Polvere di stelle

Le lacrime prendono a scendere per inerzia. Cerco sempre di ignorare quel pizzicore che dalle narici pungola le congiuntive. Piangere non serve, mi fa solo venire un mal di testa insopportabile che non mi passa, se non dopo una notte di sonno. E dormire non è scontato. Talvolta una parola in più, l'ennesima, torna a far tracimare di un'amarezza antica l'argine dell'equilibrio traballante che mi sforzo di mantenere.

Qualche momento prima

«Mira, dai vieni da noi stasera!» Ahmed ha insistito perché passi la fine dell'anno con la sua famiglia e con degli amici. Ha pensato di invitare me e Carmen.
Matias trascorrerà la notte di San Silvestro a casa di un compagno della squadra di calcio dove si allena; dunque mi sono organizzata e in effetti resterei da sola e mi piacerebbe accettare l'invito di Ahmed che è sempre tanto gentile.

«Ma cheee?! Viene pure questa? Ci vuoi rovinare la festa, allora!» se ne esce Carmen, accompagnandosi a una risata sguaiata delle sue e fissandomi con sdegno da capo a piedi. «Lei fa solo la lecchina col padrone. E poi ha la vitalità di una ottantenne!»

«Taci una buona volta, Carmen!» Ahmed la zittisce e si scusa per lei, ma prima che possa porre riparo alla situazione, io attraverso il vialetto e mi richiudo alle spalle l'uscio della dependance. Ahmed non si arrende e mi ricorre.

«Mira, Mira! Dai apri la porta. Per favore. Dai, non stare a sentire Carmen. La conosci, sai com'è fatta: parla sempre a vanvera. Io voglio che ci sia anche tu dai miei. Dai, Mira, per favore Non te ne puoi stare sempre dentro casa anche l'ultimo dell'anno. Io non me ne vado da qui finché non mi prometti di venire con me.»

Nulla può la sua insistenza.
Seduta sul davanzale della piccola finestra del soggiornino, ginocchia al petto, singhiozzo in maniera più acuta, nascosta al mondo esterno dal drappo ricamato di una tendina merlata. Un raggio di sole filtra attraverso gli intarsi del cotone, ferendomi gli occhi che bruciano per il pianto. Ormai quello che era in principio un pizzicore dietro le ciglia è divenuto un delta di fiele che dal cuore è risalito agli occhi e cola fino alle mani e giù lungo i polsi.

Il tono aspro di Carmen e il suo sguardo altero riaprono porte serrate...

È grassa, ci fa sfigurare. Non la vorrai invitare alla festa? Era il pensiero comune delle popolari miss firmissime della mia classe.

È una pezzente e si veste come una poveraccia.

Quella ha il padre strano.

A quelle frasi tornano a sommarsi le assenze di chi non c'è mai stato, a nessuna recita scolastica, e poi i compleanni non festeggiati perché non sono importanti, come non lo era qualsivoglia ricorrenza.

Un susseguirsi di episodi dolorosi abbatte raffiche di frantumi di vetro sull'anima; è il prezzo eterno che pagano, ogni singola volta, quelle come me.

Una voce muta in mille. Un coro macabro di risatine, prese in giro, insulti urlati persino quando facevo ciò che mi veniva ordinato.

Bastarda! Avevo solo sei anni e avevo rovesciato del brodo dal piatto mentre lo trasportavo a tavola.

Ma quando te ne vai? Sei solo una rompicoglioni maledetta! È successo durante le feste natalizie, mentre sparecchiavo la tavola e mia figlia maggiore, ancora lì seduta con il cellulare nelle mani, sbuffò incurante della mia oggettiva difficoltà nel raggiungere i piatti sporchi da raccogliere all'altro capo, con lei di mezzo. Le avevo chiesto con gentilezza di spostarsi e suo padre mi ha tuonato contro. Guai a toccare la primogenita fatta a sua immagine e somiglianza.

