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Seokjin aprì gli occhi di scatto, come sempre, da quando era vampiro si era accorto di come si svegliasse immediatamente; non appena il sole passava la linea dell'orizzonte, lasciando il passo alla notte, le sue palpebre si aprivano all'istante davanti al soffitto umido e scuro.
I mattoni di pietra erano viscidi a causa dell'umidità che permeava le segrete, a terra solo un piccolo giaciglio in paglia, non c'era alcuna luce e alle pareti nulla era appeso, se non delle catene alle quali era stato legato per tutti i suoi primi giorni della sua nuova vita, per evitare che attaccasse chiunque a causa della sete.
Al neo vampiro non era permesso di dormire né nelle bare né nel letto di Danthia, era solo all'inizio di una scalata che nemmeno avrebbe mai voluto fare, ma che ora era costretto a compiere dato che ormai era stato trasformato e se voleva sopravvivere nella Corte quello sarebbe stato l'unico modo.
Si alzò, leggermente affaticato perché la sua Master lo affamava da giorni, sapeva che doveva resistere ancora dieci giorni prima di avere la sua razione di sangue; inspirò ed espirò anche se non ne aveva più bisogno, purtroppo era vampiro da poco e ancora aveva questa abitudine.
Un brivido di terrore lo colse e si tappò la bocca guardandosi intorno, agitato, sperando che nessuno l'avesse sentito: se l'avessero riferito a Danthia sarebbe stato punito, con una di quelle illusioni.
Tutto il corpo di Seokjin si irrigidì e serrò gli occhi, solo al ricordarlo il terrore iniziò a lambirgli le viscere, facendogliele contorcere; con le mani si aggrappò al pavimento e le strinse, la paglia che si ritrovò tra le dita gli punse i palmi.
Doveva smetterla, doveva controllarsi, non doveva avere paura, perché la paura aveva un odore specifico, freddo e liquido, che rimaneva appiccicato alla pelle, invadeva l'aria rendendola piena e elettrica, conturbante e che eccitava, lui come tutti i predatori e Danthia non faceva eccezioni.
Se lei l'avesse percepito per il giovane vampiro avrebbe voluto dire una sola cosa: tortura.
Il giovane vampiro si morse le labbra e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi, era fondamentale che non mostrasse né paura né nessun'altra emozione, per Danthia mostrare ciò che si provava era una debolezza, ma sopratutto era una cosa umana, quindi una cosa orribile.
Si alzò da terra, e si avviò fuori dalla sua cella, sapendo di non avere molto tempo, anche se vide altri suoi fratelli solo poco più avanti a lui, deboli e zoppicanti, Seokjin accelerò per raggiungerli, sapendo che dovevano arrivare assieme.
Quella che si chiamava Leanna, se la ricordava perché sembrava dura come il ferro, ma bella come un fiore, si girò verso di lui non appena li raggiunse, era quella che sembrava apparentemente più lucida e non ancora sconvolta dai morsi della fame, gli occhi azzurri splendenti e i capelli castani lunghi e lisci leggermente arruffati.
-Sei uscito, pensavo fossi svenuto dalla fame.- gli sussurrò Leanna affiancandosi a lui, iniziarono a camminare uno accanto all'altro, Seokjin si limitò a scuotere la testa e non dire niente.
Non aveva voglia di parlare, sapeva cosa lo stava aspettando una volta salito i ripidi gradini, quello che lo avrebbe aspettato da lì a tutta l'eternità purtroppo.
Davanti agli occhi di Seokjin tutto si fece buio e migliaia di immagini iniziarono a scorrergli davanti: ogni tortura che aveva dovuto subire, la sete, la follia che lambiva ogni notte la sua mente, lasciandolo sul bordo di un precipizio che lo accarezzava e lo affascinava ogni notte di più; d'altronde fosse impazzito non avrebbe più avuto quella coscienza degli eventi, quel pungolo che gli colpiva la mente, su quanto fosse sbagliato ciò che subiva, su quanto avrebbe voluto che le cose cambiassero.
Leanna che al suo fianco soffriva con lui ogni notte, ogni secondo, eppure era sempre lì, davanti alla sua cella per percorrere quei metri assieme notte dopo notte, prima del dolore, prima delle lacrime, prima degli urli.
Prima che una notte, affamata e esausta chiedesse pietà, prima che Danthia la guardasse con disprezzo, rispondendole che la pietà era un concetto umano, che non faceva parte di coloro che sono eterni.
Prima che penetrasse la mente di Seokjin e lo usasse come un manichino vuoto per ucciderla, uccidere l'unica anima buona che potesse esistere all'interno di quell'Inferno.
Kim Seokjin non pianse, non urlò, tornò nella sua cella imbrattato di sangue della donna che amava con lo sguardo fisso e vuoto e il volto inespressivo.
All'inizio pensò che non avesse più nessun motivo per mantenere l'umanità alla quale si aggrappava disperatamente, che ogni giorno Leanna gli ricordava, anche solo sentire la sua presenza accanto a sé e vederla piegare le labbra in un sorriso per lui era un dono enorme ogni notte, come se lei fosse stata una piccola parentesi normale in un mondo che continuava a sgretolarglisi addosso, ora non avrebbe più avuto nessuna parentesi a cui tendere, che lo spingesse a continuare a lottare.
Tuttavia si accorse che qualcosa dentro di lui era cambiato, da quel momento in poi invece che starle a fianco nella sofferenza il suo obbiettivo divenne un altro: difendersi, migliorarsi, uscire dagli ultimi gradini e andarsene, andarsene e basta.
