1| Grow up wrong
L'ultimo giorno di agosto è tristemente giunto e quando leggi questa data sul calendario capisci che la scuola sta inevitabilmente per ricominciare.
Quest'anno però è l'ultimo, il 12th grado, il quarto anno di superiori, il Senior Year. Insomma, può chiamarsi come cazzo gli pare, ma rimane il fatto che tra dieci mesi sarò già lontana da questo posto di merda.
Non so precisamente dove andrò. Tutto dipende dall'università che deciderà di ammettermi.
Il mio sogno sarebbe la Columbia, a New York, ma appunto è un sogno e sicuramente resterà tale, poiché un'università così prestigiosa non vorrebbe mai una come me.
I miei voti non sono affatto male, nonostante dedichi allo studio molto meno tempo di quanto dovrei, ma sono già stata sospesa qualche volta, stronzate fatte al primo e secondo anno che rimpiango ancora oggi, e poi non so se riuscirei a pagare la retta, dato che per la borsa di studio non ho nessuna possibilità, essendo del tutto apatica a ogni attività extracurriculare, sport in particolare.
In verità l'anno scorso non avevo neanche intenzione di inviare le domande per il college, ma Miss Fray, l'insegnante del corso di scrittura creativa, a cui tra l'altro mi ero iscritta mettendo crocette a casaccio sul foglio delle materie facoltative, alla fine mi ha convinta e aiutata.
È una tipa un po' strana, ma forse è proprio questo a renderla simpatica.
Sono stanca delle persone fatte con lo stampino, i miei compagni di scuola appartengono tutti a questa categoria, cioè la gente che segue le mode, finendo per indossare gli stessi vestiti, parlare allo stesso modo e ascoltare la stessa musica.
E odio profondamente chi giustifica tutto questo, affermando che i giovani hanno bisogno di conformarsi, per sentirsi parte del gruppo.
Io non cambierei mai me stessa per essere accettata, perché l'unica volta che ci ho provato, solo con una piccola porzione del mio essere, ho capito quanto fosse inutile e dannoso.
Mio sorella maggiore dice continuamente che mi farei più amici se sorridessi di più e fossi più estroversa, mio fratello maggiore pensa che se non avessi perennemente un espressione scazzata in volto e mi comportassi più gentilmente la gente non mi girerebbe a largo, mentre per i miei fratellini sono semplicemente la strega, eppure lo so che tutti loro mi vogliono bene e mi accettano per quella che sono.
Vorrei però che capissero che io non ho amici perché non voglio averne, non complendendo affatto l'esagerato ruolo che si attribuisce alle relazioni sociali in una società in cui tra l'altro non esiste neanche una vera comunicazione tra individui, dovuta all'egoismo che ci impedisce di fregarcene qualcosa dei sentimenti di un'altra persona.
Io non ho alcun problema a definirmi narcisista, che è un termine molto diverso da egoista; i narcisisti comprendono le emozioni altrui ma non gli interessano, mentre gli egoisti non ci arrivano proprio.
Lo psicologo della scuola mi ha detto, alla fine dello scorso anno, che a suo parere non sono una narcisista, ma che avrebbe voluto capire la causa scatenante del mio comportamente schivo e in collera col mondo.
Chiaramente lui non sapeva di cosa parlava, altrimenti avrebbe capito che io non provo nessun genere di rabbia, solo indifferenza.
E per quanto riguarda le motivazioni che mi hanno portata a essere quella che sono, beh, che posso dire?
Sono cresciuta sbagliata, nel posto giusto, con persone giuste e sbagliate che si sono comportate indistintamente in modo sbagliato.
Cosa vuol dire questo?
Potrei iniziare col nominare il mio caro paparino, che più di cinque anni fa, dopo anni di litigi e tradimenti, se n'è andato da casa nostra, lasciando nostra madre, o quello che ne era rimasto, a consolarsi con bottiglie di vino o sherry.
E potrei parlare di molti altri avvenimenti, ma credo che far venire il passato a galla sia contro producente, soprattutto ora che sono così vicina a lasciarmi tutto alle spalle.
L'unica cosa che voglio fare questa mattina (in realtà è mezzogiorno e mezza, ma dato che mi sono appena alzata è mattina) è tingermi finalmente di nuovo i capelli.