Ti ho vista con l'attore! Hai fatto bene i conti: pensi di sistemarti con la famiglia ricca, dopo avermi lasciato? Ma io mi riprendo mio figlio, puttana! Ti tolgo tutto!

Le memorie di fiele si mescolano a un tremore convulso. Non mi succede spesso di crollare, forse, proprio per questo, il dolore che sento mi soffoca al punto che penso di stare annegando. Tuttavia, come ogni volta, quando credo di non riuscire a risalire il fondo della disperazione, mi immagino nel lettone con il mio bambino, poi prendo un grosso respiro e aspetto il momento in cui la tempesta si placherà.

Soffoco un urlo silenzioso, un sibilo flebile è rilasciato dalle labbra spalancate, al pensiero di perdere Matias.... non ho altri che lui al mondo. Gli occhi serrati, il naso e la bocca colano. La manica del maglione non è più sufficiente ad assorbire la pozza che mi sta divorando.

Un cigolio nella serratura mi ravvisa che qualcuno sta entrando in casa; dev'essere Matias di ritorno dal campetto di basket dove s'è trattenuto con gli amici. Non deve vedermi in uno stato simile. E invece è così che mi trova Ermes. Sì, proprio Ermes!

È dinanzi a me e lo guardo con le pupille sgranate, per una frazione di secondo, prima di nascondere il viso tra le braccia che reggono le ginocchia. Meno ancora di Matias avrei voluto che degli estranei mi vedessero in queste condizioni, figurarsi lui.

Resto di fronte a lei impietrito; la sua espressione muta quasi immediatamente: in una sorta di effetto riflesso corrugo la fronte nel trovare Mira così visibilmente scossa. Cerco qualcosa di sensato da dirle nel tentativo di aiutarla.

«M-mira...» mi trema la voce, «M-mira, i-io... Mira. Posso avvicinarmi? Per favore...» mi muovo appena di qualche passo nella sua direzione mentre lei seguita a tenere il capo sulle ginocchia, cercando di soffocare i singulti del pianto. Le mie dita si allungano fino a sfiorarle una spalla «Mira... ti prego, io-io non ce la faccio a vederti così». Ancora vi è solo silenzio intervallato dal suo pianto sommesso. Aumento lievemente la pressione delle dita sulla spalla di Mira fino ad attirarla a me. Spire di emozioni mi investono. Il ricordo dell'attacco di panico di qualche mese fa, nella mia auto, mi si fa nitido davanti agli occhi. La mente torna a quel primo abbraccio impacciato e pieno di imbarazzo. A quello dopo, a casa di lei, la sera stessa: l'ho tenuta stretta fino a che non si è addormentata serena. Ora la tengo di nuovo tra le braccia con dolcezza e con una mano le carezzo il capo. Con l'altro braccio, posto dietro la schiena, la cullo piano. È un gesto istintivo. Dopo qualche momento passato così, mi faccio coraggio e mi distacco dal nostro contatto, prendendole il viso tra le mani.

Ancora lei non mi guarda. Come le fronde di un salice piangente, i lunghi capelli coprono il viso chino. Li sposto dolcemente, un poco alla volta, e le sollevo il volto per guardarla. Le ciglia serrate in una smorfia di dolore, ancora sotto di essere le lacrime scendono copiose. «Mira, non piangere. Per favore, guardami. Non sei sola, ci sono io qui.»

I suoi occhi si schiudono e paiono pozzi neri di un dolore che non conosce sosta. D'impeto la traggo nuovamente al mio petto, afferrandola dietro la nuca e riprendo a cullarla. Stavolta intervallo le carezze sui capelli, con piccoli baci sulla fronte, da cui ho spostato le ciocche madide di lacrime. Un gesto intimo, forse troppo, al quale Mira non si sottrae, però. Mi lascia fare, così come mi aveva permesso di starle accanto durante la sera dell'attacco di panico.

