno.

Istintivamente incrocio le braccia e Ashton sembra rendersi solo adesso conto della scena che aveva davanti.

Se fosse gay?

Non dovrebbe importarmi, invece devo ammettere che mi interessa davvero.

"Non hai una giacca?"

Ripenso al mio giubbotto di pelle lasciato in una stanza che funge da guardaroba, che ovviamente non ricordo dove sia.

Lo spiego ad Ashton e lui inaspettatamente mi cinge la schiena con una delle sue braccia muscolose.

"Vieni ti accompagno."

Dopo qualche secondo la musica diventa solo un eco lontano, mentre noi proseguiamo per i corridoi del dormitorio.

Parliamo del più e del meno, come se fossimo amici di vecchia data e non due tizi che si sono conosciuti da pochi minuti. Con Ashton conversare appare come la cosa più naturale del mondo.

Quando finalmente ho addosso il mio giubbotto di pelle, che abbottono fin quasi in gola, Ashton mi prende una mano e mi guida verso una porta finestra che si trova in questa stanza.

"Vieni, ti voglio far vedere una cosa."

Io neanche rispondo, troppo stranita dal contatto della mia pelle fredda con la sua così morbida e calda, come il suo sorriso.

Mi conduce per un sentiero scavato in grande giardino.

Passiamo davanti a una coppia che si sta vistosamente e rumorosamente dando da fare, ma dopo pochi passi ci sono solamente le nostre voci.

Entriamo in una strettoia che ci circonda da entrambi i lati con fiori rampicanti dai colori così vivaci da essere perfettamente visibili alla sola luce della luna.

Dopo un po' sbuchiamo in uno spazio circolare, al cui centro spadroneggia una fontana esagonale, i cui getti illuminati dai raggi lunari sembrano d'argento.

"Allora in realtà è questo il piano completo per sedurre una ragazza."

Vado a sedermi su una panchina ai limiti del cerchio.

Ashton si sistema affianco a me, prende uno dei fiori rampicanti, viola con venature bianche, e me lo sistema tra i capelli.

"Mi hai scoperto! No, in realtà volevo solo parlare con te con tranquillità."

"Certo, come no."

"Dico sul serio!"

E stranamente ne sono certa, nonostante non conosca praticamente niente di lui.

"Okay, ti credo Ashton Qualunquesiailtuocognome."

"Irwin."

"Halen."

"Ti va di fare quel gioco delle domande?"

Alzo un sopracciglio, dato che non mi sarei mai aspettata una proposta del genere e poi io odio questo genere di giochi.

"Non credi di essere un po' cresciuto per queste cose? Quanti anni hai, venti?"

"Diciannove, ma sono convinto che si debba sempre essere un po' ragazzini dentro."

In effetti lui mi fa sentire leggera come una ragazzina e una sensazione così nuova ora come ora.

"D'accordo allora, comincia tu, però solo cinque domande."

"Agli ordini signora! Allora... Data di nascita?"

"15 Febbraio."

"La festa dei single, che sfortuna!"

Sarà la milionesima persone che fa questa osservazione, eppure sorrido e non lo faccio forzatamente.

"Sempre meglio di essere nati il giorno di San Valentino. Comunque devi ancora dire il giorno del tuo compleanno."

"Il 7 luglio."

"Il tuo colore preferito?"

Lo so, non sono per niente originale, ma ho poche idee e quegli occhi mi distraggono.

"Credo che da oggi sarà il viola."

Sorridiamo e per alcuni secondi scende il silenzio, perché ci bastano gli occhi per comunicare.

"Il mio è l'azzurro."

"Non vale, avresti dovuto dire il colore dei miei occhi, mi ritengo offeso."

Il castano si gira e mette su uno scherzoso broncio.

"Per favore, sarebbe stato troppo scontato e smielato", mi giustifico tendendo la testa verso di lui.

Lui si gira nuovamente e i nostri volti non distano che pochi centimetri.

"Non sei una tipa molto romantica, vero?"

"Già."

Restiamo qualche altro secondo in silenzio ad ascoltare i nostri respiri.

"Ora devi rispondere anche tu alla domanda."

"Stiamo ancora giocando? Comunque penso di esserlo abbastanza."

"Ehi, ho detto cinque domande e cinque saranno. Sei gay o fidanzato?"

Beh, meglio essere sicura.

"No, nessuno dei due", afferma ridendo.

Dio, quelle fossette.

"Neanche io."

"Okay, ultima domanda", si prende qualche secondo di pausa, forse pensando a un quesito da formulare. "Vuoi baciarmi?"

Dovrei essere sorpresa o quanto meno titubante sulla risposta da dare, ma in fondo tutto il mio corpo la sta urlando.

"Sì."

"Anch..."

Proprio mentre stiamo annullando la distanza tra di noi, sento dei passi avvicinarsi.

"Acacia? Che ci fai qui fuori?"

L'istinto omicida verso mio fratello maggiore torna a farsi sentire.

Angolo autrice:
Le ship spuntano come erbacce, lo so! :)

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