Avevo promesso a mia madre che li avrei fatti restare del mio colore naturale per tutta l'estate, ma credo che più di due mesi di riposo siano troppi e poi ho visto un'immagine bellissima su We Heart It che mostrava una ragazza dai capelli viola e ho capito che quello sarebbe stato il mio prossimo colore.
Così mangio un sandwich al burro d'arachidi e poi mi avvio verso lo studio del mio parrucchiere di fiducia, Gideon.
È ancora giovane, nella ventina, e appartiene alla categoria di quelle rare persone che sopporto, forse perché è impossibile non rispettarlo per il suo completo menefreghismo nei confronti di quello che gli altri pensano.
E poi mette sempre CD dei Queen, Beatles e Rolling Stones e questo è decisamente un punto a suo favore.
Entro nel suo negozio dopo aver parcheggiato lì davanti e lo vedo intento a spazzare il pavimento, coperto da capelli biondi.
Ha i capelli neri ed è alto e magro, la carnagione ambrata che rivela le sue origini in parte espaniche.
In effetti lascia un po' confusi che il suo negozio si chiami 'Au bonheur des cheveux'* e che parli continuamente in francese, ma a quanto pare sua madre veniva da Marsiglia e lui vi era molto affezionato.
Soleva la testa non appena sente il campanello attaccato alla porta trillare.
"Bonjour fleuron!"
"Non provare mai più a chiamarmi fiorellino!", lo riprendo lancandogli un'occhiata assassina.
"Buongiorno anche a te Gideon, come va la vita?", mi fa il verso il parrucchiere, per poi invitarmi a sedermi su una delle morbide poltrone azzurre. "Comunque pensavo che studiassi spagnolo a scuola."
"Siamo a San Diego, pensavo di poterlo imparare per strada lo spagnolo e in effetti...", dico mentre mi metto seduta e ruoto la sedia verso lo specchio.
I miei occhi verdi sono cerchiati di nero, il che mi ricorda che dovrei struccarmi prima di andare a dormire, perché a quanto pare la doccia non basta a levare quello schifo, non che sia una bellezza senza comunque.
"Aquì la chica que rompe los traseros"*
Lo guardo attraverso lo specchio, cercando di mostrare una faccia arrabbiata, tentativo piuttosto mal riuscito, dato che comincio a
ridere tanto forte da rischiare di rompermi qualche costola.
"Seriamente? Da quando fai emergera la tua parte portoricana?"
"Prima di tutto, mio padre non era di Porto Rico, ma del El Salvador, niña. E poi devi ammettere che lo spagnolo mi fa molto più macho."
"Ecco perché parli sempre in francese, è più coerente con la tua persona."
"Molto spiritosa, ma ricorda che ora ho io il coltello dalla parte del manico, quindi ti conviene me traiter avec des gants*", mi minaccia chiudendo e aprendo ripetutamente le forbici che ha in mano.
"Edward mani di forbici è molto più carino di te, rinuncia a imitarlo."
Si mette una mano davanti alla bocca per coprire la sua faccia offesa.
"Come osi! Ti perdono solo perché stai pur sempre parlando di Johnny Depp e lui sì che rimarrà sempre un gran figo", afferma sospirando, gli occhi sognanti persi in chissà quale fantasia. "Ma ora passiamo a questioni serie: vuoi di nuovo tingerti i capelli, vero? Dimmi, cos'hai contro questo bellissimo castano?"
Con Gideon è sempre la stessa storia quando devo tingermi i capelli, tanto che ormai so già esattamente cosa dire.
"Mi annoia a morte dopo pochi giorni. E poi come puoi definire bellissimo qualcosa di così comune?"
"Le rose sono fiori comunissimi, eppure sono egualmente meravigliosi."
"Io odio le rose."
"Strano, ti somigliano così tanto: bellissimi fiori con le spine."
Non posso fare a meno di ripetere le sue parole nella mente, immaginando poi il mio corpo ricoperto di spine.
Ma perché concepisco sempre questi pensieri senza senso?
"Dopo questa frase tanto Tumblr inizierai a decolorarmi i capelli, vero?"
"Ovviamente fiorellino."
Sono tentata di urlargli ancora contro, ma alla fine desisto dal mio intento.
Comincia a operare sui miei capelli; prima di tutto li taglia, portandoli da metà schiena a sulle spalle.
Siamo accompagnati dal secondo album dei Rolling Stones, roba più vecchia di mia madre, ma sempre fantastica.