Le braccia che tiene strette al proprio petto si sciolgono pian piano fino a cingermi il torace per poi posarsi sulle sue scapole con i palmi aperti. Pian piano si placano anche i singhiozzi.

«Mira, ascoltami: io adesso vado a prepararti qualcosa di caldo e prendo dei fazzoletti, va bene? Torno subito» le dico sottovoce, dopo essermi distaccato appena da lei. Le parlo lentamente, con un tono pacato che possa rassicurarla un poco mentre le accarezzo le braccia, avvertendo il tremore del suo corpo che, a differenza del pianto, non è ancora scemato.

Mira si discioglie dal nostro abbraccio e rimane immobile ad ascoltarmi con il capo ostinatamente chino, non mi permette di guardarla trasfigurata dalla sofferenza. Armeggio in cucina mentre le preparo una camomilla. Mi muovo nel silenzio del piccolo angolo cottura, intervallato solo dal sibilo del bollitore. Conosco i posti; per molte estati e Natali, Castello Hernandez è stato a disposizione mia, di mia moglie e dei bambini. Ho ristrutturato ogni angolo di questo posto con papà, non c'è cantuccio che sia segreto. Libero il filtro dalla bustina di carta e lo pongo nella tazza, che sistemo su un piccolo vassoio decorato con un motivo natalizio. Accanto vi colloco un cucchiaino, la zuccheriera e una generosa quantità di fazzolettini ma, quando sollevo gli occhi verso il piccolo davanzale della finestra del soggiornino, mi accorgo che Mira non c'è più. Pochi attimi dopo la vedo varcare la soglia che divide la zona giorno dalle camere da letto.

«Sono andata in bagno a sciacquare il viso. Grazie di aver preparato la camomilla» dice mentre si accomoda a gambe incrociate sul divano, facendomi cenno di sedere accanto a lei.

Tiro mentalmente un sospiro di sollievo nel constatare che sta meglio e mi accomodo a poca distanza, porgendole la tisana. Il capo ancora basso, la osservo sorseggiare con grazia la bevanda. Rispetto il suo silenzio, aspettando che termini perché voglio sia lei ad aprirsi in caso ne avverta il bisogno. Del resto sono stato io a entrare nel suo appartamento con la chiave di riserva. E ancora, sono stato io a invadere un suo momento privato; sono già andato oltre e non voglio forzarla, o peggio darle l'impressione di volerle mancare di rispetto. A me basta essere presente. Perché conosco bene che sensazione si prova a tenersi tutto dentro, ad affrontare la sofferenza da soli per non gravare sugli altri.

Quando Mira finisce di bere solleva finalmente gli occhi arrossati di pianto nei miei e sento mancare il respiro. Due iridi chiare, quasi tendenti al verde, rese ancora più limpide a risalto con la sclera arrossata, mi fissano colme di gratitudine. Piano muove una mano verso la mia, che stringe, pronunziando un flebile «Grazie.»

Raccolgo la sua mano tra le mie, tenendo lo sguardo basso tra imbarazzo ed emozione. Con i pollici ne carezzo il dorso e il palmo contemporaneamente, seguitando a rimanere in silenzio.

«Non ringraziarmi, non ho fatto niente di speciale. Ho visto cosa è successo in giardino ed ero preoccupato per te, e anche Ahmed. Sai, penso che dovresti andare con lui stasera. Noi saremo da zia Ana.»

«Preferisco restare qui. Volevo accettare, davvero, ma rovinerei la festa a Carmen», sorride ironica.

«Gliela dai solo vinta così! Dovresti darle uno smacco, invece. Davvero non capisco cosa ci trovi Ahmed in lei. È una persona competente sul lavoro, anche una bella donna, ma umanamente...» alzo le mani in segno di disappunto.

«L'amore è cieco!» Mira erompe in una risata.

