Venti gelati

Le ultime ombre della notte stavano lasciando i loro ultimi segni attraverso le spesse fronde della Foresta Immacolata. Erano i primi momenti del mattino e dal suo sottobosco non arrivava il minimo rumore, non un accenno di movimento, uno scricchiolio o un lamento lontano. Tutto era immobile e silenzioso, ricoperto da un manto candido di neve ghiacciata.

Al limitare di quella landa scintillante, però, sorgeva uno sperone dissonante, un forte di roccia bruna che si ergeva quasi a farsi beffe del candore di quel luogo. All'interno delle sue gigantesche mura, in uno dei cuori più profondi di questo baluardo della civiltà, due voci riempivano l'aria, insieme con un clangore intermittente.

«Ancora!»

Un grido seguì un momento dopo, mentre un fendente calava sibilando su un manichino di legno.

Due figure si ergevano all'interno di una delle grandi camere da addestramento interrate della fortezza. Una donna e un ragazzo in armatura pesante, avvolti in lunghi mantelli di lana, ricamati oro e porpora, illuminati dalle fiamme distanti di grandi bracieri di ferro battuto.

Il ragazzo, un giovane con corti capelli biondo platino e occhi di ghiaccio, teneva una lunga spada sollevata accanto al viso, i colpi vibrati diretti a un manichino di legno appena un passo avanti. Aveva il fiato grosso, la schiena e le braccia sembravano andargli a fuoco e il mondo sembrava quasi vorticargli attorno ormai, sotto la forte influenza dell'arma che ancora faticava a controllare.

"Forse" si disse, stringendo i denti mentre serrava ancora di più la presa, aspettando un nuovo ordine dalla sua maestra "forse dovevo aspettare."

«Ancora!»

Gridò ancora una volta, menando un nuovo colpo ai danni del manichino, graffiandone appena la superficie con la punta della sua arma, tracciando un altro solco in mezzo alle altre centinaia che aveva segnato quel giorno.

La donna gli fece cenno di trattenere la spada, poi si avvicinò al bersaglio, osservandolo con attenzione, mentre lunghe ciocche blu notte le pendevano davanti al viso. Il ragazzo la guardò in silenzio, aspettando il suo responso, osservando con attenzione mentre le sue dita scivolava sul taglio che aveva appena tracciato, con delicatezza.

«Quasi.» fu tutto quello che ottenne come risposta.

«Comandante?»

«Ho detto che ci siamo quasi. Non ti sei ancora abituato, ma direi che stiamo facendo dei grandi progressi con quell'arma.» replicò ancora la donna con il suo solito tono ruvido, aspro, voltandosi verso di lui «Ottimo lavoro, Artas. Come ti senti?»

Quando sentì quelle parole, il ragazzo si puntellò con la sua spada, prendendo aria a grandi boccate. Era ancora notte fonda quando avevano cominciato quell'allenamento e non aveva avuto ancora un momento per tirare il fiato.

«Bene, signora.» rispose, annuendo a fondo «Pronto per cominciare la giornata.»

«Non è vero.»

Colpito alla spalla, il ragazzo si trovò a rotolare sul pavimento, in uno sbuffo di sabbia e paglia secca. Immediatamente fece per rimettersi in piedi, ma prima che potesse muoversi anche solo di un passo, si trovò davanti il viso della comandante a un soffio dal suo, una delle sue spade dorate puntata al petto.

«Non sopravvalutare mai le tue forze. Se ora fossi stata un nemico, saresti morto.» appena finito di parlare, la donna si tirò indietro, porgendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, aiuto che lui accettò immediatamente «Saper ubbidire agli ordini è un'ottima cosa per noi cavalieri, Artas, ma saper soppesare e valutare le proprie forze non è da meno. Se fossi stanco, debole o ferito non saresti d'aiuto a nessuno, quando dovesse essercene bisogno.»

«Quindi questo allenamento...?»

«Oh no, no, no, questo ti è assolutamente necessario per imparare e combattere con quella.» indicò velocemente verso la sua arma con un cenno della mano «Però potevi chiedere di prendere un attimo di respiro. La prima volta con in mano una lama di metallo incantato non è mai uno scherzo.»

Mentre parlavano, Artas rinfoderò la sua lama e il peso che aveva sentito addosso fino a quel momento venì meno, ma non la nausea che lo attanagliava.

