VIII










Jimin si ritrovò a calciare la portiera di una macchina con forza, era così furioso che non riusciva nemmeno a vedere chiaramente né di che colore fosse né di chi fosse.

Inutile dire che fosse l'auto di Namjoon e lui la stava calciando sotto lo sguardo attonito del branco che si era riunito lì alla chiamata del suo Alfa, l'unica che si convinse a intervenire fu Amber. La licantropa gli si avvicinò cauta, per poi afferrarlo dolcemente dal braccio per fermarlo, continuando a chiedergli come stesse e cosa fosse successo. Quando riuscì a tirarlo a sé abbastanza forte da farlo voltare, Jimin le ringhiò addosso con così tanta rabbia che Amber si allontanò indietreggiando, il terrore nell'odore e negli occhi; lo Skoll a quella vista venne colto da un brivido lungo tutto il corpo, provando una profonda vergogna per sé stesso, fuggì per evitare di attaccare qualcuno in preda alla rabbia.

Corse a perdifiato fino al comparire della periferia di New Orleans, la vista offuscata dalle lacrime lo faceva sbandare e sbattere contro lampioni o persone, non si scusò nemmeno, venne investito da insulti e imprecazioni, ma non gli importava, non sentiva nulla.

La voce di Amber risuonava nelle sue orecchie, con le sue domande ripetute e preoccupate su come stesse; in realtà non lo sapeva, non aveva idea di come stesse, era furioso, ma oltre a quello non riusciva a capire cosa ci fosse dentro di sé.

Sapeva di aver provato sollievo non appena aveva riconosciuto di avere davanti Yoongi e quello lo aveva fatto infuriare ancora di più.

Non sapeva se avesse senso, non ne aveva idea e non gli poteva minimamente interessare in quel momento; una parte di lui avrebbe voluto buttarsi tra le braccia del negromante, ma semplicemente non ci riusciva, non poteva farlo, perché si sentiva ferito in un modo che non avrebbe mai pensato di poter provare in tutta la sua vita.

Si fermò in mezzo al marciapiede, asciugandosi gli occhi, guardandosi attorno perso, non riuscendo a riconoscere nemmeno la strada in cui era arrivato; con il fiatone e la testa completamente ovattata si mise a guardare se ci fosse un taxi disposto a fermarsi.

Lo Skoll alzò il braccio sul ciglio del marciapiede, sperando seriamente che almeno un tassista non facesse caso al fatto che fosse a torso nudo, con i pantaloni stracciati e sporco di sangue un po' ovunque; non dovette aspettare molto, nonostante le sue condizioni, anche perché fortunatamente il guidatore pensò che fosse diretto ad una festa in maschera.

Jimin entrò in casa sbattendo la porta con violenza, senza fare il bagno purificatore, sapendo perfettamente che Yoongi si sarebbe infuriato per un gesto del genere, quindi, per la prima volta dopo un anno dalla sua presunta morte, non si immerse nella vasca dell'anticamera bianca.

La consapevolezza che lui si era preso quella premura per un anno mentre Yoongi era vivo e vegeto a fare chissà cosa aumentò la sua furia, si ritrovò a urlare insulti all'aria, come se il diretto interessato fosse presente, mentre invece era solo, come lo era stato per un intero logorante anno.

Un anno, un anno in cui era rimasto sepolto in quella casa, perché essere circondato dalle sue cose e dal suo odore era l'unico modo per aggrapparsi alla vita, agli unici brandelli che aveva di lui.

Un'impulso distruttivo gli percorse ogni cellula, nulla aveva più senso e ogni cosa che finiva sotto il suo sguardo gli diventava insopportabile, gli faceva schifo, voleva che venisse distrutta, voleva distruggerla.

Jimin scattò in avanti velocissimo e prese il pesante mortaio in marmo nero con il quale Yoongi pestava i suoi ingredienti, alzò il braccio puntando la credenza del salotto, il fiato grosso, voleva distruggere ogni cosa, in quel momento capì come si era sentito Jungkook.

Era pronto a lanciare, voleva farlo, profondamente: aveva bisogno di spaccare ogni cosa; eppure rimase immobile, come congelato, lasciò la mano inconsapevolmente e il mortaio cadde sul tappeto del salotto con un tonfo.

Non si accorse nemmeno che le lacrime iniziarono a rotolare sulle sue guance, non capiva più nulla, Jimin si era perso e non sapeva nemmeno come avesse fatto a farlo.

Si sentiva a metà, straziato, confuso, non aveva idea di che fare o come agire, la rabbia sempre presente, ma anche la sofferenza, la voglia di essere abbracciato, ma non da chiunque, nemmeno dal branco, ma da lui. Desiderava così visceralmente essere stretto con forza, affondare il viso contro il petto dell'altro ed inspirare quell'odore che tanto amava.

Jimin si ritrovò in ginocchio, le mani sul pavimento, singhiozzante e disperato, rendendosi conto che la cosa che lui anelava di più e che la pulsione più forte che il suo lupo avesse in quel momento fosse di tornare fuori, lì dove l'aveva visto e chiedergli scusa.

Si coprì la bocca con le mani, inorridito, mentre ripercorreva il momento in cui l'aveva picchiato, un brivido di orrore lo percorse.

Aveva usato tutta la sua forza, lo sapeva, come sapeva che probabilmente se Yoongi fosse stato umano ad un colpo del genere sarebbe sicuramente morto.

Le lacrime cessarono di scorrere, la sua fronte si aggrottò, si sedette sul pavimento completamente fuori da ogni stato d'animo classificabile, mentre nella sua mente riviveva ogni secondo del loro incontro e riascoltava ogni parola.

Sono morto davvero.

Jimin si mise a guardare il muro davanti a sé con un'espressione vuota, chiedendosi perché Yoongi avesse detto quella frase e con quale senso.

Il negromante non aveva l'odore di un morto, nemmeno di un non morto, aveva esattamente lo stesso profumo di sempre, quindi non poteva essere un vampiro o uno zombie, anche perché se fosse stato quest'ultimo, la sua testa sarebbe volata via all'impatto col suo pugno.

Lo Skoll continuava a pensare, a porsi domande senza che potesse ottenere alcuna risposta, anche perché l'unico che poteva farlo era Yoongi, ma in quel momento non voleva vederlo, non sarebbe riuscito a farlo, nemmeno sapeva se effettivamente sarebbe bastato far passare un po' di tempo per fargli passare quel tumulto interiore che lo corrodeva.

Stava impazzendo, ne era certo, tutto il dolore che aveva provato lo aveva rotto in un qualche modo tanto che in quel momento gli impediva di accettare normalmente il ritorno dell'uomo che amava e che avrebbe amato per sempre.

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