LA PERSONA CHE VORREI POTER AMARE


Anakin Skywalker picchiettava le dita sul bordo della sedia cercando invano di non dare a vedere quanto fosse annoiato. L'ultima cosa che voleva era dare l'impressione a quel gruppo di politici che li detestava già tutti, proprio nel momento in cui si discuteva della ricreazione dell'Ordine. In qualche modo sapeva che urlare in faccia a qualche nuovo senatore se non avesse davvero niente di meglio da fare nella vita che ripetere ininterrottamente le misure di sicurezza del Nuovo Senato, non sarebbe stata una grande idea. Fece un respiro profondo e chiuse brevemente gli occhi per calmarsi e affidarsi alla Forza. Immediatamente l'energia pacifica e dolce lo invase e calmò i suoi sensi. Eppure, la sua mano sinistra, ora ricoperta di pelle sintetica e con un sottile anello d'oro all'anulare, rifiutava di stare ferma. Aveva accettato di sostituire le protesi più perché Luke aveva insistito che per vera necessità. Ormai era abituato alla pesantezza dei propri arti meccanici nel corso degli ultimi 20 anni, anche se doveva ammettere che il cambiamento non era sgradevole. Si sentiva molto più leggero, come se un peso gli fosse stato sollevato dalle spalle e la Forza sapeva quanto ne aveva bisogno in quel momento.

Mon Monthma pose una domanda ad Ahsoka seduta al suo fianco al tavolo rotondo, riportando la sua attenzione al presente.

"Una cinquantina di bambini. Alcuni sono già abbastanza grandi da saper badare a sé stessi. Ho un altro cavaliere Jedi ben addestrato che sta badando a loro e un ragazzo che ha quasi completato l'addestramento." Rispose Ahsoka.

Kanan Jarrus ed Erza Bridger. Anakin sapeva si averli incontrati e di aver combattuto contro di loro, ma dopo quell'episodio li aveva completamente cancellati dalla mente. La distruzione della Morte Nera e la scoperta di Luke avevano occupato tutta la sua attenzione a quel punto, e il ragazzino spaventato che aveva osato sfidarlo su Malachor era stato completamente cancellato dalla sua memoria. In quei giorni faceva ancora fatica a unire l'immagine fumosa che ricordava con il ragazzo sicuro e determinato che era arrivato su Coruscant con Ahsoka. Per quanto riguardava Kanan, non riusciva nemmeno a metterne a fuoco i lineamenti, anche se era sicuro di dovergli come minimo delle scuse. Sembrava che ultimamente dovesse delle scuse alla galassia intera, cosa che probabilmente non era così lontana dal vero.

Con sospiro si distaccò dal suo senso di colpa e con una certa soddisfazione pensò che Yoda ed Obi Wan sarebbero stati fieri di lui. Poi si ricordò che se n'erano andati e un'ondata di delusione mista a tristezza e rimpianto piombò su di lui e tanti saluti al distacco.

Perché era così che era andata. Dopo la battaglia e dopo essersi assicurato che Luke e Leia fossero al sicuro in un centro medico, lui ed Ahsoka erano andati nella sala del consiglio e l'avevano trovato vuota. I tre maestri Jedi erano tornati ad essere un tutt'uno con la Forza, lasciando a loro due il compito di ricreare l'Ordine.

Un doloro acuto al palmo della mano sinistra lo colse di sorpresa e realizzò di aver chiuso la mano a pugno senza accorgersene. Cattiva abitudine che avrebbe fatto meglio a perdere.

