Capitolo 3
«Uffa, ma perché devo andare in un'altra scuola?» si lamentava Max, con le braccia incrociate al petto e con gli occhi attenti a vedere le immagini scorrere velocemente davanti a lui.
«È stato espulso dall'ultima scuola, quindi ne ho cercata un'altra apposta per lei.» rispose la governante, che stava seduta al posto del passeggero in quella favolosa limousine.
«Ma perché sono stato espulso? Non ho fatto niente di male!» disse il ragazzo.
«Ti ricordo che hai usato degli attrezzi di scienze contro una professoressa.» obiettò la donna.
«Ha detto di usarli, non ha detto come.» si giustificò divertito Max.
«Non c'è niente da ridere, signorino. –disse la governante e poi indicò fuori dal finestrino– Eccoci, siamo arrivati».
«Ti prego Agatha, non farmi questo.» la implorò il ragazzo. Poche volte la chiamava per nome.....era davvero disperato.
«No, signorino. Non fare capricci. Studiare è un dovere per un ragazzo della sua età.» disse la donna.
Max sbuffò «Potresti almeno farmi questo favore, dopo aver perso quella spilla.»
«Ne abbiamo già parlato, Max. Ho preso provedimenti per recuperare la spilla.» disse Agatha. L'auto si fermò «E ora esca, siamo arrivati».
«Questa me la segno.» disse il ragazzo prima di prendere lo zaino e uscire.
Non c'era quasi nessuno fuori dalla scuola, apparte qualche ritardatario. Allora Max entrò nell'edificio controvoglia e andò verso la segreteria.
«Salve. Max Dubois. Nuovo studente e bla bla bla. Mi dica in fretta la classe che frequenterò.» disse il ragazzo, incrociando le braccia.
«Tenga.» disse semplicemente la segretaria, dando a Max un foglietto con su scritto in quale classe andrà.
Se ne andò senza ringraziare, anche se la donna era ormai abituata a questo atteggiamento da parte dei ragazzi.
Arrivò nella sua classe e tutti gli occhi delle compagne puntarono su di lui. Beh, era chiaro, era un bel ragazzo, con un fisico scolpito nascosto da una maglietta bianca quasi trasparente e una giacca di pelle nera. In più aveva dei jeans neri con delle catene attaccate, un dettaglio perfetto. E con quei capelli bianchi riusciva a mettere in risalto gli occhi rossi come il sangue.
«Ragazzi, da oggi avrete un nuovo compagno. Presentati.» lo incoraggiò a presentarsi la professoressa.
Il ragazzo sbuffò, spostando così una ciocca di capelli che si andò a posare sul suo occhio sinistro, e iniziò a parlare tenendo le mani in tasca.
«Sono Max Dubois, ho quindici anni e bla bla, non ho nient'altro da dire. –disse, poi riferito alla prof– Posso andare a sedermi o devo rimanere in piedi come uno stoccafisso?».
La donna rispose con un "Certo" e gli indicò un posto libero vicino all'unica ragazza che non aveva alzato lo sguardo su di lui. Il ragazzo si sedette.
«Ragazzi, aspettate un momento, devo fare una cosa importante. Torno subito.» avvisò la professoressa. «Non fate rumore mentre sono via.» disse, uscendo dalla porta.
Appena oltrepasso l'uscio i ragazzi iniziarono a parlare tra di loro.
«Ehi.» salutò la sua compagna Max per iniziare una conversazione.
La ragazza continuò a non alzare lo sguardo, tenendo gli occhi sul suo libro.
«Ehi! Rispondimi!» ordinò irritato il ragazzo, notando che non si degnava neanche di guardarlo.
La compagna non si accorse ancora di lui, essendo immersa nella lettura.
Alla fine Max, infastidito, la prese per il colletto della giacca e la avvicinò al suo volto. La ragazza fu sorpresa di quel gesto veloce e fu colta alla sprovvista.
«Ti ho det-» si bloccò quando vide la sua spilla.
"La mia spilla..." sgranò gli occhi per la sorpresa "Allora lei è...è...".
Lasciò la povera ragazza, che aveva chiuso gli occhi aspettandosi un pugno da parte del ragazzo, e che ora li riaprì, ammirando per la prima volta il suo nuovo compagno.
«Scusami, sono stato troppo brusco. Capita quando non hai dei genitori che ti difendono.» disse Max, chiudendo gli occhi e mettendo le mani dietro la testa. Sapeva che un triste passato tormentato e un comportamento da cattivo ragazzo erano gli ingredienti perfetti per far innamorare una ragazza.
Infatti aveva ragione: la ragazza rimase stupita da quello che disse il ragazzo, dal suo comportamento e dal suo aspetto.
«Comunque, io sono Max Dubois, e tu sei...» disse aspettando che la compagna finisse la frase. Ma non aprì bocca. Era troppo timida e aveva paura di dire la cosa sbagliata. Le venne in mente quando, da piccola, si era presentata come "Maria Martínez" quando il suo nome è...
«Marianne Martiiiiiin!» attirò la sua attenzione una bionda con una voce squillante e fastidiosa.
