Il Miglior Ristorante in città

Conoscevo Patrick da molto tempo. Diplomato con ottimi voti, primo della classe all'accademia e promessa emergente tra i profiler. Il mestiere del profiler, con l'evoluzione galoppante della tecnologia, era, a dire il vero, un mestiere ormai obsoleto, a cui solo i tenaci tradizionalisti restavano legati. Eppure Patrick era estremamente preciso nel ricostruire l'immagine di un'anima malata, era rapido di mente e ancor più svelto di bocca. Negli anni novanta sarebbe diventato in pochi anni direttore di una sezione dell'FBI, ne sono certo.
"Buona sera signore, benvenuto al Majestic, in cosa posso servirla?"
Non era Frank. La targhetta diceva Harold.
"Buona sera, mi chiamo Vincent McLear, sono qui con il signor Patrick Hankelmann, una prenotazione per due"
"Certamente Signor McLear, il tavolo del Signor Hankelmann è già pronto"
Avevano tutti lo stesso sorriso. Anche il cameriere che mi accompagnò al tavolo, stesso sorriso. Era probabile che fosse una delle richieste del colloquio di lavoro.
La sala principale, per il popolo di ricchi della grande città, aveva l'aria confortevole e indolente di un salotto da attico anni '70. Il lampadario incombeva a una decina di metri dal suolo, imponente e composto, si diceva, da duemila cristalli di forma esaedrica tutti identici tra loro, come i sorrisi dello staff. Sedie e divanetti offrivano una seduta comoda ma non soporifera. Le forniture erano uniche. Il Majestic non comprava tavoli e sedie da nessuno, ogni cosa, dalle posate stile impero romano ai vasi delle felci all'ingresso, era fatto su misura per il Majestic.
Il ristorante, aperto e in voga tra la crème dell'alta società da più di un secolo, sfidava la magnificenza della Statua di Zeus a Olimpia o degli Argonath di Gondor, tutti monumenti alla grandezza di idoli comprensibili solo per chi aveva i soldi e l'istruzione per comprenderne il vero significato.
Notai solo a metà sala che Xavier, il cameriere, non puntava a nessuno dei tavoli della sala principale. Curioso.
Infilò invece un corridoio sulla sinistra, un breve tratto di marmi beige e verde petrolio, in cui erompeva imponente il mezzo busto di Alessandro Magno, fino alle porte dell'ascensore. Xavier mantenne sempre un portamento impeccabile, tanto che, se non fosse stato che era lui a far muovere l'ascensore, non mi sarei nemmeno accorto della sua presenza. Le porte si aprirono su un secondo corridoio, più lungo e con più busti, il quale ci condusse a una porta bianca ornata da elaborate finiture d'oro. Xavier aprì la porta e fece un inchino. Stavo per estrarre cinque dollari dal portafoglio, quando Xavier, con fare molto composto e col solito sorriso standard, mi comunicò che al Majestic non era usanza lasciare la mancia.
"E' il nostro mestiere e nostro piacere" concluse congedandosi.
All'interno vidi, inizialmente, solo il tavolo. Sottotovaglia quadrata bianca con risvolto firmato, sopratovaglia vinaccia chiaro, monocolore, tovaglioli bianchi e posate brillanti come stelle d'argento. Il pensiero che Patrick volesse svelarmi nuove scoperte sulla sua sessualità mi sfiorò quasi subito. Sorrisi.
Presi posto, ammirando le pareti di velluto e le grandi tende, vinaccia scuro, stavolta. Xavier tornò dopo qualche secondo, portando una bottiglia d'acqua liscia aperta e versandomene mezzo bicchiere a coppa, e, prima di congedarsi definitivamente, spalancare le tende e permettermi di godere del panorama dal centododicesimo piano.
In realtà, rimuginavo su Frank ed Harold, sulla statua di Olimipa e gli Argonath, l'ascensore. Mi annoiavo.
Aspettavo da sette minuti. Controllai il telefono. Niente campo. Mi alzai e feci un giro per la saletta. Tre quadri erano disposti asimmetricamente. I due sulla parete Nord erano nature morte, l'altro, sulla parete Sud, un autoritratto di un uomo, dal vestito e dalla ridicola acconciatura azzarderei dire, fine '800.
Bussarono alla porta.
"Avanti" dissi.
Entrò Xavier trafelato e composto come al solito.
"Sono spiacente di annunciarle che il Signor Hankelmann ha mandato questo e si scusa di non poterla raggiungere stasera" disse consegnandomi un biglietto.
"Se gradisce che le venga servita la cena comunque, siamo a sua completa disposizione, signore. Appena è pronto, se deciderà di fermarsi, è sufficiente tirare quel filo. Buona continuazione, Signor McLear"
Rimasi immobile di fronte all'uomo del quadro con una faccia ridicola quanto la sua acconciatura.
"Sono desolato, amico mio, ma non potrò raggiungerti questa sera a causa del mio lavoro"
Rimasi immobile ancora, a fissare quel pezzo di carta e quelle brevi parole. Brevi e insensate. Patrick era un uomo molto impegnato, vero, ma mi aveva invitato lui al Majestic, aveva organizzato tutto lui, e non era certo un cafone, avrebbe sicuramente speso due parole in più per giustificare un tale bidone, pensai.
Ero al Majestic, in una delle sale da pranzo private, accerchiato dallo sfarzo, in uno dei ristoranti più esclusivi del paese, dove, si diceva, si mangiava una carne unica al mondo.
Ricetta segreta, ovviamente.

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