Sentì lo sguardo di Ahsoka sulla sua mano e lentamente convinse gli ingranaggi del suo arto artificiale a rilassarsi. Le lanciò un sorriso di scuse, che lei ricambiò esitante anche se il suo sguardo risaettò subito sulla mano di Anakin, con aria meditabonda e malinconica. Anakin si accigliò e si chiese se avesse qualche macchia di sporco sulle dita. Le lanciò un'occhiata interrogativa a cui Ahsoka rispose con un scrollatina di spalle, per poi riconcentrarsi sulla conversazione in atto. Nonostante la velocità con cui si era ricomposta, Anakin captò qualche stralcio delle emozioni che provava la sua vecchia padawan. Con un movimento secco nascose la mano in grembo e distolse lo sguardo puntandolo fuori dalla finestra. Tutto pur non di non confrontarsi con emozioni che non poteva ne voleva riconoscere.

Il cielo di Coruscant al tramonto era sempre uno spettacolo stupefacente. Con una stretta al cuore ricordò che quella era l'ora preferita di Padmè, quanto tutto era tranquillo e ciò significava che di solito Anakin stava per tornare a casa dopo una giornata al Tempio. Per un attimo ripensò ad un altro tramonto che aveva osservato tanto tempo prima dalla sala del Consiglio, poco prima che tutto finisse. Allora era stato pieno di disperazione e paura, attanagliato da due forze che lo tiravano in due direzioni diverse. L'amore verso sua moglie e suo figlio non ancora nato e la devozione all'Ordine Jedi. Ora, osservando il sole che piano piano scompariva dietro l'orizzonte, il sentimento che lo riempiva e lo rinvigoriva era una forte e confortante speranza per un futuro migliore, in cui non avrebbe dovuto scegliere tra chi era e chi avrebbe dovuto essere.

Dal palazzo del senato non poteva vederlo, ma sapeva che poco lontano la flotta dell'Alleanza era parcheggiata negli hangar imperiali e che all'interno della nave ospedale entrambi i suoi figli stavano riposando. O almeno, avrebbero dovuto riposare. Leia aveva comunicato chiaramente cosa pensava della decisione del medico di tenerla in osservazione e non permetterle di partecipare a quel consiglio, tanto che il dottor Solace l'aveva dichiarata un paziente persino peggiore di suo fratello gemello. Anakin poteva immaginarla che camminava avanti e indietro, una piccola palla di rabbia e indignazione lanciando occhiatacce a chiunque osasse interromperla. Si chiese vagamente da chi avesse preso quel carattere. In ogni caso aveva una notizia che l'avrebbe di certo tirata su di morale, visto anche il suo timore seppur inespresso, che, non avendo più un pianeta da rappresentare, la sua carriera politica come senatrice fosse ormai conclusa. Anakin non aveva nessuna intenzione di permetterlo.

Per quanto riguardava Luke, il suo comportamento lo preoccupava più di quanto volesse ammettere. Era silenzioso, se interpellato rispondeva a monosillabi, cooperava con il medico e sembrava non manifestare alcuna emozione apparente.

Anakin sperava che se tutto andava a bene e poteva finalmente riportarlo a casa magari sarebbe riuscito a capire cosa diavolo stava succedendo nella sua testa. Nessuno assiste alla morte di propria madre senza provare niente. Sperava che l'aver convinto una certa persona, seppur a fatica, a non partire per una missione commerciale con Lando e ad unirsi al neonato Ordine, potesse aiutarlo ad uscire da quel suo stato catatonico, o almeno sperava.

Mon Monthma dichiarò la riunione conclusa e i senatori cominciarono al alzarsi ed ad uscire. Grazie alla Forza!, pensò Anakin, anche se si rese contò di essersi perso completamente gli ultimi 20 minuti di discussione. Avrebbe dovuto chiedere un riassunto ad Ahsoka. Il pensiero della sua padawan gli portò un senso di apprensione che si sforzò di ignorare.

La suddetta padawan lo stava aspettando sulla porta con sguardo interrogativo. Anakin si alzò lentamente e le si avvicinò.

"Devo riassumerti cosa è successo nell'ultima mezz'ora, Anakin?" chiese alzando un sopracciglio.

Anakin si sentì arrossire e sorrise con un'espressione di scusa. "Mi conosci troppo bene, furbetta."

