La prossima volta.
Il tamburellio delle gocce di pioggia contro il vetro della finestra lo spinge ad alzare gli occhi dal computer e portarli alla sua sinistra, verso l'esterno, dove la strada si sta allagando e il marciapiede si affolla di persone in cerca di riparo dall'ennesimo temporale estivo.
Questa è stata di gran lunga l'estate più fresca e piovosa da quando si trova in America.
Non che per lui faccia chissà che differenza, visto e considerato che passa le sue giornate chiuso in biblioteca o in qualche caffetteria, alla ricerca di un posto silenzioso in cui appartarsi e studiare. O, almeno, a provarci.
Dopo qualche istante sposta lo sguardo nuovamente sul suo tavolino ingombro, e si concentra sulla sedia di fronte a lui. Vuota, come sempre.
Si stiracchia sistemandosi meccanicamente contro lo schienale, e sospira, prima di rimettersi a lavoro, senza una parola.
Le sue giornate sono piuttosto solitarie, per usare un eufemismo.
Non potrebbe essere altrimenti visto che vive da solo e –ad essere totalmente sinceri- non ha molti amici. Anche questo, in realtà, è un eufemismo.
Probabilmente un po' di compagnia gli farebbe davvero bene, ma quando tuo padre fa tre lavori diversi per mantenerti all'università non puoi permetterti il lusso di perdere tempo, di mettere da parte lo studio, di socializzare. Fosse anche solo per una volta, per un pomeriggio.
Questo ti rende noioso, nel migliore dei casi. Crea distacco nei confronti degli altri, il più delle volte.
Perfino Pierre, l'unico amico d'infanzia con cui era rimasto in contatto dopo aver lasciato l'Europa, ha smesso di chiamarlo, ad un certo punto.
Ed Esteban non gliene fa una colpa, davvero. Lo capisce.
È solo che è difficile, alle volte, ricordarsi che ne vale la pena.
Allunga la mano verso la tazza di ceramica appoggiata alla sua sinistra, senza scollare lo sguardo dal suo essay di Diritto Commerciale, e nota che è vuota solo quando la inclina contro le sue labbra e non viene accolto dal familiare tepore del thé caldo al limone.
"Putain" impreca, fra i denti, passandosi una mano sul viso. Questa, decisamente, non ci voleva.
Ha solo cinque dollari in tasca –è tutto quello che gli è rimasto. Fuori diluvia e non può permettersi di prendere nient'altro. Può solo pregare che nessuno si avvicini per chiedergli di sloggiare.
Ovviamente, non fa nemmeno in tempo a leggere due paragrafi prima di sentire qualcuno schiarirsi la voce.
"Andava tutto bene?"
Esteban indugia ancora qualche istante, cercando di ritardare il più possibile l'inevitabile, prima di alzare lo sguardo e incrociare gli occhi azzurri della cameriera che gli sta di fronte. Deve sollevare leggermente il capo, cosa che non gli succede mai, perché la ragazza in questione è decisamente più alta della media.
Non l'ha mai vista lì. Lui frequenta abbastanza spesso la caffetteria perché è vicina al suo dormitorio, i prezzi sono contenuti ed è spesso mezza vuota, il che gioca a suo favore perché è raro che gli chiedano di uscire, anche se occupa un tavolino per quattro o cinque ore ordinando solo una tazza di thé.
Oggi, però, il tempo è inclemente, e c'è decisamente più gente del solito.
"Posso portarti qualcos'altro?" prosegue la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli ossigenati dietro l'orecchio. Per quanto si senta in difficoltà, Esteban non riesce a fare a meno di pensare che è davvero carina. In un modo semplice, spontaneo, convenzionale.
E, per questo, assolutamente al di fuori della sua portata.
Ha la pelle chiarissima, costellata da piccoli nei ed efelidi delicate, le ciglia bionde e le guance rotonde. Una fila di anellini argentati le decora le orecchie e porta i capelli legati in una coda morbida, da cui sfuggono diversi ciuffetti disordinati.