Una canzone in particolare, Grow up wrong, mi rimane in mente, perché mi sembra in qualche modo che parli di me e non capisco il perché di questa impressione.
Quando inizia a decolorarli arrivano altre clienti e chiaramente non mi sembra più il caso di cercare di dare filo da torcere a Mick Jagger.
Dopo parecchio tempo e diverse operazioni il lavoro è finito.
I miei capelli sono sull'indaco, con sfumature viola e blu che li rendono al dir poco spettacolari.
Sono molto meglio di quelli che ho visto e mi piacciono talmente che potrei decidere di tenerli così per tutto l'anno scolastico.
"Sei il migliore Gideon!"
"Ti prego non ripetere l'ovvio."
"Sei proprio uno stronzo."
***
Uscita dal negozio di Gideon vado a casa, dove mia sorella minore, Hebe, dieci anni e un visino da angioletto, sbuca dal giardino sul retro, dove c'è la piscina, con addosso un costume rosso e qualcosa stretto tra le mani.
"Kay, che bei capelli! Assomiglia alla strega di un cartone che guardo sempre!"
Sto per chiederle cosa sta mantenendo, quando uno squittio conferma i miei peggiore sospetti.
"Bee, perché hai un topo in mano?"
La ragazzina lo sistema in modo che possa vederlo meglio.
"Scorrazzava nel giardino sul retro e Ferbus gli stava dando la caccia. Non potevo lasciarlo morire, è troppo tenero!"
Ferbus è il nostro gatto, un bestione grigio che non mi sopporta in equal misura di quanto io odio lui.
Squadro l'esserino marrone dai grandi e vitrei occhi gialli.
Perché mia sorella e la creatura più buona del pianeta, invece di essere una classica ragazzina snob che si mette a urlare nel vedere 'un simile mostro' passarle davanti.
Beh, comunque sicuramente la preferisco così com'è.
"Va bene, ma ora dobbiamo portarlo via. Se lo vedono mamma e Shyla daranno noi in pasto a Ferbus."
"E dove dovremmo lasciarlo?"
Ci rifletto per qualche secondo, prima di trovare la soluzione che mi pare più giusta.
"Lo porto al parco, gli piacerà stare tra il verde."
"E se viene mangiato da un serpento, o vanno a disinfestare il parco, oppure non sta simpatico agli altri animali?"
Dov'è un muro su cui sbattere la testa quando serve?
"Starà benissimo, ora dammelo, coraggio."
Mi consegna il topolino e un labbruccio tremolante si forma sul suo viso.
Credo sia l'unica persona al mondo che può affezionarsi a qualcuno o qualcosa in dieci minuti.
"Prometto che ti verrò a trovare al parco Snick."
Snick, ma come... meglio lasciar perdere.
Mi avvio a piedi alla volta del parco, che fortunatamente è molto vicino a casa nostra, sbirciando i movimenti del topo e sperando che non abbia malattie infettive.
Quando arrivo lì mi siedo sull'erba soffice e leggermente secca a cause del caldo estivo e della scarsa pioggia e lascio andare il topo, che però fa solo pochi passi, poi si gira come se non volesse andarsene.
"Avanti Snick!", lo incito, chiedendomi poi perché lo chiamo con quel nome. "Lo so che non è un giardino con piscina, ma credo che questo posto ti piacerà di più. E se mai non dovesse essere così puoi sempre partire alla volta di Hollywood come fanno tutti."
Il topo squittisce e poi scappa via, disperdendosi tra i cespugli.
Mi rimetto in piedi, pulisco il retro degli short e mi dirigo nuovamente verso casa.
Nonostante sia praticamente cresciuta in questo posto, arrivata all'uscita mi rendo conto che è quella sbagliata, il cancello est invece di quello sud, ma ormai tanto vale fare il giro, sperando che il mio fantasmagorico senso dell'orientamento non mi faccia finire in Nuova Zelanda.
E mentre cammino tra le vie alberate e pulite del mio quartiere, noto un camion dei traslochi fermo davanti ad una casa simile a tutte le altre, ma che io distinguo per una ragione ben precisa.
Non sapevo neanche che la famiglia a cui era stata venduta la prima volta, dopo che loro se n'erano andati, avesse traslocato.
E dire che mia madre è un'agente immobiliare, perciò sicuramente sarà stata lei di occuparsi della vendita.
