3. Il Soldato del Futuro
"Così lei è un soldato?"
Levi ingoiò la rabbia e si costrinse a mantenere la calma.
"Sì" rispose per l'ennesima volta.
"Ed è venuto dal futuro per combattere contro un robot assassino?"
Abbassò lo sguardo su quel tavolo di metallo, talmente lucido che quasi poteva specchiarsi. Lo stava prendendo per il culo, era evidente. Stava perdendo tempo con giochetti idioti quando quel mostro era sempre più vicino ed Eren chissà dove, lontano da lui.
"Ascoltami Levi..." continuò la donna, sistemandosi gli occhiali "Capisci quanto io faccia fatica a credere a quello che mi dici, vero? Insomma: robot, spostamenti nel tempo, guerre nucleari. Hai spaventato a morte quel povero ragazzo, ti rendi conto?"
Levi strinse i pugni, incatenati con pesanti manette dietro alla schiena.
"La paura sarà l'ultimo dei suoi problemi, se non mi fate subito..." tentò di nuovo, ma la donna lo interruppe, sedendosi davanti a lui ed incrociando le mani sul tavolo. Alzò gli occhi e dietro il riflesso delle lenti, un paio di occhi svegli e pieni di curiosità risposero al suo sguardo.
"Se davvero sei venuto dal futuro per combattere un robot del futuro... dove sono le tue armi del futuro?" domandò facendo schioccare le labbra.
"Non si può portare niente di inanimato, attraverso il tempo. Solo i corpi organici sopravvivono allo spostamento" sospirò Levi. Non sapeva neanche perché continuava a risponderle, forse solo perché l'aveva preso per esasperazione.
"Ce ne sono altri come te?"
"Sono solo io, è la mia missione. Sono io contro di lui. Nessun'altro arriverà o tornerà... Questo era un viaggio di sola andata..."
"Oh..." la donna si picchiettò un dito sul mento "E dimmi, perché questo 'robot' avrebbe ucciso anche gli altri ragazzi, se è questo l'Eren che vuole?"
"Perché non sanno chi sia. Non avevano informazioni precise: solo un nome, una città..." ancora una volta strinse i pugni "Sta solo procedendo in ordine, li ammazzerà tutti se non mi lasciate andare a distruggerlo!"
"Tutto questo è veramente interessante!" rispose lei, alzandosi e cominciando a camminare avanti ed indietro.
Levi la seguì con lo sguardo, gli occhi pieni di disprezzo la fulminavano attraverso le ciocche corvine che ricadevano sul viso. Sentì la pazienza venir meno ed il sangue salire tutto al cervello.
"Sono lieto che morte e distruzione ti divertano tanto" ringhiò a denti stretti "Ma adesso fatemi vedere Eren! Non è al sicuro con voi, porci bastardi! Lo farete ammazzare!"
L'uomo tentò di alzarsi dalla sedia, ma prontamente venne respinto indietro da un paio di guardie, fino a quel momento rimaste cautamente agli angoli della stanza. Tentò di ribellarsi, divincolandosi e tirando calci, ma la superiorità numerica era schiacciante e venne costretto a terra, sopraffatto.
La dottoressa fermò il video e si voltò verso la piccola platea che la osservava.
"Grazie, dottoressa Zoe" mormorò un uomo. Era un agente di polizia, un veterano a cui era stato affidato il caso di Eren. Per tutta la durata della registrazione aveva ascoltato con estrema attenzione le domande poste dalla donna, le risposte dell'uomo ed osservato le sue reazioni. Ne aveva convenuto un'unica conseguenza: doveva essere folle.
Eren, il ragazzo che per sua sfortuna si trovava al centro di questo delirio, era seduto sulla sua scrivania, con una coperta sulle spalle ed una tazza di cioccolata calda in mano. Non aveva bevuto un solo sorso, da quando il video era iniziato. Era rimasto a fissare con gli occhi sgranati lo schermo, scuotendo la testa o ritraendosi, reagendo alle parole del suo sequestratore.
"Non ringraziarmi Smith, tu mi hai appena fornito il caso che mi farà fare il più gran salto di carriera della mia vita!" esclamò la donna, con uno sguardo esaltato "Oh, senza offesa Eren, eh!" aggiunse poco dopo.
