I









Il pulviscolo roteava nello spicchio di luce che Jimin fissava con lo sguardo vuoto e perso, nonostante fosse passato un anno faceva sempre fatica a trovare la forza per alzarsi dal letto; dentro di sé non avrebbe voluto muoversi, avrebbe voluto rimanere steso lì, sotto le coperte, le braccia strette all'unica camicia di Suga che si era permesso di tirare fuori dal suo armadio.

Non ne prese altre perché aveva il terrore perdessero il suo profumo.

Affondò il viso nella stoffa nera e inspirò profondamente, ma quel gesto non gli infuse né coraggio né voglia di muoversi, anzi, si rannicchiò ancora più dentro le coperte; l'odore di pino e neve del negromante gli invase le narici, anche se era diminuito di intensità ne rimaneva traccia, come se le fibre ne fossero completamente impregnate.

Era difficile, vivere era decisamente difficile, prima della notte in cui aveva perso definitivamente Yoongi non ci aveva mai riflettuto su quanta forza una persona dovesse avere per vivere normalmente.

I suoi pensieri si fermarono perché per l'ennesima volta si trovò a chiamare Suga per nome, quello vero, moriva dalla voglia di poterlo pronunciare davanti a lui, di fronte al suo viso dalla pelle candida e lo sguardo tagliente e scuro come la notte, ma non gli era stato concesso.

Una fitta di dolore lo colpì dritto al centro del petto, serrò gli occhi e espirò dalle labbra semichiuse, il respiro tremolante e sofferente, tutta la sua angoscia trasbordava dall'emotività e diventava fisica, una sensazione cocente che lo bruciava vivo, gli rendeva difficoltoso respirare, muoversi, pensare, a meno che non si trattasse di Yoongi, del suo viso, delle sue mani, della sua voce profonda e roca che gli diceva che lo amava; spesso si ritrovava ad urlare al cielo che lo amava anche lui e che non sarebbe mai riuscito a smettere, con le lacrime agli occhi, le mani strette al petto, nella vana speranza che potessero tenere assieme quello che gli era rimasto del cuore.

Non riusciva ad abituarsi a tutto quel dolore, provava tutte le emozioni troppo intensamente e tutte insieme, come se il suo corpo, il suo cuore, fossero un filo scoperto pronto a fare contatto con qualsiasi cosa: delle volte non riusciva nemmeno a rimanere impassibile, nemmeno davanti alle bottiglie di Roughstock al supermercato, con il risultato di trovarsi a piangere davanti alla corsia dei liquori e uscire dal negozio con almeno una bottiglia in mano, che poi non beveva, le versava sulla tomba vuota di Yoongi; dall'incendio non era stato possibile rinvenire nessuna salma, non aveva nemmeno potuto piangere sul suo corpo.

Il licantropo era così instabile emotivamente che non riusciva neanche a trasformarsi in lupo, questo perché ogni volta che lo aveva fatto aveva percepito la sua aura mozzata, sentiva come se ci fosse una ferita aperta nella sua energia, qualcosa che gli era stato strappato con violenza, come se una volta che si era fusa con quella di Yoongi essa lo attirasse di nuovo a quella unità che ormai non era più possibile avere; quindi diventava lupo solo lo stretto necessario per mantenere il senno, ma ogni volta per lui era una tortura perché quella sensazione lo faceva impazzire.

Per questo aveva deciso di lasciare il suo ruolo di Skoll, nonostante Namjoon si fosse rifiutato di accettare il suo ritiro: di fatto non ricopriva le sue mansioni, ma per il suo Alfa rimaneva comunque il suo Skoll; si era impegnato solo nell'addestramento di  Jungkook, unicamente perché sapeva che il negromante l'avrebbe voluto.

Jimin chiuse gli occhi al pensiero del minore, a quanto fosse stato difficile all'inizio fargli capire cosa fosse successo, si morse il labbro non appena ripensò alla notte in cui si era trasformato la prima volta, anche perché lui e Namjoon avevano il terrore che potesse non trasformarsi in lupo e quindi non entrare nel loro branco.

Quella notte non aveva pianto, quella notte di luna piena, il battesimo di Jungkook, fu come se il suo vecchio io si fosse risvegliato, anche la sua energia si era come stabilizzata, come se fosse di nuovo pulsante e viva, ma accadde solo in quel momento, inspiegabilmente.

