Lacrime di Aria

I, I wish you could swim like the dolphins, like dolphins can swim.
We can be us, just for one day.
I, I can remember
standing, by the wall, and the guns shot above our heads And we kissed, as though nothing could fall. Then we could be heroes, just for one day.

Heroes - David Bowie (Peter Gabriel Version)





Il giorno seguente al cocktail per il mio compleanno, papà mi chiama in disparte, mentre Carmen sta apparecchiando per la cena. Mi fa cenno con la mano di avvicinarmi e poi ci spostiamo all'esterno delle vetrate del soggiorno, in direzione della piscina. È ancora abbastanza caldo ma ci intratteniamo piacevolmente all'aperto; è un'abitudine che abbiamo da anni, almeno finché non cambia l'orario per la stagione invernale. Il pensiero di arrivare da qui a un mese, un mese e mezzo è una puntura dritta al cuore. Da quando ho appreso di papà, ho realizzato appieno cosa voglia dire vivere giorno per giorno e sto imparando ad assimilare il concetto del cambiamento, del niente è per sempre. Da bambino sottovaluti gli anni che passi in casa con i genitori; non vedi l'ora di crescere e avere una vita tua, tanto loro, le tue rocce, sono inscalfibili - pensi - niente cambierà. Ci saranno i pranzi domenicali; si faranno più rade le occasioni, se i figli vanno a vivere lontani, ma loro saranno lì, sempre - pensi. Poi un giorno cadi a faccia in giù sul cemento, dal settimo cielo nel quale vivevi la tua illusoria vita patinata e ti accorgi che tutto muta e tutto ha una fine. La roccia è stata erosa dal tempo e non esistono più certezze. Ti svegli bruscamente e scopri che è ora di crescere, di farlo davvero, non solo segnando sull'agenda i profitti, i traguardi. Viene il momento di registrare le sconfitte e contare le perdite, dunque ti accorgi di non essere eterno e invincibile come pensavi.

Mio padre si accomoda sulle sedie da giardino in ferro battuto disposte intorno al tavolo in maiolica di forma ellittica e accende uno dei suoi pregiati cubani.

«Lungi da me le prediche, papà, ma fumare non ti fa bene» lo redarguisco accoratamente. Non intendo rimproverarlo con asprezza, del resto io per primo gioisco, all'occasione, degli insani piaceri di fumo e alcool. Nel caso di mio padre però, divento iperprotettivo a causa dell'età e delle patologie che lo affliggono. Abbiamo perso mamma pochi anni fa, ed era ancora nel pieno dei suoi anni. Non posso rassegnarmi a perdere anche lui. Scaccio il solo pensiero il più lontano possibile.

«Ermes su, morirò a breve. Non negarmi qualche ultimo piacere. Da medico sono sempre stato ligio al buon esempio, in primis verso la mia famiglia e poi verso i miei pazienti, ma ora che non lavoro più a chi vuoi che nuoccia un buon sigaro?» gli stringo una mano sulla spalla e la mia roccia l'afferra debolmente con la sua, rugosa, in una presa calda d'affetto. «Piuttosto vieni a qua a sederti vicino a me, che non voglio orecchie indiscrete. Carmen è in gamba, ma non ha tanta simpatia per Mira. Sono molto diverse di carattere» papà aspira una boccata generosa dal cubano e prosegue «a proposito, è proprio di Mira che volevo accennarti: non è ancora rientrata da stamattina e il furgone a disposizione del personale è nel vialetto insieme alle nostre auto. Non è che andresti a riprenderla? A colazione l'ho vista un poco turbata, e pure ieri sera durante il rinfresco, così le ho dato la giornata libera.»

«Ah, allora non era solo una mia impressione: anche io, ieri sera, ho notato che se ne è stata su una sdraio e non ha quasi toccato cibo, infatti hai visto tu stesso che le ho portato personalmente un piatto di manicaretti e da bere, prima che al buffet spazzolassero tutto, altrimenti sarebbe rimasta digiuna. Papà, tu sai dove potrebbe essere andata?» chiedo, sfregandomi il mento tra le dita.