Non che mi stupisca che non ne abbia fatto parola con me, dato che il nostro rapporto si basa su una vasta gamma di monosillabi e all'occorrenza parolacce, ma pensavo che ci tenesse a informarmi su qualcosa che riguarda lui.
Ma in fondo cosa c'entra con lui?
Forse mi dovrei abituare all'idea che quella casa non significa niente per me da più di due anni e dimenticare i momenti che ho trascorso al suo interno.
Anzi no, non potrei mai rimuovere quelle immagini, sarebbe come cancellare la poca luce che nel mio passato c'è stata e tutto diventerebbe solo una fottuta macchia scura.
Posso stipare tutto in cassetti, ma sarebbe meglio non aprirli mai.
Finalmente sono davanti a casa mia, come potrei non essere felice di rivedere i miei cari parenti?
Chiaramente ho dimenticato le chiavi, cosa così abituale che sinceramente non ricordo neanche la forma del mio portachiavi.
Potrei dire che la faccia di mia madre dal momento in cui ha aperto la porta e mi ha visto è diventata talmente rossa da farla assomigliare a Hell Boy, ma credo che non renderebbe abbastanza l'idea della furia che la sta logorando.
"Cosa accidenti sono quei capelli?!"
Entriamo dentro, dove mia sorella maggiore, Shyla, è già accorsa dal secondo piano.
"Avevo promesso di non tingerli per tutta l'estate, ma direi che l'estate è finita, è l'ultimo giorno d'agosto."
La mia calma sembra innervosirla maggiormente, se questo è possibile.
"Non puoi decidere tu quando termina l'estate! Perché tu lo sappia l'autunno inizia solo il ventuno settembre!", si ferma un attimo, per sbruffare e coprirsi il volto con fare teatrale, poi ricomincia con le lamentele: "Come devo fare con te? Domani sera Owen viene a cena con i suoi figli e ti vedrà conciata in questo modo. Chissà cosa penserà di me come madre!"
Senza darle retta mi dirigo in salotto, dove i miei fratelli, Wade e Dustin, sono presi a giocare a Call of Duty e mi siedo sul grande divano beige, poco distante da loro.
Mia madre ha conosciuto Owen durante una seduta degli alcolisti anonimi, a cui lei si è iscritta circa un anno fa, quando ha capito di star raschiando il fondo del barile.
Pensavo che ci avrebbe portato a casa un disoccupato violento e pronto a rubarci l'argenteria, invece devo ammettere che è un uomo davvero simpatico, affascinante e intelligente e poi è chiaramente perso per mia madre.
Non so perché lei si così in apprensione per questa cena o per i miei capelli.
Okay, la prima volta che Owen è venuto a casa era giugno e miei capelli non erano già più verdi, ma mi sembra di avergli detto qualcosa sul fatto che gli avevo tinti più volte e non mi era sembrato contrario a queste cose.
Tra l'altro quando aveva visto il mio piercing alla lingua (meglio non pensare alla fase della mia vita in cui decisi di farlo) aveva detto che mi stava bene e posso giurare che non lo stesse dicendo per cortesia o in senso ironico.
Comunque credo che il comportamento di mia madre sia dovuto alla sua ansia per l'imminente incontro tra i figli di Owen e noi e io ovviamente sono sempre un ottimo capro espiatorio, credo sia il mio secondo nome.
Cosa pensa, che i figli del suo tesoruccio rimarranno traumatizzati nel vedermi?
Tra l'altro credo che mi abbia detto che uno di loro, se non sbaglio una ragazza, ha la mia stessa età.
Magari spera, o a questo punto sperava, che tra noi potesse sbocciare un'amicizia.
Sì certo, sogna pure mammina.
Dopo un tempo che non saprei calcolare quella donna perennemente mestruata inizia a scuotermi.
"Acacia Halen, mi stai ascoltando?"
Mi alzo spingendola via.
A questo punto sono più arrabbiata di lei e quando arriviamo a questo livello in genere finisce male, per cui medito mentalmente di prendere la strada della porta e andarmene, così da evitare spargimenti di sangue.
Prima però di uscire dalla stanza, mi rendo conto che c'è qualcosa che desidero assolutamente chiedere a mia madre, nonostante abbia promesso solo qualche minuto fa di relegare tutto in cassetti.
"Sei stata tu a occuparti della vendita della casa dei Granger? Ho visto un camion dei traslochi lì davanti e stava scaricando."
