Nel loro quarto album c'è il primo vero grande successo dei Queen che, alla lunga, sarà anche il brano manifesto della band.

Un capolavoro di complessità come delle bambole russe musicali.

Quante canzoni contiene?
L'inizio pianoforte e armonie vocali, poi la melodica ballad, l'incredibile scommessa operistica dell'intermezzo, il rock duro dell'anti finale e il ritorno all'incipit.

Quanti autori ha?
Uno solamente: la fervida creatività del visionario Freddie Mercury da Zanzibar.

Un'articolata mente artistica che l'anno prima aveva composto un rock duro completamente diverso come "Oggre Battle", inserita in Queen II.

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Ma che egli non fosse solo un front man scatenato, ma anche un autore di successo da hit e al contempo un ricercatore di generi diversi lo dimostrerà nei cinque anni successivi.

Ascoltate "Good old fashioned lover boy", inserita in "A day at the races" del 1976, in cui vien fuori il suo amore per Liza Minnelli.

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In "News of the world" del 1977, che li consacra a gruppo del momento, c'è la celeberrima "We are the Champions" da cantare a squarciagola come un rito liberatorio comune.

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Tutta sua è anche la travolgente folle corsa di "Don't stop me now" di "Jazz" del 1978, in cui lo segui senza mai riuscire a sorpassare quella voce che poi termina il brano in solitari gorgheggi al pianoforte.

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Nel 1980, infine, una canzone con una sterzata nel rockabilly anni '50 con una "Crazy little called love" cantata alla Elvis Presley, con cui costringe tutti a metter ritmo nelle orecchie e gel sui capelli.

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Lo so.
Ci sarebbe tanto altro firmato da Freddie Mercury.
Già vi vedo a pensare: - Non ha citato questa e quest'altra...
Ci sarà tempo.

Adesso facciamo un giro perlustrativo nella seconda anima Queen.
Sapete a chi mi riferisco, no?