La cosa che cattura maggiormente la sua attenzione, tuttavia, è l'espressività del suo volto.
La cameriera tiene gli occhi sgranati e la fronte corrucciata, come se fosse sorpresa e confusa al tempo stesso, in un modo tutto suo che la fa sembrare un cartone animato.
È in quel momento che Esteban si rende conto che non ha ancora aperto bocca e che non ha risposto a nessuna delle sue domande.
Si schiarisce la gola, abbassandolo sguardo sulle sue cose –il computer, i codici, il taccuino, le penne, i fogli sparsi ovunque- cercando di dissimulare l'imbarazzo.
"No. Io- no. Va bene così." Mormora, sentendo una vampata di calore risalirgli sul viso e colorargli le guance. Perché deve essere sempre così?
Inizia ad impilare i suoi libri uno sull'altro, mentre la ragazza allunga il braccio e recupera la sua tazza avvolgendo tutte e cinque le dita smaltate attorno al bordo. È un gesto semplice, ma ipnotico.
"Non ti sto cacciando" dice, poco dopo, a bassa voce, avvicinandosi a lui con fare circospetto. I suoi capelli profumano di mandorle, e miele. "Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi."
Esteban si irrigidisce immediatamente, trattiene il fiato. Mormora un grazie poco convinto e abbassa lo sguardo. Quando lo rialza, la ragazza è sparita, da qualche parte, sul retro.
**
Il Cozy Corner diventa una tappa obbligata.
Esteban passa di lì –almeno da fuori- ogni giorno, quella settimana, e anche quella successiva, anche quando non ha soldi con sé e non può permettersi nemmeno la sua solita tazza di thé.
La maggior parte delle volte la guarda attraverso il vetro, facendole un cenno distratto con la mano, a cui lei risponde sempre con un sorriso un po' imbarazzato. Altre volte, invece, entra e trova una tazza fumante ad attenderlo al solito tavolo, accanto alla finestra, senza bisogno di una parola. Anche in quei casi, per lo più, la guarda.
Lo fa di sottecchi, mentre lei si muove fra un tavolo e l'altro, versando caffè e asciugando macchie e aloni con un strofinaccio a quadretti che tiene nella tasca anteriore del grembiule scuro. Parlano anche, qualche volta, brevemente, anche se è più che altro lei a prendere l'iniziativa e di solito sono cose molto spontanee –domande dirette: che cosa studi?, commenti generici: non vai mai in vacanza?
Esteban non è uno che ci sa fare particolarmente con le ragazze, non lo è mai stato. Non è particolarmente bello, né particolarmente carismatico, e poi c'è quella faccenda non trascurabile –non ha il becco di un quattrino.
Eppure non riesce a fare a meno di desiderare queste attenzioni. Semplici, spontanee, convenzionali.
In fondo i brevi scambi con la cameriera del Cozy Corner sono le uniche interazioni umane che ha.
Il vero problema è che passa più tempo di quanto vorrebbe ammettere a pensare alla ragazza in questione, a cercare nuove cose sciocche da dirle per attirare la sua attenzione e a gironzolare fuori dalla caffetteria in attesa che lei smonti per salutarla, e questo interferisce inevitabilmente con tutte le cose che ha da fare.
Prima del suo ultimo esame dell'anno si chiude in camera per dieci giorni, per evitare qualsiasi distrazione. È la prima volta in sei anni che non si sente davvero preparato e vorrebbe mangiarsi le mani, perché sa che è solo colpa sua.
È la fine di agosto ed è davvero stanco. Vorrebbe solo tornare a casa, rivedere la sua famiglia, andare in vacanza. Lo farebbe, se i costi dei biglietti non fossero così spropositatamente alti.
Ha visto su Instagram che Pierre è in vacanza in Costa Azzurra, con tutti i loro vecchi amici d'infanzia. Ce n'è solo uno che manca all'appello, ed Esteban si chiede quale cataclisma naturale debba essersi verificato per far sì che Pierre Gasly passasse un'intera estate separato da Charles Leclerc.
Non ci mette troppo a scoprirlo, in realtà.