Il ragazzo scosse appena la testa ed una grande mano calda si strinse attorno alla sua spalla. Combatté l'istinto che gli suggeriva di ritrarsi, perché sarebbe stato poco educato.
Alzò lo sguardo e trovò un paio di piccoli occhi celesti ad osservarlo, intensi e penetranti; eppure non li trovò neanche lontanamente rassicuranti quanto quelle iridi di ghiaccio a cui l'avevano strappato qualche ora prima, 'per la sua sicurezza'.
"Ti senti bene, ragazzo?"
"Sì... Io... Non potrei, forse, provare a parlargli?" mormorò, accennando con la testa al televisore, sul cui schermo ancora era bloccato un fotogramma di Levi. Vide il poliziotto scuotere appena la testa ed abbassò lo sguardo.
"Non è sicuro per te, non sappiamo esattamente quali siano le sue intenzioni..."
"Non mi ha mai fatto del male."
"Non sappiamo quali fossero i suoi piani. Sei al sicuro, Eren, non devi preoccuparti di niente, ora. Solo, prova a riposare..."
Gli indicò con un cenno un piccolo divano, che appariva come il più scomodo e duro della storia, ma Eren lasciò la tazza sulla scrivania e andò a sedervisi ugualmente.
"I tuoi genitori erano fuori città, ma li abbiamo contattati tramite il numero che ci hai dato. Ci vorrà qualche ora, prima che arrivino. Approfittane per riposare".
"D'accordo, grazie Agente Smith..."
"Chiamami Erwin, per qualsiasi cosa io sarò qua."
Eren lo guardò avviarsi verso la porta e si passò una mano tra i capelli, sospirando pesantemente.
"Agen...E-Erwin!"
L'uomo si girò subito "Dimmi ragazzo"
"Se anche Levi fosse pazzo, c'è comunque un uomo che ha cercato di farci fuori entrambi."
"Ci sono più di trenta agenti armati, in questo edificio, tutti perfettamente addestrati" mormorò con un tono che avrebbe dovuto rassicurare Eren, ma non sortì in lui il minimo effetto. L'Agente se ne andò, senza aggiungere altro.
Quando rimase solo, Eren si sdraiò e guardò il soffitto, calciando a terra la coperta.
Levi... Chissà dove lo avevano portato.
Respirò profondamente, coprendosi gli occhi con le mani. Flash delle ultime ore tornarono violenti a galla: le esplosioni, la paura, le corse in auto.
E poi le sue urla, i suoi ordini, il modo che aveva di trattarlo, così rude, ma in qualche modo premuroso.
I suoi occhi. Erano quelli a parlare per lui, la maggior parte delle volte. Nel giro di pochissimo tempo, da quando l'aveva incontrato, vi aveva letto una moltitudine di emozioni che sarebbe bastata per tutta la vita: paura, speranza, ammirazione, nostalgia, dolore, preghiera.
Si girò su un fianco, guardando il proprio riflesso nello schermo del televisore dove, fino a poco prima, aveva visto lui.
Un viaggio di sola andata, aveva detto. Se tutto fosse stato vero, significava che Levi aveva abbandonato tutto e tutti solo per trovare e proteggere lui. Non sapeva immaginarsi cosa potesse significare prendere una tale decisione, tagliare i ponti con qualsiasi cosa avesse mai conosciuto, per farsi catapultare in un viaggio che aveva le più alte probabilità di morte mai viste.
Si mise una mano sul viso, lì dove Levi aveva premuto la propria appena prima che venissero separati. Poi la stanchezza accumulata durante quella che era stata la giornata più lunga della sua vita ebbe la meglio ed Eren chiuse gli occhi.
Un forte boato lo svegliò di soprassalto.
Non aveva idea di cosa stesse succedendo, di quanto tempo fosse passato. Il suo cuore prese a battere veloce. Era l'unico altro suono che riusciva a percepire: il resto era ora coperto da colpi d'arma da fuoco e grida disperate.
Il panico gli strinse il petto. Scese dal divano, quasi inciampando nella coperta abbandonata per terra e si precipitò alla porta.
Erwin Smith la aprì di scatto e quasi ci finì addosso.
"Eren! Menomale, sei ancora qui!"