Se Anakin aveva pensato di alleggerire l'aria chiamandola con il suo vecchio nomignolo si sbagliava di grosso perché ottenne l'effetto contrario. Ahsoka si irrigidì e gli voltò le spalle secca. "Non chiamarmi così."

Anakin sussultò colpito dal tono duro e vagamente ferito. "Ti ho sempre chiamato così." Obiettò piano.

"Sì, quando aveva 15 anni!" esclamò Ahsoka, voltandosi di scatto a guardarlo con occhi brillanti. "In caso sia sfuggito alla tua mente geniale, non sono più una bambina!"

"Ne sono ben consapevole, Ahsoka." Rispose debolmente Anakin.

"Davvero? A me non sembra." Ribattè Ahsoka e cominciò a marciare fuori dal palazzo del senato in lunghe falcata.

Anakin si affrettò a seguirla. "Ascolta Ahsoka," disse e le afferrò il braccio per fermarla. Ahsoka puntò gli occhi sul braccio e lui afferrò il concetto. La lasciò andare per poi accorgersi subito dopo che si trattava di nuovo del braccio sinistro. Cavoli, di nuovo quella mano, pensò Anakin. Per un secondo fu tentato di infilarla in tasca per nasconderla alla vista, ma poi realizzò che sarebbe stato inutile e da codardi e di sicuro non avrebbe cambiato le cose. Se volevano lavorare insieme per ricostruire l'Ordine dovevano sistemare tutto ciò che ancora c'era di complicato tra loro.

"Lo so che dopo... dopo che hai lasciato l'Ordine ti sei sentita tradita e abbandonata. Mi dispiace, mi dispiace tanto per... tutto. Non ho mai voluto farti del male. Ma se pensi di non voler fare questo con me, ricostruire l'Ordine, non c'è problema. Non devi sentirti obbligata." Disse piano guardandola dritto negli occhi.

Ahsoka sbuffò sonoramente. "Credo che il problema sia che, nonostante tutto, io voglio ancora fare tutto questo con te! E con nessun altro."

Anakin si immobilizzò. "Ahsoka..." disse in tono ammonitore.

Ahsoka sospirò e scosse la testa. "Ho sempre... tenuto molto a te. Anche quando di te restava ben poco."

Anakin abbassò gli occhi ed evitò il suo sguardo. "Io..." incominciò incapace di continuare.

"No, non dire niente. Non ce n'è bisogno, ho capito." Disse Ahsoka, con tono amaro e poi iniziò a scendere lentamente le scale del grande palazzo.

Anakin restò a fissarla fino a quando non fu alla base della scalinata, poi qualcosa scattò dentro di lui e le corse dietro.

"Ahsoka, aspetta!" esclamò, ignorando il senso di deja vu che lo colpì.

Ahsoka si fermò e si voltò lentamente verso di lui. Anakin prese fiato per qualche secondo, poi di nuovo la guardò dritta negli occhi. "Non credi che ti debba almeno una spiegazione?"

Ahsoka non disse nulla e si limitò a fissarlo con occhi stanchi.

Anakin fece un respiro profondo. "Luke e Leia sono la mia vita, il mio tutto. Sai quanto li ho fatti soffrire in passato, e non fare mai, MAI, più nulla che possa ferirli."

"Ma? Non è tutto vero?" disse Ahsoka socchiudendo gli occhi.

"No, non è tutto." Ammise stancamente Anakin, la voce esausta. "Ahsoka... mi dispiace, ma non posso evitarlo, sono innamorato di lei. Lo sarò sempre."

Perché Anakin ne era sicuro, tanto quanto lo era che Coruscant fosse rotondo, che il suo cuore sarebbe stato sempre e solo di Padmè.

"Tu sei... la persona che vorrei poter amare."

Un vago sorriso incurvò gli angoli della bocca di Ahsoka, che aveva inevitabilmente percepito la verità nelle sue parole. "Lo so."