Li incontra al Cozy Corner qualche tempo dopo, poco prima dell'orario di chiusura, incollati l'uno all'altro mentre studiano la lavagnetta con i dolci della casa, come se dalla loro vicinanza dipendessero le sorti dell'umanità.
Charles è esattamente identico a come lo ricordava –capelli castani e occhi vispi, fossette e nei sulla faccia- mentre l'altro ragazzo, il biondino ingessato con le labbra piegate in una linea dritta, lo mette in difficoltà. Ci mette un po' a riconoscerlo. E quando lo fa, per poco non gli va di traverso il thé.
"Max?"
I due ragazzi si girano, contemporaneamente, colti di sorpresa.
Nella foga del momento, inconsapevolmente, Charles appoggia una mano sul fianco di Max, se lo fa più vicino, in un gesto estremamente intimo e protettivo, ed Esteban sente che il suo cervello potrebbe esplodere per il sovraccarico di informazioni.
"Ocon?" fa eco il diretto interessato, voltando il capo leggermente verso il ragazzo che gli sta accanto. "Sul serio? Ed io che pensavo che venendo qui avrei ricominciato da zero."
L'ultima volta che ha visto Max Verstappen non avevano più di tredici anni e non godevano della simpatia reciproca. Be', a dirla tutta Max non godeva della simpatia di nessuno, specialmente non di quella di Charles Leclerc.
Si porta una mano alla fronte, scuotendo piano la testa, incredulo.
Come cambiano le cose.
"Esteban, sembra tu abbia visto un fantasma" dice Charles, con un sorriso nella voce.
"Ne ho visti due, posso assicurartelo." Risponde lui, mettendo da parte il manuale che stava consultando. "Come stai? Pensavo che tu, insomma- non sapevo che fossi qui, adesso."
Charles e Max si guardano brevemente, scambiandosi un cenno del capo, e sembra che questo basti loro per comprendersi perfettamente.
"È una lunga storia" dice il primo, mentre l'altro si gira nuovamente verso il bancone per indicare una torta al cioccolato sotto una campana di vetro, per farla incartare. "Io- mi ha fatto piacere, vederti. Torno a Monaco, questo fine settimana, ma potremmo vederci una di queste sere, sì? Domani, magari."
Come sempre, ogni volta che parla, Charles Leclerc deve sembrare incredibilmente gentile e disponibile. E questo rende molto complesso rispondergli di no, anche se sicuramente Esteban non può permettersi qualsiasi cosa l'altro ragazzo abbia in mente.
"Sicuro" dice, tuttavia, annuendo più volte per convincere sé stesso. Il suo sguardo si perde, e si concentra sul fiocco azzurro che la cameriera bionda sta annodando attorno alla confezione. Sulle sue mani sottili, delicate. Taglia, piega, arrotola.
"Ci aggiorniamo, okay? Puoi portare chi vuoi." conclude Charles, riscuotendolo dalla sua trance e girandosi verso Max, per prendere la torta dalle sue mani. L'altro gli fa un cenno di saluto appena accennato. "Buona serata, Esteban. A presto"
"Ciao ragazzi."
Max esce per primo e gli tiene aperta la porta con il braccio.
Charles fa per seguirlo a ruota, ma non prima di aver regalato un sorriso luminosissimo alla cameriera bionda. "Grazie Julianna, spero di vederti presto. Ciao"
Spero di vederti presto? Che cazzo?
Esteban probabilmente odierebbe Charles per il suo carisma e per il suo bisogno inarrestabile di piacere a tutti ad ogni costo, se non gli avesse appena servito su un piatto d'argento l'informazione che ha cercato per settimane di scoprire, senza alcun successo.
Il nome di lei.
Julianna, quindi. Le si addice in qualche modo. Ha un suono dolce e melodioso, sembra il nome di un bellissimo fiore. Lo ripete più volte nella sua testa, mentre la osserva affaccendarsi per sistemare le ultime cose, prima di chiudere.