"Cosa sta succedendo?!" grido il ragazzo, stringendo le mani sulla porta, ma non sembrava che l'agente avesse alcuna intenzione di spiegargli alcunché.
"Resta qui, nascosto. Chiudi tutto a chiave, lascia fare a noi."
Eren si trovò di nuovo solo, con l'unica compagnia dei tremendi suoni di guerra che provenivano dall'esterno. All'ennesima esplosione, decise di nascondersi sotto la scrivania. I vetri delle finestre tremarono e così anche quelli delle porte. Si coprì le orecchie con le mani e strinse le ginocchia al petto.
Stavano morendo tutti. Per colpa sua.
Il senso di colpa gli bruciava nel petto come fuoco, riempiendogli gli occhi di lacrime che si ostinava a combattere. Voleva restare lucido.
Aveva promesso a Levi di scappare, ma non ce la faceva.
Rimase nascosto, raggomitolato su sé stesso, stringendosi tra i denti il labbro inferiore così forte da farlo sanguinare.
Chissà se era ancora vivo.
Ogni minuto perso era prezioso, ma nessuno di quegli idioti poteva capirlo.
Levi era rimasto per chissà quanto tempo intrappolato in quella stanza stretta, legato come un criminale, senza veder esaudita la propria richiesta di poter parlare con Eren, di sapere almeno dove fosse. Aveva perso il senso del tempo ed anche ogni speranza che potessero prenderlo sul serio. Era rimasto calmo, risparmiando le energie in attesa del momento giusto per agire.
Poi era successo e non aveva sprecato un singolo istante.
Il boato che aveva infranto il silenzio di quella notte così calma fu il segnale per lui che stava per scatenarsi l'inferno ed il diavolo in persona era arrivato per reclamare la sua vittima. Approfittò della momentanea confusione delle sue guardie per stordirle entrambe a suon di calci e testate: non sentiva il dolore, l'urgenza di agire era più forte. Si liberò delle manette e rubò loro le pistole ed ogni cosa utile che trovò sui loro corpi.
Richiuse la stanza a chiave, quando uscì: chissà, magari sarebbero sopravvissuti se fossero rimasti incoscienti abbastanza a lungo.
Cominciò a correre per i corridoi, alla cieca. Nessuno faceva caso a lui, tutti coloro che incrociava si muovevano verso un'unica direzione e Levi prendeva sempre quella opposta. Dovunque fosse Eren, non doveva essere certo un posto facile da raggiungere. L'avevano sicuramente portato nel luogo più lontano dell'edificio.
Non poteva averne la certezza, ma era l'unica cosa che gli veniva in mente in quel momento. Urlò il suo nome, affacciandosi ad un paio di stanze, ma non ricevette risposte. Dietro di sé, colpi di pistola ed esplosioni imperversavano senza soluzione di continuità.
Girò un angolo, ma indietreggiò subito, nascondendosi. L'agente biondo che gli aveva strappato Eren in quella strada lo superò correndo, troppo impegnato a contare le pallottole nella sua pistola per far caso a lui. Levi sentì il cuore battere più in fretta.
Era vicino.
Sgusciò fuori dal proprio nascondiglio e corse, guardando in ogni stanza, chiamando il suo nome. Ogni porta si apriva sotto i suoi calci, ma la risposta era sempre un devastante silenzio.
Ne trovò una chiusa a chiave. Era troppo robusta per essere sfondata a calci, così colpì il vetro col gomito fino a quando non si infranse. Infilò la mano tra i frammenti ed alla cieca riuscì a trovare la piccola chiave che teneva bloccata la porta.
L'aria all'interno profumava di cioccolata. Gli unici arrendi erano alcune scrivanie ed un divano, decisamente poco attraente. Per il resto, la stanza era vuota.
Levi soffiò a denti stretti e si girò, dando le spalle alla porta. Con lo stivale pestò una delle schegge di vetro, facendola crepitare.
"Eren!" chiamò, con quanto fiato aveva nei polmoni, sperando che la sua voce lo raggiungesse. Ogni minuto che passava, il terminator era sempre più vicino.
Un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione.
"Levi!"
Eren uscì da sotto la scrivania, mettendosi in piedi a fatica. Entrambi si mossero e la distanza tra loro venne annullata quando il ragazzo si gettò tra le sue braccia. Levi lo sentì affondare le dita contro la sua schiena e lo strinse a sé con quanta forza aveva.