Si guardarono negli occhi per un lungo secondo, poi Ahsoka sospirò e che gli diede una spintarella con la spalla. "Muoviti, Skycoso, abbiamo un Ordine da ricostruire."

***

Quando Anakin entrò nel centro medico la prima cosa che notò fu il dottor Solace che gli si avvicinò con un'espressione disperata.

"Ti prego, dimmi che te li porterai via." Lo pregò con aria esausta.

Anakin scoppiò a ridere. "Se stanno bene."

"A questo punto se rimangono qui un secondo di più, dovranno ricoverare me per perdita della ragione." Rispose Solace e gli fece cenno di proseguire verso le camere delle 'disgrazie'.

Per prima cosa Anakin si diresse verso la camera in cui avvertì la presenza brillante di sua figlia insieme a quella di un certo vecchio pirata. Bussò piano ed entrò. Leia sembrava essersi bloccata nell'atto di passeggiare avanti e indietro, mentre Han la osservava con sguardo divertito dal bordo del letto su cui era appollaiato.

"Cos'hanno detto alla riunione?" chiese immediatamente Leia piantandosi di fronte a lui con le mani sui fianchi.

Anakin si ritrovò a corto di parole, mentre si rese conto che tra tutto quello che era successo Ahsoka non gli aveva detto cosa in effetti avessero discusso con i senatori. L'unica cosa che ricordava erano i numeri dei potenziali cavalieri Jedi. Deglutì profondamente e se ne uscì con un brillante. "Ehm..."

Leia alzò gli occhi al cielo ed emise uno sbuffò leggero. "Non dirmi che hai dormito per tutto il tempo?"

"No!" ribattè subito Anakin. "Non per tutto il tempo."

Leia roteò di nuovo gli occhi e scosse la testa anche se Anakin notò che un sorriso le si stava formando sul viso.

"Ho una sorpresa per te." aggiunse. Questo catturò la sua attenzione. Con un grande sorriso sulle labbra Anakin si sfilò di tasca un datapad e glielo tese.

Leia lo prese sospettosamente poi iniziò a leggere. I suoi occhi si spalancarono man mano che afferrava il senso delle parole. Quando ebbe finito fece danzare alternativamente lo sguardo dal datapad al viso sorridente di suo padre.

"Che cosa hai fatto?" chiese aggrottando le sopracciglia.

"A parte chiamare la famiglia Naberrie, niente." Rispose Anakin, un pelo sulla difensiva.

Leia alzò le sopracciglia. "E la regina di Naboo ha deciso così che le piacerebbe che mi candidassi per il posto di senatrice di Naboo?"

Anakin scrollò le spalle. "Saprà riconoscere un buon politico quando lo vede. Se vuoi puoi parlare con tua cugina Pooja, non vede l'ora di presentarti al consolato di Theed."

Leia lo guardò sorpresa poi piano piano iniziò a sorridere. "Grazie. Servire Naboo come ha fatto la mamma... sarà un grande onore." Concluse e distolse lo sguardo prima che suo padre vedesse che nei suoi occhi si stavano accumulando quelle che assomigliavano sospettosamente a delle lacrime.

Han che fino a quel momento era rimasto in silenzio tossicchiò discretamente. "Io vado a preparare lo speeder per andare a casa." Disse avviandosi verso la porta.

Lo sguardo di Anakin saettò verso il corelliano.

"Andiamo nell'appartamento che occupavano io e... Bail, quando servivamo in senato." Spiegò Leia.

Anakin assimilò la notizia e aggrottò le sopracciglia. "Solo." Disse quando Han era ormai già quasi fuori dalla porta.

"Sì?" rispose Han e si poteva quasi sentire un briciolo di apprensione nella voce di solito così sicura di sé dell'ex contrabbandiere.

"Spero che tu ti comporti bene." Disse lentamente Anakin con un tono leggero che non avrebbe convinto nessuno. "Odierei il fatto di doverti spezzare le gambe."

Han deglutì e si immobilizzò.