Si rese conto che quella era l'unica via, ci sarebbe voluto del tempo, ma sarebbe fuggito e sarebbe diventato un Master, avrebbe creato una Corte dove Leanna e dolci esseri come lei avrebbero potuto sopravvivere e imparare ad arginare l'immensa violenza che la natura vampirica trascinava con sé.
Seokjin si alzò, ne aveva abbastanza, di essere torturato, di torturare e guardare gli altri farlo; non era così che voleva vivere in una Corte; d'accordo erano predatori, erano anche assassini, ma ciò non gli impedì di pensare che ci fosse un'altro modo.
All'improvviso tutta la stanza iniziò a girare e Seokjin da piccolo e pieno di stracci si eresse in tutto il suo splendore, coperto da una camicia in seta blu notte, i pantaloni in pelle nera, aderente, al collo un girocollo con un cammeo nero, ma davanti a sé apparve in tutta la sua terrificante bellezza Danthia, sul suo trono, che lo guardava con lo sguardo tagliente e divertito.
I suoi capelli castani erano lunghi, morbidi e si muovevano in morbide onde dai riflessi rossastri, la pelle candida, il viso ovale e gli occhi castani, ampi e luminosi, il naso sottile e all'insù, le guance morbide ed esangui; le labbra carnose erano piegate in un sorriso dolce e ingannatore che Seokjin aveva imparato a conoscere, il fisico minuto era fasciato da uno dei suoi vestiti in tulle nero, ampio e vaporoso.
Sembrava una bambola, che il Master di New Orleans sapeva essere un macabro mostro.
-Vorrei che non ti intromettessi nei miei sogni.- la voce di Seokjin risuonò nel suo sogno, perché la carrellata di orribili ricordi che aveva rivissuto non erano altro che quello, un sogno, pilotato dalla donna degli inganni.
-Era necessario, piccolo verme, devi ricordarti da dove sei nato, strisciando. Da me.- la voce di Danthia era come sempre dolce e sensuale, tutto in lei era bellissimo e attraente esattamente come era pericoloso e tossico.
-Non importa da chi io sia stato trasformato. Io sono io, sono separato da te, io non ti devo nulla, ho il diritto di vivere la mia eternità nel modo che ritengo più opportuno.- ribatté deciso, il mento in alto e il portamento regale che aveva imparato ad avere nella Corte, insegnatogli esattamente da lei.
-Non mi devi niente?- la vampira rise malignamente, un suono che nella sua prima età faceva ghiacciare il sangue nelle vene di Seokjin, ma che in quel momento gli diede solo un profondo senso di nausea -Io ti ho creato, io ti ho dato la vita eterna. Tu mi devi ogni cosa.- continuò lapidaria.
-Ti sbagli, tu mi hai dato la vita eterna, è vero. Ma non me l'hai fatta scegliere e a prescindere anche se l'avessi fatto, una volta trasformato io avevo e ho tutto il diritto di viverla come meglio credo.-
-Piccolo verme insolente, come osi sputare sul dono più prezioso di tutti! Vivrai per sempre, giovane e bello, con poteri che le altre Corti si sognano! Tu osi sputare sul mio regalo? Su di me?- gli domandò la vampira con la voce alterata dallo sdegno, Seokjin sospirò e la guardò, dritta negli occhi, conscio che quello che stava per dire era l'inizio della sua lotta.
-Se è un dono, è tale, non puoi controllare il destino di ciò che hai dato a qualcun altro, né decidere come egli debba usarlo o, in questo caso viverlo.- replicò con voce chiara e decisa, la fermezza nello sguardo.
-Non sei umano, piccolo verme, noi immortali abbiamo delle regole.- insistette schifata Danthia, stringendo i pugni sui braccioli del suo trono scarlatto.
-E chi le ha inventate, di grazia?.- domandò retoricamente il Master di New Orleans, non aspettando nemmeno una risposta, continuando a parlare -Voi? Voi Antichi che vi fregiate del titolo di Sangue Potente, create Coorti basate sulla tortura, la sudditanza e la paura? Lo sai una cosa Danthia?-
-Non puoi pronunciare il mio nome lurido...- lo interruppe disgustata, sentendosi sporcata dall'insolenza che Seokjin apparentemente ostentava.
-Il potere non viene solo con il tempo che passa. Il potere è qualcosa che si può trovare anche dentro noi stessi, discendenza o non discendenza, quindi ora...- Seokjin le parlò sopra per poi tornare a guardarla negli occhi, raccolse tutte le sue energie, l'aria attorno a sé vibrò e l'immagine del sogno iniziò a fibrillare -Vattene dai miei sogni e non tornarci mai più- ringhiò il vampiro, proiettando tutto il suo potere contro la proiezione di Danthia, che sorpresa, non reagì, sparì improvvisamente.
SeokJin si svegliò di soprassalto, i muscoli tesi e pulsanti, l'energia che aveva usato era stata troppa, dato che era da giorni che non si nutriva, si sentì all'improvviso debole, usare il proprio potere nel mondo astrale non era mai semplice e richiedeva molto più sforzo che nel piano materiale.
Con fatica si guardò attorno, la sensazione di nausea e il sudore sanguigno che gli imperlava la pelle candida, con la gola secca e il corpo scosso da tremori chiamò -Tae, dove sei?- mormorò con voce carica di bisogno.
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