«Sì, adesso ti spiego. Se la vai a prendere è meglio. Mi ha detto che suo figlio è da un compagno di classe, oggi, a Vero Beach. So già dove se ne starà fino a quando diventerà buio e tornerà alla villa a piedi, a recuperare il pick-up per andare a riprendere il ragazzo.»

«Allora dimmi dov'è che la raggiungo, magari la chiamo per avvisarla» estraggo il telefono con prontezza.

«No no, Ermes, tanto non risponderebbe, vacci direttamente» mi consiglia papà.

Poco più tardi, la vecchia berlina di Santiago, guidata da me, parcheggia nel punto consueto lungo uno dei verdeggianti vialetti del Key West. Scendo dalla vettura e mi guardo intorno, in caso Mira si sia spostata dal punto suggeritomi da papà, ma non vedo nessuno nei paraggi. Sto per andarmene, quando scorgo con la coda dell'occhio uno degli addetti alla manutenzione che esce da una cappella.

«Mi scusi, signore, per caso ha visto qui una donna con i capelli castani, alta quasi come me?»

L'operaio ci pensa un momento «A dire il vero sì, una donna è stata qui molto a lungo. È andata via poco fa. Sa, stiamo chiudendo.»

«La ringrazio per l'informazione, e buona serata» lo saluto in fretta mentre già sto tornando alla macchina. Sicuramente Mira ha preso la direzione di villa Hernandez lungo l'argine del ruscello che scorre poco distante da qui. Quella è l'unica strada di ritorno.

Costeggiando il fiume con l'auto, d'un tratto la intravedo e accosto. Se ne sta immobile come una statua, su una panchina. Lo sguardo vitreo è rivolto verso l'acqua che riflette il colore del cielo plumbeo di un acquazzone estivo terminato poco fa. Avvicinandomi ulteriormente, osservo la sclera arrossata e le venuzze in evidenza negli occhi. Le pupille dilatate e acquose risultano particolarmente chiare, cosparse di riflessi aurei illuminati dagli ultimi squarci della timida luce che filtra attraverso le nubi scure come i suoi occhi. Le labbra assottigliate e riarse sembrano non toccare una goccia d'acqua da moltissime ore. Mi sento ingoiato da un'improvvisa morsa che mi attanaglia lo stomaco, nel vederla così.

Non si è ancora accorta del mio arrivo così mi dirigo presso un bar che intravedo nelle vicinanze. Le prendo un sandwich al prosciutto e una bottiglietta d'acqua e vado verso di lei. Tossisco appena per ravvisarla della mia presenza.

Lei distoglie lo sguardo fisso sulla superficie dell'acqua dinanzi a lei e mi studia come avesse visto un fantasma. Ha le mani in grembo e non una parola viene emessa dalla gola serrata.

«Mira, scusa se ti ho disturbata, papà e io eravamo un po' preoccupati, non vedendoti da stamattina, così sono venuto a cercarti». Glielo dico mentre siedo accanto a lei che mi segue tutto il tempo con gli occhi.
Le porgo l'acqua e il sandwich. Mira prende da bere volentieri ma lascia il panino nel sacchetto. È chiusa in un silenzio impenetrabile e non intendo pressarla. «Andiamo a casa?» le propongo soltanto.

Lei si alza e liscia il vestito per rimuovere qualche ago di pino rimasto incastrato nella stoffa.
Entrambi procediamo verso la macchina. Il calpestio delle suole sul selciato è l'unico suono che inframmezza il silenzio. Una volta messa in moto la vettura, suggerisco a Mira di andare direttamente a prendere Matias, visto che siamo di strada, senza che lei debba farlo più tardi, da sola. Lei annuisce appena.