"Sta scherzando, fanta-demente." Intervenne Leia alzando gli occhi al cielo con un sorriso sul viso.

Han non rispose e si limitò a girare i tacchi e a precipitarsi verso i parcheggi.

Anakin e Leia rimasero a fissarsi in silenzio. Alla fine la principessa sbuffò e perse la pazienza. "Senti... sarò sincera."

Anakin lo guardò negli occhi e attese il colpo. "Bail Organa è stato mio padre in ogni senso possibile. Mi ha amata e si è preso cura di me come se fosse figlia sua e il mio modo di considerarlo mio padre non cambierà mai."

Anakin annuì abbassando lo sguardo e cercò di ignorare il dolore acuto che le parole di sua figlia gli sembravano sempre procurare.

"Ma..." aggiunse inaspettatamente Leia e gli occhi di Anakin saettarono di nuovo in quelli scuri di sua figlia. "Ma forse... un amico in più non mi farebbe male." Aggiunse con un sorriso esitante.

Anakin si immobilizzò per un lungo secondo poi il suo viso si spalancò in un largo e dolce sorriso.

"Amici?" chiese Leia, allungando la mano.

"Amici." Rispose Anakin stringendo la manina molto più piccola della sua.

"Grazie." Aggiunse poi passandosi rapidamente la mano sugli occhi.

Leia sospirò e fece per dirigersi verso la porta. "Aspetta." La fermò Anakin. "Hai ancora il cartellino dell'ospedale attaccato alla schiena."

"Oh, me lo farò togliere." Rispose Leia, cercando di guardarsi la schiena da sopra la spalla.

"Non ce n'è bisogno, faccio io." Disse Anakin avvicinandosi.

Leia esitò un attimo poi alzò i capelli sopra la testa. Anakin, invece di rimuovere qualunque cosa avesse sulla schiena, fece scivolare lentamente le braccia intorno a lei e l'abbracciò dolcemente.

Leia si immobilizzò completamente, ma non protestò. "Ti ho sempre parlato tanto sai, quando eri nella pancia di tua madre. Sono sempre stato convinto che aspettassimo una femmina." Sussurrò piano Anakin.

Leia chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. In qualche modo in quel momento Anakin non sembrava molto diverso da Bail, era un uomo grande forte che le voleva bene che era disposto a tutto pur di proteggerla.

Alla fine Anakin le diede un bacio sulla testa e la lasciò andare. "Notte Leia." Esclamò e scappò fuori dalla stanza lasciandola sola a scuotere la testa tra sé con un sorrisetto sulle labbra.

***

Anakin trovò suo figlio seduto al tavolo della piccola stanza di ospedale intento in quella che sembrava una fitta conversazione con R2. Anakin sospirò prima di entrare. Era abbastanza sicuro che dalla battaglia di Coruscant Luke avesse scambiato più parole con il piccolo droide che con chiunque altro, padre e sorella inclusi.

Anakin battè le nocche sul vetro e attese la voce la di suo figlio che gli diede il permesso di entrare. Normalmente sarebbe entrato e basta, ma il comportamento di Luke negli ultimi giorni lo aveva lasciato spiazzato e anche, per quanto facesse male ammetterlo, un po' impaurito.

E se Luke avesse finalmente visto che razza di persona era stata e non volesse più avere niente a che fare con lui? Non sapeva se ne sarebbe sopravvissuto sano di mente. Razionalmente sapeva che Luke sapeva bene che tipo di persona era stato e che se non avesse voluto più vederlo per il resto della sua vita, non avrebbe cercato di salvarlo in primo luogo quando ancora si faceva chiamare Darth Vader. Eppure, questo suo silenzio prolungato cominciava ad inquietarlo.

"Pronto ad andare a casa?" chiese Anakin, lanciandogli un sorriso incoraggiante.

Luke lo guardò con occhi spenti, annuì lentamente poi afferrò la sua borsa ed uscì dalla stanza senza una parola. Anakin chiuse gli occhi un momento poi lo seguì.