Si guarda attorno nella piccola stanza, e quando si rende conto di essere rimasto l'ultimo cliente, raccoglie tutte le sue forze e si alza in piedi, con lo zaino mollemente appoggiato sulla spalla, per portarle la sua tazza.
Deve fare solo cinque passi, ma le gambe gli tremano per tutto il tempo.
È lei, come sempre, a rivolgergli un sorriso caloroso, che lui imita goffamente, senza interrompere il contatto visivo.
"Esteban?"
"Julianna?"
Si parlano addosso, e ne ridono.
"Prima tu" dice lei, prendendo la tazza bianca dalle sue mani ed infilandola nella piccola lavastoviglie sotto al bancone.
Dovrebbe essere facile parlarle, adesso.
Ora che sono da soli, che il cielo inizia a scurirsi, fuori dalla finestra.
Ora che la parte più difficile è andata, ora che sa come si chiama.
Eppure, Esteban non riesce a sentire altro che il rimbombo dei suoi battiti cardiaci nelle orecchie. Non ha nemmeno idea del perché, ma la prima cosa che gli viene in mente di chiederle è: "Come conosci Charles?"
Julianna abbozza un sorriso, slacciandosi il grembiule dietro alla schiena, e lui immagina scenari apocalittici in cui sta parlando con una delle tante conquiste del suo vecchio amico.
"Era il tutor di uno dei miei corsi di Economia, quest'anno. L'altro ragazzo- credo stiano insieme, o qualcosa del genere." Risponde lei, invece, mentre controlla che ogni cosa sia al suo posto prima di affacciarsi nel laboratorio sul retro per spegnere la luce. "Sono tuoi amici?"
Esteban esita, prima di rispondere, ma non abbassa lo sguardo.
Non c'è un modo carino, per dirlo.
"Un tempo"
Le parole lasciano le sue labbra come un sussurro, lieve. Sono piuttosto malinconiche. Julianna gli riserva un sorriso piccolo, laterale, e non aggiunge altro. Muove un paio di passi verso la porta, e poggia la mano sulla maniglia prima di voltarsi a guardarlo, coi suoi occhi intensi e luminosi.
"Sei pronto?"
Esteban è il primo ad uscire, ed aspetta la ragazza poco più avanti sul marciapiede, mentre lei abbassa la saracinesca polverosa e chiude a chiave il lucchetto sul fondo. Vorrebbe rimandare il più possibile il momento del congedo, quello in cui questa impalpabile bolla di confidenza esploderà e torneranno ad essere estranei, quello in cui lei lo saluterà educatamente e le loro strade si separeranno, ma non trova niente da dire. Non riesce a trovare neppure una ragione per cui lei dovrebbe interessarsi a lui.
La ragazza si rialza, spolverandosi i pantaloni con entrambe le mani.
"Adesso devo proprio andare." Dice, e il modo in cui gli angoli della sua bocca si piegano verso il basso fa sembrare che sia davvero dispiaciuta di doverlo salutare. "Ci vediamo, sì?"
"Immagino di sì" risponde lui, affondando le mani nelle tasche.
Immagino di sì? Che risposta del cazzo, Esteban, complimenti.
Julianna sventola la mano, a mo' di saluto, e aspetta qualche istante prima di girarsi, come se volesse dargli la possibilità di ritrattare la sua risposta.
Non lo fa, ed è difficile non leggere delusione nelle pieghe che le si formano sulla fronte, e attorno agli occhi.
Lui ci mette dodici secondi a trovare il coraggio di scoprire tutte le carte in tavola.
"Julianna?" la chiama, senza muovere un passo. Deve alzare la voce, perché in quel breve lasso di tempo lei ha già coperto metà isolato. Chiude gli occhi e scuote la testa, prima di proseguire, come se non credesse alle sue stesse orecchie. "Ci vuoi venire?"
In fondo è stupido chiederglielo. Non si conoscono. Non sanno niente l'uno dell'altra. E poi lui non piace a nessuno. Perché dovrebbe piacere a lei?
Ma sul volto di Julianna non c'è disgusto, imbarazzo, difficoltà. Non chiede dove, ma quando.
