Capitolo 0: Notte nera
"Kyan! Dammi la mano!"
Facendo appello alla forza che gli rimaneva, aprì di colpo gli occhi. Le orecchie gli fischiavano come se fossero state tra un'incudine e un martello, il naso saturo dell'odore di pece e fumo mentre sotto di lui la notte era gonfia di bagliori arancioni. La città stava andando a fuoco.
Si lasciò andare a un grugnito di dolore, poi serrò i denti.
«Maledizione.»
Era stato troppo lento.
Si guardò un attimo attorno, stringendo con forza l'impugnatura della sua spada. Un proiettile di catapulta gli aveva quasi fatto crollare addosso le mura del castello.
Ferito, si puntellò con la sua arma per continuare il suo inseguimento. Incespicò tra i frantumi di pietra, poi strinse i denti e ricominciò a correre.
Non aveva tempo da perdere.
Saettò tra un'aula di granito e l'altra, scivolando tra quello che rimaneva di una reggia in rovina, la cenere che gli si attaccava al viso come colla mentre cercava in ogni modo di evitare le fiamme che stavano divorando la reggia.
"Coraggio!"
La voce continuava a chiamarlo, la sentiva chiaramente nella sua testa, ma era ancora troppo distante. Poteva raggiungerla in tempo?
"Devo!" si disse, stringendo i denti.
Scivolò tra i calcinacci e le travi crollate nella sua corsa forsennata, scavalcando macerie e aule in rovina della reggia, mentre l'incendio si avvicinava sempre di più.
I polmoni gli bruciavano nel petto, stava praticamente volando attraverso i corridoi, dando tutto quello che aveva per raggiungere la sala del trono. Il cuore freddo della battaglia era dentro quella stanza, lo sentiva, anche attraverso tutta quella pietra.
Senza rallentare, rinfoderò la sua spada ed estrasse il coltello che portava alla cintura. Se non aveva abbastanza tempo, gli sarebbe bastato prendere una scorciatoia.
Alla fine del corridoio, proprio davanti a lui, c'era quello che rimaneva di una delle grandi finestre colorate del palazzo, con una bandiera tesa dalla brezza e tinta d'argento dalla luce delle lune, alte sopra di loro.
Strinse i denti e chiuse gli occhi, poi si lanciò attraverso l'armatura di piombo divelta. Afferrò il pennone e frenò il suo slancio, lasciandosi cadere nel vuoto, verso la città sottostante. Un vento soffocante, carico di cenere e di disperazione, gli soffiò sul viso, mozzandogli il respiro.
Un attimo solamente, poi la sua caduta si interruppe bruscamente quando affondò la lama nella pietra mentre lui la stringeva con tutta la sua forza. Con un colpo di reni infranse una seconda vetrata e rotolò all'interno in uno scintillare di vetro e metallo spezzati, saltando in piedi, pronto a combattere.
Quelle poche torce che ancora erano accese gli rivelarono una scena che gli diede i brividi.
Aurora, la sua regina, era costretta con le spalle contro il trono di pietra, la spada ancora stretta in mano ma circondata da un manipolo di soldati nemici. Era ferita e stanca, lo vedeva chiaramente, ma viva.
Combatteva ancora. C'era ancora speranza!
«Via di mezzo!»
Sentì appena la fitta bruciante che gli trafisse la gamba destra quando si lanciò in avanti, facendo appello a tutta la forza che gli rimaneva e bruciando la magia che gli scorreva nelle vene, gridando.
Vibrando un fendente di spada, si schiantò come un fulmine contro i soldati più vicini, lanciandoli contro la parete in un cozzare di metallo su pietra.
Quell'attimo di distrazione fu sufficiente. Quando si voltò per aiutare la sua compagna, questa scagliò un'onda di luce dalla punta della sua arma, cancellando dal mondo i nemici che ancora le si paravano davanti.
Con un ultimo scatto la affiancò, pronto a difendere il trono.
Fu in quel momento che sentì avvicinarsi quella pressione fredda che aveva percepito, quando un ultimo, spaventoso avversario scivolò fuori dalle tenebre.
Ricordava molto bene quello che gli avevano detto i sopravvissuti delle battaglie precedenti, non gli ci volle che un istante per riconoscerlo.
Un giovane uomo in armatura, pallido, con i capelli candidi e gli occhi dorati. Nella mano destra reggeva una spada di osso di mostro, lustra come uno specchio e percorsa da vene d'oro.