Il viaggio verso l'appartamento che era stato di Padmè Amidala avvenne in un pesante silenzio. Anakin cercò di iniziare una conversazione, ma suo figlio rifiutò l'imput e tenne ostinatamente la bocca chiusa.

Una volta in casa Luke si guardò attorno e scrutò attentamente l'interno. Anakin allungò la mano e accese le luci con la Forza. Era ancora come lo ricordava, raffinato ed elegante eppure accogliente e caldo. I droidi delle pulizie coordinati da 3PO avevano fatto bene il loro lavoro, tutto era pulito ed in ordine.

"Cos'è questo posto?" la curiosità di Luke aveva vinto la sua personale battaglia con la testardaggine e gli aveva sciolto un po' la lingua.

"L'appartamento che usava tua madre quando era a Coruscant per servire in Senato." Rispose Anakin avanzando in sala seguito da Luke che lo fissò. Anakin alzò le spalle. "Casa."

Qualcosa sembrò scattare nel cervello di Luke. Si guardò intorno come se vedesse l'appartamento per la prima volta, poi si girò di scatto e si precipitò sul balcone appoggiandosi alla ringhiera.

Preoccupato Anakin lo seguì. Si fermò nello stesso esatto punto contro lo stipite della finestra in cui, tanti anni prima, si era soffermato ad osservare la moglie incinta che parlava soavemente di dolci piani per il futuro. Un futuro in cui avrebbero vissuto insieme e avrebbero cresciuto insieme i loro figli nella villa al lago su Naboo. Un futuro in cui non sarebbe stato costretto a guardare la schiena di suo figlio che soffriva senza sapere cosa fare per confortarlo.

"Luke..." lo chiamò piano. "Cosa c'è che non va?"

Le spalle di Luke iniziarono a tremare. In tre rapidi passi, Anakin era al suo fianco.

"Ehi..." mormorò accarezzandogli una guancia con il palmo della mano. "Parla con me."

Luke chiuse gli occhi e scosse la testa come per scacciare un mostro cattivo.

"Luke che hai?" ripetè Anakin. Non sarebbe rimasto a guardare suo figlio stare così un secondo di più.

Luke lo guardò negli occhi probabilmente per la prima volta da quella notte terribile al tempio. Le iridi blu sembravano due laghi pieni d'acqua quando Luke aprì la bocca per parlare.

"Non dovrei stare così." Disse piano. "Dovrei essere un Jedi, non dovrei provare così tanto..." buttò fuori mentre il mento iniziava a tremargli.

"E' solo che stare qui, dove lei ha vissuto, dove voi avete vissuto, mi fa pensare a tutto quello che ho perso e...e-" gli si mozzò il respiro in gola e si passò una mano tra i capelli biondi.

Alzò le spalle mentre non riuscì più a trattenere le lacrime che gli colarono sulle guance. Le braccia di suo padre furono immediatamente lì a sorreggerlo. Con un verso a metà fra un sospiro ed un singhiozzò Luke gli appoggiò la testa sulla spalla. "Mi manca. Avrei voluto passare più tempo con lei. Avevo ancora tante cose da raccontarle, tante cosa da chiederle. Tante cose su Naboo, sulla guerra, sul lavoro in Senato, se sono più grande io o Leia!"

L'ultima frase fece quasi sorridere Anakin. "Mi dispiace tanto, Luke. Non avrei mai dovuto..."

Luke gli si staccò di colpo e si allontanò di qualche passo, scrutandolo con un'espressione minacciosa. Con quello sguardo determinato ricordava così tanto sua madre, che Anakin fu tentato di arretrare. "Non l'hai uccisa tu! Come avrebbe fatto a dare i nomi a me e a Leia altrimenti?"

Anakin evitò accuratamente il suo sguardo. "Forse." Ammise alla fine. "Ma resta il fatto che avrei dovuto essere al suo fianco. Magari le cose sarebbero andate diversamente."