«Molto cieco!» Rido ancor più di gusto. «Ecco, così mi piaci: sorridente!» Le prendo nuovamente le mani tra le mie. «Mira, promettimi che andrai con Ahmed stasera, altrimenti sarò costretto a restare qui e ad annoiarti con la mia presenza. Non esiste che tu rimanga da sola l'ultimo dell'anno, me lo devi promettere!»

Lei sospira profondamente e annuisce. «Andrò con Ahmed, te lo prometto» suggelliamo il patto con una stretta di mano e una ritrovata calma.

Verso le quattro del pomeriggio, inizio a sistemare la macchina per andare con papà, Mike e gli altri da zia Ana, a Vero Beach; dispongo nel portabagagli le gustose pietanze che Mira ha preparato in precedenza per noi, per la cena di fine anno. Mi volto, sentendo vociare, e la vedo attraversare il giardino con Ahmed. Chiacchierano amabilmente e penso che stanno bene insieme. Mira è adorabile, avvolta in un cappotto color cammello che contrasta con i suoi lunghi capelli dalle tonalità cioccolato. Indossa un velo di rossetto di appena un tono più scuro del colore naturale delle sue labbra. Li seguo con la coda dell'occhio fin quando scompaiono nel pick up. A Carmen prende letteralmente un colpo, quando li vede arrivare.

La serata procede tranquilla. Carmen si è guardata dall'infastidirmi ancora. Il suo unico obiettivo è di essere la primadonna della festa. La lascio fare, non ho di queste velleità. Prima che ce ne rendiamo conto, sono già le 22:30 e molte prelibatezze e drink dopo, una Carmen su di giri non manca di mettersi in mostra ballando e ridendo senza ritegno con i cugini di Ahmed, mentre io do una mano a quest'ultimo a sparecchiare e far posto per altri dolci e i calici per il brindisi augurale. A un tratto, voltandomi, trovo dietro di me Ermes con mia grandissima sorpresa.

«Ehi, che ci fai tu qui?» chiedo non riuscendo a mascherare un sorriso da parte a parte.

«Eeehiii, Ermes, ce l'hai fatta a venire!» Ahmed giunge alle nostre spalle e saluta l'ospite appena giunto con una informale hand wrestler che Ermes ricambia vigorosamente. «Gli ho detto che, se si fosse liberato, poteva venire a brindare con noi e a fare un po' di baldoria.»

«Papà al solito non ce la fa ad arrivare a mezzanotte, gli oppiacei che prende sono troppo potenti, così mi sono sentito libero di cambiare festa e venire qui a Indian River Shores da te e dai tuoi, Ahmed. È un onore essere stato invitato a una riunione di famiglia. Con i miei fratelli ho molte occasioni di stare insieme a New York e anche con gli zii e i miei cugini, qui a Miami.»

Che dire, non chiedevo spiegazioni, non servivano, ma Ermes ha voluto precisare. Sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrido serena, per un attimo i problemi sono fuori dalla porta.

«Lascia che ti aiuti» Ermes allunga entrambe le mani per prendere i vassoi di dolci che sto portando in tavola; glieli porgo, recuperando più calici possibili da distribuire per i numerosi invitati. Ahmed trasporta le bottiglie di spumante, intanto. Poco dopo, il tuttofare di villa Hernandez passa alle presentazioni, introducendo Ermes ai suoi parenti come il figlio del suo titolare. Alcuni degli astanti, naturalmente, lo riconosce. Sono stupiti, data la sua fama, dunque qualcuno inizia a farsi avanti e chiede degli autografi, qualcun altro dei selfie. Non è cosa da tutti i giorni avere un attore internazionale presso la propria dimora, tuttavia ognuno dei presenti rimane piacevolmente colpito dalla estrema semplicità delle sue maniere che, rifuggendo ogni frivolezza, si rende subito utile mettendosi a servire da bere ai presenti. Carmen, avvolta in un tubino inguinale, che le sta come una seconda pelle, non manca di circuirlo, ma lo vedo indifferente alle smancerie. Ermes discorre con i presenti e, poco dopo, si lancia in una manche dietro l'altra di FIFA 23 con i nipoti di Ahmed. Lo osservo divertita, mentre chiacchiero con la madre del mio collega. Sembra un ragazzino. A volte stento a credere sia davvero un noto artista.

