1 PRIDE (1984)

Partiamo dal brano della consacrazione.

"The unforgettable fire", l'album in cui si trova, sarà il quarto degli U2 ma il primo che arrivò in vetta alle classifiche.

Comincia con il suono di chitarra di Edge che resterà a vita il loro marchio sonoro identificativo.

C'è fin dall'inizio e poi accompagna tutta la traccia.

La conclusione con i cori rende il tutto perfetto per un coinvolgimento da parte della gente durante i live.

La voce di Bono in "Pride" è ambivalente: quasi commossa nei finali di verso e calda durante gli acuti.

Ascoltate come l'emozione passa attraverso le sue corde vocali perché non sono parole qualunque.

Il sottotitolo "In the name of love", urlato nel ritornello dal suo stesso autore, diventerà subito lo slogan col quale ricordare la canzone.

Un testo per dare un senso ad una vita intera alla quale è dedicato: un tributo a Martin Luther King, uomo di pace che combattè negli anni 60 per i diritti civili degli afroamericani e in cambio ricevette una pallottola in testa.

Per questo la canzone scelta è anche l'occasione per parlare del coinvolgimento politico degli U2 e in primis di Bono, il quale nel 2007 ricevette il titolo di cavaliere della corona inglese per l'impegno a favore delle cause umanitarie.

Tante le iniziative alle quali hanno partecipato Bono e gli U2: il Sun City contro l'apartheid in Sud Africa e il Self Aid a favore dei giovani irlandesi disoccupati; le campagne di raccolta fondi a favore di Amnesty International o contro l'AIDS; l'appoggio per l'indipendenza del Tibet o per la democrazia in Birmania; l'impegno per l'azzeramento dei debiti dei paesi del terzo mondo e persino le telefonate al presidente degli Stati Uniti d'America in diretta dal palco per criticarne la politica estera.

2 WHERE THE STREETS HAVE NO NAME (1987)

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Un arrangiamento a cui è difficile togliere qualcosa.

In particolare quel basso che tiene il tempo per tutto il tempo e quei piatti che esplodono appena possono.

Il testo di Bono è ispirato dalla loro partecipazione al Live Aid e il conseguente viaggio in Etiopia.

E' un parallelo immaginario tra la strada in cui si abita e l'appartenenza ad un dato gruppo sociale e, di conseguenza, la metafora di un mondo in cui le vie non abbiano un nome assegnatogli dal destino.

Avete notato il video?

"Where the streets have no name" è girato in presa diretta mentre i quattro suonavano per riprendere le reazioni dei passanti.

Ricordate i Beatles che si salutarono congedarsi dal pubblico come band facendo il loro ultimo live sul tetto di un palazzo inglese?

Eccone uno di Los Angeles, in cui anche gli U2 fecero lo stesso per richiamare il canto del cigno dei Fab Four e fargli un omaggio.

Ho scelto questo brano anche per questo: gli U2 ne hanno fatto di cotte e di crude per stupire ma anche per divertirsi un po'.

Qualche esempio?
Salire su un palco come band d'apertura del proprio concerto mascherati per non farsi conoscere, suonare nelle vetrine di un negozio di abbigliamento di Londra o in anonimato per le strade e le metropolitane di San Francisco.

Questo pezzo è una traccia di un album  che raggiungerà la cima di tutte le classifiche mondiali e a cui seguiranno 110 concerti in ogni parte del mondo.

Con "The Joshua Tree", gli U2 approfondirono altri generi americani: da quelli black a quelli country folk.

Abbiamo scelto questo brano, ma non da meno sono altri due capolavori come "With or without you" e "I still haven't found what I'm looking for" (del quale parleremo subito).

3 I STILL HAVEN'T FOUND WHAT I'M LOOKING FOR (1988)

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Di "I still haven't found what I'm looking for" scegliamo questa versione live per sottolineare la grande resa dei musicisti U2 sul palcoscenico.

Sei minuti che celebrano le voci, sia al singolare che al plurale.

Voce al singolare quella di Bono che singolare lo è anche come aggettivo: potente quando serve e in falsetto quando sono richieste variazioni.