«Per fortuna tu sembri rispondere bene.»

«Lo dica al mio stomaco.» si lamentò ancora il giovane cadetto, cominciando a calcare lo spiazzo davanti al Bastione per prendere più aria «Ah.»

La comandante gli si fece accanto, rivolgendogli un sorrisetto sottile, il primo di quella mattinata, e la cosa gli fece rizzare i capelli in testa. Di solito quell'espressione preannunciava l'arrivo della parte più dura del loro allenamento mattutino.

«Come va con la magia? Come ti senti?»

Quelle domande, insieme a quel tono stranamente gentile, quasi fecero inciampare Artas, colto alla sprovvista.

«Come–? Ah, bene, signora.» sollevò una mano davanti al viso, stringendola a pugno alcune volte. Fino a quel momento si era quasi dimenticato del formicolare, ma i dieci anelli di argento nero che gli avevano fatto indossare tanto tempo prima non sembravano aver avuto alcun effetto «La sento ancora un po' sulla punta delle dita, credo. Ma non è più successo niente, lo giuro, dopo l'altro giorno è tornato tutto normale.»

La comandante lo guardò per un momento ancora dall'alto, con quei suoi sottili blu elettrico, storcendo le labbra in una smorfia.

«Per oggi eviteremo le manovre di combattimento che ti ho insegnato, direi che hai fatto anche troppo, almeno per il momento. Ricordi chiaramente i movimenti, no?» concesse alla fine lei, avanzando di qualche passo verso una delle uscite dalla stanza, superando appena Artas.

«Certamente.»

«E con i tuoi studi? Come procede con il libro di tuo padre?»

Quando sentì nominare le memorie che gli erano state lasciate dai suoi genitori, Artas non riuscì a trattenere la mano che gli corse al collo, stringendo il pendente dorato che gli era stato dato tanti anni prima.

«Quello è più complicato.» ammise, abbassando lo sguardo.

«Capisco.»

Quell'ultima parola arrivò distante, come se i pensieri della donna fossero lontani, la sua attenzione da un'altra parte completamente.

«Comandante Danae.» la chiamò ancora il ragazzo, avvicinandosi di nuovo a lei «C'è qualcosa che non va?»

«Sono solo stanca, tutto qui.»

«Potevamo evitare l'allenamento questa mattina, se non vi sentite bene.»

La donna si fermò, tornò per un istante sui suoi passi, poi ricominciò a camminare, lentamente.

«Avremmo potuto, ma temo che presto, tutto quello che ti ho insegnato potrebbe servirti.»

Quelle parole bastarono a bloccarlo sul posto. Negli ultimi giorni aveva sentito una certa agitazione nell'aria del Bastione, un'irrequietezza che aveva cominciato a serpeggiare tra di loro dopo l'incidente.

Prima che potesse fare domande in merito, però, Danae scattò, drizzando la testa.

«Ricorda, non abbassare mai la guardia. Non possiamo permettercelo.»

«Artas!»

La voce di uno dei suoi amici arrivò lontana dalle scale che portavano ai piani superiori. Si voltò, preso di nuovo di sorpresa da quella chiamata così improvvisa, cercando di capire perché lo stessero cercando così presto la mattina. A giudicare dal rumore che arrivava dal corridoio erano ancora distanti.

«Aspettate, cosa–?» non finì mai la frase. Quando si voltò di nuovo verso la maestra, però, la donna era sparita senza lasciare traccia.

Quando i rumori raggiunsero la grande sala, Artas si trovò di fronte Idri, il suo caposquadra, la zazzera di capelli verdi scomposta davanti al viso, ancora preso dalla sua corsa.

«Hey, eccoti finalmente.» commentò ancora il ragazzo, tirando un lungo sospiro «Credevo fossi scomparso.»

Lo sguardo del nuovo arrivato si spostò tra lui e l'uscita da cui era scomparsa la sua comandante e i pensieri di Artas corsero alla prima lezione che aveva tenuto con la donna, tanti anni prima.

"Non parlare con nessuno di quest'addestramento, ci siamo capiti?"

«Con chi stavi parlando?» domandò quindi Idri, innarcando un sopracciglio, sorpreso. Doveva sembrare più sulle spine di quanto avesse immaginato «È successo qualcosa?»