"Domani, a questa cosa con Charles." Spiega, strizzando gli occhi per cercare di catturare qualche cambiamento nella sua espressione. "Se ti va, ovviamente."
Non sono abbastanza vicini perché lui possa esserne certo, ma vede l'ombra di un sorriso ironico disegnarsi sul viso di lei.
"Sicuro" gli risponde. "Smonto alla stessa ora, ci vediamo qui."
E il giorno dopo, come promesso, Esteban è fuori dal Cozy Corner alle otto in punto.
Guarda Julianna affaccendarsi a dietro al bancone e servire gli ultimi clienti, continuando a controllare l'orario ogni due minuti dal grande orologio scuro sulla parete opposta alla finestra. Quando i loro sguardi si incrociano, di là dal vetro, lei aggrotta le sopracciglia, come per scusarsi, ed Esteban le fa segno di non preoccuparsi.
La aspetta lì, appollaiato sul marciapiede, coi gomiti sulle ginocchia. Dove vuoi che se ne vada?
Venti minuti dopo sono entrambi fuori, nello stesso punto in cui erano fermi il giorno precedente. Lei porta un vestito verde bosco senza maniche e non è mai stata irraggiungibile per lui come in questo momento, che è ad un passo di distanza.
C'è un po' di imbarazzo, fra loro, ed Esteban si rende conto che è principalmente per colpa sua.
Decide di riempire il silenzio con chiacchiere stupide, informazioni irrilevanti. Julianna risponde e ride e non lo fa sentire sbagliato nemmeno per un istante.
Questa, fra tutte, è la cosa che lo sorprende di più.
Charles è finito con l'inviargli i dettagli su Instagram, perché non ha il suo numero. L'indirizzo è quello di un locale per studenti vicino alla stazione centrale di Cambridge. Economico, moderno, abbastanza frequentato. Un posto da Charles.
Mentre camminano, fianco a fianco, Esteban deve sforzarsi di non fissare lo sguardo su di lei –le sue spalle nude, gli orecchini scintillanti, i capelli stranamente sciolti nel vento. Percepisce una certa pace, non sente il bisogno di dire niente.
Sulla porta del locale, con una mano sullo stipite ed un piede sul primo gradino, parla da sopra alla musica, dice grazie per essere venuta, non dovevi, non ci conosciamo nemmeno.
Julianna trattiene a stento un sorriso. Risponde: possiamo conoscerci adesso.
Varcano l'ingresso vicini, ma a qualche passo di distanza, e si immettono nell'atmosfera fumosa e rimbombante del locale. Le luci sono basse, il volume della musica decisamente alto e i tavolini gremiti. Un posto decisamente da Charles.
È la ragazza a cercare la mano di Esteban, per farsi strada fra la folla, evitando braccia protese e calici strabordanti, ed il contatto è piacevolmente caldo.
Charles e Max sono seduti ad un divanetto, a distanza di sicurezza l'uno dall'altro, e sembrano molto meno complici di come li aveva trovati il giorno prima. È evidente che c'è qualcosa che infastidisce Charles a dismisura, e per quanto stia provando a dissimulare il suo pessimo umore, conoscendolo sarà molto difficile evitare il conflitto diretto fra lui e Max.
A differenza di quanto aveva pensato, le cose non cambiano mai veramente, in fin dei conti.
Anche se stanno insieme –o qualcosa del genere- saranno sempre i soliti Max e Charles.
"Ehi! Eccoti, finalmente" dichiara quest'ultimo. Ha un sorriso sornione, e gli occhi scuri e fiammeggianti. Max tiene lo sguardo basso, al contrario, come se non sapesse come comportarsi, cosa dire. Come se volesse volatilizzarsi nel nulla. Charles, dal canto suo, non sembra preoccuparsi del fatto che il ragazzo al suo fianco abbia una faccia da funerale e prosegue, con il solito tono affettato.
"Anna, sono felice che tu sia qui. Sono stato profetico, dunque."
Lei sorride, scuotendo il capo.