"O magari no! Non lo puoi sapere! Non puoi continuare a tormentarti con il passato!" esclamò Luke. "Sai cosa diceva sempre il Maestro Yoda? Che essere un Jedi significa perdonare, gli altri e sé stessi. Devi perdonare te stesso."

Anakin guardò suo figlio. Luke aveva i vestiti stropicciati, i capelli in disordine e gli occhi ancora arrossati eppure parlava come uno dei Maestri Jedi più vecchi e saggi.

Sorridendo gli si avvicinò, gli diede un bacio sul naso e lo guidò dentro nel salotto. In silenzio si sedettero sul divano. Luke afferrò un cuscino, lo mise sulle gambe di Anakin poi ci appoggiò la testa sdraiandosi completamente. Suo padre iniziò ad accarezzagli assentemente i capelli.

"Riguardo a quelle emozioni dannose di cui parlavi prima..." disse Anakin. "Io e Ahsoka stavamo pensando ad una piccola modifica al Codice."

Luke si voltò di scatto a guardarlo con un sorriso stupito, poi si girò sulla pancia e abbracciò forte il cuscino.

"Mi manca tanto." Sussurrò Luke, stringendo gli occhi. Anakin prese una coperta e gliela appoggiò piano addosso.

"Manca tanto anche a me." Mormorò dopo un lungo silenzio.

Per il resto della notte nessun'altra parola fu scambiata.

***

Anakin fermò lo speeder appena sotto la grande scala di ingresso centrale ed inclinò la testa per osservare la monumentale struttura che torreggiava su di loro. Luke vedendo il gesto di suo padre lo imitò ed aggrottò le sopracciglia.

"Me lo ricordavo più piccolo." Osservò Anakin.

"E' enorme." Concordò Luke, scrutando il Tempio Jedi illuminato dal sole mattutino di una calda giornata di Coruscant.

Anakin sospirò poi diede gas e guidò lo speeder fino all'hangar principale. Quando saltarono giù ad accoglierli trovarono un Ahsoka non del tutto contenta.

"Ce ne avete messo di tempo." Esclamò. "Forza, prendere uno di quegli scatoli ed iniziate a raccogliere tutti i residui di ferraglia che trovate in giro. Se vogliamo rendere questo posto abitabile entro la fine della settimana, quando Kanan porterà qui i bambini, dobbiamo darci da fare."

Luke ed Anakin si scambiarono uno sguardo.

"Forza Skycosi!" li richiamò all'ordine immediatamente Ahsoka.

Sorridendo tra sé Anakin afferrò uno degli scatoloni che Ahsoka aveva indicato e la seguì fuori verso il cortile interno.

"Tu non vieni?" chiese voltandosi indietro verso suo figlio. Luke osservava un punto in fondo all'hangar come se avesse visto un fantasma. Anakin seguì il suo sguardo e vide una testa rossa che armeggiava con uno speeder.

"Segui le tracce di resti di droidi e mi trovi lì." Disse sorridendo tra sé poi si allontanò lasciandolo solo.

Luke si incamminò verso la figura fino a che non gli fu a pochi centimetri di distanza.

"Cosa fai qua?" chiese con un tono di voce più brusco di quanto avesse voluto.

Mara Jade spostò gli occhi dal motore e lo osservò da capo a piedi con occhio critico. "Felice di rivederti anch'io." Rispose alzando un sopracciglio.

Luke si sentì arrossire. "Credevo fossi partita con Lando."

Mara alzò le spalle. "Ho cambiato idea. Non credo che il commercio faccia per me."

Luke affilò lo sguardo. "E cos'è che ti ha fatto cambiare idea? Non che mi dispiaccia, chiaro-" balbettò Luke.