Il Reggente di Dharak alla fine era arrivato. C'era davvero scampo per Arcadia, se era giunto fin lì?
Si fece avanti, in un ticchettare di cuoio, poi abbassò la punta della sua arma verso terra. Sembrava un gesto di pace, in realtà si preparava a colpire. Un potere opprimente, nero come la notte, trasudó da sotto la sua armatura come nebbia.
«Non rendiamo la cosa più difficile.» li apostrofò, avvicinandosi a piccoli passi «Consegnatemi la Torcia.»
Appena lo sentì parlare, il cavaliere si sentì percorrere dallo stesso brivido freddo di poco prima. Quella voce era così innaturale, fredda. Era davvero un umano come loro?
«Possiamo evitare inutili spargimenti di sangue.» concesse un momento dopo, il tono più mellifluo «Volete davvero combattere ancora? Con tutto quello che è successo?»
Silenzio. Ancora una volta, nessuno dei due rispose.
«Pensate davvero che basti?» si fece ancora avanti, le spalle larghe sotto lo spesso mantello nero e dorato, giocherellando con la spada che reggeva in mano, facendola roteare nel palmo «Quanti siete ancora, solo voi due? Il mio esercito è qua fuori, tra poco farà irruzione nel palazzo. Cosa pensate di fare, davvero?»
Il brillare dorato dei suoi occhi tradiva le sue vere intenzioni. Non ci sarebbe mai stata pace, non con qualcuno come lui.
«Vi chiedo solo di consegnarmi la Torcia della Conoscenza. Mi sembra un prezzo equo per lasciarvi vivere, non credete?»
Vide la regina farsi avanti, lama in pugno per combattere ancora.
«Non avrai mai niente da noi.»
«Uh.» un sorriso sottile, malevolo, si stagliò sul viso dell'invasore «Parole coraggiose, regina. Ma avete davvero la forza per potermi fermare? Anche con le vostre armi, credete di essere forti abbastanza?»
Quando sentì dire ciò, il cavaliere non riuscì a fare a meno di sorridere a sua volta.
«Sei tu quello che è arrivato tardi, dharak.» la sua risata riempì la sala del trono «Non c'è più nessuna Torcia. Non c'è mai stata, non per te.»
Appena finì di parlare, una nuova esplosione squassò le mura del castello, facendo crollare dal soffitto qualche scheggia di pietra. Poi un'altra e un'altra ancora, fino a quando una scarica di tuoni squarciò l'aria.
"Finalmente!"
L'invasore si guardò attorno, sgomento.
«Non l'hai fatto davvero.»
«Oh sì, invece.» continuò a sorridere, facendo un passo verso di lui «La perla è stata distrutta e presto il palazzo crollerà. Non hai più modo di raggiungerla.»
«Fai pure quello che vuoi. Ormai hai perso.» aggiunse.
La sala attorno a loro prese a tremare, ma quella volta non per via delle esplosioni. Un torrente di energia oscura si riversò verso di loro, avvinghiandoli, minacciando di stritolarli, ma le loro lame scattarono, ergendosi a difesa e squarciando quella marea nera che li circondava.
«Perso?» quel grido sembrò spezzare la reggia in due «Perso?!»
Li caricò all'improvviso, facendo fremere l'aria sotto lo sferzare della sua lama.
«Io non perdo mai!» il fendente calò tra di loro, un rintocco di metallo su metallo, scintille che volavano in tutte le direzioni.
Assediato dalle fiamme e dalle esplosioni di magia del nobile cavaliere, il palazzo cominciò a crollare su sé stesso mentre i tre contendenti si lanciavano in un'ultima danza mortale.
«Gloria ad Arcadia!» il cavaliere sentì la sua voce fondersi con quella della sua regina in un canto di morte. Ogni singolo briciolo di energia bruciò in un istante mentre pronunciava quelle parole. Dal contatto tra le loro spada scaturì un lampo di luce che si schiantò contro la lama d'osso del Reggente.
Magie contrastanti, impetuose, si affrontarono per il più lungo istante della storia, poi una colonna di luce e ombra si levò fino al cielo, squarciando quello che rimaneva del castello, illuminando a giorno la città in rovina.
Alla fine, in un momento di silenzio irreale, il palazzo crollò.
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