Una volta entrati nella provinciale in direzione di Vero Beach, ci incolonniamo nel traffico a causa di un incidente. Appena in grado di fare manovra, prendo una scorciatoia. «Arriveremo per le 19:00» asserisco, concentrato a reimpostare il navigatore per arrivare a casa del compagno di scuola di suo figlio.
Poco dopo, imbocchiamo un tunnel, ma purtroppo ci incolonniamo anche lì sotto. L'incidente dev'essere avvenuto in autostrada e tutti i mezzi pesanti e le vetture sono convogliati lungo le arterie cittadine.

Mira estrae il telefono dalla borsa. Con la coda dell'occhio ne scorgo i movimenti nervosi delle mani.

«Non c'è campo qua sotto, accidenti!» mugugna, sospirando pesantemente mentre rilascia cadere le mani in segno di resa sulla borsa rimasta aperta.

«Mira» intervengo, vedendola agitata, «non preoccuparti, appena fuori di qui, chiameremo. E comunque sono le 18:30, in mezz'ora dovremmo farcela. Il traffico è lento ma scorrevole» la incoraggio.

Lei, per tutta risposta, continua a fissare fuori dal finestrino. Ne osservo le spalle alzarsi e abbassarsi in ampi respiri. Quando la coda di macchine si ferma del tutto, sotto il tunnel, Mira mi chiede di aumentare la potenza dell'aria condizionata. La vedo direzionare le bocchette verso il viso e, ripreso il cellulare, inizia a scorrere sul display in cerca di campo, inutilmente. Nei suoi movimenti c'è una frenesia convulsa. È come se uno spettro invisibile la inseguisse. Resto calmo e non parlo, non faccio domande per non metterla a disagio, continuo a guardare la strada nella speranza che si tranquillizzi. Sicuramente teme che faremo tardi e lei è sempre puntuale.
Con la coda dell'occhio continuo a scrutarla e osservo come d'un tratto stacchi la cintura stizzita. Ha il viso posizionato quasi sopra la bocchetta da dove proviene l'aria, beve con foga il resto dell'acqua che le ho comprato poco prima: è paonazza e gli occhi sono rossi e lucidi come quando l'ho trovata al fiume un'ora fa. Decido che è giunto il momento di dirle qualcosa per tentare di calmarla, è scossa, si vede chiaro. «Mira» la chiamo ma lei non si volta, seguitando a tenere il viso verso la bocchetta di areazione e lo sguardo basso. I capelli, come le fronde di un salice piangente, nascondono il suo volto. Mi accorgo che, oltre a respirare in maniera innaturale, anche il corpo è pervaso da un vistoso tremore.
«Mira» la riscuoto nuovamente. Lei è lì con il corpo ma la sua mente vaga lontana. «Mira» insisto mentre l'ansia assale anche me.

Non potendo ignorarlo oltre, lo guardo. Ermes sembra sprofondare nel vuoto dei miei occhi. Tremo. Ogni tentativo di nascondermi è fallito. I miei occhi assenti devono arrivargli come un pugno nello stomaco; non posso nascondermi, stanno tracimando in due rigagnoli che segnano di ridicolo il mio volto in fiamme. Distolgo lo sguardo e spalanco la bocca in cerca d'aria, rivolta ora verso il finestrino, ora verso l'aria condizionata. Con le mani mi afferrò il colletto del vestito che indosso e lo allargo più che posso, mentre una mano sventola il viso ormai pieno di lacrime.

«Non respiro... Ermes, non respiro» sibilo sconfitta. Lui è turbato.

«Mira, per favore, adesso guarda me e dimmi cosa senti. Ti fa male da qualche parte?» Ermes forse teme stia avendo un attacco di cuore. Staccata anche lui la cintura di sicurezza, e volto nella mia direzione, mi tiene per le spalle.

«No» riesco a rispondere a stento «non fa male, solo non riesco a respirare».
Mi rileva il polso che so essere oltremodo accelerato. So che lo sente; si fosse trattato di fibrillazione atriale le dita non avrebbero avvertito il battito. Primo pericolo escluso. Essere il figlio di un medico gli ha evidentemente insegnato le tecniche di primo soccorso.

«Hai il ciclo?» chiede.

«No» rispondo.

«Hai la sensazione di svenire?»

Annuisco.