Lei sembra per un attimo confusa da quella domanda, ma poi capisce a cosa mi riferisco e riconosco un'espressione colpevole che si fa largo sul suo volto angelico e ancora indiscutibilmente bello.
"I Granger sono spiriti liberi, infatti l'ho capito il giorno stesso in cui gli ho venduto quella casa che se ne sarebbero andati presto. Certo, non mi aspettavo che si creasse una tale concidenza..."
Non comprendo quello al cui si riferisce, ma sto iniziando a preoccuparmi e il silenzio della stanza, ora che addirittura i miei fratelli hanno spento il loro amato videogame per seguire la conversazione, mi dice che tutti qui vogliono sapere cosa sta succedendo.
"Quale concidenza, mamma?"
"Tempo fa la famiglia che abitava lì prima dei Granger mi ha contattato per sapere se c'erano case in vendita nel quartiere, proprio poco dopo che i Granger mi avevano comunicato di voler traslocare.
I Clifford sono di nuovo a San Diego."
Ci vuole tempo prima che assimili il significato di quelle parole.
È così assurdo, paradossale, che quasi mi verrebbe da ridere se fossi in grado di muovermi o parlare.
Poi a un certo punto lo stupore lascia posto alla rabbia, una delle ire peggiore che mi abbiano mai avvolta.
"Perché non mi hai detto niente?! Davvero non capisco!", le urlo contro talmente forte che la vedo piegarsi leggermente all'indietro, come se le mie parole affilate potessero davvero tagliarla.
"Kay*, calmati per favore", cerca di rabbonirmi Shyla, ma io sono così arrabbiata che mi sento in dovere di prendermela anche con lei.
"Scommetto che tu lo sapevi, dato che ti dice sempre tutto! E anche tu per qualche incomprensibile motivo non mi hai detto niente!"
Lei mi si avvicina e i miei occhi verdi si specchiano nei suoi castani.
Non riesco mai ad essere seriamente in collera con lei, forse perché condivide con Hebe una bontà che non mi apparterrà mai e che, solo nel loro caso, ammiro.
"Ti assicuro che non sapevo niente di tutto questo e penso che la mamma abbia sbagliato a non dirti niente. Tuttavia credo di capire perché ha deciso di tacere: aveva paura della tua reazione a questa notizia, che risvegliasse in te brutti ricordi o peggio ancora che tu cercassi lui e rimanessi delusa dallo scoprirlo cambiato o affatto incline a riallacciare un rapporto con te."
Un'altra cosa per cui stimo profondamente mia sorella maggiore è la sua sincerità, costante anche in un mondo in cui mentire è diventato quasi parte della morale comune.
A volte mi chiedo come possa fare l'avvocato con una personalità simile, ma considerando che lavora in uno studio in cui si offre consulenza legale pro bono, credo che abbia scelto il lavoro giusto, anche se il suo sogno è diventare giudice, però per quello la strada è ancora lunga, dato che ha solo ventitre anni.
"Non volevo accusarti di niente, ma ti posso assicurare che i motivi che hai menzionato non rietrano nelle sue motivazioni. A lei non importa di me."
Non ho problemi a dire questo davanti a mia madre, in fondo non è la prima volta, e ignoro totalmente lo sguardo addolorato che mi lancia.
Non mi incanta più con quello.
E c'è solo questo desiderio a torturare la mia mente, a sussurarmi flebilmente, ma insistentemente di andare da lui, lasciando perdere le parole di mia sorella, la azioni di mia madre o un qualunque mio dubbio.
Perché la fanno, la facciamo, tutti tanto lunga: se non vuole vedermi mi sbattere semplicemente la porta in faccia e io non la prenderò. Gli ricoprirò il giardino di carta igienica e uova, ma non me la prenderò.
Così senza dire niente a nessuno esco di casa, seguendo una strada che ho imparato a memoria molti anni fa.
Quando mi ritrovo davanti alla casa dai muri azzurri, con il grande faggio a dare il benvenuto, quello a cui è appesa l'altalena che io e lui abbiamo fabbricato un'estate con un vecchio copertone, penso che probabilmente la cosa migliore da fare sarebbe lasciar perdere e tornare a casa, per poi magari andare in spiaggia con Shyla e Hebe.
Eppure attraverso il vialetto, forse perché non sono mai stata portata a prendere la decisione migliore.
Suono il campanello e in quei momenti di attesa rifletto su cosa potrei dirgli quando me lo troverò davanti.