«Figurati, stavo riflettendo ad alta voce.» Artas tagliò corto con un cenno della mano «Si può sapere dove vai così di corsa?»

«Stamattina tocca a noi il primo turno di guardia del mattino, te ne sei dimenticato?»

Il biondo sentì il mondo crollargli addosso. L'allenamento di quella mattina era durato forse il doppio del solito e ora gli toccava la guardia del mattino? Altro che pattuglia perimetrale, avrebbe voluto solo tornare a letto.

Alla fine, però, si lasciò andare a un lungo sospiro, stringendosi nelle spalle.

«No, no, me lo ricordavo, non ti preoccupare.»

«Fai questi allenamenti prima che sorga il sole, ovvio che poi non ti reggi in piedi quando arriva la chiamata a raccolta.» gli fece notare ancora il suo caposquadra, scuotendo la testa. Da quando l'avevano fatto caposquadra gli stava dietro più di Tiryen al castello. Anche se aveva un anno più di lui, non era che dovesse fargli da padre «Si può sapere cosa vuoi fare? Non ti bastano gli addestramenti che facciamo già di giorno?»

«Stavo, ah...»

In quel momento Idri si rese conto della spada che portava al fianco e, per un momento, il suo colorito dorato sembrò impallidire di colpo.

«Perché te la sei portata dietro?»

«Mi sono già sentito male una volta, non voglio che succeda durante un combattimento. E poi ho addosso più argento nero delle mura della capitale, cosa vuoi che succeda?» ribatté ancora Artas, mostrando i sottili anelli che portava alle mani e le catenine attorno al collo.

Idri non disse niente per qualche momento, ma alla fine annuì.

«D'accordo, forse hai ragione. Ma stai attento a non fare danni, ci siamo capiti?» assentì, stringendo le labbra.

«Dai, andiamo. Devo parlarti di un paio di cose.» aggiunse un attimo dopo, rivolgendogli un cenno con la testa.

"Un paio di cose?" si chiese ancora Artas, incuriosito. Quella mattina sembrava riempirsi di domande di momento in momento «Cosa succede?»

«L'altro giorno ho sentito il comandante Thar discutere con alcuni degli istruttori. A quanto pare, dopo lo scontro con il dhorkan dell'altro giorno, hanno inviato una comunicazione magica ad Aurelia.» spiegò velocemente, gesticolando con una mano «Non ho capito molto di quello che si stavano dicendo, ma parlavano di un certo "maestro". Pare che verranno a prenderti a breve.»

"Maestro? Possibile che sia–?"

«A prendermi? Devo lasciare il Bastione della Notte per uno scontro con un chimerico? Il mio addestramento dovrebbe durare ancora sei lune, non riceverò la mia investitura.»

«Ovviamente non è solo per lo scontro con il chimerico, ti pare?» fece di rimando il ragazzo, alzando gli occhi al cielo mentre lasciavano la sala d'addestramento «Una magia instabile è pericolosa sia per te che per tutti gli altri, probabilmente vorranno controllare che non ci siano ricadute o picchi, ora che sembra essere tornata quiescente.»

«Quiescente.» commentò tra sé e sé il ragazzo, stringendo la mano destra, ancora infastidito da quella sensazione.

Attraversarono il lungo corridoio in silenzio per lunghi momenti, varcando arco dopo arco. Quella mattina la via per uscire da quella stanza sembrò stranamente lunga.

«Ascolta, so che sta succedendo tutto un po' velocemente, ma non ho ancora detto niente agli altri.» aggiunse dopo qualche momento Idri, tentennando per un istante prima di continuare a camminare «Vorrei li salutassi, prima di andare via.»

«Non me ne sarei andato senza dire niente.»

Quella volta Idri si fermò del tutto, guardandolo da sopra una spalla, inarcando ancora di più un sopracciglio.

«Sì? Davvero?»

Artas rispose allo sguardo, mordendosi l'interno di una guancia.

«Non dovevamo fare la ronda del mattino?» concluse, superando l'amico e dirigendosi verso l'ingresso della fortezza a grandi passi, tirandosi dietro il lungo mantello, stringendolo al collo con la grossa spilla dorata che portava sulle spalle.

Nessun altro dei loro compagni era ancora uscito dalle camerate, ma alcuni dei servitori avevano già cominciato a preparare per la lunga giornata che li attendeva, così Artas e Idri passarono attraverso i giganteschi tavoli della sala grande senza neanche fermarsi. In silenzio, senza dire nulla, Artas si fece scivolare uno dei pezzi di pane ancora croccante in tasca: col freddo che prometteva, avrebbe aiutato non poco.