«Mira, mia cara,» la madre di Ahmed, la signora Farah, mi prende le mani e mi si rivolge, attenta a non farsi udire dagli altri. «Quel bel giovanotto, l'attore, non ti toglie gli occhi di dosso pure se sta giocando! Lo vedi come fa? Gonfia il petto e il tono della sua voce è gutturale. La alza di tono, quando esulta, per farsi vedere e sentire da te, e guarda sempre nella tua direzione. Quella là può civettare quanto vuole, lui ha occhi solo per te. Credi a me. Fatti baciare l'ultimo dell'anno, dopo aver spezzato il pane arabo, a mezzanotte, con lui. Vi ho sistemati vicini. Attiralo sulla terrazza, e lui ti seguirà. Se questo accade, dopo che avrete spezzato il pane insieme l'ultimo giorno dell'anno, lui è il tuo promesso!» La signora Bedhi è riuscita a farmi arrossire fino alla punta delle orecchie.

In men che non si dica, veniamo richiamati tutti intorno al tavolo per il conto alla rovescia. Erano anni che non passavo la mezzanotte tra tanta euforia. Forse l'ultima volta avrò avuto vent'anni. Per un attimo il cuore si fa leggero. I calici si scontrano, tutti si baciano, scambiandosi beneauguranti auspici.

Indossate le giacche, usciamo sul terrazzo ad ammirare lo spettacolo pirotecnico che illumina il cielo di una fuliggine rossastra. Io ed Ermes capitiamo vicini. Dalle labbra e dalle narici si sollevano nuvolette bianche che si condensano verso l'alto. «Mira» si avvicina affinché possa udirlo nel frastuono generale «nell'ultimo giorno di questo anno difficile, nel quale ti ho conosciuta, la cosa che più mi auguro è che tu stia bene. Davvero. È il mio desiderio, con tutto il cuore.»

Mi faccio seria, lo guardo con gli occhi colmi e un sorriso che si allarga sulle labbra che poco prima sono state distorte dal dispiacere. Non riesco a dire niente. D'impulso Ermes mi stringe di nuovo a sé. Lascia scivolare le braccia, incrociandole alla base della mia schiena. Ricambio, annodandogli le mani dietro la nuca. Poso il viso sulla sua spalla e ne inspirò profondamente il profumo di legni aromatici, i nostri corpi premuti godono del reciproco caldo contatto. Ermes fa risalire una mano posizionandola al centro della schiena e con l'altra, in un gesto tenero, mi accarezza piano uno zigomo. Poso il palmo della mia mano su quello che Ermes mi tiene sul viso, finché le nostre dita si incrociano. Il mio respiro accelera. I polpastrelli si muovono appena su uno zigomo. Mi bacia la fronte e solo poche parole fuggono dalle sue labbra, in un sussurro:« Buon anno, Mira... buon anno.»

Chiudo gli occhi, mentre gli stringo le mani. «Buon anno, Ermes, che possa esserlo davvero. Te lo auguro con tutto il cuore» pronuncio con un filo di voce per poi affondare nuovamente il viso nel giaccone e restare stretta a lui ancora un po'.

Angolo Autrice:

Ben ritrovati, spero che questo doppio aggiornamento vi faccia felici quanto ha reso felice me di scriverlo e revisionarlo in questi giorni. Nonostante le minacce dell'ex di Mira, e i tanti abusi legati anche al passato, sembra che le cose procedano più velocemente tra loro. Si accettano scommesse. Tra quanto scatterà la molla dell'attrazione? Le intimidazioni dell'ex marito di lei riusciranno a tenerli lontani?
Come sempre mi farà piacere un vostro parere nei commenti.

A prestissimo,

Nives ❤️.

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