Ehi, come sono andati gli ultimi due anni? Ti ricordi di me? Sono la tua ex migliore amica, quella a cui in seconda media hai rotto l'apparecchio con una gomitota. Perché non mi hai detto che saresti tornato? Il mio numero di telefono e di cellulare non è cambiato e ci sono molti social che non utilizzo mai ma a cui comunque sono iscritta.
No, di certo non avrei usato le ultime parole.
Non voglio accusarlo, perché capisco i motivi che hanno potuto convincerlo a non contattarmi.
Forse lui pensa che sia ancora nel loro gruppo.
Ma io non lo sono più, ormai da tempo, quindi potrebbe davvero andare tutto bene.
Animata da questa convinzione arrivo davanti alla porta.
Mentre sto suonando il campanello mi chiedo da quando tempo non provo così forti sentimenti.
Non che sia così bello sentirmi come se avessi mangiato due pizze intere e tre milkshake tutti in una volta. Forse queste cose non fanno proprio per me.
Dopo alcuni secondi la porta si apre, rivelando un bel ragazzo biondo, molto alto e dagli occhi azzurri.
A meno che non si sia dato alla chirurgia estetica, sono sicura che questo non è Michael ed essendo lui figlio unico non ho idea di chi possa trattarsi.
"Posso aiutarti?", mi chiede, rivelando una voce profonda e facendo tintinnare l'anellino appeso al suo labbro.
Nonostante sia sorpresa, cerco di riprendere immediatamente le redini della situazione.
"Sì. È qui che vivono i Clifford?"
"Sì, ma al momento loro non sono in casa."
In questo momento un altro ragazzo giunge alle sue spalle.
Di poco più basso del biondo, ha una carnagione molto chiara, capelli tinti di azzurro e quelli occhi di un verde simile a quello dei gatti.
Michael.
"Ehi, chi..."
Le parole gli muiono in bocca appena posa il suo sguardo su di me.
"Acacia"
Io mi limito a un tiepido sorriso, che probabilmente assomiglia più a una smorfia.
"Oh, voi vi conoscete..."
Il biondo sembra imbarazzato nel trovarsi in mezzo a questa situaziona e posso capirlo, dato che io mi sento quasi come lui, nonostante almeno sappia cosa sta succedendo.
"Ehm... Acacia, lui è Luke Hemmings, un mio amico che ora vive qui con noi e Luke, lei è Acacia, una mia vecchia amica."
Già, una vecchia amica, qualcosa che vale quanto una vecchia maglietta che a un certo punto si consuma o non va più bene, per cui non costa niente buttarla.
Luke fa per porgermi la mano, ma quando osserva la mia espressione furente la ritrae.
"Beh, magari volete entrare a parlare un po', io andrò di sopra."
"Grazie, comunque restiamo qui fuori a parlare, dentro è un tale casino."
Michael sorride e non posso nascondere quanto mi sia mancata quella sua espressione.
"Allora ci si vede, Acacia", mi saluta Luke, prima di rietrare in casa chiudendosi la porta alle spalle.
Io e Michael camminiamo sull'erba leggermente troppo alta perché nessuno la taglia da un po', finché non raggiungiamo l'ombra dell'albero, sotto la quale ci sediamo.
Passano altri secondi di silenzio, che trascorro a fissarmi le scarpe, finché non sento le sue braccia che circondano il mio corpo e il suo naso che si appogia sui miei capelli freschi di tinta.
"Mi sei mancata così tanto", sussura al mio orecchio.
Anche i suoi abbracci mi mancavano tanto, troppo, ma non posso abbandonarmi a esso.
"Potevi restare."
Lui mi slega dal suo abbraccio, ma è ancora vicinissimo a me e i suoi occhi si specchiano nei miei.
"Non è stata una mia scelta."
"Oh, per favore, non usare queste stronzate con me. So benissimo che tuo padre avrebbe rinunciato a quel posto. Erano preoccupati, ma non erano sicuri che avresti reagito bene a un trasferimento, però tu hai insistito."
Alza un sopraciglio con fare interrogativo e io mi chiedo perché non sono mai stata capace di fare lo stesso.
"Quell'amica delle nostre madri, la signora Johnson, chiacchiera decisamente troppo."
"Mi ricordo di lei, quella col naso a papera che chiama tutti biscottini", dice, prima di lanciarsi in un'ottima interpretazione della donna, che fa sganasciare entrambi dalle risate.