Prima che potesse uscire dal Bastione, tuttavia, Idri lo strattonò per una manica.

«È da prima che cammini un palmo da terra. Si può sapere cosa ti prende?»

«No, è che– Io, ah, non so come spiegartelo.» Artas prese a passarsi una mano tra i capelli, messo un po' a disagio da quella domanda «Quando ero piccolo avevo un'amica che mi raccontava sempre storie incredibili di tempi antichi, di eroi e magia.»

«Almeno questo spiega dove hai imparato tutte quelle storie per Odir.»

«Già. A lei piaceva leggere, davvero tanto. Forse l'ho preso da lei.» si morse l'interno di una guancia. Non sapeva quanto poteva dire davvero di quello che era successo prima di arrivare al forte, di Ilion e della magia, avrebbe fatto meglio a tenere a freno la lingua, anche se aveva davanti Idri.

«Non voglio andarmene, ma se è vero che il mio vecchio maestro sta venendo a prendermi, ora che ho usato la magia senza l'aiuto di nessuno...»

Arrivato a quel punto gli tornò in mente una domanda che gli aveva fatto la sua amica tanti, tanti anni prima.

«Non ti sei mai chiesto cosa potresti fare, se potessi usare la magia?»

«Oh sì. Tante volte.» all'improvviso Idri si strinse nelle spalle, sorridendo ancora «Specialmente durante gli addestramenti più duri, in inverno.»

«Ma abbiamo davvero tempo da perdere a sognare?» aggiunse un attimo dopo il ragazzo dai capelli verdi, passando una mano sul pendente di legno che portava al collo.

Quando aprirono i grandi portali del forte, tuttavia, i loro discorsi vennero meno. C'era un odore strano portato dal vento e l'aria gelida mordeva come una lama, tagliandogli il fiato, così Artas si strinse ancora di più all'interno del suo mantello, tirando il bavero fin davanti alla bocca. Cercò di fare passi leggeri in mezzo alla neve per non affondare e non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si era formato durante la notte, lasciando impronte delicate mentre i suoi stivali scrocchiavano sulla neve.

Era giusto un mezzo palmo, niente di più. Se fosse stato ancora inverno, probabilmente in quel momento si sarebbe trovato sprofondato fino al mento. Forse quello sarebbe bastato a coprire il danno che aveva fatto.

Una raffica più forte delle altre spazzò via dalle chiome scure una pioggia di cristalli candidi, rovesciandoli a terra in una cascata di diamanti. Un ululato profondo corse dal centro della foresta, facendo tremare le fronde dei pini.

All'improvviso, però, si trovò davanti qualcosa che lo scosse all'istante da tutti quei pensieri. Poco distante, a un paio di passi dal muro del forte, c'era un cratere slabbrato, scavato direttamente nella terra gelata. Il risultato della sua magia.

Si potevano vedere ancora i segni lasciati dai fulmini e la pietra tramutata in vetro nei punti in cui avevano colpito. Si chinò a guardarlo e gli sembrò di sentire di nuovo il crepitare dei lampi sulle punte delle dita, come se fosse passato solo un momento. Se era riuscito a fare quello, senza che nessuno gli spiegasse nulla, cos'avrebbe potuto fare dopo essere stato addestrato?

Di nuovo, però, il filo dei suoi pensieri venne spezzato da una voce improvvisa.

«Cosa sono quelle facce lunghe, cavalieri?»

Ci fu uno scintillare nell'aria, un lampo di luce riflessa su una placca di metallo nera come la notte che cadde all'improvviso dalla cima delle mura. Uno sbuffo di cristalli ghiacciati si sollevò davanti a loro, mentre una figura ammantata d'azzurro atterrava con una piroetta.

Occhi color acqua, incastonati sotto una zazzera di capelli corvini, si fissarono su Artas. Un attimo dopo, comparve anche un sorriso scintillante.

«Non siete contenti di vedermi?»

Artas sentì il cuore saltargli in gola. Ecco cos'era quell'odore che aveva sentito, di ferro e fumo. L'odore di qualcuno che aveva passato molto tempo da solo, nella foresta, a caccia.

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