Chiamato infatti Vox non a caso...

Bono è anche istrionico sul palco creando personaggi alter ego camuffati in vario modo ("Mister MacPhisto", "Mr. The Fly").

Voce al plurale, invece, quella della session gospel dei New Voices of Freedom e due solisti straordinari: una conversazione in musica che conquista il pubblico incendiando il brano.

Di solito Bono sceglieva le parole e gli altri la musica.

Qui The Edge collaborò al testo mentre il cantante si concentrò da solo sulla musica.

Il testo è un affascinante interrogativo sulla difficoltà del credente di mantenere la propria fede salda in Dio.

La canzone è inserita in "Rattle and Hum", album doppio ma anche film per documentare il viaggio degli U2 nelle origini della musica americana.

In particolare citerei due fantastici brani della full immersion nel mondo della black music come "Angel of Harlem", dedicata alla splendida voce jazz di Billie Holiday, e "When love comes to town" con il grande chitarrista B.B.King.

4 SUNDAY BLOODY SUNDAY (1983)

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Una marcia di rullante che Larry Mullen perpetua per tutto il brano caratterizza il messaggio del testo scritto da Bono.

Si parla della domenica di sangue del 30 gennaio del 1972 in cui l'esercito del Regno Unito uccise 14 manifestanti civili disarmati.

Allora Bono aveva 11 anni e con una madre protestante e un padre cattolico era abituato al confronto più che all'intolleranza.

Il coro che nel finale si ripete all'infinito, come fosse la disperazione umana che si contorce su se stessa ad ogni morte evitabile, trova pathos in un violino elettrico che cerca sbocchi qui e là per sottolineare la drammaticità di "Sunday bloody Sunday".

Quel grido disperato "per quanto tempo ancora dovremo cantare questa canzone?" sarà esteso ad un principio universale di rifiuto della violenza.


La canzone apre il terzo album degli U2 che s'intitola sì "War" ma diventerà un inno contro la guerra, ovunque essa si trovi.

5 ONE (1991)

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Voce e chitarra per iniziare.

E' il miglior modo per finire questo capitolo, perché lo facciamo in nome della coppia regina degli U2.

Il giro di chitarra suonato da The Edge gira a braccetto con la voce dell'amico Bono per un po'.

Poi cominciano le variazioni che permettono a "One" di allungare la propria durata, dando a chi ascolta l'opportunità di ascoltare senza fretta il testo.

Questo parla di separazioni che la vita ha segnato sulla strada dei due protagonisti: tra il chitarrista The Edge e la moglie, tra Bono e la madre.

Nel primo caso si parla di una storia d'amore lunga sette anni e tre figli finita col divorzio.

Niente di grave se consideriamo la drammaticità della seconda la cui causa di separazione non è l'amore ma la morte che entra a gamba tesa nella vita di un ragazzino di 14 anni.

E' una storia molto triste.

Decidete voi se fornirvi di fazzoletti o se preferite essere pronti a battere il pugno contro il tavolo dalla rabbia.

Mentre gli anziani coniugi Rankin stavano felicemente festeggiando il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio l'uomo morì.

Se non bastasse, al suo funerale la loro figlia venne colta da malore e dopo pochi giorni se ne andrà anche lei.

Era la mamma del piccolo Paul, ancora non conosciuto come Bono Vox.

Sia il testo che la musica sono in realtà del ragazzino che vive ancora dentro l'uomo che non dimenticherà mai questa doppia storia di dolore.

Per lei metterà velatamente su carta tanti versi in tante canzoni, ma solo nel 2014 riuscirà ad elaborare il lutto nell'arte dedicando direttamente alla madre la canzone "Iris", nell'album "Songs of innocence".

"Iris è lì in piedi nel corridoio, mi dice che posso fare qualsiasi cosa. Iris mi sveglia quando ho degli incubi: non ho più paura del mondo".

Siamo quasi alla fine di quest'opera.

C'è il tempo per un'ultima rock band.
Volete un indizio per sapere con chi concluderemo questa avventura?

Sono buono, sono due indizi in uno...

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