Da quanto non rido così?
"Secondo te come sarebbero andate le cose se fossi rimasto?"
"Male."
Inutile girarci intorno, inutile cercare scusa. Aveva preso la decisione migliore, per quanto sia doloroso ammetterlo.
"Quando te ne sei andato ho capito cosa stavo facendo alla mia vita e ho rimesso le cose a posto, per quanto possibile."
In parte sto mentendo, ma non voglio che sappia e che inizi la lagna del 'È solo colpa mia' perché non sono disposta a sopportarla. E perché non merita di sentirsi responsabile.
"Quindi non frequenti più nessuno di loro?"
"No, ho passato gli ultimi anni a essere la ragazza più anonima di tutta la California o al massimo la dark di cui nessuno ricorda il nome."
"Da quando sei dark?"
"Non lo sono, ma non credo che nessuno capisca la differenza tra dark e rockettara."
"Ma dai, è come non capire la differenza tra un melone e un'anguria!"
"Infatti se facessi un sondaggio nella mia scuola non molti saprebbero dirti la differenza tra una mela e un'anguria."
"La nostra scuola."
"Cosa?"
"Beh, da qualche parte dovrò pur frequentare l'ultimo anno."
Non posso fare almeno di manifestare la mia felicità per questa notizia.
È meglio del sogno in cui incontravo Jim Morrison in spiaggia. Beh, forse no, ma si avvicina molto.
"Lo so che è passato del tempo, ma vorrei che le cose ritornassero come prima tra noi."
Nel momento in cui lo dice mi sembra di poter finalmente riprendere a respirare.
"Sì, lo vorrei anch'io."
"Non sai quanto questo mi renda felice. E abbiamo così tante cose da dirci: come sta tua madre? E i tuoi fratelli e sorelle?"
"Stanno tutti alla grande. Mia madre a smesso di bere, ormai è più di un anno e esce insieme a un bel tipo, una cosa seria."
È bello poter parlare liberamente di queste cose, rende tutto più vivido.
"Invece come stata la vita in Arizona? E perché non mi spieghi la storia del ragazzo che ora vive a casa tua? State insieme?"
Michael ha capito che poteva provare attrazione sia per ragazzi che per ragazze quando eravamo ancora in terza media.
Mi ricordo ancora quando me ne parlò per la prima volta, tutto nervoso perché non sapeva come avrei reagito, e alla fine del suo discorso gli avevo detto qualcosa del genere 'Ok, lo finisci quel sandwich?', che a giudicare dalla sua espressione interdetta non era la reazione che immaginava.
Comunque era il mio modo per fargli capire che per me era la cosa più normale del mondo.
"Con Luke, ma scherzi? Sarebbe come farlo con mio fratello!"
Alla sua teatrale espressione schifata va dato qualche punto in più per il perfetto verso che la segue.
"Ti ricordo che tu non hai un fratello."
"Ma lui e altri due ragazzi lì in Arizona sono diventati come tali per me... E non ingelosirti per questo."
In realtà mi fa piacere che non sia rimasto da solo in questi anni, anche se chiaramente provo un po' di risentimento perché io lo sono stata.
"Per favore, lo so che senza di me hai vissuto con un vuoto dentro. Scommetto che sei cresciuto male per questo."
"Invece tu sei cresciuta molto bene."
"No, io sono cresciuta sbagliata."
Note autrice:
Au bonheur des cheveux*= (francese) al paradiso dei capelli
Aquì la chica que rompe los traseros= (spagnolo) Ecco la ragazza che rompe i culi.
me traiter avec des gants*(francese)=trattarmi coi quanti.
Ah, volevo precisare che la pronuncia del nome Acacia è questa: https://youtu.be/qjKU58ytc9k
da qui si capisce perché il suo soprannome è Kay.
Dopo queste piccole note, sono davvero curiosa di conoscere il vostro parere su questa storia, anche se chiaramente è ancora stato detto poco fin qui.
Ogni capitolo avrà il nome di una canzone rock, come questa dei Rolling Stones, almeno quando il capitolo sarà dal punto di vista di Acacia, quindi vi invito a tentare di indovinare di chi è la canzone, senza imbrogliare!
Nel prossimo capitolo si introduranno altri personaggi principali.
Che prima impressione vi ha fatto Acacia?
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