Mara per un attimo ripensò alla tirata che le aveva fatto un certo individuo sull'importanza di riscattarsi e di rimediare ai propri errori. Sul momento l'aveva irritata a morte perché, andiamo, chi era lui per dire cosa era giusto fare oppure no? Poi però non era riuscita a farsi uscire le sue parole dalla mente ed era stata costretta ad ammettere che il bastardo, come le piaceva chiamarlo, ci sapeva fare.

"La voce della coscienza." Rispose con un sospiro. "Voglio davvero rimediare a ciò che ho fatto al servizio dell'imperatore. E poi-" aggiunse con un sorrise ed un'alzata di spalla. "Volevo farlo."

Luke la guardò negli occhi per un lunghissimo istante, l'azzurro nel verde, poi d'impulso e senza pensarci, si piegò in avanti e la baciò dritto sulle labbra. Per un attimo Mara si immobilizzò, ma poi si rilassò e rispose al bacio infilandogli le mani tra i capelli.

In quel momento Luke si sentì per la prima volta in tanto tempo, completamente felice.

***

Quella sera su una terrazza del Tempio Jedi, due figure contemplavano le stelle con due tazze di caffè in mano. Dopo una lunga giornata a pulire e a mettere in ordine, entrambi erano sfiniti e rimanevano semplicemente in silenzio a godersi il panorama stellato. Su Tatooine quella era l'ora preferita di Luke, quando si sdraiava sulla sabbia ad osservare il firmamento e ad immaginare suo padre che volteggiava tra le stelle in magnifiche avventure e che un giorno sarebbe venuto a prenderlo per portarlo via con sé. Su Coruscant non si vedevo molte costellazioni a causa dell'inquinamento luminoso altissimo, ma a Luke non importava perché in quel momento non aveva più bisogno di sognare suo padre, ma ce l'aveva lì accanto a lui.

"Leia parte tra una settimana per Naboo." Disse Anakin all'improvviso.

"Lo so." Rispose Luke senza staccare lo sguardo dal cielo scuro.

"So che i tuoi nonni ti hanno chiesto se vuoi andare anche tu." Buttò lì Anakin.

Luke sospirò. "So anche questo. Però non posso accettare."

Anakin lo guardò con occhi confusi e Luke si passò una mano tra i capelli. "Tra una settimana arrivano i bambini e ci sono un sacco di cose da fare." Osservò. "E poi, ho ancora un addestramento da finire. Prima inizio meglio è, se spero di diventare una cavaliere Jedi prima della pensione."

Anakin sorrise. "Non vuoi conoscere i Naberrie?"

"Certo che voglio conoscerli." Rispose Luke. "Ma per farlo ho tanto tempo. Adesso c'è bisogno di me qui."

Anakin lo fissò a lungo negli occhi poi tornò a fissarli sull'orizzonte. Luke osservò il profilo suo padre nell'ombra, mordicchiandosi il labbro inferiore.

"Tu stai bene?" chiese poi, senza aver bisogno di spiegare a cosa, o meglio, a chi si riferisse.

Anakin chiuse gli occhi per un secondo poi li posò sul palazzo del Senato che si intravedeva in lontananza tra la moltitudine di veicoli. "Starò bene."

Luke gli si avvicinò. "Posso fare qualcosa?" Chiese e d'impulso gli diede un bacio sulla guancia.

Anakin si voltò a guardarlo e per qualche secondo si perse negli occhi azzurri di suo figlio. "La tua esistenza basta." Disse, si abbassò e gli stampò un bacio sulla fronte.

"Pronto ad andare a casa?" chiese poi con tono leggero.

Luke sorrise e alzò una mano. "Ad una condizione." Dichiarò con tono solenne.

Anakin gli fece segno con la mano di continuare. Luke gli si avvicinò e gli sfilò le chiavi dello speeder dalla tasca. "Guido io." Annunciò con un sorriso e parti veloce verso l'hangar.

Anakin rimase a fissare la figura allegra di suo figlio che quasi saltellava via e scosse la testa con un sorriso.

"Furbetto." Mormorò tra sé, per poi avviarsi dietro alla sua eccitata e felice prole.


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