«Puoi dirmi cos'altro senti?»

«Voglio uscire da qui Ermes, voglio uscire da qui sotto! Mi sento soffocare» balbetto.

Ermes deve avere una sorta di illuminazione, perché si muove rapido. Sposta il proprio sedile più indietro possibile. Aumenta la potenza del condizionatore al massimo e abbassa un poco anche il finestrino dell'auto dal lato guidatore. «Mira» mi chiama e io lo guardo, mi vergogno tanto ma non ho scelta. «Adesso stammi a sentire e fa' come ti dico. Vieni qui» mi parla lentamente e mi porge la mano che afferro. Mi trae a sé. Per facilitare il superamento della barriera del cambio, tra noi, mi cinge la schiena con un braccio e mi solleva fino a che non mi prende in grembo. Con la mano mi sposta delicatamente i capelli indietro dal viso e con un foglio ripiegato inizia a farmi aria.

«Adesso guarda me, solo me, okay?» mi tiene il viso tra le mani piantando i suoi occhi nei miei mentre avverto il respiro farsi più regolare.

«Tra poco riprenderemo a muoverci. Non succede niente, Mira. Va tutto bene. Non guardare intorno, guarda solo me.» Tuttavia seguito ad annaspare ancora, complici i muchi del pianto e lui mi passa dei fazzolettini per soffiare il naso. Con un altro mi asciuga lui stesso il viso.

«Abbracciami, Mira. Non c'è niente che ti possa fare del male. Ci sono io con te. Ci sono io con te.» Continua a sussurarmelo mentre gli stringo le braccia al collo, e soffoco un pianto liberatorio sulla sua spalla.

Ermes mi accarezza i capelli e la schiena. Fremo tra le sue braccia. Le labbra riarse sono incapaci di chiedere aiuto; il cuore urla attraverso la disperazione nel mio sguardo e sto trascinando Ermes a fondo con me mentre cerca di tranquillizzarmi, tanponandomi il viso con un lembo della manica della sua camicia. Piano piano riprendo il controllo delle mie emozioni e mi stacco da lui, guardandolo con immensa gratitudine.

Seguito a stringerla. Non riesco a lasciarla andare e nemmeno a dirle niente. Mira mi ricorda immediatamente mio zio Enrique. Sicuramente ha avuto un attacco di panico; in quello stato diventano come bambini, bloccati da un nemico invisibile quanto invincibile. Mi chiedo solo quale e quanto dolore sia capace di scatenare una reazione così violenta nell'animo umano. Forse ci sono andato vicino quando è finito il mio matrimonio. Tuttavia non sono concentrato su di me ma su Mira.

Con la fronte appoggiata a quella di lei, prendo a sorriderle mentre ancora la mia mano scorre dai capelli a una guancia in un gesto tenero e ripetuto. Non smetterei mai di tenerla così vicina. Vicini, come mai lo sono stati prima, gli occhi gli uni in quelli dell'altra. Sento forte l'impulso di baciarla, di perdermi sulle sue labbra delicate e tremanti, ricoprendola di tenerezza, fermando il tempo, se ne avessi il potere. Desisto, lasciando prevalere il buon senso e la mia galanteria. Sebbene mi senta profondamente attratto da lei non è certo questo il momento di palesare la cosa. Mi sciolgo dal nostro abbraccio che è divenuto da convulso a rassicurante. Mira si ricompone, sistemando il vestito mentre torna sul sedile del passeggero. Proprio in quel momento un lieve colpo di clacson, proveniente dall'auto dietro di noi, segnala la fine dell'ingorgo. Il traffico riprende a scorrere e riallacciamo le cinture di sicurezza.

Angolo Autrice:

Questo capitolo è stato tosto da scrivere ed è nei miei file da quasi un anno, che ci crediate o no. Sono molto simile ai miei personaggi in questo: emotiva, troppo insicura a volte. L'ho diviso in due parti e la seconda, già pronta, è da leggere d'un fiato dietro a questa. Siamo a un primo punto di svolta nella storia.

Buona lettura.

Nives.

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