Tremava e piangeva, ma era vivo. Respirava.
Non riusciva a credere di essere stato così fortunato.
Gli concesse qualche secondo per rassicurarlo, rispondendo con un "Sono qui" ogni volta che Eren chiamava il suo nome.
"Ho creduto di morire..." singhiozzava quel ragazzino, aggrappandosi a lui senza esitazione. Quando sollevò lo sguardo smeraldo per incrociare il suo, Levi non riuscì a non asciugargli le lacrime con le mani. Pochi centimetri impedivano alle loro fronti di sfiorarsi.
"Dobbiamo andare, adesso. Vieni con me."
Non lo fece suonare come un ordine, ma Eren annuì e la luce nei suoi occhi tornò a brillare in tutta la sua determinazione.
Gli prese la mano e lo sentì ricambiare la stretta.
"Dammi un'arma" disse Eren sicuro, mentre Levi ispezionava il corridoio.
L'uomo si voltò a guardarlo sconcertato.
"Non ci penso neanche!"
"Cosa!? Perché?"
"Ne ho già uno di folle armato di cui occuparmi, non posso pensare anche a te!"
"Mi hai già dato un'arma! Prima, in macchina!"
"Era una situazione diversa!"
Rimasero a bisticciare per quasi un minuto intero, secondi preziosi che Levi si pentì di aver sprecato. Cedette quando Eren lo guardò dritto negli occhi, implorandolo di poter essere utile, dicendo di non voler essere un peso per lui. Levi gli mise una pistola tra le mani e tolse la sicura.
"Se mi spari nel culo, ti ammazzo."
Eren rise, seguendolo fuori dalla stanza ed il cuore di Levi si fermò per un istante: trovò incredibile che riuscisse a ridere in mezzo a quella situazione.
In fondo Eren era Eren.
Il fuoco aveva invaso l'edificio, l'aria si stava facendo irrespirabile. Levi lo guidò attraverso gli stessi corridoi che aveva percorso all'andata, che ora parevano avvolti dalle fiamme dell'inferno. Presto fu impossibile proseguire: il fumo impediva loro di vedere ed Eren continuava a trattenere colpi di tosse, che gli rendevano sempre più difficile respirare.
Entrarono in una delle porte e spalancarono le finestre. La scala antincendio era ancora intatta, una via di fuga sicura, ma allo stesso tempo troppo esposta. Levi si morse il labbro: avrebbero dovuto fare in fretta. Scavalcarono i davanzali e caddero sul metallo cigolante. Le loro mani si trovarono di nuovo ed insieme corsero giù per quei pericolanti gradini, guardandosi costantemente alle spalle.
"Come ce ne andiamo?"
"Prendiamo una macchina."
"Intendi rubiamo una macchina."
Levi alzò gli occhi al cielo, mentre un nuovo sorriso decorava il volto di Eren. Gli piaceva avere l'ultima parola con lui.
Arrivarono a terra e presero a correre lungo i vicoli. Il suono assordate delle sirene diveniva sempre più chiaro. Lo spinse dietro una fila di bidoni dei rifiuti e gli mise una mano tra i capelli, spingendo per fargli abbassare la testa e nascondersi mentre una piccola folla di persone li superava.
Scassinarono la prima auto che trovarono. Levi non esitò un istante a partire, lasciandosi alle spalle il diavolo ed il suo inferno. Alcuni proiettili li raggiunsero, infrangendo i finestrini, scheggiando la vernice. Dallo specchietto retrovisore Eren vide il cyborg sparare verso di loro, in un ultimo disperato tentativo di colpirli, ma la macchina si portò presto fuori portata.
Eren si girò sul sedile, sporgendosi per guardare le ultime esplosioni di fumo e fuoco, che divampavano dalle finestre dell'edificio.
Erano morti tutti ed era colpa sua.
Sentì di nuovo le lacrime pungergli gli occhi, ma le ingoiò non appena si accorse dello sguardo di Levi su di sé.
Si sedette in silenzio, sollevando le ginocchia per stringerle al petto.
Guidarono senza parlare, lasciandosi inghiottire dal buio di quella notte che stava diventando la più lunga della sua vita.
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