Stancamente Jimin riaprì gli occhi ritrovandosi il soffitto bianco davanti, si sentiva pesante, come se un macigno lo opprimesse e gli rendesse difficile persino respirare, il suono metallico della suoneria del cellulare riempì la stanza fastidiosamente, sapeva già chi era, Namjoon lo faceva ogni mattina e lui tutte le volte non rispondeva, ma almeno era costretto ad alzarsi, dato che lo teneva sulla cassettiera lontano dal letto.

L'Alfa aveva ideato quel sistema per farlo alzare, se non rispondeva anche solo con un messaggio continuava a chiamarlo ininterrottamente e poi si precipitava a trovarlo, per accertarsi di come stesse e ovviamente per spodestarlo dal materasso.

Era stato costretto a farlo perché Jimin si era trasferito nella casa di Suga, all'inizio ci passava solo le giornate, steso sul suo letto, a piangere per ore, poi, dopo l'ennesima volta che si era addormentato sfinito dal pianto, tra i cuscini, aveva preso la decisione di trasferirsi direttamente.

Namjoon non l'aveva presa bene, anche se non lo diede mai a vedere, si limitò ad andarlo a trovare tutti i giorni e a rilevare il bar di Hoseok per farglielo gestire, di modo che avesse un'occupazione che lo distraesse in un qualche modo.

Per quel motivo si doveva alzare, doveva controllare il magazzino e vedere se ordinare degli alcolici o rifornire la cucina, era obbligato a farlo, altrimenti il suo Alfa gli avrebbe ordinato di tornare a casa e a riprendersi il suo ruolo di Skoll e lui non si sentiva più in grado di farlo, in realtà non si sentiva più in grado di fare nulla.

Delle volte Jimin si ritrovava a pensare a quanto fosse egoista, si rendeva conto che così facendo faceva soffrire le persone accanto a lui, ma non riusciva ad agire diversamente, la perdita lo faceva annegare in una sensazione di disperazione viscosa, come se fosse in un'enorme pantano di sabbie mobili, poteva percepire la sua essenza scivolare inesorabilmente sempre più in basso e per quanto si sforzasse di muoversi e di salvarsi, l'unica cosa che riusciva ad ottenere era affossarsi sempre di più in quella sensazione di sofferenza bruciante come un'ustione.

Non era l'unico a soffrire così tanto, anche Jungkook si era ritrovato senza due delle figure più importanti della sua vita, tuttavia il minore non riusciva a mostrarsi debole, serrava ogni dolore dentro di sé per poi crollare tutto in una volta, ritrovandosi davanti alla porta della casa di Yoongi nel cuore della notte, con le lacrime agli occhi e il petto scosso dai singhiozzi, Jimin si limitava a prendergli la mano, per portarlo nel letto con sé, tra di loro la camicia del negromante, che stringevano spasmodicamente, piangendo fino ad addormentarsi.

Nell'ultimo periodo accadeva più raramente, Namjoon lo aveva sostenuto fin da subito, in tutti i modi possibili, divorato dal senso di colpa, ma Jungkook aveva compreso, sapeva cosa gli avesse fatto Baba Jaga e si era reso conto che l'Alfa aveva agito solo per salvargli la vita.

Dopo la sua entrata nel branco il minore ebbe solo un'enorme ammirazione per Namjoon, mentre l'Alfa non poté fare a meno di affezionarsi a Jungkook, proprio per quella sua natura dolce e fondamentalmente tenera.

Jimin poggiò i piedi nudi sul parquet freddo, lo sguardo vuoto che si rifletteva sullo specchio dell'armadio, gli occhi gli caddero al centro del petto, dove si era fatto un tatuaggio identico al ciondolo che gli aveva regalato Yoongi, sul bordo esterno della pietra aveva fatto scrivere esattamente quel nome, una calligrafia leggera che seguiva la curva morbida del ciondolo.

Aveva deciso di farlo perché in quel modo nessuno al mondo avrebbe potuto strapparglielo di dosso, nessuno avrebbe potuto rimuovere da lui una cosa così importante, l'essenza di Yoongi, che stava incastonata esattamente lì, nel mezzo della sua cassa toracica, davanti al suo cuore che ormai non batteva nemmeno più ad un ritmo regolare.

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