"Non immagini quanto"
Esteban le si fa più vicino, inconsapevolmente. È sorprendentemente naturale per lui voltare appena il capo alla sua destra, e sfiorare con il naso i capelli di lei, per raggiungere il suo orecchio.
"Sono già pentito." Mormora. Lei ridacchia, e il suono che fa gli ricopre la pelle di brividi. "Cosa ti porto, per superare questa serata?"
"Qualcosa di molto forte."
Non riesce a fare a meno di imitarla.
"Torno subito." Dice, allora. Poi, si rivolge agli altri. "Volete qualcosa?"
Charles indica i bicchieri semi vuoti che costellano il tavolo. Ne conta cinque, e non sono nemmeno le nove di sera.
"Direi che siamo a posto."
Julianna gli riserva uno sguardo confuso, ed Esteban è davvero pentito di non averla portata fuori a cena, invece.
Quando torna, con due Long Island fra le mani, appena cinque o dieci minuti più tardi, è palese che la situazione è diventata ingestibile.
Charles è vergognosamente ubriaco, con il busto tutto proteso in avanti, verso la ragazza, e la mano sinistra arpionata alla coscia di Max, mortificato e a disagio.
Julianna mima un grazie con le labbra, quando Esteban le passa il bicchiere e le fa segno di fargli spazio, sul divanetto di fronte. Le loro ginocchia si sfiorano, ed è piacevole.
Così piacevole che i centimetri di pelle che si toccano sono l'unica parte del suo corpo di cui lui ha coscienza e l'unica cosa alla quale pensa, anche quando Charles sta mettendo su il suo solito show e sta parlando a ruota libera di tutti i suoi piani e di tutti i suoi progetti e dei posti che ha visto con Max, nelle ultime settimane.
Julianna interviene, qualche volta. Prova a contenere l'esuberanza del monegasco. Parla delle sue tesine, dei corsi dell'ultimo anno e per ultima cosa chiede della torta. Lo fa per cortesia, più che altro, ma, inconsapevolmente, dà il via ad una spiacevole catena di eventi.
"Era buona?"
Esteban riesce a vedere un lampo attraversare gli occhi di Charles, illuminarli come durante un temporale.
"Deliziosa." Scandisce, e dalla sua bocca sembra che la parola abbia un suono crudele. "Vero Max?"
L'altro si muove a disagio sul divanetto, alzando lo sguardo brevemente per mormorare qualcosa che sembra un: "Molto buona, sì, grazie."
E sarebbe pronto a riabbassare la testa se Charles non protendesse le labbra verso di lui, cercando di intrappolarlo in un bacio che Max sembra voler evitare a tutti i costi.
È il punto di rottura.
"Puoi baciarmi" dice, aspro, e l'ira è la nota più forte del bouquet di emozioni. "Non è il fottuto 1950"
La faccia di Max è una maschera di pietra.
"Vallo a dire a mio padre." Dice, sbattendo il bicchiere sul tavolino e alzandosi di scatto. "Buona serata" prosegue, rivolgendosi verso Julianna ed Esteban, prima di afferrare la giacca ed imboccare l'uscita. Accade tutto così in fretta che nessuno ha il tempo di rispondergli, o di aggiungere qualcosa.
Charles batte le palpebre un paio di volte, prima di rendersi conto di quello che è appena successo. È sbiancato.
"Devo andare, scusate, davvero" bisbiglia, ed ha senso di colpa scritto a chiare lettere su ogni angolo del volto.
Un minuto dopo, Esteban e Julianna sono soli, in un locale chiassoso con due drink annacquati e una cappa di fumo sopra alle loro teste. Eppure hanno entrambi questa strana sensazione di essere le uniche persone nella stanza.
"Sono mortificato" dice lui, girando il suo bicchiere con la cannuccia, evitando lo sguardo di lei. È sicuro che dopo stasera non vorrà mai più vederlo. È stato un appuntamento davvero disastroso.
Ed è un eufemismo.
"La prossima volta il posto lo scelgo io" dice lei, rivolgendogli un'occhiata complice. "E ci andiamo da soli."
Eh? La prossima volta?
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