«S-sì, Clarisse?» chiese, balbettando, la ragazza.
Clarisse era una compagna di Marianne, che aveva i suoi stessi capelli biondi.
Ma erano completamente diverse: Clarisse, infatti, non era affatto timida, anzi era prepotente e pettegola. Beh, tale madre tale figlia.
«Noi due siamo amiche, non è così?» chiese Clarisse, facendo il miglior finto sorriso che si trovava.
«I-in realtà...» non ebbe il tempo di finire che la bionda la interruppe.
«E le amiche aiutano le amiche, giusto?»
«S-sì, ma...» un'altra volta non riuscì a finire la frase.
«Bene, allora vattene e fa' sedere me là. Muoviti.» ordinò Clarisse prepotentemente.
«M-ma...questo è il m-mio posto...» le ricordò Marianne.
La bionda la imitò «"M-ma" "m-mio", ma come parli?».
Si mise a ridere, indicando la ragazza, che intanto aveva abbassato il capo per non far vedere il suo imbarazzo.
«Allora, ti sposti sì o no?» chiese di nuovo la ragazza con la sua voce fastidiosa.
«Perché vuoi stare qui?» chiese a sua volta Marianne, che si sorprese subito di non aver balbettato.
Clarisse rimase leggermente sorpresa ma poi rispose «Perché una perdente come te non può stare vicino a uno come lui».
Indicò Max, che subito dopo si mise in piedi intento a difendere la compagna. Il suono delle sue mani che batterono sul piano di legno fu tale da far zittire tutti quanti in quella classe.
«Senti, non so chi tu sia, ma non ti permette di parlare a Mari in quel modo. È chiaro?!» disse, prendendo le difese della ragazza, che si stupì di quello che disse.
«"Mari"? Ora si danno soprannomi alle perdenti? –chiese Clarissa, ridacchiando, e continuò– Ma dai Maxuccio, volevo solo stare vicino a te per conoscerci meglio. Non è giusto che ci sia lei vicino a te.»
«Non mi interessa conoscerti. Ora vattene.» disse freddo il ragazzo.
«Bene. –disse la bionda, poi rivolta a Marianne, che era ancora rossa dall'imbarazzo, disse–Non crederti di essere qualcuno solo perché stai vicino a un figo. Tu sei solo una perdente».
Detto questo buttò tutti i libri e i quaderni che stavano sul banco della ragazza e le prese il libro che stava leggendo, ne strappò una pagina buttandole addosso i pezzi del foglio e buttò anche quel libro a terra.
Ritornò al suo posto tra le risate dei compagni che indicavano Marianne con il dito.
Smisero solo quando rientrò la professoressa.
«Scusate ragazzi, dovevo fare una cosa urgen... –si fermò quando vide il disordine vicino al banco di Marianne– Marianne! Raccogli quel disordine!».
La ragazza obbedì senza fare storie, si chinò a terra e raccolse i libri caduti.
«Mariaaaaaanne! Hai mancato un libro lì.» quanto era fastidiosa la voce di Clarisse!
«Dove?» la ragazza si dimenticò di essere sotto il banco e sbattè la testa contro il piano di legno. Gemette dal dolore mentre gli altri si misero a ridere di lei.
Marianne, ormai con le lacrime agli occhi, corse fuori la classe.
«Marianne! Marianne! Torna qui! –la chiamò la prof, inutilmente– Max! Inseguila e portala qui!».
Il ragazzo si alzò e uscì fuori dalla classe. Camminava per il corridoio quando vide la ragazza seduta a terra, con la schiena contro il muro e le ginocchia al petto, che piangeva a dirotto.
Max la guardò triste. Aspetta, Max Dubois, il figlioccio di Le Papillon e il ragazzo più malvagio della Terra, provava pietà per una ragazza?
"Assurdo..." pensò Max, il cui pensiero lo fece sorridere, stranamente.
«Mari...»
«Clarissa ha ragione.- disse Marianne, singhiozzando -Un ragazzo come te non dovrebbe nemmeno avvicinarsi a una come me.».
Max rimase per un minuto immobile, poi si chinò e mise il pollice e l'indice sotto il mento della ragazza, facendole alzare la testa.
Il suo viso era ancora rosso e ora anche rigato dalle lacrime che non si decidono a fermarsi.
Sorrise e le tolse qualche lacrima dalla guancia «Mari, non devi ascoltare quello che dice un'idiota come Clarisse. Io voglio che tu sia la mia compagna di banco...voglio avere la possibilità di vedere il tuo viso ogni giorno.».
Marianne rimase sorpresa, nessuno le aveva mai detto qualcosa del genere.
Rimasero a guardarsi per qualche minuto, che sembrò quasi un secolo. Si godettero ogni secondo, sperando che non sarebbe mai finito.
All'improvviso Max spezzò il momento magico alzandosi. Le sue guance da bianche divennero rosee, ma fece finta di niente girando lo sguardo altrove.
«Ora andiamo, veloci.» disse freddamente, incamminandosi verso la classe.
Marianne si alzò e lo seguì.
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